la legislazione suntuaria. secoli xiii-xvi. emilia-romagna - Direzione ...

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512 Legislazione suntuaria coltà di controllarla; nel 1410 Gian Galeazzo Manfredi vi tornò col favore del papa di obbedienza romana Gregorio XII contro l’antipapa Giovanni XXIII e, a sanzione di questo nuovo assetto, verrà anche intrapresa la redazione statutaria approvata nel 1413 che è la prima giunta fino ad oggi 5 . Il dominio manfrediano continuò fino alla fine del Quattrocento, quando venne temporaneamente soppiantato dal dominato borgiano, dopo che anche i Manfredi erano stati privati del dominio mediato per insolvenza del censo apostolico. Dopo inutili tentativi di restaurazione manfrediana, nei turbolenti primi anni del XVI secolo Faenza fu brevemente sotto Venezia poi, dal 1509, tornò permanentemente alla Chiesa, nel cui ambito fu prodotta la nuova redazione statutaria del 1527, adeguata al mutato contesto politico-istituzionale 6 . Negli statuti faentini del 1410-1413 – mentre non sono previsti segni distintivi per le meretrici, al cui riguardo sono contemplati soltanto i consueti divieti di vivere o di stazionare presso luoghi centrali o sacri 7 , né per gli ebrei, citati soltanto con riferimento alle questioni contrattuali relative all’attività feneratizia 8 – si sono conservate sostanzialmente soltanto due rubriche di argomento più o meno direttamente suntuario, ma entrambe di notevole importanza: la rubrica 42 del VI libro, «De sallariis et mercedibus artificum et laboratorum civitatis et commitatus Faventie» 9 e la rubrica 35 del VII libro, «De mortis sepeliendis et modificatione sumptuum circa sepulturas eorum» 10 . La prima rubrica intende provvedere all’aggiornamento delle tariffe stabilite «per antiqua statuta» per l’attività dei sarti, per affrontare i molti casi nuovi sorti «iuxta instabiles temporum qualitates», accusando sostanzialmente gli artigiani di favorire una immotivata proliferazione di prodotti dalla foggia e dalle caratteristiche nuove e diverse, che sono frutto dell’affermarsi di nuovi concetti di moda e di consumo e che vengono bollati come ope- 5 Editi in Statuta Faventiae, a cura di G. ROSSINI, introduzione di G. BALLARDINI, in R.I.S. 2 , XXVII, V, I. Su di essi cfr. P. ZAMA, Gli statuti della città di Faenza, in «Valdilamone» , XI (1931), pp. 126-136; G. RABOTTI, Vicende vecchie e recenti del «Diplomatico» faentino, in «Studi Romagnoli», XLI (1990), pp. 75-111; A.I. PINI, Faenza (RA), in Repertorio degli statuti comunali emiliani e romagnoli (secc. XII-XVI), a cura di A. VASINA, I, Roma 1997 (Istituto storico italiano per il Medio Evo, Fonti per la storia dell’Italia medievale, Subsidia, 6*), pp. 145-148. 6 Magnificae civitatis Faventiae ordinamenta, novissime recognita et reformata ac in lucem edita, [Faenza 1527] (rist. anast., San Giovanni in Persiceto (BO) 1974). 7 Statuta Faventiae... cit., pp. 184 e 191. 8 Ibid., pp. 99 e 107-108. 9 Ibid., pp. 288-289. 10 Ibid., pp. 344-352.

Faenza 513 razione artificiosa e speculativa, proposta soltanto per tornaconto mercantile: così viene redatto un lungo elenco «de sartorum salariis» con cui, implicitamente, vengono descritti gli abiti allora in uso e permessi, con il relativo prezzo imposto. Questa volontà «speculativa» degli artifices viene contrastata anche con il divieto di aggirare questo calmiere attraverso lo scorporo dal conto finale di parti di abito, come le maniche, fatte pagare a parte. Anche la rubrica «De mortis sepeliendis» è redatta programmaticamente al dichiarato fine di «vanitatem abiciere»: in essa, però, si riscontra molta attenzione non soltanto all’abbigliamento in quanto tale e al suo eccessivo prezzo, bensì anche ai comportamenti personali legati alle cerimonie pubbliche in cui acquisiscono visibilità il rango, il potere, l’influenza – ed eventualmente lo spadroneggiamento – delle famiglie 11 . Così si è attenti alla dignità del cordoglio funebre anche da un punto di vista morale e formale, oltre che propriamente suntuario (argomento su cui questo statuto ritorna anche con un’altra rubrica, «Quod nullus faciat aliquod plantum» 12 , laddove si proibisce il «corruptum» e il porto di doppieri accanto al feretro). La materia è sicuramente considerata di assoluto rilievo, tant’è che questa rubrica è la più lunga e articolata (divisa al suo interno in diversi capi) di tutto il testo statutario faentino, e l’intenzione normativa pare concentrata sì sulla riduzione delle spese per l’abbigliamento e le altre pratiche funebri, ma anche sulla netta distinzione cetuale tra magnati, nobili, milites e clero in primis, poi doctores ed altri pratici, quindi i membri degli arti e – infine – i comitatini: oltre all’intenzione moralizzatrice e alla volontà di evitare una rovina individuale per le eccessive spese che poi si volge sempre anche a danno della collettività, vi è anche, in trasparenza, la paura per il disordine e l’indisciplina sociale generata da chi assuma comportamenti propri di un ordo superiore a quello in cui deve permanere. Resta il fatto che, se preme certamente contenere la manifestazione pubblica di rango (attraverso una minutissima casistica del numero e dell’ordine degli ecclesiastici ammessi al seguito, o delle campane che possono suonare), preme parimenti evitare che per queste esibizioni si intacchino le sostanze delle famiglie (stabilendo il prezzo al braccio per la stoffa degli abiti che possono essere indossati da un circoscritto numero di parenti del defunto, ovvero limitando il numero e il peso dei ceri) e contrastare le sempre nuove invenzioni degli artifices, semplicisticamente considerati colpevoli di questo 11 Sul funerale come occasione di misura del prestigio, della ricchezza e dell’immagine delle famiglie anche in Faenza, cfr. A.I. PINI, Le strutture economiche e la stratificazione sociale, in Faenza nell’età dei Manfredi... cit., pp. 59-73, in particolare pp. 71-73. 12 Statuta Faventiae... cit., p. 153.

Faenza 513<br />

razione artificiosa e specu<strong>la</strong>tiva, proposta soltanto per tornaconto mercantile:<br />

così viene redatto un lungo elenco «de sartorum sa<strong>la</strong>riis» con cui, implicitamente,<br />

vengono descritti gli abiti allora in uso e permessi, con il re<strong>la</strong>tivo<br />

prezzo imposto. Questa volontà «specu<strong>la</strong>tiva» degli artifices viene contrastata<br />

anche con il divieto di aggirare questo calmiere attraverso lo scorporo dal<br />

conto finale di parti di abito, come le maniche, fatte pagare a parte.<br />

Anche <strong>la</strong> rubrica «De mortis sepeliendis» è redatta programmaticamente<br />

al dichiarato fine di «vanitatem abiciere»: in essa, però, si riscontra molta attenzione<br />

non soltanto all’abbigliamento in quanto tale e al suo eccessivo<br />

prezzo, bensì anche ai comportamenti personali legati alle cerimonie pubbliche<br />

in cui acquisiscono visibilità il rango, il potere, l’influenza – ed eventualmente<br />

lo spadroneggiamento – delle famiglie 11 . Così si è attenti al<strong>la</strong> dignità<br />

del cordoglio funebre anche da un punto di vista morale e formale, oltre che<br />

propriamente suntuario (argomento su cui questo statuto ritorna anche con<br />

un’altra rubrica, «Quod nullus faciat aliquod p<strong>la</strong>ntum» 12 , <strong>la</strong>ddove si proibisce<br />

il «corruptum» e il porto di doppieri accanto al feretro).<br />

La materia è sicuramente considerata di assoluto rilievo, tant’è che questa<br />

rubrica è <strong>la</strong> più lunga e artico<strong>la</strong>ta (divisa al suo interno in diversi capi) di<br />

tutto il testo statutario faentino, e l’intenzione normativa pare concentrata sì<br />

sul<strong>la</strong> riduzione delle spese per l’abbigliamento e le altre pratiche funebri, ma<br />

anche sul<strong>la</strong> netta distinzione cetuale tra magnati, nobili, milites e clero in<br />

primis, poi doctores ed altri pratici, quindi i membri degli arti e – infine – i<br />

comitatini: oltre all’intenzione moralizzatrice e al<strong>la</strong> volontà di evitare una<br />

rovina individuale per le eccessive spese che poi si volge sempre anche a danno<br />

del<strong>la</strong> collettività, vi è anche, in trasparenza, <strong>la</strong> paura per il disordine e<br />

l’indisciplina sociale generata da chi assuma comportamenti propri di un ordo<br />

superiore a quello in cui deve permanere.<br />

Resta il fatto che, se preme certamente contenere <strong>la</strong> manifestazione pubblica<br />

di rango (attraverso una minutissima casistica del numero e dell’ordine<br />

degli ecclesiastici ammessi al seguito, o delle campane che possono suonare),<br />

preme parimenti evitare che per queste esibizioni si intacchino le sostanze<br />

delle famiglie (stabilendo il prezzo al braccio per <strong>la</strong> stoffa degli abiti che possono<br />

essere indossati da un circoscritto numero di parenti del defunto, ovvero<br />

limitando il numero e il peso dei ceri) e contrastare le sempre nuove invenzioni<br />

degli artifices, semplicisticamente considerati colpevoli di questo<br />

11 Sul funerale come occasione di misura del prestigio, del<strong>la</strong> ricchezza e dell’immagine<br />

delle famiglie anche in Faenza, cfr. A.I. PINI, Le strutture economiche e <strong>la</strong> stratificazione<br />

sociale, in Faenza nell’età dei Manfredi... cit., pp. 59-73, in partico<strong>la</strong>re pp. 71-73.<br />

12 Statuta Faventiae... cit., p. 153.

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