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la legislazione suntuaria. secoli xiii-xvi. emilia-romagna - Direzione ...

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14 Legis<strong>la</strong>zione <strong>suntuaria</strong><br />

nonché <strong>la</strong> limitazione degli apparati, dai drappi alle pareti al numero dei ceri<br />

e così via. La capacità di temperare per umanità l’intervento disciplinatore<br />

affiora là dove, nelle multe del 1365-1366, a un padre addolorato per <strong>la</strong><br />

morte del figlio ucciso da un cavallo si decide di non aggiungere l’afflizione<br />

di una multa per aver disatteso le norme sui funerali («Quia non est addenda<br />

aflicto aflictio»). La più ampia ed artico<strong>la</strong>ta provvisione per i funerali che<br />

sia giunta fino a noi è del 1573 ad opera del cardinale Paleotti che per più<br />

lustri – dal 1568 al 1591 – ha <strong>la</strong>sciato tracce nel<strong>la</strong> nostra documentazione<br />

del suo costante interesse per ogni forma di disciplinamento.<br />

Confrontando due bandi, uno emanato nell’aprile del 1559 ed uno di<br />

due anni successivo, si possono apprezzare le numerosissime somiglianze ma<br />

anche le non esigue diversità. In entrambi ricorrono gli stessi divieti: non si<br />

possono portare abiti con oro o argento, sono proibiti tutti i ricami come i<br />

frastagliamenti o le “affrappature” dal busto in giù per gli abiti femminili.<br />

Gli uomini possono “stratagliare” giubboni e cosciali ed usare e portare, si<br />

legge nelle norme del 1561, speroni, spade, pugnali, cinture «et li ferri delli<br />

carniroli dorati o argentati, ma senza ornamento prohibito, gioie né perle».<br />

Due anni prima <strong>la</strong> medesima concessione era fatta non agli uomini in generale<br />

ma ai gentiluomini: una picco<strong>la</strong>/grande differenza. Forse però gli “uomini”<br />

del 1561 altri non erano che i gentiluomini del 1559 dei quali si par<strong>la</strong>va<br />

già nel 1525 e prima ancora nel 1514 quando si precisò che per gentiluomini<br />

si intendevano i cittadini per tre generazioni («propria, paterna et<br />

de lolo insieme») che negli ultimi trent’anni non avessero esercitato alcuna<br />

arte o che essendo cittadini solo da due generazioni avessero o avessero avuto<br />

nel<strong>la</strong> loro casata uno o più dottori e cavalieri e che avessero esercitato alcuna<br />

arte negli ultimi trent’anni. Una dimostrazione dell’utilità di questa<br />

nostra documentazione anche per <strong>la</strong> storia delle condizioni sociali.<br />

Tornando ai bandi del 1559 e del 1561, in entrambi un vezzo di perle e<br />

due pendenti è tutto ciò che è concesso alle spose di indossare nei primi due<br />

anni di matrimonio. Comune era anche il divieto di portare il berretto in<br />

capo e quand’anche concesso, solo senza piume, forse in quanto ritenute,<br />

come i cappelli a corna e gli strascichi, ornamenti che rendevano gli uomini<br />

somiglianti agli animali. Per le donne niente zibellini o lupi cervieri e per<br />

uomini e donne niente cocchi o carrette dorati o argentati. Norme analoghe<br />

emanate nel 1568 presentano un maggior numero di varianti: è concesso un<br />

solo zibellino o un lupo cerviero semplice, divieto per uomini e donne di<br />

portare guanti profumati di ambra o di muschio e niente orecchini per le<br />

donne né in casa né fuori. Il bando del 1570 vieta i guanti se valgono più di<br />

due scudi, proibisce l’accostamento di più ornamenti quali “bonegratie”, zibellini,<br />

lupi cervieri o ventagli che erano consentiti solo separatamente. In<br />

molti casi il divieto è legato al valore: sì a cimase o frontali di qualunque ge-

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