la legislazione suntuaria. secoli xiii-xvi. emilia-romagna - Direzione ...

la legislazione suntuaria. secoli xiii-xvi. emilia-romagna - Direzione ... la legislazione suntuaria. secoli xiii-xvi. emilia-romagna - Direzione ...

archivi.beniculturali.it
from archivi.beniculturali.it More from this publisher
10.06.2013 Views

XXII Legislazione suntuaria ri, dottori e nobili. A Parma sono regolarmente riproposte le eccezioni ai divieti per mogli, figlie e nipoti di marchesi, conti, capitani, cavalieri e avvocati. Se ciò in definitiva rappresenta una costante che a partire dal XIV secolo vena, seppure ad intermittenza, la legislazione suntuaria, un’altra linea di continuità è costituita dalla ferma intenzione di distinguere le donne di malaffare da quelle per bene ricorrendo a vari segni. I provvedimenti presi al riguardo dalle città variano non solo da un caso all’altro ma anche di secolo in secolo. A Modena una grida del 1549 considera insieme meretrici ed ebrei per proibire alle une e agli altri oro, argento, gioielli e sete, salvo poi consentire ciò agli ebrei purché indossino «un segno evidente, come sarebbe a dire una lettera o segno nelli petti loro di color giallo o azuro». Una grida di vent’anni più tardi (1570) impone agli ebrei come segno distintivo una cordicella color arancio sugli abiti e alle meretrici di non andare mai sole per la città ma a braccetto, a capo scoperto e portando un paio di guanti in mano. Ravenna, che decreta nel 1475 la distanza dei postriboli dalle case degli uomini dabbene, non impone alle meretrici alcun segno eccettuativo. Neanche gli statuti faentini del 1410-1413, che vietano peraltro alle meretrici di vivere o stazionare presso luoghi centrali o sacri, impongono loro alcun segno. Alcuni decenni più tardi e cioè nel 1526-1527, tempo di governo pontificio, fu invece loro imposto un segno consistente nel tenere il capo velato e nell’andare in giro con un canestro in mano. A Reggio troviamo l’imposizione di un pannicello color del croco, cioè giallo, e chi di loro non lo avesse indossato non solo doveva pagare una multa ma poteva vedersi strappate di dosso le vesti da parte di chiunque. Era di fatto una sorta di autorizzazione all’aggressione di quelle non “protette” dal segno. Una linea di comportamento analoga è seguita anche a Bologna dove la normativa suntuaria esordisce proprio con indicazioni relative al modo di vestire delle meretrici e continua ininterrottamente a legiferare su questo tema imponendo ora un sonaglio da appendere all’estremità di un lungo cappuccio, ora pannicelli gialli, un colore che frequentemente segnalava la marginalità. A Cesena nel 1433 è imposto infatti il segno giallo sul petto agli ebrei ai quali a Rimini nel 1515 è fatto obbligo di indossare un berretto pure giallo, se maschi, e una benda gialla in fronte, se femmine. Erano gialle anche a Imola le berrette imposte nel 1516 21 . La polifunzionalità del segno che, secondo il volere delle norme cittadine, ora indica privilegio e ora marginalità va combinata, per rappresentare la complessità della materia, con l’atteggiamento ambivalente dei governanti 21 Sui segni distintivi imposti a prostitute ed ebrei vedere: M.G. MUZZARELLI, Guardaroba medievale. Vesti e società dal XIII al XVI secolo, Bologna 1999, pp. 287-298.

Introduzione XXIII preoccupati tanto di sprechi ed eccessi quanto consapevoli del prestigio che arrecavano alla città le splendide vesti ostentate dai più ricchi. La preoccupazione li induceva a interventi disciplinatori in nome di un principio secondo il quale «l’utile e commodo publico dover esser anteposto al privato piacere», come si legge nella “Grida d’oro, cocchi et cavalli” emanata a Ferrara e a Modena il 5 agosto 1537, mentre all’opposto la consapevolezza della funzione positiva dei lussi invitava ad atteggiamenti concessivi. Di ciò troviamo tracce nella norma reggiana che impone nel 1242 ai cittadini più abbienti il possesso di almeno una veste a colori per accrescere il prestigio del comune. Un atteggiamento analogo è nella mancata approvazione da parte di Sigismondo Pandolfo Malatesta, signore di Rimini, dei capitoli contro il lusso ispirati da Giacomo da Monteprandone sulla base della convinzione che le donne ornate a loro piacimento aggiungessero bellezza e prestigio alla città così come a corte rappresentavano lo splendore e il potere del signore. Vesti ricche e colorate inviavano messaggi di opulenza e vitalità apprezzati in tempi “calamitosi” per gli effetti che ci si augurava esse potessero suscitare. Fu con questo spirito che a Ferrara, dove nel 1528 si attendeva l’arrivo di Renata di Francia, il duca Alfonso, che era in lutto come molti in città a causa delle numerosissime morti determinate dalla peste, decretò l’abbandono dei panni lugubri «che ’l numero et l’obscurità di tale habito farà parere tutta la cittade redotta et malcontenta». Volle che tutti, per festeggiare l’arrivo illustre ma anche per rallegrare il popolo e tentare di dimenticare i danni passati, abbandonassero le gramaglie «acciò che levato questo habito ognuno possa vivere più allegramente et attendere alla conservatione di sé stesso et alla multiplicatione delle famiglie». Dalla opposizione al disciplinamento suntuario da parte di Sigismondo Pandolfo Malatesta, che considerava le belle vesti un elemento di bellezza e prestigio per la città, con il proclama di Alfonso d’Este si passa alla “allegria” di stato imposta con l’abbandono dei panni del lutto all’insegna del principio che “la vita continua”. Alla base della normazione stanno certamente tanto la difficoltà di distinguere i nobili dagli ignobili, come peraltro si dichiara nei provvedimenti presi a Bologna nel 1474 dal cardinale Francesco Gonzaga tesi a evitare che «nullum iam inter nobiles et ignobiles discrimen esse», quanto quella di riconoscere gli appartenenti alle diverse categorie di cittadini. Ciò però non basta. A preoccupare era anche il fiume di denaro speso in vesti ed ornamenti e perciò sottratto ad usi più proficui. Tutte le città appaiono allarmate dai consumi eccessivi che esauriscono somme impiegabili in maniera diversa anche se non meglio definita. Una precisazione è contenuta nella grida emanata a Ferrara e a Modena nel 1537 nella quale il duca Ercole dichiara di temere che le spese superflue «circa il viver privato» si ripercuotano negativamente sul «commodo publico» sot-

Introduzione XXIII<br />

preoccupati tanto di sprechi ed eccessi quanto consapevoli del prestigio che<br />

arrecavano al<strong>la</strong> città le splendide vesti ostentate dai più ricchi. La preoccupazione<br />

li induceva a interventi disciplinatori in nome di un principio secondo<br />

il quale «l’utile e commodo publico dover esser anteposto al privato piacere»,<br />

come si legge nel<strong>la</strong> “Grida d’oro, cocchi et cavalli” emanata a Ferrara e a<br />

Modena il 5 agosto 1537, mentre all’opposto <strong>la</strong> consapevolezza del<strong>la</strong> funzione<br />

positiva dei lussi invitava ad atteggiamenti concessivi. Di ciò troviamo<br />

tracce nel<strong>la</strong> norma reggiana che impone nel 1242 ai cittadini più abbienti il<br />

possesso di almeno una veste a colori per accrescere il prestigio del comune.<br />

Un atteggiamento analogo è nel<strong>la</strong> mancata approvazione da parte di Sigismondo<br />

Pandolfo Ma<strong>la</strong>testa, signore di Rimini, dei capitoli contro il lusso<br />

ispirati da Giacomo da Monteprandone sul<strong>la</strong> base del<strong>la</strong> convinzione che le<br />

donne ornate a loro piacimento aggiungessero bellezza e prestigio al<strong>la</strong> città<br />

così come a corte rappresentavano lo splendore e il potere del signore. Vesti<br />

ricche e colorate inviavano messaggi di opulenza e vitalità apprezzati in tempi<br />

“ca<strong>la</strong>mitosi” per gli effetti che ci si augurava esse potessero suscitare. Fu<br />

con questo spirito che a Ferrara, dove nel 1528 si attendeva l’arrivo di Renata<br />

di Francia, il duca Alfonso, che era in lutto come molti in città a causa<br />

delle numerosissime morti determinate dal<strong>la</strong> peste, decretò l’abbandono dei<br />

panni lugubri «che ’l numero et l’obscurità di tale habito farà parere tutta <strong>la</strong><br />

cittade redotta et malcontenta». Volle che tutti, per festeggiare l’arrivo illustre<br />

ma anche per rallegrare il popolo e tentare di dimenticare i danni passati,<br />

abbandonassero le gramaglie «acciò che levato questo habito ognuno possa<br />

vivere più allegramente et attendere al<strong>la</strong> conservatione di sé stesso et al<strong>la</strong><br />

multiplicatione delle famiglie». Dal<strong>la</strong> opposizione al disciplinamento suntuario<br />

da parte di Sigismondo Pandolfo Ma<strong>la</strong>testa, che considerava le belle<br />

vesti un elemento di bellezza e prestigio per <strong>la</strong> città, con il proc<strong>la</strong>ma di Alfonso<br />

d’Este si passa al<strong>la</strong> “allegria” di stato imposta con l’abbandono dei<br />

panni del lutto all’insegna del principio che “<strong>la</strong> vita continua”.<br />

Al<strong>la</strong> base del<strong>la</strong> normazione stanno certamente tanto <strong>la</strong> difficoltà di distinguere<br />

i nobili dagli ignobili, come peraltro si dichiara nei provvedimenti<br />

presi a Bologna nel 1474 dal cardinale Francesco Gonzaga tesi a evitare che<br />

«nullum iam inter nobiles et ignobiles discrimen esse», quanto quel<strong>la</strong> di riconoscere<br />

gli appartenenti alle diverse categorie di cittadini. Ciò però non<br />

basta. A preoccupare era anche il fiume di denaro speso in vesti ed ornamenti<br />

e perciò sottratto ad usi più proficui.<br />

Tutte le città appaiono al<strong>la</strong>rmate dai consumi eccessivi che esauriscono<br />

somme impiegabili in maniera diversa anche se non meglio definita. Una<br />

precisazione è contenuta nel<strong>la</strong> grida emanata a Ferrara e a Modena nel 1537<br />

nel<strong>la</strong> quale il duca Ercole dichiara di temere che le spese superflue «circa il<br />

viver privato» si ripercuotano negativamente sul «commodo publico» sot-

Hooray! Your file is uploaded and ready to be published.

Saved successfully!

Ooh no, something went wrong!