la legislazione suntuaria. secoli xiii-xvi. emilia-romagna - Direzione ...

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10.06.2013 Views

XVIII Legislazione suntuaria sondaggi in considerazione sia dell’ampiezza della documentazione sia degli esiti delle prove fatte. Niente cronache, niente prediche sui lussi, niente trattati sul tema, niente statuti delle arti e niente calmieri, ma con qualche eccezione suggerita dai curatori nei casi in cui – questo vale per Parma e Piacenza – il materiale, ancorché anomalo rispetto a quello normalmente cercato e pubblicato, potesse servire ad integrare fonti scarse o avare di informazioni. Quando però in sedi documentarie diverse da quelle usualmente controllate si sono trovate informazioni che gettavano luce su qualche aspetto del tema di nostro interesse ne abbiamo parlato nelle singole introduzioni concepite per dare le informazioni necessarie sulla storia politica delle città e sulla situazione documentaria oltre che sulle emergenze più rilevanti in materia suntuaria. La disposizione delle province secondo l’ordine alfabetico è sembrata inoppugnabile nella sua ovvietà. Certo si sarebbe potuto seguire un altro ordine, ad esempio quello della cronologia dei primi provvedimenti, ma tutto sommato non ci sembrava più convincente, considerato che in molti casi sappiamo che esistevano provvedimenti precedenti ai primi giunti fino a noi. In alcune città i primi provvedimenti suntuari risalgono al XIII secolo (a Reggio al 1242, a Bologna alla metà del Duecento, a Parma al 1258, a Ferrara al 1287), in altre l’avvio è di un secolo successivo (Piacenza 1323, Modena 1327, Rimini e Imola 1334, Carpi 1353, Forlì tra il 1359 e il 1373), mentre in alcuni casi le prime norme pervenuteci sono addirittura di Quattrocento inoltrato (Faenza tra il 1410 e il 1413, Cesena fra il 1467 e il 1472). A Ravenna a una partenza precoce, una norma di carattere suntuario relativa ai funerali si trova fra i materiali normativi datati tra 1199 e 1267, segue un lungo silenzio fino allo statuto di Ostasio da Polenta (1327-1346). Vi sono casi in cui le prime norme superstiti sono le prime emanate. In altri casi è verosimile che non lo siano. In alcune città le prime norme suntuarie risalgono al comune popolare: questo è quanto ha avuto luogo a Bologna. Non così in altri, basti pensare che a Ferrara troviamo la prima normativa (fra il 1287 e il 1291) negli statuti di Obizzo che intervengono a regolamentare i doni dei padrini e le offerte fatte in occasione di ordinazioni e monacazioni ma non affrontano il tema delle vesti e degli ornamenti. È vero che la necessità di limitare tanto le spese come le esibizioni di potenza, non solo economica, prescinde dal tipo di governo ma l’intervento non è mai privo di significato politico. Il governo cittadino influisce molto sullo sviluppo di questo disciplinamento. Ciò spiega la carenza di norme a Ferrara dove le esigenze della vita di corte, nella quale erano apprezzate le belle vesti e selezionate le persone ammesse agli sfoggi, ridimensionavano l’esigenza di un minuzioso e ossessivo regolamento diversamente da quanto accadde a Bologna. È bene in ogni caso ricordare che il nostro ragionamento si basa

Introduzione XIX sull’esistente o meglio sul reperito, che potrebbe essere solo una parte della documentazione prodotta all’epoca. La corte è un mondo a parte governato da regole proprie, ma l’amore per le belle vesti, da esibire e da ammirare in quello scenario, era una realtà che tracimava dall’ambiente cortese e dilagava nelle strade e in settori più estesi della cittadinanza tanto che nella Ferrara di metà Quattrocento, la stessa ritratta negli affreschi di palazzo Schifanoia, Borso d’Este dovette intervenire a regolare le apparenze. Lo fece contestualmente o quasi al provvedimento preso a Bologna dal cardinale legato Bessarione che divise per la prima volta, ed era la prima volta non solo per Bologna, la popolazione cittadina in sei categorie assegnando ad ognuna di esse una precisa estetica. La dettagliata legislazione di Borso suscitò le lamentele della popolazione ferrarese tanto che una delibera del consiglio concesse, in merito ad alcuni aspetti, una dispensatio. Proprio questa reazione, analoga a quella registratasi nel 1434 ad opera delle donne, consente di cogliere la norma nella sua relazione reale con la società mentre produce effetti che in qualche caso riescono a trasformarla o addirittura a cassarla. Bologna, la cui ricchezza e varietà di materiali costituisce un unicum nell’ambito di questo volume, consente di ricostruire questa dialettica grazie ad esempio alle multe o alle pagine di registrazione di vesti presentate nel 1401 agli appositi ufficiali per la bollatura. Sappiamo che anche a Cesena si pensò, ma nel tardo Cinquecento, di ricorrere alla registrazione di tutte le vesti di seta possedute al tempo dell’emanazione, nel 1575, della norma che le vietava, ma il registro con la «vera et fedel nota di tutti li loro vestimenti et habiti di seta con il nome del drappo del quale saranno fatti et delli (…) ornamenti» non è ritrovabile. Questo genere di registrazioni costituisce una ragionevole forma di compromesso fra la rigidità della norma e la realtà spesso sfuggente della quotidianità. A Faenza nel 1574 venne concesso alle donne che avevano «notabil numero di vesti» di portarne solo tre che dovevano essere «date in nota» agli Anziani «dechiarando che di poi non si possi valer né possi metter altre vesti, fintanto che le tre che saranno elette siano buone et atte a portarsi». I legislatori spesso si mostrano consapevoli dell’esistenza di uno iato tra norma e realtà e cercano di colmarlo anche facendo ricorso a stratagemmi quali la “bollatura” di ciò di cui verosimilmente non ci si sarebbe privati per conformarsi a nuove norme. Per realismo a Forlì nel 1556 si decise semplicemente che i vestiti già confezionati si potevano portare ma per un periodo limitato. Quando a Faenza si concepì nel 1574 una nuova e severa riforma suntuaria, il presidente di Romagna Filippo Sega osservò nella lettera di conferma dei capitoli che un ordinamento eccessivamente severo era destinato all’inosservanza e suggerì perciò di venire a patti con la realtà tramite la procedura della registrazione di quanto posseduto.

Introduzione XIX<br />

sull’esistente o meglio sul reperito, che potrebbe essere solo una parte del<strong>la</strong><br />

documentazione prodotta all’epoca.<br />

La corte è un mondo a parte governato da regole proprie, ma l’amore per<br />

le belle vesti, da esibire e da ammirare in quello scenario, era una realtà che<br />

tracimava dall’ambiente cortese e di<strong>la</strong>gava nelle strade e in settori più estesi<br />

del<strong>la</strong> cittadinanza tanto che nel<strong>la</strong> Ferrara di metà Quattrocento, <strong>la</strong> stessa ritratta<br />

negli affreschi di pa<strong>la</strong>zzo Schifanoia, Borso d’Este dovette intervenire a<br />

rego<strong>la</strong>re le apparenze. Lo fece contestualmente o quasi al provvedimento<br />

preso a Bologna dal cardinale legato Bessarione che divise per <strong>la</strong> prima volta,<br />

ed era <strong>la</strong> prima volta non solo per Bologna, <strong>la</strong> popo<strong>la</strong>zione cittadina in sei<br />

categorie assegnando ad ognuna di esse una precisa estetica. La dettagliata<br />

legis<strong>la</strong>zione di Borso suscitò le <strong>la</strong>mentele del<strong>la</strong> popo<strong>la</strong>zione ferrarese tanto<br />

che una delibera del consiglio concesse, in merito ad alcuni aspetti, una dispensatio.<br />

Proprio questa reazione, analoga a quel<strong>la</strong> registratasi nel 1434 ad<br />

opera delle donne, consente di cogliere <strong>la</strong> norma nel<strong>la</strong> sua re<strong>la</strong>zione reale<br />

con <strong>la</strong> società mentre produce effetti che in qualche caso riescono a trasformar<strong>la</strong><br />

o addirittura a cassar<strong>la</strong>.<br />

Bologna, <strong>la</strong> cui ricchezza e varietà di materiali costituisce un unicum nell’ambito<br />

di questo volume, consente di ricostruire questa dialettica grazie ad<br />

esempio alle multe o alle pagine di registrazione di vesti presentate nel 1401<br />

agli appositi ufficiali per <strong>la</strong> bol<strong>la</strong>tura. Sappiamo che anche a Cesena si pensò,<br />

ma nel tardo Cinquecento, di ricorrere al<strong>la</strong> registrazione di tutte le vesti<br />

di seta possedute al tempo dell’emanazione, nel 1575, del<strong>la</strong> norma che le<br />

vietava, ma il registro con <strong>la</strong> «vera et fedel nota di tutti li loro vestimenti et<br />

habiti di seta con il nome del drappo del quale saranno fatti et delli (…) ornamenti»<br />

non è ritrovabile. Questo genere di registrazioni costituisce una ragionevole<br />

forma di compromesso fra <strong>la</strong> rigidità del<strong>la</strong> norma e <strong>la</strong> realtà spesso<br />

sfuggente del<strong>la</strong> quotidianità. A Faenza nel 1574 venne concesso alle donne<br />

che avevano «notabil numero di vesti» di portarne solo tre che dovevano essere<br />

«date in nota» agli Anziani «dechiarando che di poi non si possi valer né<br />

possi metter altre vesti, fintanto che le tre che saranno elette siano buone et<br />

atte a portarsi». I legis<strong>la</strong>tori spesso si mostrano consapevoli dell’esistenza di<br />

uno iato tra norma e realtà e cercano di colmarlo anche facendo ricorso a<br />

stratagemmi quali <strong>la</strong> “bol<strong>la</strong>tura” di ciò di cui verosimilmente non ci si sarebbe<br />

privati per conformarsi a nuove norme. Per realismo a Forlì nel 1556 si<br />

decise semplicemente che i vestiti già confezionati si potevano portare ma<br />

per un periodo limitato. Quando a Faenza si concepì nel 1574 una nuova e<br />

severa riforma <strong>suntuaria</strong>, il presidente di Romagna Filippo Sega osservò nel<strong>la</strong><br />

lettera di conferma dei capitoli che un ordinamento eccessivamente severo<br />

era destinato all’inosservanza e suggerì perciò di venire a patti con <strong>la</strong> realtà<br />

tramite <strong>la</strong> procedura del<strong>la</strong> registrazione di quanto posseduto.

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