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XX Legislazione suntuaria Tanto a Forlì come a Reggio, ma anche a Modena, a Ferrara e in altre città taluni provvedimenti restrittivi sono da associare all’intervento di moralisti di gran fama come Bernardino da Siena a Forlì o a Reggio Emilia Bernardino da Feltre. Le loro prediche veementi ebbero certamente una parte non secondaria nella volontà di limitare sprechi e ostentazioni. Il ruolo di Bernardino da Feltre è esplicitamente riconosciuto da un consigliere reggiano che nel 1489 parafrasa in consiglio i punti più salienti della predicazione per sostenere la necessità di una provvisione contro il lusso. L’azione combinata di moralisti e legislatori nella lotta contro pompe e vanità registra una continuità secolare: tanto nel Duecento come nel Trecento e nei due secoli successivi nelle stanze in cui si decide una limitazione del lusso sembrano risuonare le parole dei predicatori. Le norme degli statuti parmigiani del 1258 paiono una diretta emanazione dei frati predicatori che ottennero il risultato, ancorché momentaneo, di indurre le donne ad accorciare le “code” e a coprirsi il capo con un velo. In quegli stessi anni a Bologna Giovanni da Vicenza si scagliava contro l’uso femminile di porre fiori tra i capelli e ciò a breve distanza dai primi provvedimenti suntuari 17 . Quando a Modena nel 1549 il consiglio cittadino avverte l’esigenza di frenare il lusso dei modenesi, i conservatori si richiamano alla predicazione dell’agostiniano Boniforte da Pavia, l’eco della cui voce era ancora nelle loro orecchie. Anche i consiglieri faentini all’atto di prendere provvedimenti nel 1555 «super inhonestatibus hebreorum, tam contra usuram quam mores, necnon super moderatione vestium hominum et mulierum» ricordano le parole del domenicano che evidentemente aveva agito con frutto sulla cittadinanza e sui suoi rappresentanti. Due anni dopo fu la volta di un francescano che impressionò grandemente pubblico e consiglieri. La cronachistica offre spesso testimonianza dell’influenza esercitata dai predicatori o perlomeno del tentativo di esercitarla e ci riferisce, per Modena, che nel 1530 il francescano Giovanni da Fano predicò lungamente e per più giorni contro le vanità e fece bruciare a Santa Cecilia «tuti li balci, capili morti, mascare, carte et altre vanità che ge sono state date questa quarexima pasata; et erage tanta zente quanta stare poteva in giesia e de fora» 18 . Se un famoso e valente predicatore è spesso alle origini di provvedimenti restrittivi, anche l’esempio delle altre città induceva a legiferare: così dichiarano i consiglieri reggiani nel 1420 come i conservatori modenesi nel 1563. I consiglieri di Parma nel 1575 si dicono indotti ad agire anche «per seguir 17 M.G. MUZZARELLI, Gli inganni delle apparenze. Disciplina di vesti e ornamenti alla fine del medioevo, Torino 1996, in particolare p. 138. 18 Cronaca modenese di Jacopino de’ Bianchi de Lancellotti, in Monumenti di storia patria per le province modenesi. Serie delle Cronache, IV, III, Parma 1865, p. 44.

Introduzione XXI l’uso dell’altre buone cittadi che con misura et prudenza in ciò si governano». La spinta all’emulazione o forse il timore che città ben regolate sotto questo profilo potessero essere concorrenti temibili grazie a cospicui apporti di capitali sottratti alle spese superflue, inducono molti governi cittadini a emanare norme suntuarie. L’inefficacia di queste ultime era sotto gli occhi di tutti, tuttavia vuoi per inerzia vuoi per mancanza di valide alternative si continuò fino a tutto il Settecento, fra intermittenze e stanche ripetizioni, a perseguire l’obiettivo del disciplinamento dei lussi tramite questo strumento. Se una prima fase, che corre indicativamente da metà Duecento a metà Trecento, è caratterizzata da una sorta di invito generalizzato alla modestia, una seconda è invece segnata dalla ricchezza e dalla varietà delle norme, dalla possibilità di sanare le trasgressioni pagando una multa e dalla definizione di un’area esentata dai divieti. Questa seconda fase dura circa fino alla metà del XV secolo, quando se ne avvia una nuova che prevede per ogni categoria cittadina un’estetica appropriata. È ciò che emerge con particolare chiarezza dalla normativa bolognese ma che trova conferma anche in altre città 19 . A Bologna prende corpo alla metà del Quattrocento la suddivisione della società cittadina in categorie dall’estetica differenziata. A Forlì cent’anni dopo si propone una modellazione più ridotta all’interno della quale ai dottori in legge e in medicina ma soprattutto ai cavalieri sono riservate ampie concessioni. Il provvedimento assunto nel 1559 dal consiglio cittadino considerava separatamente le donne dagli uomini ed elencava scrupolosamente gli oggetti consentiti alle une e agli altri: un anello d’oro, un ventaglio senza collana, due cappelli ma senza piume e così via. I dottori possono vestire in maniera «condecente et conveniente alla dignità et essere suo» e ai cavalieri è concesso portare una spada, un pugnale, una correggia e speroni d’oro oltre a una collana sempre d’oro al collo. Per il resto tanto per i cavalieri come per tutti gli altri, fatta eccezione per i dottori, vi sono prescrizioni dettagliate relative a berrette, calze, scarpe e vesti. Fin dagli anni Trenta del XIV secolo i dottori in legge e in medicina emergono dalla legislazione suntuaria come categoria esente dalle restrizioni 20 . A Bologna essi sono esclusi dai divieti per la prima volta nel 1335. Gli statuti di Modena nel 1420 dispensano dalle limitazioni le mogli di cavalie- 19 L. BERTI, I capitoli “De vestibus mulierum” del 1460, ovvero “status” personale e distinzioni sociali nell’Arezzo di metà Quattrocento, in Studi in onore di A. D’Addario, a cura di L. BORGIA, F. DE LUCA, P. VITI, R.M. ZACCARIA, Lecce 1995, IV, pp. 1171-1214. 20 O. CAVALLAR - J. KIRSHNER, “Licentia navigandi... prosperis ventibus aflantibus”. L’esenzione dei “doctores” e delle loro mogli da norme suntuarie, in A Ennio Cortese, studi promossi da D. MAFFEI e raccolti a cura di I. BINOCCHI, M. CARAVALE, E. CONTE, U. PETRONIO, Roma 2001, I, pp. 204-227.

Introduzione XXI<br />

l’uso dell’altre buone cittadi che con misura et prudenza in ciò si governano».<br />

La spinta all’emu<strong>la</strong>zione o forse il timore che città ben rego<strong>la</strong>te sotto<br />

questo profilo potessero essere concorrenti temibili grazie a cospicui apporti<br />

di capitali sottratti alle spese superflue, inducono molti governi cittadini a<br />

emanare norme suntuarie. L’inefficacia di queste ultime era sotto gli occhi di<br />

tutti, tuttavia vuoi per inerzia vuoi per mancanza di valide alternative si continuò<br />

fino a tutto il Settecento, fra intermittenze e stanche ripetizioni, a perseguire<br />

l’obiettivo del disciplinamento dei lussi tramite questo strumento.<br />

Se una prima fase, che corre indicativamente da metà Duecento a metà<br />

Trecento, è caratterizzata da una sorta di invito generalizzato al<strong>la</strong> modestia,<br />

una seconda è invece segnata dal<strong>la</strong> ricchezza e dal<strong>la</strong> varietà delle norme, dal<strong>la</strong><br />

possibilità di sanare le trasgressioni pagando una multa e dal<strong>la</strong> definizione<br />

di un’area esentata dai divieti. Questa seconda fase dura circa fino al<strong>la</strong> metà<br />

del XV secolo, quando se ne avvia una nuova che prevede per ogni categoria<br />

cittadina un’estetica appropriata. È ciò che emerge con partico<strong>la</strong>re chiarezza<br />

dal<strong>la</strong> normativa bolognese ma che trova conferma anche in altre città 19 .<br />

A Bologna prende corpo al<strong>la</strong> metà del Quattrocento <strong>la</strong> suddivisione del<strong>la</strong><br />

società cittadina in categorie dall’estetica differenziata. A Forlì cent’anni dopo<br />

si propone una model<strong>la</strong>zione più ridotta all’interno del<strong>la</strong> quale ai dottori<br />

in legge e in medicina ma soprattutto ai cavalieri sono riservate ampie concessioni.<br />

Il provvedimento assunto nel 1559 dal consiglio cittadino considerava<br />

separatamente le donne dagli uomini ed elencava scrupolosamente gli<br />

oggetti consentiti alle une e agli altri: un anello d’oro, un ventaglio senza<br />

col<strong>la</strong>na, due cappelli ma senza piume e così via. I dottori possono vestire in<br />

maniera «condecente et conveniente al<strong>la</strong> dignità et essere suo» e ai cavalieri è<br />

concesso portare una spada, un pugnale, una correggia e speroni d’oro oltre<br />

a una col<strong>la</strong>na sempre d’oro al collo. Per il resto tanto per i cavalieri come per<br />

tutti gli altri, fatta eccezione per i dottori, vi sono prescrizioni dettagliate re<strong>la</strong>tive<br />

a berrette, calze, scarpe e vesti.<br />

Fin dagli anni Trenta del XIV secolo i dottori in legge e in medicina<br />

emergono dal<strong>la</strong> legis<strong>la</strong>zione <strong>suntuaria</strong> come categoria esente dalle restrizioni<br />

20 . A Bologna essi sono esclusi dai divieti per <strong>la</strong> prima volta nel 1335. Gli<br />

statuti di Modena nel 1420 dispensano dalle limitazioni le mogli di cavalie-<br />

19 L. BERTI, I capitoli “De vestibus mulierum” del 1460, ovvero “status” personale e distinzioni<br />

sociali nell’Arezzo di metà Quattrocento, in Studi in onore di A. D’Addario, a cura di L.<br />

BORGIA, F. DE LUCA, P. VITI, R.M. ZACCARIA, Lecce 1995, IV, pp. 1171-1214.<br />

20 O. CAVALLAR - J. KIRSHNER, “Licentia navigandi... prosperis ventibus af<strong>la</strong>ntibus”. L’esenzione<br />

dei “doctores” e delle loro mogli da norme suntuarie, in A Ennio Cortese, studi promossi<br />

da D. MAFFEI e raccolti a cura di I. BINOCCHI, M. CARAVALE, E. CONTE, U. PETRONIO, Roma<br />

2001, I, pp. 204-227.

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