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la legislazione suntuaria. secoli xiii-xvi. emilia-romagna - Direzione ...

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Imo<strong>la</strong> 269<br />

culturale di “nascondimento” al<strong>la</strong> vista del defunto e del<strong>la</strong> morte sviluppatosi<br />

fino ad oggi.<br />

I reggitori imolesi sembrano animati dalle preoccupazioni più tradizionali<br />

al riguardo di questa materia: il timore per il dissesto individuale e collettivo<br />

dovuto alle spese eccessive ed inutili; il timore di carattere ideologico-politico<br />

per il disordine sociale indotto da chi assume atti e comportamenti superiori<br />

al<strong>la</strong> sua condizione, e principalmente per i rustici (ma si dovrà piuttosto<br />

immaginare l’irritazione per gli homines novi che imitano i modelli di<br />

comportamento dell’oligarchia e che poi saranno via via cooptati nel ceto<br />

dirigente). Il valore qui difeso, dichiarato e propagandato è <strong>la</strong> «indemnitas<br />

populi», ma ciò non di meno i diversi successivi tentativi di riforma sono<br />

destinati a fallire: o per disinteresse, o forse perché, in partico<strong>la</strong>re negli anni<br />

Novanta del Cinquecento – che sono anni ca<strong>la</strong>mitosi di crisi diffusa – queste<br />

preoccupazioni per le spese eccessive sono superate a livello mentale e<br />

politico da ben altri problemi più concreti e diretti. Così il problema del lusso<br />

riemerge – tra moralismo e necessità – nel più ampio quadro del calmieramento<br />

delle tariffe delle arti, e vi è chi sembra voler ricordare <strong>la</strong> priorità<br />

del prezzo del pane rispetto a quello dei vestiti.<br />

Il timore di essere “irrisi” dalle arti fa ipotizzare anche una possibilità di<br />

pressione lobbistica degli artifices (suggestiva, ma qui non documentabile)<br />

per opporsi a misure dirigistiche che avrebbero minacciato le loro specu<strong>la</strong>zioni<br />

e <strong>la</strong> libertà di movimento nell’incipiente «mercato», inteso in un senso<br />

più vicino a quello moderno anche per quanto riguarda le vesti. È pure verosimile<br />

una reazione dell’aristocrazia ai segni di ascesa e di mobilità sociale<br />

re<strong>la</strong>tivamente dal basso degli artifices, che assumono modelli esteriori di<br />

comportamento finora estranei al<strong>la</strong> loro conditio, qui mascherata con <strong>la</strong><br />

preoccupazione per l’indemnitas.<br />

Ma non si può non sottolineare, infine, <strong>la</strong> stanchezza dei consiglieri a dibattere<br />

su di una normativa che, se inattuata, si volge a scorno di chi <strong>la</strong> emanò:<br />

questa fatica, lo scetticismo o il disinteresse per <strong>la</strong> loro osservanza, sono<br />

chiari nell’intervento di Alessandro Calderini del 1541, dove si chiede che si<br />

faccia un decreto soltanto se poi lo si farà osservare, altrimenti «melius est<br />

non condere leges quam a conditis turpiter desistere». Ancora nel 1594 in<br />

due sole righe si legge tutta <strong>la</strong> difficoltà di gestire una materia che sarà pur<br />

anche «negotium maximi momenti», ma che è stata discussa più volte e al<strong>la</strong><br />

fine mai «executioni demandata»: il fastidio di chi ritiene prioritario un calmiere<br />

generale, e propone di posporre quello che, agli occhi di più d’uno, è<br />

oramai un falso problema o soltanto un sintomo tra gli altri di una crisi diversa<br />

e più generale, convive con chi ancora sostiene anche con esagerazioni<br />

retoriche una battaglia per <strong>la</strong> moralità, come Pietro Antonio «a Piro», che<br />

certo avrà visto con irritazione parvenus – più che rustici – vestire «cum au-

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