la legislazione suntuaria. secoli xiii-xvi. emilia-romagna - Direzione ...

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10.06.2013 Views

12 Legislazione suntuaria cessario essere prudenti giacché i valori sono espressi in moneta diversa. Se nel 1514 ai notai o ai cambiatori era stato concesso di dare in dote alle proprie donne sino a 1.500 lire, ora il limite viene fissato alla cifra massima di 600 ducati d’oro che dovrebbe essere di poco inferiore a 1.500 lire. Ai beccai, agli stracciaioli e agli appartenenti alle arti della medesima categoria è consentito arrivare fino a 1.000 lire di bolognini mentre dieci anni prima il limite era 800. Gli appartenenti alle arti inferiori hanno un tetto che si mantiene a 500 lire. Dunque solo modesti spostamenti. A chi intende ridurre guardacuori o vesti per renderli compatibili con le nuove norme vengono concessi due mesi di tempo per i necessari adattamenti e a chi possiede vesti già confezionate utilizzando più di 28 braccia di tessuto, purché non «stratagliate né di pezzi conmessi né frappate» (il che rende il tessuto riutilizzabile), è consentito di continuare a portarle a patto che vengano presentate alla cancelleria degli Anziani per essere registrate. Perdura dunque la pratica della registrazione anche se non si tratta di vera e propria bollatura come nel 1401 e come nuovamente nel 1575. Analogamente al 1514 si accenna alle donne degli ebrei, che non sono più divise come nel 1474 in due categorie, alle quali vengono consentite maniche di ogni sorta e di ogni colore, purché non cremisino o morello, e tre anelli o tre verghette. Questo è l’ultimo riferimento cronologico alle ebree anche se la parte ebraica ha continuato ancora per alcuni decenni a vivere in città. Le donne di malaffare sono distinte, esattamente come nel 1514 in “casarenghe” e meretrici del luogo pubblico e alle due categorie sono assegnate estetiche diversificate. La novità principale che si registra nel 1545 consiste nel superamento della normazione per categoria (che troviamo per l’ultima volta nelle provvisioni del 27 maggio 1525) durata in definitiva poco meno di un secolo. Altri segni dei tempi mutati sono costituiti da nuovi capi ed accessori adottati dalle persone e quindi immediatamente disciplinati. Si tratta di ventagli, berrette piumate, menzionate direi per la prima volta, cocchi e “carrette” carichi di dorature e argentature secondo una moda evidentemente recente. Nuovo il divieto per le donne di portar fuori casa vesti da uomo («né curti né longhi, come seria robbe, o robboni, ciamare o altre simili veste»). Se si reitera la colpa aumenta la pena, così che la prima volta si devono pagare 25 scudi, la seconda 50 e la terza 100 oltre alla confisca della cosa proibita, «le quali cose perse si habbino a fendere in pezzi publicamente in piazza et poi distribuire et donare a luochi pii». Anche la destinazione degli oggetti sequestrati in pie cause è un’invenzione del Cinquecento con alcuni modesti precedenti. Altra novità è costituita dalla regolamentazione dei banchetti. Per «dare conveniente ordine et meta alla pessima usanza introdutta di fare li pasti et banchetti talmente sontuosi che excedono il politico et costumato vivere» si proibiscono più di tre vivande d’arrosto e tre di lesso e si precisa che

Bologna 13 fra gli arrosti una sola portata può essere «di selvaticine». Niente «pastici, né mangiare bianco», un solo tipo di torta alla volta, niente canditi e nessuna commistione con pesci e ostriche nei banchetti di carne. In definitiva dalla metà del Cinquecento alla fine del secolo le regole che presiedono ai banchetti restano sostanzialmente inalterate. Dunque il bando del 1525 divideva le donne di malaffare in “casarenghe” e meretrici del luogo pubblico. Alle prime era concesso vestire di “zambellotto”, di “bavelle”, di panni di lana e sfoggiare qualsiasi colore fuorché il cremisi (oltre a molte altre prescrizioni). Alle seconde era fatto obbligo di portare sulla spalla una benda gialla in luogo del sonaglio precedente ma, indossata la benda, potevano «portare veste, foggie e galle d’oro, argento, seta, panno e drappi a suo modo e possano andare spettorate e sgolate come a loro piace». Diversa la politica nei loro riguardi adottata vent’anni più tardi: una grida del 1545 sulle meretrici pubbliche, definite anche come cortigiane, consente loro al più una catena d’oro che fra oro e fattura non poteva valere più di 10 scudi. Per essere ben riconoscibili dovevano portare un drappo o un velo giallo che tuttavia, diversamente dal 1525, non era un lasciapassare per la piena libertà estetica. Norme suntuarie generali emanate dieci anni dopo, nel 1555, vietavano alle cortigiane lo strascico e imponevano loro un berretto oppure una cintura o una banda di taffettà rosso ben visibile. Nel 1566, dopo le norme suntuarie del 1560 prive di indicazioni alle donne di malaffare, venne emesso un bando espressamente a loro dedicato. Esso vietava non solo vesti d’oro, d’argento o di seta ma anche l’uso di carrette o di cocchi, imponeva di occupare nelle chiese o in altri luoghi un posto inferiore e separato dalle donne oneste, impediva di vestire con abiti maschili e obbligava al segno di riconoscimento. Sul finire del secolo (1596) se ne torna brevemente a parlare per ribadire la necessità della distinzione e anche questa volta per sottrazione anziché per addizione e cioè non più imponendo loro segni bensì impedendo «di portare sorte alcuna d’oro filato o battuto» pena la multa di rito ma anche la perdita dell’oggetto, la frusta e l’essere bandite. Alle meretrici era inoltre proibito farsi precedere da servi o paggi e l’andare in cocchio o in carrozza. D’altronde già nel 1525 era loro proibito di «menare con seco per la terra massara, si bene possano andare con una compagna sola di simile conditione» e nel 1586 vietato di andare per la città «con servitori inanti» pena 100 scudi e l’essere staffilate pubblicamente. Nel 1557 segnalerei fra le novità i «tre tratti di corda» per i cuochi o i soprastanti ai convivi che non erano in grado di pagare la multa di 10 scudi comminata a chi non rispettava le regole. È costante il divieto, per i funerali, di suonare le campane in più di una chiesa e il disciplinamento del numero delle regole di frati, delle compagnie spirituali e dei partecipanti alle esequie

Bologna 13<br />

fra gli arrosti una so<strong>la</strong> portata può essere «di selvaticine». Niente «pastici, né<br />

mangiare bianco», un solo tipo di torta al<strong>la</strong> volta, niente canditi e nessuna<br />

commistione con pesci e ostriche nei banchetti di carne. In definitiva dal<strong>la</strong><br />

metà del Cinquecento al<strong>la</strong> fine del secolo le regole che presiedono ai banchetti<br />

restano sostanzialmente inalterate.<br />

Dunque il bando del 1525 divideva le donne di ma<strong>la</strong>ffare in “casarenghe”<br />

e meretrici del luogo pubblico. Alle prime era concesso vestire di “zambellotto”,<br />

di “bavelle”, di panni di <strong>la</strong>na e sfoggiare qualsiasi colore fuorché il<br />

cremisi (oltre a molte altre prescrizioni). Alle seconde era fatto obbligo di<br />

portare sul<strong>la</strong> spal<strong>la</strong> una benda gial<strong>la</strong> in luogo del sonaglio precedente ma, indossata<br />

<strong>la</strong> benda, potevano «portare veste, foggie e galle d’oro, argento, seta,<br />

panno e drappi a suo modo e possano andare spettorate e sgo<strong>la</strong>te come a loro<br />

piace». Diversa <strong>la</strong> politica nei loro riguardi adottata vent’anni più tardi:<br />

una grida del 1545 sulle meretrici pubbliche, definite anche come cortigiane,<br />

consente loro al più una catena d’oro che fra oro e fattura non poteva<br />

valere più di 10 scudi. Per essere ben riconoscibili dovevano portare un<br />

drappo o un velo giallo che tuttavia, diversamente dal 1525, non era un <strong>la</strong>sciapassare<br />

per <strong>la</strong> piena libertà estetica. Norme suntuarie generali emanate<br />

dieci anni dopo, nel 1555, vietavano alle cortigiane lo strascico e imponevano<br />

loro un berretto oppure una cintura o una banda di taffettà rosso ben visibile.<br />

Nel 1566, dopo le norme suntuarie del 1560 prive di indicazioni alle<br />

donne di ma<strong>la</strong>ffare, venne emesso un bando espressamente a loro dedicato.<br />

Esso vietava non solo vesti d’oro, d’argento o di seta ma anche l’uso di carrette<br />

o di cocchi, imponeva di occupare nelle chiese o in altri luoghi un posto<br />

inferiore e separato dalle donne oneste, impediva di vestire con abiti maschili<br />

e obbligava al segno di riconoscimento. Sul finire del secolo (1596) se<br />

ne torna brevemente a par<strong>la</strong>re per ribadire <strong>la</strong> necessità del<strong>la</strong> distinzione e anche<br />

questa volta per sottrazione anziché per addizione e cioè non più imponendo<br />

loro segni bensì impedendo «di portare sorte alcuna d’oro fi<strong>la</strong>to o<br />

battuto» pena <strong>la</strong> multa di rito ma anche <strong>la</strong> perdita dell’oggetto, <strong>la</strong> frusta e<br />

l’essere bandite. Alle meretrici era inoltre proibito farsi precedere da servi o<br />

paggi e l’andare in cocchio o in carrozza. D’altronde già nel 1525 era loro<br />

proibito di «menare con seco per <strong>la</strong> terra massara, si bene possano andare<br />

con una compagna so<strong>la</strong> di simile conditione» e nel 1586 vietato di andare<br />

per <strong>la</strong> città «con servitori inanti» pena 100 scudi e l’essere staffi<strong>la</strong>te pubblicamente.<br />

Nel 1557 segnalerei fra le novità i «tre tratti di corda» per i cuochi o i soprastanti<br />

ai convivi che non erano in grado di pagare <strong>la</strong> multa di 10 scudi<br />

comminata a chi non rispettava le regole. È costante il divieto, per i funerali,<br />

di suonare le campane in più di una chiesa e il disciplinamento del numero<br />

delle regole di frati, delle compagnie spirituali e dei partecipanti alle esequie

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