la legislazione suntuaria. secoli xiii-xvi. emilia-romagna - Direzione ...
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514 Legislazione suntuaria come speculatori che inventano sempre nuovi prodotti per il proprio tornaconto («[laborantes] potius circa commoda propria»). Negli statuti successivi del 1526-1527, i Magnificae civitatis Faventiae ordinamenta redatti sotto il già affermato governo pontificio, questi temi ritornano in maniera molto più contenuta: con la rubrica LVIII del IV libro 13 si prescrive l’obbligo di recare il capo velato per le meretrici, che debbono parimenti andare in giro con un canestro in mano; con la rubrica XXVII del VII libro, «De sumptibus funerum» 14 , «quoniam multotiens contingit dubitari quanta esse debeat expensa funeris quae detrahi debeat ex dotibus, seu in consignatione legittimarum aut in restitutione hereditatum seu fideicommissorum», si stabilisce che le spesa funebre «ne (...) computare possit ultra quinque pro centenario» quando i beni non oltrepassino il valore di 500 lire bolognesi, e così via con tassi percentuali del 4 % fino a 1.000 lire, del 3 % fino a 2.000 lire, del 2 % per valori ancora superiori. Ricca di informazioni si rivela poi anche la serie delle deliberazioni del consiglio maggiore del comune di Faenza, gli Acta consilii conservatisi dal 1553: questi atti deliberativi riguardano quasi esclusivamente la nomina di commissioni per la revisione delle normative suntuarie vigenti. Fino ad oggi si sono individuati, e vengono qui riportati, i testi di almeno due di queste riforme, risalenti agli anni 1560 e 1574. Sugli statuti sopra detti, ma soprattutto su questi decreti specifici, si è appuntata l’attenzione di figure di rilievo della storiografia faentina tra XIX e XX secolo, come Giovanni Ghinassi 15 e Gaetano Ballardini 16 ; direttamente ne ha poi trattato Evelina Ciuffolotti, con il suo studio rivolto alla vita privata nel Rinascimento faentino 17 , mentre indirettamente se ne occupò pure monsignor Francesco Lanzoni, nel suo denso studio sulla controriforma faentina, per non trattenersi sui «provvedimenti presi dal consiglio nel ’55 [scil. 1555] e negli anni successivi per frenare i giochi e limitare le spese eccessive del vestire muliebre e maschile, delle mense e delle pompe funebri», perché gli ordini in materia «furono tra tutte le leggi e costituzioni di quel 13 Magnificae civitatis Faventiae ordinamenta... cit., c. XLVIIIv. 14 Ibid., c. LXXr. 15 G. GHINASSI, Considerazioni sopra tre statuti suntuari inediti del secolo XVI per la città di Faenza, in «Atti e memorie della Deputazione di storia patria per le provincie di Romagna», II (1863), pp. 167-177. 16 G. BALLARDINI, Leggi suntuarie faentine, in «La Romagna», III (1906), pp. 225-240. Cfr. M.G. TAVONI, Strutture e società a Faenza nell’età manfrediana, in «Faenza», LXI (1975), 4-5, pp. 94-106, in particolare p. 105. 17 E. CIUFFOLOTTI, Faenza nel Rinascimento. Con appendice di documenti inediti, Bagnacavallo (RA) 1922.
Faenza 515 tempo le probabilmente meno osservate, e da quelli stessi che le votavano (a pieni voti!) e le promulgavano sotto multe non lievi» 18 . Il che, come si vedrà, il Lanzoni poteva dire con tutta ragione, con l’unico rilievo che in effetti, alcune volte, dagli Acta Consilii si desumono percentuali di dissenso non sempre trascurabilissime nei voti su questi argomenti (anche se non si può più sapere su quali basi questo dissenso poggiasse: se di auspicio di una maggior durezza o di un certo qual «lassismo»). Il primo e più antico studio, edito da Ghinassi nel 1863, di classico impianto erudito, dopo aver preso brevemente le mosse addirittura dalle leggi di Solone e di Licurgo viene a fonti e ad argomenti molto più perspicui. Per primo fa riferimento all’opera cronachistica di Gregorio Zuccolo, poligrafo faentino vissuto tra XVI e XVII secolo, autore di un compendio della cronaca del Tolosano e di una Storia di Faenza nel XVI secolo, tuttora inedita e di cui si conservano diverse versioni manoscritte 19 . Le informazioni che fornisce lo Zuccolo sono in realtà riferimenti di carattere tutto sommato generico: giunto agli anni intorno al 1300, questi interrompe l’ordinata narrazione dei fatti per ricordare che «le donne di questo tempo, secondo la nota che è a me capitata alle mani, andavano in quest’abito». La descrizione che segue (che non trova riscontri diretti quantomeno nella grande cronachistica faentina medioevale, quali le opere del Tolosano e del Cantinelli) è invero, contrariamente a quanto sostiene Ghinassi, più una nota di colore dello Zuccolo che una esplicita critica di stampo moralistico all’«immoderato (...) lusso nel vestir delle donne» già tra XIII e XIV secolo 20 ; certo è un fatto plausibile 18 F. LANZONI, La controriforma nella città e diocesi di Faenza, Faenza (RA) 1925, p. 111. 19 Sulla figura di Gregorio Zuccolo, cronista e poligrafo faentino, parente del più famoso pensatore e politico Ludovico, cfr. F. LANZONI, La cronaca di Gregorio Zuccolo nella storia faentina del XVI secolo, in «Bollettino diocesano di Faenza», VI (1919), pp. 157-159; A. VA- SINA, Società, cultura e storiografia a Faenza fra il XVI e il XVII secolo, estratto da Convegno di studi in onore di Ludovico Zuccolo (Faenza, 15-16 marzo 1969), Faenza (RA) 1969, in particolare p. 17. Un suo compendio della cronaca del Tolosano, edito una prima volta a Bologna nel 1575, è stato ristampato nel 1885 (G. ZUCCOLO, Cronica particolare delle cose fatte dalla città di Faenza dal 700 sino al 1234, a cura di D. ZAULI NALDI, Faenza 1885); copie manoscritte di questa e di altre sue opere storiografiche si conservano presso la Biblioteca Comunale Manfrediana di Faenza. 20 Cfr. G. GHINASSI, Considerazioni... cit., p. 168, dove il passo dello Zuccolo viene ripreso del tutto corsivamente; lo stesso passaggio è stato poi edito integralmente quasi come curiosità decontestualizzata in A. MESSERI - A. CALZI, Faenza nella storia... cit., p. 98. Questa versione è stata tratta da G. ZUCCOLO, Memorie della città di Faenza dall’origine sino al 1608, ms. conservato in BC FAENZA, ms. 24 - II, c. 67v; un’altra versione dello stesso passo, abbastanza discordante dal punto di vista meramente formale, si legge in altra copia dell’opera in questione, conservata ibid., ms. 24 - I, c. 161r-v, ed è quella che qui si pubblica.
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514 Legis<strong>la</strong>zione <strong>suntuaria</strong><br />
come specu<strong>la</strong>tori che inventano sempre nuovi prodotti per il proprio tornaconto<br />
(«[<strong>la</strong>borantes] potius circa commoda propria»).<br />
Negli statuti successivi del 1526-1527, i Magnificae civitatis Faventiae ordinamenta<br />
redatti sotto il già affermato governo pontificio, questi temi ritornano<br />
in maniera molto più contenuta: con <strong>la</strong> rubrica LVIII del IV libro 13 si<br />
prescrive l’obbligo di recare il capo ve<strong>la</strong>to per le meretrici, che debbono parimenti<br />
andare in giro con un canestro in mano; con <strong>la</strong> rubrica XXVII del VII<br />
libro, «De sumptibus funerum» 14 , «quoniam multotiens contingit dubitari<br />
quanta esse debeat expensa funeris quae detrahi debeat ex dotibus, seu in<br />
consignatione legittimarum aut in restitutione hereditatum seu fideicommissorum»,<br />
si stabilisce che le spesa funebre «ne (...) computare possit ultra<br />
quinque pro centenario» quando i beni non oltrepassino il valore di 500 lire<br />
bolognesi, e così via con tassi percentuali del 4 % fino a 1.000 lire, del 3 %<br />
fino a 2.000 lire, del 2 % per valori ancora superiori.<br />
Ricca di informazioni si rive<strong>la</strong> poi anche <strong>la</strong> serie delle deliberazioni del<br />
consiglio maggiore del comune di Faenza, gli Acta consilii conservatisi dal<br />
1553: questi atti deliberativi riguardano quasi esclusivamente <strong>la</strong> nomina di<br />
commissioni per <strong>la</strong> revisione delle normative suntuarie vigenti. Fino ad oggi<br />
si sono individuati, e vengono qui riportati, i testi di almeno due di queste<br />
riforme, risalenti agli anni 1560 e 1574.<br />
Sugli statuti sopra detti, ma soprattutto su questi decreti specifici, si è appuntata<br />
l’attenzione di figure di rilievo del<strong>la</strong> storiografia faentina tra XIX e<br />
XX secolo, come Giovanni Ghinassi 15 e Gaetano Bal<strong>la</strong>rdini 16 ; direttamente<br />
ne ha poi trattato Evelina Ciuffolotti, con il suo studio rivolto al<strong>la</strong> vita privata<br />
nel Rinascimento faentino 17 , mentre indirettamente se ne occupò pure<br />
monsignor Francesco Lanzoni, nel suo denso studio sul<strong>la</strong> controriforma<br />
faentina, per non trattenersi sui «provvedimenti presi dal consiglio nel ’55<br />
[scil. 1555] e negli anni successivi per frenare i giochi e limitare le spese eccessive<br />
del vestire muliebre e maschile, delle mense e delle pompe funebri»,<br />
perché gli ordini in materia «furono tra tutte le leggi e costituzioni di quel<br />
13 Magnificae civitatis Faventiae ordinamenta... cit., c. XLVIIIv.<br />
14 Ibid., c. LXXr.<br />
15 G. GHINASSI, Considerazioni sopra tre statuti suntuari inediti del secolo XVI per <strong>la</strong> città<br />
di Faenza, in «Atti e memorie del<strong>la</strong> Deputazione di storia patria per le provincie di Romagna»,<br />
II (1863), pp. 167-177.<br />
16 G. BALLARDINI, Leggi suntuarie faentine, in «La Romagna», III (1906), pp. 225-240.<br />
Cfr. M.G. TAVONI, Strutture e società a Faenza nell’età manfrediana, in «Faenza», LXI<br />
(1975), 4-5, pp. 94-106, in partico<strong>la</strong>re p. 105.<br />
17 E. CIUFFOLOTTI, Faenza nel Rinascimento. Con appendice di documenti inediti, Bagnacavallo<br />
(RA) 1922.