la legislazione suntuaria. secoli xiii-xvi. emilia-romagna - Direzione ...

Faenza 519
celebre Fanino Fanini, la cui condanna fu eseguita nel 1550), al punto che
anche la sede dell’inquisizione provinciale fu trasferita in Faenza.
Nel dibattimento del 1559 si riducono a quattro i consiglieri eletti a formare
la commissione e si aggiungono espliciti riferimenti alla limitazione delle
pompe funebri e dei banchetti: queste indicazioni programmatiche sono
fedelmente rispecchiate nel testo dell’Ordine et provigione sopra le pompe et
conviti della città di Faenza, tramandato nella copia di Valgimigli e approvato
dal presidente di Romagna Giovan Battista Doria il 10 marzo 1560, che è
decreto analitico e completo, molto più interessato in assoluto al contenimento
delle spese che a questioni di carattere formale o cetuale. Ciò non di
meno subito, già nel 1561, si dibatte nel merito con l’«altercatio» sorta «super
pannis mulierum existentibus cum listis», in cui si vede tutta la contraddittorietà
interna di questa problematica e viene sollevato il paradosso dell’eccessiva
spesa da affrontare per fare nuove vesti che siano corrispondenti al dettato
della nuova normativa: tutto si risolve allora con la non approvazione di quel
capitolo, con la conservazione, insomma, dello status quo.
Quando nel 1574 viene effettivamente adottata la ulteriore nuova riforma,
essa appare ancora motivata da valutazioni del più classico stampo moralistico;
in particolare vi è deplorato l’uso eccessivo di oro e di argento da
parte delle donne, mentre è confermato uno sfarzo maggiore consentito nei
primi due anni di vita matrimoniale; tuttavia anche questa legge è animata
dalla consueta severità teorica di difficile messa in pratica. Non a caso il presidente
di Romagna Filippo Sega, quando invia la sua lettera di conferma
dei capitoli – recepita in copia negli atti deliberativi –, manifesta la chiara
coscienza che un ordinamento troppo «tirato» è destinato soltanto a sollecitare
l’inosservanza: meglio, allora, venire piuttosto a patti con la realtà controllandola
attraverso apposita registrazione delle vesti esistenti e proporre,
per il resto, un obbligo morale più stretto ed individuale, attraverso il giuramento
di ogni singolo anziano, al controllo dell’osservanza della normativa.
Tutto ciò concorre al quadro di un costante sforzo normativo che non
trova rispecchiamento nella realtà: soltanto nel 1588, quando si torna sull’argomento
sempre dietro manifesto impulso dato dalle gerarchie ecclesiastiche,
per la prima volta ci si interroga per trovare il «modum pro ipsius
executione et observatione», cioè per affrontare il vero punto debole di queste
norme ripetutamente approvate e pressoché sempre disattese. Il risultato
è che ancora si delibera perché «approbetur et ratificetur, executionique demandetur»
la «reformatio vestitus et aliarum expensarum et, ut dicitur, delle
pompe de anno 1574», sia pure «cum correctione nonnullorum ipsius capitulorum
per reverendum dominum episcopum et magnificos dominos antianos
facta»; mentre rimane aperto il problema di come rendere esecutiva
ed applicabile questa normativa a partire dalla stessa individuazione del ma-