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la legislazione suntuaria. secoli xiii-xvi. emilia-romagna - Direzione ...

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16 Legis<strong>la</strong>zione <strong>suntuaria</strong><br />

rio. Tanto negli Avvertimenti per celebrare il sacramento del matrimonio come<br />

nel Discorso intorno alle Imagini sacre e profane 10 egli abbonda in raccomandazioni<br />

e divieti che riguardano fogge o acconciature rego<strong>la</strong>mentate nelle<br />

leggi coeve. In questi testi si delinea il progetto di radicare una cultura del<strong>la</strong><br />

misura estetica a sostegno e complemento delle leggi suntuarie che stancamente<br />

ormai da <strong>secoli</strong> inseguivano le variazioni del<strong>la</strong> moda e del gusto e <strong>la</strong><br />

inesausta volontà di uomini e donne di ornarsi e ostentare corpi e ricchezze.<br />

Nell’ultimo quarto di secolo almeno tre bandi (del 1575, del 1582 e del<br />

1596) risultano assai densi di regole e, sebbene composti di norme spesso ricorrenti,<br />

appaiono percorsi da differenze che <strong>la</strong>sciano trasparire resistenze,<br />

aggiustamenti, compromessi, incertezze. Mentre è assolutamente costante il<br />

divieto di portare drappi d’oro o d’argento, sulle perle si registrano alcune<br />

difformità: solo un filo alle spose e per due anni dal matrimonio purché non<br />

valga più di 300 scudi e dopo essere stato esaminato dagli stimatori (1575) e<br />

da essi marchiato con un bollo d’oro o d’argento che non si possa levare. Lo<br />

stesso, ma senza l’obbligo d’esame da parte degli stimatori, nel 1582. Nel<br />

1596 invece proibizione assoluta per le perle «le quali si levano in tutto et<br />

per tutto senza alcuna riserva». Le regole per i banchetti si ripetono invece<br />

con una certa costanza per buona parte del Cinquecento.<br />

Il secolo si chiude con <strong>la</strong> presa d’atto nel 1596, non solo dell’inosservanza<br />

dei bandi ma anche del continuo «andarsi trapassando ogni debito termine<br />

di vivere civile di sorte tale che ne segue offesa al signor Iddio e non poco<br />

danno a tutta questa città». Segue una normazione che definirei tiepida con<br />

<strong>la</strong> quale si vieta l’oro ma si concede di portare «sopra le vesti et sottane, che<br />

siano però senza fondo d’oro, ma di so<strong>la</strong> seta, una trena d’oro che non passi<br />

il valore di cento lire» e si tollera sulle vesti oro battuto ma niente smalto in<br />

una continua opera di definizione e precisazione.<br />

Ai sarti, ricamatori o orefici esecutori degli oggetti vietati è minacciata<br />

una pena 25 scudi accompagnata da tre tratti di corda oltre all’esser «cassi e<br />

privi delle lor compagnie». Si tratta di una dichiarazione di guerra a categorie<br />

che ricavavano grande vantaggio dalle “invenzioni” del<strong>la</strong> moda e dai desideri<br />

di clienti vanagloriosi, seguita da una precisazione che ne ridimensiona<br />

<strong>la</strong> severità: «Non intendendosi però derogato al<strong>la</strong> derogatione et dichiaratione<br />

altre volte fatta sopra gli orefici del<strong>la</strong> città, sopra il portare i lor <strong>la</strong>vori così<br />

10 G. PALEOTTI, Raccolta di varie cose, che in diversi tempi sono state ordinate da Monsign.<br />

Illustriss. e Reverendiss. Cardinale Paleotti Vescovo di Bologna per lo buon governo del<strong>la</strong> sua Città<br />

e Diocesi, Bologna, per Alessandro Benacci, 1580; ID., Discorso intorno alle Imagini sacre<br />

et profane diviso in cinque Libri, Bologna, per Alessandro Benacci. 1582. Intorno a quest’ultimo<br />

testo vedere: P. PRODI, Il cardinale Gabriele Paleotti (1522-1597), Roma 1967, in partico<strong>la</strong>re<br />

pp. 527-562: Il “Discorso intorno alle Imagini sacre e profane”.

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