10.06.2013 Views

Coordinamento, competizione e potere economico. I ... - Economia

Coordinamento, competizione e potere economico. I ... - Economia

Coordinamento, competizione e potere economico. I ... - Economia

SHOW MORE
SHOW LESS

Create successful ePaper yourself

Turn your PDF publications into a flip-book with our unique Google optimized e-Paper software.

Università degli studi di Roma « La Sapienza »<br />

Dipartimento di Scienze Economiche<br />

TESI DI DOTTORATO<br />

COORDINAMENTO, COMPETIZIONE<br />

E POTERE ECONOMICO<br />

____________________<br />

I limiti teorici della nuova destra nell’analisi<br />

dei rapporti tra Stato, impresa e mercato<br />

Dottorato di ricerca in Scienze Economiche<br />

(VIII ciclo)<br />

RELATORE CANDIDATO<br />

Prof. Sergio Bruno Dott. Giulio Palermo


Giulio Palermo<br />

COORDINAMENTO, COMPETIZIONE<br />

E POTERE ECONOMICO<br />

____________________<br />

I limiti teorici della nuova destra nell’analisi<br />

dei rapporti tra Stato, impresa e mercato<br />

- Maggio 1997 -<br />

ii


INDICE<br />

PREFAZIONE E RINGRAZIAMENTI vii<br />

INTRODUZIONE 1<br />

1. La nuova destra 1<br />

2. <strong>Coordinamento</strong>, <strong>competizione</strong> e <strong>potere</strong> <strong>economico</strong> 6<br />

3. Stato, impresa e mercato 7<br />

4. Struttura della tesi 13<br />

PARTE 1<br />

RIFERIMENTI ANALITICI PER L’ANALISI DEI RAPPORTI<br />

TRA STATO, IMPRESA E MERCATO<br />

1. PRELIMINARI 26<br />

1.1. Definizione di coordinamento, <strong>competizione</strong> e <strong>potere</strong> <strong>economico</strong> 27<br />

1.2. Il problema dell’ottica valutativa 31<br />

1.3. Contesto decisionale e struttura organizzativa 33<br />

1.3.1. Le dimensioni del contesto decisionale 35<br />

1.3.2. La relazione tra contesto decisionale e struttura organizzativa 39<br />

2. IL « CONTESTO DECISIONALE PERFETTO » 43<br />

2.1. L’irrilevanza del grado di centralizzazione e l’inesistenza dell’impresa 44<br />

2.1.1. Il confronto tra modello di EEG e modello di pianificazione 47<br />

2.1.2. L’inesistenza dell’impresa 50<br />

2.2. Stato e mercato nel contesto decisionale perfetto 51<br />

2.2.1. Problemi di coordinamento nel contesto decisionale perfetto 52<br />

2.2.2. Sistemi decisionali e regole di voto 54<br />

2.3. La separazione produzione-distribuzione 57<br />

2.4. <strong>Coordinamento</strong> e <strong>competizione</strong> nel contesto decisionale perfetto 58<br />

2.5. Conclusioni 60<br />

iii<br />

25


PARTE 2<br />

I RAPPORTI TRA STATO E MERCATO<br />

NELLA TEORIA AUSTRIACA<br />

3. LA TEORIA AUSTRIACA E IL DIBATTITO SULLA PIANIFICAZIONE 62<br />

3.1. Due traiettorie divergenti 63<br />

3.2. La prima traiettoria 65<br />

3.2.1. Temp o, equilibrio e incentivi 66<br />

3.2.2. Tempo e conoscenza 67<br />

3.3. La seconda traiettoria 69<br />

3.3.1. Un confronto tra contesti decisionali 71<br />

3.3.2. Gli schemi di coordinamento e <strong>competizione</strong> 74<br />

3.3.3. Organization theory 77<br />

3.4. Efficienza e ottimalità 81<br />

3.5. La scuola matematica sovietica 82<br />

3.5.1. Matematica e socialismo 84<br />

3.5.2. Il dibattito mai avvenuto 85<br />

3.5.3. Piano ottimo e principio di coordinamento 91<br />

3.6. Conclusioni 94<br />

4. I LIMITI TEORICI DELLA SCUOLA AUSTRIACA MODERNA 97<br />

4.1. Il problema dell’incertezza 99<br />

4.2. La posizione di Hayek 104<br />

4.2.1. Due possibili interpretazioni del contesto decisionale hayekiano 105<br />

4.2.2. Alcuni elementi in favore dello scenario di incertezza oggettiva 107<br />

4.2.3. Le implicazioni delle due interpretazioni 109<br />

4.3. La posizione di Kirzner 112<br />

4.3.1. Il contesto decisionale di Kirzner 113<br />

4.3.2. Il problema della dinamica 114<br />

4.3.3. La critica di Richardson 118<br />

4.3.4. Il problema della stabilità dell’EEG 121<br />

4.4. La posizione di Lachmann 124<br />

4.4.1. Il contesto decisionale di Lachmann 125<br />

4.4.2. Il processo di formulazione dei piani 127<br />

4.4.3. La critica di nihilismo 130<br />

4.5. I rapporti tra le correnti di Kirzner e di Lachmann 134<br />

4.6. Conclusioni 137<br />

5. LA SCONFITTA AUSTRIACA NEL DIBATTITO SULLA PIANIFICAZIONE 140<br />

5.1. L’ordine come valore assoluto 142<br />

5.2. Il problema puro della conoscenza 146<br />

5.3. Incentivi e conoscenza 148<br />

5.4. I giudizi di valore e la riapertura del dibattito sulla pianificazione 151<br />

5.5. Conclusioni 155<br />

iv<br />

61


PARTE 3<br />

I RAPPORTI STATO, IMPRESA E MERCATO NELLA<br />

TEORIA NEOISTITUZIONALISTA<br />

6. LA TEORIA NEOISTITUZIONALISTA DELL’IMPRESA 158<br />

6.1. Il contributo di Coase 160<br />

6.2. La dimensione informativa 163<br />

6.2.1. Il licenziamento del droghiere di Alchian e Demsetz 164<br />

6.2.2. Jensen e Meckling e la teoria principale -agente 166<br />

6.2.3. La negazione dell’impresa ad opera di Cheung 168<br />

6.3. Informazione, dimensione legale e razionalità 170<br />

6.3.1. La frontiera istituzionale efficiente nell’analisi di Williamson 171<br />

6.3.2. In the beginning there were markets... 173<br />

6.3.3. La relazione di lavoro 175<br />

6.4. Due definizioni dell’impresa 176<br />

6.5. Evoluzione, efficienza e rapporti con la storia 178<br />

6.5.1. L’analisi evolutiva di Cheung e Putterman 179<br />

6.5.2. Statica comparata e analisi storica in Williamson 182<br />

6.6. La spiegazione dello Stato 185<br />

6.6.1. I fallimenti del mercato e dell’impresa 185<br />

6.6.2. La minimizzazione dello Stato nella teoria dei diritti di proprietà 187<br />

6.7. Conclusioni 189<br />

7. I LIMITI TEORICI DELLA TEORIA NEOISTITUZIONALISTA 192<br />

7.1. Il contesto decisionale della teoria neoistituzionalista 193<br />

7.1.1. Razionalità limitata e incertezza 194<br />

7.1.2. L’incompletezza del contratto di lavoro 196<br />

7.2. I rapporti logico-cronologici tra Stato, impresa e mercato 198<br />

7.2.1. Il mercato come istituzione originale 200<br />

7.2.2. L’impresa come istituzione precedente al mercato 203<br />

7.2.3. Lo Stato come istituzione precedente al mercato 205<br />

7.3. Sostituzione e complementarità tra Stato, impresa e mercato 207<br />

7.4. La dicotomia volontarietà-coercizione e il problema del <strong>potere</strong> <strong>economico</strong> 209<br />

7.5. Il <strong>potere</strong> <strong>economico</strong> 213<br />

7.5.1. La dimensione sociale e dinamica del <strong>potere</strong> <strong>economico</strong> 214<br />

7.5.2. Potere <strong>economico</strong> ed efficienza 217<br />

7.5.3. Scambio e produzione 219<br />

7.6. Conclusioni 220<br />

PARTE 4<br />

LA SINTESI DELLA NUOVA DESTRA E LO SCHEMA DI COORDINAMENTO,<br />

COMPETIZIONE E POTERE ECONOMICO<br />

8. L’IMPOSSIBILITÀ DELL’ALLEANZA POLITICA DELLA NUOVA DESTRA 224<br />

8.1. Il progetto politico della nuova destra 225<br />

8.1.1. I tratti teorici comuni della nuova destra 226<br />

8.1.2. Desiderabilità del capitalismo 229<br />

v<br />

157<br />

223


8.2. L’incompatibilità metodologica tra le scuole austriaca e neoistituzionalista 231<br />

8.2.1. I contesti decisionali 231<br />

8.2.2. <strong>Coordinamento</strong> e <strong>competizione</strong> 236<br />

8.2.3. Ottiche valutative « a priori » e « a posteriori » 239<br />

8.3. Antitrust e intervento dello Stato 240<br />

8.4. Conclusioni 244<br />

9. UNO SCHEMA TEORIC O PER L’ANALISI DELL’EVOLUZIONE ISTITUZIONALE 246<br />

9.1. La definizione del contesto decisionale 247<br />

9.2. Lo schema di coordinamento, <strong>competizione</strong> e <strong>potere</strong> <strong>economico</strong> 251<br />

9.3. Un approfondimento del processo di formula zione dei piani 260<br />

9.4. L’integrazione dei due schemi 268<br />

9.5. Convergenza, stabilità e desiderabilità del processo di mercato 286<br />

9.6. Conclusioni 294<br />

CONCLUSIONI 298<br />

1. Visione ideologica e <strong>potere</strong> <strong>economico</strong> 299<br />

2. Etica ed economia 303<br />

3. La vittoria culturale della nuova destra 305<br />

4. Il confronto tra strutture organizzative 307<br />

5. I giudizi di valore 308<br />

BIBLIOGRAFIA 311<br />

vi


PREFAZIONE E RINGRAZIAMENTI<br />

Scrivere una tesi è, per molti dottorandi, rispondere ad una domanda. Per me è<br />

stato ricercare la domanda a cui rispondere. Il privilegio concessomi (tre anni di<br />

studio nei quali ho prodotto solo ciò che avete davanti) meriterebbe forse la<br />

definizione di una domanda più originale di quella che sono stato capace di<br />

individuare. Invece la mia domanda non è affatto originale; anzi, essa tratta di uno<br />

dei punti nevralgici e centrali dello studio dell’economia politica. Come<br />

attenuante posso comunque invocare il fatto che tale domanda, sebbene ovvia e<br />

centrale, non è poi così discussa in ambito accademico.<br />

La mia domanda è: come interagiscono produzione e distribuzione nel<br />

sistema capitalista?<br />

La tesi non offre una risposta sistematica a questa domanda.<br />

L’individuazione della domanda (per me) rilevante è però la base per discutere<br />

criticamente teorie con gravi implicazioni politiche, le quali giocano tutta la loro<br />

argomentazione sul diritto di porre qualsiasi domanda.<br />

Non esistono, ovviamente, domande giuste e domande sbagliate.<br />

L’individuazione della domanda riflette una particolare visione del mondo e la<br />

stessa definizione dei problemi rilevanti è il risultato di un processo intellettuale<br />

prescientifico basato su giudizi di valore (nel senso alto in cui lo intendeva<br />

Myrdal), sui quali (fortunatamente) non deve aversi unanimità. Su un piano<br />

metodologico, dunque, la domanda non può essere posta in discussione.<br />

Essa però può (secondo me, dovrebbe) essere oggetto di discussione<br />

politica. Purtroppo, le discussioni politiche -più in generale, le discussioni sui<br />

valori- stanno diventando sempre più rare. E ciò lo considero un male, non tanto<br />

per un generico atteggiamento politico-filosofico, ma perché, in un mondo come<br />

quello della teoria economica ancora influenzato da derive sia positiviste che<br />

neopositiviste, la fuga dall’esplicitazione delle domande comporta quasi sempre la<br />

fuga dall’esplicitazione dei sistemi di valori di riferimento e la riproposizione di<br />

valori particolari quali risultato « oggettivo » delle costruzioni teoretiche.<br />

vii


Sulla base del diritto insindacabile alla domanda vengono scritti articoli,<br />

libri, a volte libri di testo, che noi studiamo, nella convinzione di trovare in essi le<br />

risposte alle nostre domande (domande che, troppo spesso, noi stessi non<br />

riusciamo ad esplicitare). In altri termini sembra esistere, non solo in chi scrive e<br />

insegna, ma anche in chi legge e vorrebbe apprendere, una impossibile ma<br />

ineliminabile aspirazione all’oggettività. Ciò che conta è dunque la risposta,<br />

mentre la domanda, in quanto insindacabile, risulta secondaria.<br />

Sicché, una volta concesso il diritto alla domanda, ci troviamo a disagio di<br />

fronte ai risultati assurdi che certe teorie ci propongono; a volte crediamo<br />

addirittura che tali teorie ci insegnino come va il mondo o (ancora peggio) come<br />

dovrebbe andare (questo è infatti lo spirito con cui ci si chiede di porci di fronte<br />

ad un libro di testo) e, tutto ciò, genera, in me (e, credo, in molti altri), uno stato di<br />

tensione, dovuto alla difficoltà di « dipanare la matassa », cioè di discriminare tra<br />

domande e risposte, tra valori e loro implicazioni.<br />

Una volta individuata la domanda cui tali teorie rispondono ritroviamo la<br />

serenità e ci accorgiamo che esse rispondono alla domanda (politicamente, per<br />

noi) sbagliata e che le implicazioni con le quali non ci ritroviamo dipendono<br />

semplicemente dall’assunzione, nella formulazione della domanda, di valori che<br />

non condividiamo.<br />

Lo stato di serenità è però temporaneo. Per dirla con Keynes, le teorie,<br />

sbagliate o giuste che siano, muovono il mondo. Il rischio (ancora maggiore) non<br />

è allora che le teorie siano « sbagliate », ma che, in un mondo in cui intorno alle<br />

teorie si costruiscono egemonie e in cui le teorie esercitano influenze rilevanti<br />

sulle prassi, siano queste ultime a orientarsi verso direzioni sbagliate. L’unico<br />

modo di andare nella direzione giusta è, per me, quello di porre in agenda (come<br />

in questa tesi) il dipanare stesso della matassa, ponendo domande giuste e<br />

facendo degli economisti che pongono domande sbagliate o giocano<br />

sull’ambiguità domanda-risposta dei nemici politici.<br />

Il mio sdegno verso i colleghi che rispondono a domande preassegnate e la mia<br />

intolleranza (dettata forse da presunzione) verso coloro che non individuano la<br />

mia stessa domanda mi causano uno spiacevole isolamento. Fortunatamente, tale<br />

isolamento è infranto dall’aiuto che ricevo da parte di amici e compagni.<br />

Il primo ringraziamento è per Sandye Gloria. Sandye mi ha aiutato e<br />

insegnato molto, la sua disponibilità non ha pari, non c’è idea che non abbiamo<br />

discusso insieme. Credo quasi di avere il diritto di violare la prassi e di chiamarla<br />

come corresponsabile per eventuali errori od omissioni presenti nella tesi.<br />

Al mio relatore ed amico Sergio Bruno sono grato soprattutto per avermi<br />

fatto riflettere, sin dai tempi della laurea, sull’importanza della ricerca della<br />

propria domanda. Gli sono poi grato per l’attenzione della sua lettura e per i<br />

commenti e i suggerimenti offertimi. In una lettera che mi preparò per<br />

l’ammissione a Cambridge spiegava che la mia (eccessiva) attitudine critica<br />

viii


andrebbe compensata da una supervisione flessibile, ma severa, basata più sulla<br />

persuasione morale che sull’autorità formale. Quella frase mi piacque molto; essa<br />

corrisponde a ciò che lui ha fatto. Sergio non è dunque responsabile dei miei<br />

(spero solo eventuali) errori.<br />

Voglio poi ringraziare Mario Amendola per le lunghe, divertenti e<br />

istruttive chiacchierate alle quali mi ha invitato in numerose occasioni, oltre<br />

ovviamente, che per i suoi insegnamenti formali.<br />

Marcello Messori mi ha suggerito letture interessanti, mi ha aiutato a<br />

mettere ordine nelle mie idee e mi ha dato fiducia in me stesso in una fase in cui<br />

ne avevo bisogno.<br />

Il mio rapporto con Bruna Ingrao incrina la mia tesi sulla carenza di<br />

dibattito politico in ambito accademico: le nostre discussioni sono state<br />

fortemente influenzate dalle nostre diverse posizioni politiche e il fatto che ciò sia<br />

avvenuto in modo esplicito mi ha fatto, naturalmente, piacere.<br />

A Cristina Marcuzzo, che insieme a Bruna Ingrao, mi ha fatto da<br />

correlatrice, vanno i miei ringraziamenti per i suggerimenti critici editoriali e di<br />

contenuto che mi ha offerto.<br />

Sono grato a Geoff Hodgson per la sua capacità di mettersi continuamente<br />

in discussione anche nel confronto con uno studente a volte troppo aggressivo e<br />

che certamente ne sa meno di lui. Se non riuscirò a studiare quanto lui, spero<br />

almeno di ereditare un po’ della sua genuina umiltà.<br />

L’incontro in Spagna con Daniel Ankarloo mi ha veramente caricato. La<br />

sua formazione culturale e il suo continuo tentativo di tradurre le nostre<br />

discussioni in intervento politico mi sono piaciuti molto.<br />

Richard Arena è stato con me assai disponibile. Con lui ho avuto poche<br />

intense discussioni e un confronto a tutto campo che mi hanno senz’altro<br />

arricchito.<br />

Un ringraziamento lo offro anche a Jean-Luc Gaffard e Michel Rainelli per<br />

l’ospitalità offertami presso il LATAPSES a Nizza.<br />

Le amiche della biblioteca del dipartimento di Scienze economiche di<br />

Roma, Elisabetta Lilletti, Angela Masci e Carmen Panico hanno agevolato il mio<br />

lavoro in modo determinante.<br />

Ringrazio infine la fondazione Palermo, non certo per il suo sostegno<br />

finanziario (senza il quale il mio lavoro sarebbe stato forse impossibile), ma per<br />

tutto il resto. È a mio padre, mia madre, mio fratello e mia sorella che dedico il<br />

mio lavoro.<br />

Un’ultima parola sulla mia domanda. Lo studio dell’interazione dei processi di<br />

produzione e distribuzione è ciò che manca alle teorie considerate criticamente<br />

nella tesi. Spesso, infatti, produzione e distribuzione sono considerate,<br />

erroneamente, separabili nell’analisi del sistema capitalista; in altri casi, invece,<br />

viene riconosciuta la loro interdipendenza ma (forse credendo di lasciare da parte i<br />

ix


giudizi di valore) viene discusso solo il processo produttivo. Porre la domanda in<br />

termini di interazione è per me il modo migliore di individuare i limiti di tali<br />

teorie.<br />

Il lettore si domanderà quale sia il legame tra (1) interazione produzionedistribuzione<br />

e (2) coordinamento, <strong>competizione</strong> e <strong>potere</strong> <strong>economico</strong> (il titolo<br />

della tesi).<br />

Esso può essere ricondotto a tre considerazioni: (1) lo schema di<br />

interazione tra coordinamento, <strong>competizione</strong> e <strong>potere</strong> <strong>economico</strong> che costruirò nel<br />

corso dell’indagine costituisce la base più solida che sono riuscito a trovare su cui<br />

impostare l’analisi dell’interazione tra produzione e distribuzione; (2) i concetti di<br />

coordinamento, <strong>competizione</strong> e <strong>potere</strong> <strong>economico</strong> mi sembrano un’utile chiave di<br />

lettura attraverso cui individuare e tentare di superare i limiti teorici di<br />

quell’insieme di teorie che etichetto con il nome di « nuova destra », al quale<br />

vanno, a mio giudizio, i maggiori torti in fatto di analisi dell’interazione<br />

produzione-distribuzione; (3) attraverso le lenti di coordinamento, <strong>competizione</strong> e<br />

<strong>potere</strong> <strong>economico</strong> ritengo sia possibile esplicitare i valori sui quali si fondano le<br />

teorie della nuova destra, le quali sostengono (solo formalmente) che produzione e<br />

distribuzione devono essere analizzate secondo criteri rigorosamente scientifici<br />

(ossia neutrali sul piano dei giudizi di valore).<br />

Tali teorie non vanno rigettate in quanto sbagliate (e a volte lo sono) ma in<br />

quanto le domande cui rispondono sono politicamente sbagliate (cioè, dal mio<br />

punto di vista, contrarie ai miei ideali): la (illecita) separazione analitica tra<br />

produzione e distribuzione è alla base (1) del perpetuarsi di ingiustizie sociali e<br />

(2) della nostra troppo pacifica convivenza con esse.<br />

x


INTRODUZIONE<br />

Nella tesi si utilizzano le categorie concettuali di coordinamento, <strong>competizione</strong> e<br />

<strong>potere</strong> <strong>economico</strong> per analizzare i rapporti tra Stato, impresa e mercato.<br />

L’attenzione è rivolta, in modo particolare, alle teorie della nuova destra.<br />

La nostra presentazione introduttiva è organizzata in quattro paragrafi. Nel<br />

paragrafo 1 precisiamo la nostra definizione della nuova destra e le ragioni del<br />

nostro interesse nei suoi confronti. Nel paragrafo 2, discutiamo il metodo<br />

attraverso il quale, nel corso della tesi, utilizzeremo i concetti di coordinamento,<br />

<strong>competizione</strong> e <strong>potere</strong> <strong>economico</strong> per approfondire l’analisi delle istituzioni<br />

economiche del capitalismo. Nel paragrafo 3, attraverso le lenti dei principi di<br />

coordinamento, <strong>competizione</strong> e <strong>potere</strong> <strong>economico</strong>, ripercorriamo il processo<br />

attraverso il quale è venuto delineandosi un rapporto di dualità sia nell’analisi dei<br />

rapporti tra Stato e mercato, sia nell’analisi dei rapporti tra impresa e mercato.<br />

Infine, nel paragrafo 4, presentiamo la struttura della tesi.<br />

1. La nuova destra<br />

Negli anni ‘70 si è costituita un’alleanza politica tra scuole economiche<br />

metodologicamente diverse che va sotto il nome di « nuova destra ». Non esiste in<br />

realtà una definizione della nuova destra come scuola economica; piuttosto si<br />

tratta di un insieme di teorie, unite più dalle implicazioni politiche e normative,<br />

che dalla coerenza del metodo. I tratti generali della linea politica della nuova<br />

destra sono la sovranità del mercato, la deregolamentazione, i tagli alla spesa<br />

pubblica e l’estensione della proprietà privata.<br />

La nuova destra è stata oggetto di dure critiche durante gli anni delle<br />

politiche economiche liberiste più radicali. Comunque, indipendentemente<br />

dall’efficacia delle critiche e delle repliche, la nuova destra ha raggiunto un<br />

1


importante risultato politico, affermando i valori del mercato come valori<br />

universali.<br />

In aggiunta all’impatto a livello di politica economica, i valori generali su<br />

cui si fondano le strategie politiche della nuova destra si sono così insediati a<br />

livello culturale: qua e là si riconosce che il mercato può fallire; esso tuttavia è il<br />

metro di giudizio, il sistema di valori, che si è imposto in modo così diffuso, da<br />

apparirci, a volte, universale e naturale.<br />

Secondo le argomentazioni della nuova destra il mercato rappresenta<br />

l’istituzione unica atta ad amministrare la giustizia in campo <strong>economico</strong>: solo le<br />

leggi del mercato -le leggi della domanda e dell’offerta- sono idonee a regolare i<br />

rapporti tra gli individui e tra le classi sociali. I conflitti privati in campo<br />

<strong>economico</strong> non devono perciò essere risolti tramite l’introduzione esplicita di<br />

giudizi di valore, bensì devono essere lasciati al mercato il quale fa giustizia<br />

tramite le sue leggi economiche.<br />

Il fatto che la giustizia del mercato sia neutrale dal punto di vista dei valori<br />

non è tuttavia scontato. Le leggi del mercato, essendo valide solo nel modo di<br />

produzione capitalistico, rispecchiano i valori su cui si basa l’interazione sociale<br />

capitalistica. Nei sistemi in cui i valori da cui derivano le regole di<br />

comportamento individuale e di interazione sociale sono diversi da quelli del<br />

sistema capitalista, le leggi di mercato non valgono.<br />

Tuttavia, una volta che ci si sia calati nel modo di produzione capitalistico,<br />

i valori del mercato possono apparire come universali: il mercato impone infatti le<br />

sue leggi come leggi generali e invariabili al rispetto delle quali non è possibile<br />

sottrarsi (a meno di abolire il mercato stesso).<br />

La riduzione del livello di astrazione, dall’analisi di differenti modi di<br />

produzione all’analisi del modo di produzione capitalistico, fa apparire le<br />

caratteristiche generali del sistema capitalista come universali. Ciò avviene anche<br />

per i valori: i valori su cui riposano le istituzioni capitalistiche invece che generali<br />

(ossia validi per il complesso dei sistemi di tipo capitalistico) appaiono universali<br />

(ossia validi per qualsiasi sistema <strong>economico</strong>).<br />

Una delle critiche di fondo che muoviamo alle teorie della nuova destra è<br />

quella dell’illecito passaggio dalla generalità dei valori capitalistici alla loro<br />

universalità. Uno degli obiettivi della nuova destra è infatti quello di individuare<br />

le condizioni di efficienza (o, più semplicemente, di desiderabilità) del sistema di<br />

mercato su un piano meramente tecnico, che non richieda l’introduzione di giudizi<br />

di valore. Il passaggio dall’analisi dei modi di produzione all’analisi del modo di<br />

produzione capitalistico trasforma così il veto all’introduzione dei giudizi di<br />

valore in economia nel veto all’uso di giudizi di valore diversi da quelli<br />

capitalistici. Tale operazione, nel confronto tra modi di produzione diversi, non è,<br />

ovviamente, corretta dal punto di vista metodologico.<br />

Ciò che a noi interessa, tuttavia, non è tanto la correttezza metodologica<br />

dell’operazione. Piuttosto ci interessa una conseguenza particolare dell’operazione<br />

2


di universalizzazione dei valori del mercato, vale a dire l’annientamento della<br />

possibilità di discutere l’etica del capitalismo.<br />

L’ipotesi che i valori su cui si fonda l’interazione capitalistica siano dei<br />

valori universali implica che essi, proprio in quanto universali, debbano essere<br />

presi per dati e non siano oggetto di discussione. Nella teoria della nuova destra la<br />

generalità delle leggi di mercato si riversa così nel sistema di valori su cui le leggi<br />

del mercato si fondano, il quale viene oggettivato e, grazie a ciò, posto all’esterno<br />

della sfera di indagine morale. I valori capitalistici cessano di essere posti in<br />

discussione.<br />

Il sistema di valori del sistema capitalista si fonda sull’individualismo.<br />

L’oggettivazione dei valori capitalistici nella nuova destra trasforma inoltre la<br />

stessa <strong>competizione</strong> in valore. La constatazione fattuale delle leggi del mercato<br />

diviene così una prescrizione normativa. Se la legge della domanda e dell’offerta<br />

stabilisce che la <strong>competizione</strong> sia vinta dal più forte, la legge del più forte diventa,<br />

per gli economisti della nuova destra, uno dei fondamenti (ovviamente impliciti)<br />

della giustizia nelle relazioni economiche: in termini espliciti, in un sistema<br />

capitalista che funzioni bene, la <strong>competizione</strong> deve essere vinta dal più forte.<br />

Il successo della nuova destra rispetto all’oggettivazione dei valori del mercato è<br />

così schiacciante da suscitare dubbi anche a sinistra sulla validità delle ragioni per<br />

andare contro il mercato.<br />

Mentre in altri campi dell’interazione sociale le leggi sono stabilite a<br />

partire da principi informatori derivanti da una esplicita discussione morale, in<br />

campo <strong>economico</strong> le leggi del mercato, essendo oggettivamente date, vengono<br />

considerate immuni dalle discussioni in termini di valori. In effetti, una volta<br />

accettata la logica delle relazioni capitalistiche, risulta difficile sottoporre ad una<br />

coerente analisi i valori impliciti nelle leggi di mercato.<br />

La nuova destra, affermando il principio dell’universalità del mercato, ha<br />

così sottratto ampi spazi, nell’analisi delle relazioni sociali, alla discussione in<br />

termini di valori, facendo dei valori del mercato il punto di riferimento<br />

incontestabile su cui fondare i rapporti economici delle democrazie capitalistiche.<br />

Tutto ciò mette in crisi la sinistra la quale, non essendo in grado di<br />

proporre una riflessione sui modi di produzione o, semplicemente, non essendo<br />

disposta a rinunciare ai fondamenti capitalistici dell’interazione sociale, si trova<br />

ad accettare per dato un sistema di valori che non le appartiene e che tuttavia ha<br />

difficoltà (o non ha interesse) a mettere in discussione.<br />

Per fare tre esempi sull’egemonia della cultura del mercato pensiamo ai<br />

problemi, purtroppo sempre più attuali, dell’immigrazione, dell’istruzione e del<br />

lavoro.<br />

La discussione sull’immigrazione, negli ambienti succubi (o promotori)<br />

della cultura del mercato, non tocca minimamente questioni morali. È da persone<br />

3


« senza i piedi per terra » indagare sui valori morali per cui si dovrebbe consentire<br />

o negare l’ingresso nei paesi ricchi a persone provenienti da paesi poveri; il<br />

problema di cui si discute è invece quello della richiesta (da parte del mercato) di<br />

mano d’opera e del rischio che si perdano posti di lavoro per i cittadini a diritti<br />

pieni.<br />

L’istruzione è sempre più finalizzata alla produzione; è assai difficile<br />

ragionare sui valori su cui si fondano le tesi per cui alle persone debbano essere<br />

concessi o negati gli strumenti e il tempo per pensare e per approfondire i propri<br />

interessi; la discussione riguarda invece il problema della rispondenza della<br />

formazione alle esigenze del mercato.<br />

Il diritto al lavoro è negato nei fatti. Ma ciò che è peggio è che anche in<br />

teoria esso viene considerato un nocivo residuo di un percorso verso un modello<br />

giudicato ormai irrimediabilmente fallito. Il lavoro come momento di<br />

realizzazione dell’individuo è poi un discorso che dopo essere stato sconfitto sul<br />

campo, ha perso anche i suoi caratteri utopistici, per divenire, semplicemente,<br />

anacronistico. Gli stessi sindacati, di fronte al dramma della disoccupazione fanno<br />

fatica a promuovere una cultura della solidarietà (non fondata solo sui vantaggi<br />

derivanti dalla maggiore forza contrattuale, ma fondata su valori morali) e a volte,<br />

assuefatti alla cultura del mercato, propongono addirittura la riduzione dei salari.<br />

Se « i piedi devono rimanere per terra », i valori potrebbero volare un po’<br />

più alti. E non è certo interesse della nuova destra aprire la discussione.<br />

Buona parte della sinistra ha così finito per accettare il messaggio politico<br />

della nuova destra: il mercato è l’istituzione suprema di giustizia in campo<br />

<strong>economico</strong>.<br />

Sono questi aspetti di carattere politico che suscitano il nostro interesse per la<br />

nuova destra. Per questo motivo definiamo la nuova destra in senso ampio,<br />

includendo sotto tale nome quelle teorie che argomentano a livello politico<br />

l’efficienza del sistema di mercato e professano la desiderabilità dell’estensione<br />

della sfera sociale in cui è il mercato a dettar legge.<br />

Nell’ambito di queste teorie, restringiamo il campo della nostra analisi,<br />

concentrandoci sulla teoria austriaca e la teoria neoistituzionalista. Come<br />

vedremo, per prendere in considerazione questi due approcci dovremo discutere -<br />

come elemento centrale di riferimento- anche l’approccio neoclassico.<br />

La scuola austriaca e la scuola neoistituzionalista sono state protagoniste di due<br />

influenti dibattiti, l’uno sui rapporti tra Stato e mercato, l’altro sui rapporti tra<br />

impresa e mercato.<br />

I due dibattiti si sono sviluppati, in gran parte, in modo indipendente.<br />

L’analisi austriaca dei rapporti tra Stato e mercato ha dato luogo allo<br />

storico dibattito sulla pianificazione socialista degli anni ‘20 e ‘30 nel quale si è<br />

sostenuta la tesi dell’irrazionalità della pianificazione. Nella replica alle<br />

4


argomentazioni austriache, i market socialist, aderenti alla scuola neoclassica,<br />

hanno affermato la possibilità della pianificazione e del calcolo razionale nel<br />

sistema socialista. Oltre alla discussione in merito alle tesi specifiche sostenute sui<br />

due fronti, il dibattito è stato l’occasione di un confronto aperto sui diversi metodi<br />

d’analisi della scuola austriaca e della scuola neoclassica nel quale gli economisti<br />

austriaci hanno sferrato incisivi attacchi al metodo neoclassico dell’equilibrio. Il<br />

dibattito, sia a livello politico, sia a livello metodologico, non può peraltro dirsi<br />

concluso; anzi, esso rappresenta uno dei temi centrali di discussione su cui la<br />

scuola austriaca moderna è al lavoro, nel tentativo di definire i propri tratti<br />

distintivi sul piano metodologico e di riorganizzare le proprie strategie di<br />

intervento politico.<br />

L’origine del dibattito tra impresa e mercato, nella scuola<br />

neoistituzionalista, viene fatta risalire all’articolo di Coase del 1937 sulla natura<br />

dell’impresa nel sistema capitalista. L’indagine sulla natura dell’impresa colma<br />

una lacuna nel progetto di ricerca ruotante attorno al modello di equilibrio<br />

<strong>economico</strong> generale, nell’ambito del quale la natura dell’impresa non viene<br />

spiegata. Anche se, per alcuni versi, la teoria neoistituzionalista si rivolge<br />

criticamente alle indagini della scuola dell’equilibrio <strong>economico</strong> generale, tra le<br />

due scuole non si riscontrano differenze metodologiche sostanziali: il metodo e gli<br />

strumenti analitici utilizzati dalla scuola neoistituzionalista sono infatti quelli<br />

sviluppati dalla scuola neoclassica. Il dibattito sui rapporti tra impresa e mercato<br />

si sviluppa perciò all’interno di un’unica scuola di pensiero (quella neoclassica)<br />

nell’ambito della quale viene approfondito il problema di spiegare le istituzioni<br />

del capitalismo.<br />

Tra i due dibattiti Stato-mercato e impresa-mercato c’è dunque una<br />

differenza di fondo: nel primo, il confronto coinvolge due scuole di pensiero<br />

(quella austriaca e quella neoclassica) in progressivo allontanamento tra loro; nel<br />

secondo il dibattito è tutto interno al paradigma neoclassico.<br />

Il fatto che nel progetto della nuova destra si tenti una ricomposizione<br />

delle argomentazioni austriache e neoistituzionaliste suscita dunque un certo<br />

stupore sul piano metodologico: la teoria neoistituzionalista si muove infatti<br />

all’interno di quell’approccio metodologico criticato duramente dalla scuola<br />

austriaca.<br />

Il nostro percorso critico nei confronti della nuova destra si propone un duplice<br />

obiettivo: primo, riteniamo che un’analisi critica dei due dibattiti Stato-mercato e<br />

impresa-mercato possa essere utilizzata come base sulla quale impostare in modo<br />

più corretto l’analisi dei rapporti tra le tre istituzioni; secondo, discutendo i due<br />

dibattiti, cogliamo lo spunto per reagire alle tesi sviluppate dagli economisti della<br />

nuova destra, le quali si basano su argomentazioni, a nostro giudizio, poco<br />

convincenti e, in alcuni casi, contraddittorie.<br />

5


2. <strong>Coordinamento</strong>, <strong>competizione</strong> e <strong>potere</strong> <strong>economico</strong><br />

Nel perseguimento degli obiettivi appena individuati utilizziamo le categorie<br />

concettuali di coordinamento, <strong>competizione</strong> e <strong>potere</strong> <strong>economico</strong> come chiavi di<br />

lettura dei dibattiti Stato-mercato e impresa-mercato e come strumento teorico per<br />

approfondire l’analisi dei rapporti tra le istituzioni economiche del capitalismo.<br />

L’individuazione dei principi di coordinamento, <strong>competizione</strong> e <strong>potere</strong><br />

<strong>economico</strong> come strumenti per l’analisi dei rapporti tra Stato, impresa e mercato è<br />

anch’essa un risultato della nostra indagine.<br />

Dal punto di vista, sia analitico, sia espositivo, procediamo gradualmente<br />

introducendo dapprima solo gli elementi base (per lo più definizioni) per l’analisi<br />

dei rapporti tra Stato, impresa e mercato e approfondendo via via l’analisi dei tre<br />

principi di coordinamento, <strong>competizione</strong> e <strong>potere</strong> <strong>economico</strong>.<br />

Le definizioni prendono dunque corpo nel corso della discussione dei<br />

rapporti tra Stato, impresa e mercato, la quale si sviluppa considerando in<br />

successione la teoria neoclassica, la teoria austriaca e la teoria neoistituzionalista.<br />

Sarà proprio l’analisi delle tre teorie sviluppata nei due dibattiti Stato-mercato e<br />

impresa-mercato a fornirci l’occasione per approfondire i principi di<br />

coordinamento, <strong>competizione</strong> e <strong>potere</strong> <strong>economico</strong>.<br />

L’analisi di coordinamento, <strong>competizione</strong> e <strong>potere</strong> <strong>economico</strong> costituisce<br />

quindi allo stesso tempo l’angolo di attacco per la discussione dei dibattiti Statomercato<br />

e impresa-mercato e il risultato analitico di tali dibattiti.<br />

Una volta conclusa la discussione dei due dibattiti Stato-mercato e<br />

impresa-mercato, riprenderemo in mano le nostre definizioni e investigazioni e ci<br />

dedicheremo all’approfondimento teorico dei principi di coordinamento,<br />

<strong>competizione</strong> e <strong>potere</strong> <strong>economico</strong> tentando una sintesi degli spunti analitici<br />

raccolti nel corso della nostra indagine. Tale approfondimento condurrà<br />

all’elaborazione di uno schema formale di interazione tra i tre principi, il quale<br />

verrà poi utilizzato per ridiscutere le tesi avanzate dagli economisti della nuova<br />

destra.<br />

In tal modo saremo in grado di chiudere il nostro percorso critico nei<br />

confronti della nuova destra giungendo ad un più profondo livello d’analisi sui<br />

meccanismi del sistema capitalista e trovandoci all’attivo uno schema generale di<br />

riferimento per l’analisi dell’evoluzione istituzionale.<br />

6


3. Stato, impresa e mercato<br />

Tra Stato e mercato e tra impresa e mercato è venuta affermandosi una visione<br />

secondo la quale, sia in teoria che in pratica, esistono rapporti antagonistici. La<br />

definizione di tali rapporti antagonistici ha rilevanti implicazioni sul piano politico<br />

e normativo. È importante dunque, a nostro parere, individuarne l’origine teorica.<br />

Gli antagonismi Stato-mercato e impresa-mercato possono essere<br />

ricondotti ai rapporti tra i principi di coordinamento e <strong>competizione</strong>. Spesso,<br />

infatti, nell’analisi dei rapporti tra Stato e mercato, si vede nello Stato l’istituzione<br />

pubblica di coordinamento delle attività private e nel mercato il luogo dove si<br />

realizza l’interazione competitiva tra gli individui; nel caso dei rapporti tra<br />

impresa e mercato, il tipo di rapporto cambia solo di poco: l’impresa (a differenza<br />

dello Stato) è un’istituzione privata, ma essa (come lo Stato) è descritta come il<br />

luogo dove il coordinamento esplicito degli agenti sostituisce la <strong>competizione</strong> che<br />

si realizza nel mercato.<br />

Secondo tale chiave di lettura, è dall’ipotesi di un rapporto antagonistico<br />

tra coordinamento e <strong>competizione</strong> che derivano gli antagonismi Stato-mercato e<br />

impresa-mercato. La doppia associazione Stato-coordinamento, mercato<strong>competizione</strong>,<br />

in un caso, e impresa-coordinamento, mercato-<strong>competizione</strong><br />

nell’altro è però tutt’altro che scontata, soprattutto se si pensa che sia i concetti di<br />

coordinamento e <strong>competizione</strong>, sia i concetti di Stato, impresa e mercato<br />

assumono significati diversi nelle diverse teorie economiche. Per di più<br />

un’associazione stretta tra coordinamento e <strong>competizione</strong> da una parte e Stato,<br />

impresa e mercato dall’altra porta con sé il rischio di far coincidere categorie<br />

analitiche astratte con istituzioni storiche concrete dando luogo a problemi di<br />

coerenza sul piano metodologico. 1<br />

Uno dei problemi che si riscontrano nell’analisi dei rapporti tra Stato,<br />

impresa e mercato da parte delle teorie della nuova destra sta, a nostro parere,<br />

proprio nella rimozione della loro dimensione storico-istituzionale attraverso<br />

concettualizzazioni puramente astratte in cui non v’è riscontro del contesto storico<br />

in cui le tre istituzioni operano. Tale approccio astratto e a-storico allo studio delle<br />

istituzioni capitalistiche costituisce peraltro un aspetto caratterizzante, quasi<br />

definitorio, delle teorie della nuova destra. Dobbiamo dunque aprire una breve<br />

parentesi per individuarne le implicazioni.<br />

La tesi che sosteniamo è che la dimensione storico-istituzionale di Stato,<br />

impresa e mercato è determinante per l’analisi sia positiva, che normativa delle<br />

diverse forme organizzative dei sistemi capitalisti e il fatto che le teorie della<br />

nuova destra non l’analizzino adeguatamente rende discutibili le conclusioni<br />

politiche di tali teorie, in particolare in merito ai problemi (1) della desiderabilità<br />

1 Ed è proprio per evitare un simile rischio che partiamo dalla discussione dei concetti astratti<br />

come strumento d’analisi della realtà istituzionale.<br />

7


del sistema capitalista e (2) dell’ampliamento, al suo interno, delle relazioni di<br />

mercato.<br />

Si considerino i concetti di Stato, impresa e mercato nelle teorie (1) dell’equilibrio<br />

<strong>economico</strong> generale, (2) neoistituzionalista e (3) austriaca.<br />

Nella teoria dell’equilibrio <strong>economico</strong> generale il concetto di mercato è<br />

ricondotto a quello di bene il quale è definito dalle due proprietà di essere utile e<br />

scarso. Per ogni bene si assume un mercato. L’equilibrio del mercato garantisce<br />

l’unicità del prezzo del bene. Quanto detto esaurisce la discussione del mercato<br />

come categoria analitica. Il concetto di mercato, a sua volta, esaurisce il problema<br />

dell’analisi istituzionale nello schema di equilibrio <strong>economico</strong> generale: impresa e<br />

Stato possono infatti essere introdotte nel modello, ma il modello funziona anche<br />

senza tali due istituzioni. 2 Ciò dipende dal fatto che nell’analisi dei rapporti tra<br />

Stato, impresa e mercato secondo l’approccio dell’equilibrio <strong>economico</strong> generale<br />

viene discusso solo il problema allocativo. Impresa e Stato possono quindi essere<br />

introdotte nello schema di equilibrio <strong>economico</strong> generale solo assegnando loro un<br />

ruolo nella soluzione globale del problema allocativo. 3 Impresa e Stato risultano<br />

quindi definite semplicemente come meccanismi allocativi alternativi rispetto al<br />

meccanismo di mercato da prendere in considerazione nei casi di « fallimento del<br />

mercato ». La caratterizzazione dell’impresa e dello Stato che si ottiene è, perciò,<br />

come quella del mercato, astratta e non contestualizzata storicamente.<br />

Il problema di spiegare il ruolo delle varie istituzioni del capitalismo<br />

nell’ambito del paradigma di ricerca neoclassico, è sviluppato dagli economisti<br />

della scuola neoistituzionalista. Sono gli economisti neoistituzionalisti infatti a<br />

sviluppare le considerazioni cui abbiamo accennato in merito all’introduzione di<br />

impresa e Stato nel quadro analitico neoclassico. Tuttavia il fatto di impostare<br />

l’analisi di impresa e Stato a partire dai fallimenti del mercato (definito in senso<br />

astratto) pone agli autori neoistituzionalisti gli stessi problemi riguardanti la<br />

concezione neoclassica del mercato e impedisce loro di sviluppare un’analisi dei<br />

rapporti tra le tre istituzioni che esca dall’impostazione astratta e a-storica<br />

secondo cui le diverse istituzioni del capitalismo non sono altro che meccanismi<br />

allocativi alternativi.<br />

La teoria austriaca si discosta, ma solo di poco da tale visione delle<br />

istituzioni del capitalismo. Come nell’approccio neoclassico-neoistituzionalista il<br />

mercato è l’istituzione fondamentale a partire dalla quale deve essere impostata<br />

l’analisi delle altre due istituzioni. Il concetto di mercato non coincide però con<br />

2 In realtà, sebbene ciò sia raramente esplicitato, nessun modello di transazioni economiche può<br />

funzionare senza un ente che istituisca e garantisca i diritti di proprietà. In tal senso lo Stato<br />

(centralizzato e sovrano) deve considerarsi presente anche negli schemi a massimo grado di<br />

decentramento decisionale come il modello di equilibrio <strong>economico</strong> generale.<br />

3 Tale ruolo, tipicamente, viene assegnato a impresa e Stato ipotizzando che, per qualche motivo, il<br />

mercato fallisca l’efficiente allocazione delle risorse.<br />

8


quello neoclassico di ambiente in cui si determina l’equilibrio. Nella teoria<br />

austriaca il mercato è invece definito come il contesto in cui si realizzano i<br />

processi di interazione competitiva (generalmente di disequilibrio) tra gli agenti.<br />

L’operare del principio di <strong>competizione</strong> nel mercato fa emergere norme regole e<br />

convenzioni le quali vanno a caratterizzare le varie forme istituzionali dei mercati.<br />

Il mercato in sé rimane comunque un concetto astratto nella cui definizione<br />

generale le regole e le convenzioni (caratteristiche dei mercati istituzionalmente<br />

determinati) non entrano. La caratterizzazione del mercato come principio<br />

universale impedisce infatti l’inclusione a livello definitorio delle regole e delle<br />

convenzioni che caratterizzano i diversi mercati reali: le regole e le convenzioni<br />

emergono secondo la scuola austriaca solo come risultato dell’interazione di<br />

mercato e non possono perciò entrare nella definizione del concetto di mercato. 4<br />

L’introduzione in tale quadro di Stato e impresa (per la verità l’impresa non riceve<br />

particolare attenzione da parte degli autori austriaci) e l’analisi dei loro rapporti<br />

col mercato non altera tale approccio astratto all’analisi istituzionale: l’impresa e<br />

lo Stato, come il mercato, sono sì caratterizzate da aspetti convenzionali e norme<br />

formali e informali (la specificazione delle quali permette di identificarle come<br />

istituzioni storicamente determinate), ma la definizione delle tre istituzioni è<br />

astratta e volutamente indipendente da tali aspetti istituzionali. 5<br />

In tutti e tre i casi (neoclassico, neoistituzionalista e austriaco) quindi<br />

l’analisi dei rapporti tra le istituzioni del capitalismo è a-storica e ruotante attorno<br />

al concetto di mercato, definito come principio astratto, indipendente dai suoi<br />

caratteri storici e istituzionali. Ciò fa emergere un problema metodologico<br />

nell’uso normativo delle teorie della nuova destra: se il mercato è definito in senso<br />

a-storico e a-istituzionale su che basi si può derivare la sua desiderabilità politica,<br />

visto che la realizzazione concreta del mercato non può che avvenire in un<br />

determinato contesto storico e assumere una determinata forma istituzionale? 6<br />

L’impostazione dell’analisi dei rapporti tra Stato, impresa e mercato sotto<br />

l’ipotesi che le tre istituzioni siano semplicemente meccanismi allocativi diversi<br />

risulta perciò inutile se si vuole affrontare il problema posto dagli economisti della<br />

nuova destra di individuare i rapporti ideali tra le tre istituzioni. A tal fine infatti,<br />

la dimensione storico-istituzionale deve essere considerata esplicitamente.<br />

4 Come vedremo l’unico autore (nell’ambito di quelli che prenderemo in esame) ad affrontare<br />

l’analisi degli aspetti istituzionali del mercato è Lachmann. La proposta di Lachmann di discutere<br />

di mercati istituzionalmente definiti piuttosto che del mercato inteso in senso astratto è peraltro<br />

alla base dello scetticismo dello stesso Lachmann riguardo alla possibilità di derivare conclusioni<br />

generali sulla desiderabilità del mercato.<br />

5 Anche nell’analisi di impresa e Stato, inoltre, la preoccupazione principale non è quella di<br />

individuare gli effetti delle convenzioni e delle regole istituzionali sui comportamenti dei decisori,<br />

bensì quello di spiegare come gli aspetti convenzionali e normativi possano emergere dalla<br />

spontanea interazione competitiva tra gli agenti.<br />

6 Tale critica è sviluppata in particolare da Tomlinson (1990).<br />

9


A titolo d’esempio, una possibile definizione del mercato in cui si tenga<br />

conto dei suoi aspetti storico-istituzionali è la seguente: il mercato è un ambiente<br />

istituzionale stabile nel quale hanno luogo le transazioni secondo regole formali,<br />

abitudini e norme convenzionali. Se allora vogliamo ragionare sulla desiderabilità<br />

del mercato (più correttamente, delle diverse forme di mercato) in un determinato<br />

contesto storico, caratterizzato da un particolare assetto istituzionale, sono gli<br />

effetti della modificazione delle norme implicite ed esplicite, formali ed informali<br />

che definiscono il mercato e che caratterizzano i suoi rapporti con le altre<br />

istituzioni capitalistiche che devono essere discussi. Ciò significa che il problema<br />

del cambiamento istituzionale non può essere impostato come problema di<br />

desiderabilità del mercato in senso generale, bensì deve essere posto in termini<br />

degli effetti che il cambiamento istituzionale produce sul comportamento degli<br />

attori del mercato (individui, istituzioni e organizzazioni private e pubbliche),<br />

distinguendo questi ultimi in base al <strong>potere</strong> che essi traggono da un determinato<br />

corpo di regole, in base ai tipi di vincoli che tali regole impongono sui loro<br />

comportamenti e in base alla capacità stessa di definire, modificare e far rispettare<br />

le regole istituzionali all’interno delle quali essi stessi operano. Solo una volta<br />

discusse le relazioni che legano i comportamenti degli agenti e le istituzioni ha<br />

senso porre il problema della valutazione, da un punto di vista sociale, della<br />

desiderabilità di un certo cambiamento istituzionale.<br />

L’incoerenza della nuova destra sta perciò, a nostro avviso, nell’impostare<br />

l’analisi dei rapporti tra Stato, impresa e mercato su definizioni astratte non<br />

contestualizzate. Nella realtà non è possibile istituire il mercato astratto; i mercati<br />

reali (e lo stesso vale per le imprese e lo Stato) non possono che assumere<br />

specifici caratteri istituzionali. L’analisi della desiderabilità di un mercato deve<br />

perciò essere discussa in relazione ai particolari tratti istituzionali che lo<br />

caratterizzano storicamente e al contesto istituzionale generale nell’ambito del<br />

quale il mercato in questione si inserisce.<br />

Come dicevamo, il problema della dimensione storico-istituzionale di Stato,<br />

impresa e mercato può essere ricondotto all’associazione delle tre istituzioni con i<br />

principi di coordinamento e <strong>competizione</strong>. La definizione di Stato, impresa e<br />

mercato come concetti astratti può infatti essere fatta dipendere dal carattere<br />

astratto dei principi di coordinamento e <strong>competizione</strong>.<br />

Nelle teorie della nuova destra il mercato come categoria analitica astratta<br />

coincide essenzialmente col concetto di <strong>competizione</strong>: un sistema di mercati<br />

perfetti è un sistema in cui il principio di <strong>competizione</strong> opera senza attriti. 7<br />

7 Le diverse concezioni del mercato nell’ambito delle teorie della nuova destra possono essere<br />

ricondotte alle diverse definizioni del principio di <strong>competizione</strong> cui tali teorie fanno riferimento. In<br />

particolare, le scuole austriaca e neoclassica-neoistituzionalista utilizzano definizioni diverse del<br />

concetto di <strong>competizione</strong>, rispettivamente ex post e ex ante.<br />

10


L’impresa come categoria analitica astratta viene invece definita come un<br />

ambiente in cui è il principio di coordinamento ad operare (e a sostituirsi quindi al<br />

principio di <strong>competizione</strong> del mercato). Lo stesso dicasi per le funzioni allocative<br />

dello Stato, con l’unica differenza, rispetto all’impresa, che la sostituzione del<br />

principio di coordinamento al principio di <strong>competizione</strong> è, a livello sistemico,<br />

totale invece che parziale.<br />

Gli antagonismi Stato-mercato e impresa-mercato di cui cercavamo<br />

l’origine teorica rappresentano quindi solo la proiezione a livello istituzionale<br />

dell’antagonismo astratto tra coordinamento e <strong>competizione</strong>.<br />

Le relazioni antagonistiche che abbiamo individuato possono essere<br />

precisate analiticamente attraverso il concetto di frontiera efficiente. Nelle<br />

condizioni in cui l’operare dei principi di coordinamento e <strong>competizione</strong> produce<br />

effetti allocativi diversi, è infatti possibile definire l’insieme delle combinazioni<br />

dei due principi che risultano ottime dal punto di vista dell’efficienza allocativa.<br />

Possono prospettarsi tre casi: (1) il principio di <strong>competizione</strong> è in ogni circostanza<br />

superiore al principio di coordinamento, (2) la superiorità del principio di<br />

<strong>competizione</strong> rispetto al principio di coordinamento dipende dai tipi di problemi<br />

allocativi posti e (3) il principio di coordinamento è sempre superiore al principio<br />

di <strong>competizione</strong>. Possiamo allora definire la frontiera efficiente tra coordinamento<br />

e <strong>competizione</strong> come l’insieme di combinazioni dei due principi che, in base ai<br />

vari problemi allocativi posti, realizzano l’efficienza allocativa a livello<br />

sistemico. 8<br />

Sulla base della relazione stretta tra i principi di coordinamento e<br />

<strong>competizione</strong> da una parte e Stato, impresa e mercato dall’altra la frontiera<br />

efficiente coordinamento-<strong>competizione</strong> si traduce a livello istituzionale nella<br />

frontiera efficiente Stato-impresa-mercato. Tale frontiera istituzionale efficiente<br />

Il principio competitivo austriaco è simile a quello degli economisti classici: esso<br />

armonizza le attività private e favorisce lo sviluppo <strong>economico</strong> grazie alla flessibilità dei prezzi, la<br />

quale, come una mano invisibile, segnala agli agenti le opportunità di profitto e realizza l’interesse<br />

pubblico. Secondo la visione austriaca esiste una naturale rivalità tra gli individui e la<br />

desiderabilità della concorrenza deriva proprio alla possibilità di sfruttare tale rivalità a scopi<br />

sociali. La <strong>competizione</strong> opera dunque necessariamente ex post in quanto le rivalità (1) devono<br />

manifestarsi prima di poter dar luogo ai risultati dell’interazione sociale e (2) devono essere<br />

incorporate nei prezzi di mercato che si realizzano effettivamente i quali, altrimenti, non<br />

costituiscono segnali efficienti delle opportunità di profitto esistenti.<br />

Nella teoria neoclassica-neoistituzionalista, invece, la <strong>competizione</strong> è un meccanismo<br />

d’equilibrio ex ante; l’uso del metodo dell’equilibrio porta infatti a rappresentare il sistema<br />

<strong>economico</strong> attraverso un sistema di equazioni simultanee, la risoluzione del quale definisce<br />

l’armonizzazione dei piani individuali senza che le rivalità tra gli individui si manifestino<br />

realmente.<br />

8 L’idea di fondo della frontiera efficiente coordinamento-<strong>competizione</strong> è che i due principi<br />

possano, almeno sulla carta, svolgere le stesse funzioni (l’allocazione delle risorse) e che il<br />

problema sia dunque quello di individuare la loro combinazione ottima valutandone, caso per caso,<br />

i rispettivi costi e benefici.<br />

11


(nella misura in cui abbia senso l’associazione tra principi astratti e realtà<br />

istituzionali) consiste delle diverse combinazioni di Stato, impresa e mercato che<br />

danno luogo ad assetti istituzionali-organizzativi non ulteriormente migliorabili<br />

economicamente. 9<br />

Come casi limite della frontiera istituzionale efficiente si possono<br />

considerare i sistemi allocativi basati unicamente sullo Stato o unicamente sul<br />

mercato, i quali corrispondono rispettivamente alle forme pure dei principi di<br />

coordinamento e <strong>competizione</strong>. Tutti i casi intermedi (mix di Stato e mercato, o<br />

casi in cui alle due istituzioni limite si aggiungono anche le imprese) risultano<br />

invece basati sull’operare congiunto di coordinamento e <strong>competizione</strong>.<br />

Al fine di precisare il problema della frontiera istituzionale efficiente<br />

consideriamo, in via esemplificativa, l’analisi del ruolo <strong>economico</strong> dello Stato<br />

nell’approccio dell’equilibrio <strong>economico</strong> generale. Notiamo innanzitutto che il<br />

principio di coordinamento (dello Stato) è preso in considerazione solo per via di<br />

un fallimento del principio competitivo (del mercato). La definizione di uno<br />

spazio analitico per lo Stato presuppone quindi una forma di fallimento del<br />

mercato (più correttamente, possiamo a questo punto dire, di fallimento del<br />

principio di <strong>competizione</strong>). 10 Ciò non è tuttavia sufficiente a spiegare la presenza<br />

dello Stato nella frontiera istituzionale efficiente: se, infatti, facendo gradualmente<br />

espandere l’operare del principio di coordinamento, a spese del principio di<br />

<strong>competizione</strong>, si raggiunge un punto oltre il quale i costi sistemici in termini di<br />

efficienza superano i relativi benefici significa che la frontiera istituzionale<br />

efficiente deve comprendere una struttura allocativa intermedia tra Stato e<br />

mercato (l’impresa) e che la struttura organizzativa di puro coordinamento risulta<br />

anch’essa inefficiente; solo nel caso in cui per un dato problema allocativo è il<br />

principio di coordinamento in forma pura a garantire l’efficienza economica lo<br />

9 Marx, come vedremo, pur assumendo un rapporto antagonistico tra coordinamento e<br />

<strong>competizione</strong>, rigetta l’antagonismo Stato-mercato. Nella teoria marxiana semmai è la relazione<br />

antagonistica capitale-lavoro e fare da perno per l’analisi istituzionale. Secondo Marx i processi<br />

competitivi che si realizzano nel sistema capitalista sono caratterizzati da fenomeni di<br />

concentrazione e centralizzazione. Tali fenomeni non costituiscono degenerazioni del modello<br />

concorrenziale, ma sono il risultato di processi tipici del sistema capitalista difficilmente<br />

contrastabili (anche qualora ce ne fosse il desiderio) dall’autorità statale. Lo Stato stesso è visto<br />

come uno dei teatri dello scontro tra gruppi di <strong>potere</strong> e il suo rapporto col mercato non è quindi di<br />

antagonismo, ma di complementarità: Stato e mercato sono due terreni complementari nei quali si<br />

manifestano le rivalità tra i vari gruppi di <strong>potere</strong>. Per quanto riguarda il principio di<br />

coordinamento, la sua massima espressione si ha nello Stato comunista, in cui le contraddizioni del<br />

sistema capitalista vengono risolte attraverso il coordinamento consapevole e centralizzato dei<br />

processi economici. <strong>Coordinamento</strong> e <strong>competizione</strong> continuano dunque ad essere principi<br />

antagonistici ma, venendo meno l’associazione tra tali principi e le istituzioni di Stato e mercato,<br />

viene meno anche la rivalità Stato-mercato.<br />

10 Questa peraltro è l’impostazione dominante sia dei testi divulgativi, sia dei libri maggiormente<br />

tecnici che si occupano del ruolo dello Stato in economia. Cf., ad esempio, Stiglitz (1989a),<br />

(1989b), Varian (1992).<br />

12


Stato ha ragione di entrare, secondo tale approccio, nella frontiera istituzionale<br />

efficiente. 11<br />

Per concludere, la frontiera istituzionale efficiente Stato-impresa-mercato può<br />

essere intesa come il ventaglio istituzionale dei diversi modi di bilanciare costi e<br />

benefici dei principi di coordinamento e <strong>competizione</strong>. Tale visione dei rapporti<br />

tra Stato, impresa e mercato si basa (1) sulla definizione di una frontiera efficiente<br />

coordinamento-<strong>competizione</strong> e (2) sull’associazione stretta delle istituzioni di<br />

Stato e impresa al principio di coordinamento e dell’istituzione del mercato al<br />

principio di <strong>competizione</strong>. L’insoddisfazione nei confronti (1) dell’ipotesi che<br />

coordinamento e <strong>competizione</strong> siano legati da rapporti di puro antagonismo e (2)<br />

della definizione di un legame stretto tra coordinamento e <strong>competizione</strong> da un lato<br />

e Stato, impresa e mercato dall’altro costituisce l’origine della nostra critica<br />

all’impostazione della nuova destra all’analisi dei rapporti tra Stato, impresa e<br />

mercato.<br />

4. Struttura della tesi<br />

La tesi è strutturata in quattro parti.<br />

La parte I rappresenta il punto di riferimento generale di tutta la tesi. In<br />

essa oltre ai concetti preliminari che individuiamo come rilevanti ai fini<br />

dell’analisi dei rapporti tra Stato, impresa e mercato, si discutono i principali<br />

contributi della teoria neoclassica all’analisi dei rapporti tra le tre istituzioni.<br />

A partire dalle considerazioni svolte nella parte I, nelle parti II e III si<br />

considerano rispettivamente le argomentazioni della scuola austriaca e della<br />

scuola neoistituzionalista. I due blocchi di letteratura sono relativamente<br />

indipendenti l’uno dall’altro, il che significa che il rapporto di sequenzialità tra le<br />

parti II e III è, per lo più, secondario.<br />

Nella parte IV si considera il tentativo di compattare i due blocchi da parte<br />

degli economisti della nuova destra e si propone un modo alternativo di utilizzare<br />

i contributi in positivo e in negativo ricavati dall’analisi delle teorie considerate.<br />

Lo schema della tesi è espresso dal diagramma 1.<br />

11 Nelle presentazioni standard del problema del ruolo dello Stato in economia successivamente ai<br />

casi di fallimento del mercato si discutono infatti i casi di fallimenti dello Stato.<br />

13


Figura 1. LA STRUTTURA DELLA TESI<br />

Parte I<br />

Parte II Parte III<br />

Parte IV<br />

La parte I è costituita di due capitoli. In essa si definiscono gli strumenti teorici<br />

utilizzati nel corso della tesi e si discute l’analisi neoclassica delle istituzioni<br />

capitalistiche in quello che definiamo il contesto decisionale perfetto.<br />

Il capitolo 1 è un capitolo di preliminari che non dà luogo a risultati<br />

analitici; in esso si precisano le nostre definizioni di coordinamento, <strong>competizione</strong><br />

e <strong>potere</strong> <strong>economico</strong> e si introducono i concetti di contesto decisionale e struttura<br />

organizzativa. Le definizioni proposte sono utilizzate sia come strumenti<br />

concettuali per l’analisi istituzionale, sia come linguaggio di riferimento nel quale<br />

tradurre i concetti sviluppati dalle diverse scuole di pensiero con cui ci<br />

confrontiamo in questo lavoro, ciascuna delle quali utilizza la propria<br />

terminologia.<br />

La definizione dei concetti di contesto decisionale e struttura organizzativa<br />

è il perno sul quale si regge l’intera nostra ricerca. Preso un modello <strong>economico</strong>, il<br />

contesto decisionale è definito dalle caratteristiche dei decisori e dall’ambiente in<br />

cui questi agiscono; la struttura organizzativa è definita invece dal modo in cui i<br />

decisori interagiscono. Nel corso della tesi, il confronto tra modelli economici<br />

viene impostato fissando, di volta in volta, il contesto decisionale ed esaminando<br />

le diverse strutture organizzative definibili su di esso. Per capirsi, potrebbe darsi<br />

che una struttura organizzativa vinca il confronto con le altre strutture<br />

organizzative su un determinato contesto decisionale e lo perda su un contesto<br />

decisionale diverso.<br />

Le caratteristiche del contesto decisionale su cui si sofferma la nostra<br />

attenzione sono cinque: tempo, incertezza, informazione, dimensione legale e<br />

razionalità dei decisori. I diversi modi di definire ciascuna delle cinque<br />

dimensioni portano all’individuazione di diversi contesti decisionali.<br />

Nel capitolo 2 si discute il confronto tra strutture organizzative nel contesto<br />

decisionale perfetto. Per il momento, visto che ancora non abbiamo una<br />

definizione precisa del contesto decisionale perfetto, il lettore può fare riferimento<br />

al contesto decisionale su cui è definito il modello di equilibrio <strong>economico</strong><br />

generale di Arrow-Debreu. Si tenga comunque presente che su quel contesto<br />

14


decisionale possono definirsi strutture organizzative diverse rispetto a quella<br />

completamente decentralizzata. In particolare, oltre alla struttura organizzativa di<br />

puro mercato (il modello Arrow-Debreu), si considerano la struttura organizzativa<br />

di puro Stato (formalizzata nel modello di programmazione lineare) e le strutture<br />

organizzative miste in cui coesistono Stato, impresa e mercato.<br />

Il risultato che si evidenzia è che nel contesto decisionale perfetto<br />

l’ottenimento delle condizioni di efficienza non dipende dalla struttura<br />

organizzativa: tutte le strutture organizzative considerate sono in grado di<br />

realizzare le allocazioni efficienti esistenti. I sistemi istituzionali di puro mercato,<br />

di puro Stato e di tipo misto sono perciò equivalenti sul piano dell’efficienza e la<br />

frontiera istituzionale efficiente è costituita da tutte le combinazioni possibili di<br />

Stato, impresa e mercato. L’impossibilità di confrontare su un piano puramente<br />

efficientistico le diverse strutture organizzative implica che qualsiasi<br />

argomentazione a favore o contro una determinata struttura organizzativa passi<br />

per l’introduzione (magari implicita) di giudizi di valore.<br />

Rispetto al problema della separazione dei problemi di produzione e<br />

distribuzione si hanno i seguenti risultati: nello schema di pianificazione la<br />

suddetta separazione è una caratteristica intrinseca del modello; nel modello<br />

Arrow-Debreu essa è invece resa possibile dai due teoremi generali del benessere<br />

i quali (sotto le dovute ipotesi) assicurano che ogni obiettivo distributivo<br />

compatibile con la Pareto efficienza nell’allocazione delle risorse (la quale<br />

comprende il fatto produttivo) può essere realizzato attraverso il meccanismo di<br />

mercato 12 fissando opportunamente la distribuzione iniziale delle risorse e<br />

lasciando al mercato il compito di realizzare la Pareto efficienza allocativa. 13<br />

Come si vede, il capitolo 2 conduce a risultati analitici precisi nell’analisi<br />

delle istituzioni del capitalismo nel contesto decisionale perfetto. Tale analisi, in<br />

un certo senso, rappresenta un punto d’arrivo per quanti ritengano le<br />

caratteristiche teoriche del contesto decisionale perfetto ben rispondenti alla<br />

realtà. Dal nostro punto di vista essa è invece un punto di partenza da usare come<br />

pietra di paragone nel processo di problematizzazione del contesto decisionale ed<br />

è per questo che, nonostante i precisi risultati cui si giunge, il capitolo 2 è<br />

collocato nella prima parte della tesi in cui si forniscono i riferimenti analitici per<br />

l’analisi dei rapporti tra Stato, impresa e mercato.<br />

L’uscita dal contesto decisionale perfetto viene discussa nelle parti II e III<br />

attraverso l’analisi dei dibattiti sorti attorno alla critica austriaca alla<br />

pianificazione socialista e alla teoria neoistituzionalista dell’impresa. Tali dibattiti<br />

ci offrono lo spunto per approfondire rispettivamente l’analisi dei rapporti tra<br />

Stato e mercato e tra impresa e mercato. Le parti II e III, considerate<br />

12 Secondo teorema generale del benessere.<br />

13 Primo teorema generale del benessere.<br />

15


congiuntamente, costituiscono inoltre l’occasione per la discussione critica delle<br />

teorie che abbiamo etichettato della nuova destra. Ciascuna delle due parti ha<br />

perciò un duplice obiettivo (interno ed esterno): (1) l’obiettivo interno (a ciascuna<br />

parte) è di evidenziare i limiti teorici delle due scuole di pensiero e di offrire una<br />

risposta a quelle tesi della nuova destra che, a nostro parere, si basano su<br />

argomentazioni insufficienti o inesatte; (2) l’obiettivo esterno (alle due parti) è di<br />

preparare il terreno per l’analisi dei tentativi di sintesi dei contributi che i due<br />

blocchi teorici di cui si compone la nuova destra forniscono all’analisi dei rapporti<br />

tra Stato, impresa e mercato.<br />

La parte II è dedicata all’analisi austriaca dei rapporti tra Stato e mercato. In<br />

relazione all’obiettivo interno di questa parte, due sono i risultati che vengono<br />

realizzati: (1) l’individuazione di una serie di limiti teorici della scuola austriaca e<br />

(2) la confutazione delle tesi austriache circa l’efficienza del capitalismo e<br />

l’irrazionalità della pianificazione.<br />

L’analisi si sviluppa in tre capitoli. Nel capitolo 3 gli aspetti di fondo<br />

dell’impostazione austriaca all’analisi dei rapporti tra Stato e mercato sono<br />

analizzati discutendo in chiave storico-analitica il dibattito sulla pianificazione (i<br />

cui esponenti più illustri di parte austriaca sono Mises e Hayek). Nel capitolo 4 i<br />

problemi sollevati nel capitolo 3 vengono approfonditi utilizzando gli sviluppi<br />

della teoria austriaca tradizionale da parte degli economisti della scuola austriaca<br />

moderna (in particolare, Kirzner e Lachmann). Attraverso tale analisi l’origine dei<br />

problemi teorici dell’intera scuola austriaca viene individuata nell’insufficiente<br />

rigore analitico nella specificazione del contesto decisionale. L’individuazione dei<br />

limiti interni della teoria austriaca ha due effetti rilevanti: (1) ridimensiona la<br />

portata del contributo austriaco all’analisi delle istituzioni capitalistiche e (2)<br />

invalida le principali tesi sostenute contro la pianificazione. I motivi per cui<br />

l’attacco austriaco alla pianificazione socialista deve essere respinto sono discussi<br />

nel capitolo 5.<br />

Vediamo il percorso interno dei tre capitoli. Nel dibattito sulla pianificazione<br />

(capitolo 3) Mises e Hayek non solo attaccano i fondamenti razionali della<br />

pianificazione economica, ma definiscono anche i tratti distintivi della teoria<br />

austriaca come scuola di pensiero autonoma nell’ambito dell’approccio<br />

metodologico individualistico. Uno degli effetti del dibattito è infatti quello di<br />

esplicitare le caratteristiche del contesto decisionale austriaco come contesto<br />

decisionale alternativo e indipendente rispetto al contesto decisionale perfetto<br />

neoclassico. Ciò non avviene tuttavia in apertura del dibattito, bensì durante il<br />

dibattito stesso e questo causa problemi analitici sul piano del confronto tra<br />

strutture organizzative in quanto le diverse argomentazioni sviluppate (sia tra i<br />

due fronti anti-planning e pro-planning, sia all’interno di ciascun fronte)<br />

presuppongono contesti decisionali non omogenei e, in alcuni casi, mal specificati<br />

16


e non sono perciò immediatamente comparabili. Il lavoro sviluppato nel capitolo<br />

consiste quindi nel precisare gli elementi ambigui dei vari contesti decisionali<br />

assunti e nel discutere il problema del confronto tra strutture organizzative su<br />

ciascuno dei contesti decisionali così precisati.<br />

Le dimensioni del contesto decisionale discusse nel dibattito sulla<br />

pianificazione sono due: tempo e informazione. Attraverso la problematizzazione<br />

di tali dimensioni Mises e Hayek sollevano due problemi rispetto ai quali devono<br />

confrontarsi le diverse strutture organizzative: (1) il problema degli incentivi<br />

(consistente nella definizione di meccanismi che spingano gli individui a<br />

partecipare all’ottenimento delle condizioni d’efficienza sociale); (2) il problema<br />

della conoscenza (secondo il quale la desiderabilità di una struttura organizzativa<br />

deve essere messa in relazione alla capacità di assemblare, coordinare e scoprire la<br />

conoscenza necessaria al funzionamento efficiente del sistema).<br />

La risposta all’attacco austriaco alla pianificazione viene, nell’ambito del<br />

dibattito accademico occidentale, dai market socialist i quali analizzano<br />

unicamente il problema della conoscenza. L’argomento usato dai market socialist<br />

fa leva sulla simulazione del meccanismo di mercato in un sistema pianificato. I<br />

market socialist accettano dunque la razionalità del sistema capitalista e, a partire<br />

da questa, mostrano come un sistema pianificato possa operare altrettanto<br />

efficientemente.<br />

La scuola matematica sovietica, nonostante non partecipi al dibattito<br />

occidentale, prende invece le distanze dalla linea difensiva dei market socialist. La<br />

pianificazione, nella teoria marxiana, non è un artificio per riprodurre il<br />

funzionamento razionale del mercato. Il mercato è infatti considerato inefficiente<br />

e intrinsecamente iniquo e non costituisce dunque un modello da emulare. Nel<br />

sistema capitalista, osservano gli economisti marxiani, non è possibile separare<br />

analiticamente i processi di produzione e distribuzione: se dunque, come<br />

sostengono gli austriaci, il sistema di incentivi capitalistici conduce all’efficienza<br />

produttiva, ciò non può essere indipendente dagli effetti distributivi. La<br />

conclusione che si raggiunge è che (1) la prescrizione normativa del mercato non<br />

può considerarsi estranea ai giudizi di valore e (2) il confronto tra strutture<br />

organizzative in termini puramente efficientistici risulta impossibile.<br />

Mentre le argomentazioni della scuola marxiana offrono una replica efficace alla<br />

linea di attacco fondata sul problema degli incentivi (in quanto produzione e<br />

distribuzione risultano interdipendenti non solo nel contesto decisionale marxiano,<br />

ma anche in quello austriaco), la replica dei market socialist al problema della<br />

conoscenza risulta efficace solo sul proprio contesto decisionale, ma non su quello<br />

austriaco. Nonostante sia chiaro già dai risultati del capitolo 3 che il problema<br />

della conoscenza assuma toni diversi nelle trattazioni degli austriaci e dei market<br />

socialist, una sua analisi rigorosa richiede un approfondimento in merito alle altre<br />

dimensioni del contesto decisionale austriaco. In particolare, la dimensione che<br />

17


per i suoi stretti legami con le dimensioni informativa e temporale deve essere<br />

approfondita è quella dell’incertezza.<br />

Il capitolo 4 si apre quindi con un approfondimento della dimensione<br />

dell’incertezza. Tale approfondimento permette di precisare, anche se solo<br />

parzialmente, la posizione hayekiana nell’analisi dei processi conoscitivi. Le<br />

ambiguità sulle caratteristiche del contesto decisionale hayekiano in tema di<br />

incertezza (e, dunque, di conoscenza e tempo) non possono però essere eliminate.<br />

Imponendo alcune condizioni di coerenza negli scritti di Hayek sulla conoscenza<br />

si individuano due possibili interpretazioni del contesto decisionale hayekiano. Il<br />

confronto tra strutture organizzative viene, a questo punto, sviluppato su ciascuno<br />

dei due contesti decisionali così definiti. 14<br />

L’analisi sui due diversi contesti decisionali è approfondita, nell’ambito<br />

degli autori della scuola austriaca moderna, da Kirzner e Lachmann. Nell’opera di<br />

Kirzner e Lachmann il problema del confronto tra strutture organizzative viene<br />

impostato come problema della convergenza del processo di mercato. Le<br />

condizioni di convergenza del processo di mercato vengono così implicitamente<br />

identificate con le condizioni di desiderabilità (o efficienza) del sistema di<br />

mercato.<br />

Il risultato che si raggiunge tramite la discussione delle posizioni di<br />

Kirzner e Lachmann è duplice: (1) si individuano le conseguenze analitiche al<br />

punto di vista del confronto tra strutture organizzative delle assunzioni dei<br />

contesti decisionali kirzneriano e lachmanniano (risolvendo con ciò anche il<br />

problema di valutare la portata della critica hayekiana su ambedue i contesti<br />

decisionali risultanti dalle due diverse possibili interpretazioni dell’opera<br />

dell’autore austriaco); (2) si individuano alcuni limiti teorici interni anche dei<br />

protagonisti del revival austriaco. Oltre a tali risultati, il capitolo fornisce un<br />

contributo analitico, consistente nella formalizzazione del processo di<br />

formulazione dei piani individuali. Tale contributo è utilizzato, nell’ambito del<br />

capitolo, prevalentemente a scopo di confronto interno tra le posizioni dei leader<br />

della scuola austriaca tradizionale e moderna; esso tuttavia costituisce anche uno<br />

strumento d’analisi per il confronto tra strutture organizzative ed è questo secondo<br />

tipo di utilizzazione che riceve sviluppo organico nel prosieguo dell’indagine<br />

(soprattutto nel capitolo 9).<br />

Il capitolo 5 conclude la seconda parte della tesi mettendo insieme gli elementi<br />

sollevati nei capitoli precedenti. Le tesi austriache in merito ai problemi degli<br />

incentivi e della conoscenza vengono rianalizzate allo scopo di valutare l’efficacia<br />

globale dell’attacco austriaco (tradizionale e moderno) alla pianificazione.<br />

14 L’individuazione di due possibili contesti decisionali (tra loro incompatibili) implica che solo le<br />

argomentazioni sviluppate da Hayek che presuppongono uno stesso contesto decisionale possono<br />

essere utilizzate per sviluppare tesi più complesse, mentre non è consentito utilizzare<br />

congiuntamente argomentazioni che presuppongono contesti decisionali diversi.<br />

18


Secondo i canoni epistemologici austriaci il confronto tra strutture<br />

organizzative non deve coinvolgere giudizi di valore. L’individuazione di giudizi<br />

di valore nella discussione dei problemi degli incentivi e della conoscenza (negli<br />

autori della scuola austriaca tradizionale e moderna) non solo rende incoerente la<br />

critica austriaca, ma ripropone un risultato fondamentale raggiunto anche<br />

nell’analisi del contesto decisionale perfetto, ossia l’impossibilità di ordinare le<br />

strutture organizzative in assenza di giudizi di valore.<br />

A partire da tale risultato la proposta che si avanza è quella di inserire<br />

esplicitamente i giudizi di valore nell’analisi istituzionale e nel confronto tra<br />

strutture organizzative e di fare dei giudizi di valore il punto forte attorno al quale<br />

reimpostare il dibattito. Il risultato che si raggiunge dall’operazione di<br />

esplicitazione dei giudizi di valore su cui si fonda la teoria austriaca può essere<br />

sintetizzato nell’espressione « da ognuno secondo i suoi bisogni, a ciascuno<br />

secondo le sue capacità », la quale rappresenta un ribaltamento rispetto al famoso<br />

motto marxista-leninista « da ognuno secondo le sue capacità, a ciascuno<br />

secondo i suoi bisogni ». 15<br />

Nella parte III si analizza la teoria neoistituzionalista dei rapporti tra Stato,<br />

impresa e mercato. 16 L’obiettivo è quello di individuare i limiti teorici della scuola<br />

neoistituzionalista e gli elementi analitici necessari al loro superamento. L’analisi<br />

si divide in due capitoli: nel capitolo 6 si analizzano criticamente i principali<br />

contributi alla teoria neoistituzionalista individuando gli aspetti che, a nostro<br />

giudizio, risultano insoddisfacenti e che richiedono ulteriori indagini. Tali aspetti<br />

sono approfonditi nel capitolo 7, nel quale, utilizzando argomentazioni di matrice<br />

marxiana, istituzionalista e radicale, si discutono i limiti teorici della scuola<br />

neoistituzionalista e si individua una direzione di indagine idonea al loro<br />

superamento.<br />

Nella scuola neoistituzionalista (capitolo 6) l’analisi dell’evoluzione istituzionale<br />

è sviluppata secondo il metodo statico-comparato: se il confronto tra due sistemi<br />

istituzionali (strutture organizzative) permette di stabilire la superiorità sul piano<br />

della Pareto efficienza dell’uno sull’altro, secondo gli economisti<br />

neoistituzionalisti, è possibile dedurre che storicamente il sistema più efficiente<br />

tenderà ad affermarsi, soppiantando quello meno efficiente. Dato che, come si è<br />

detto, nel contesto decisionale perfetto tutte le strutture organizzative risultano<br />

equivalenti sul piano dell’efficienza, il successo dell’operazione<br />

neoistituzionalista risulta subordinato all’introduzione di imperfezioni nel<br />

15 Marx und Engels (1878), Lenin (1917a).<br />

16 Nella teoria neoistituzionalista vengono considerati anche i rapporti Stato-mercato, ma solo<br />

come caso limite dei rapporti impresa-mercato<br />

19


contesto decisionale che implichino il restringimento della frontiera istituzionale<br />

efficiente.<br />

In base alle dimensioni del contesto decisionale che vengono<br />

problematizzate si individuano due filoni di ricerca distinti. Nel primo filone la<br />

discussione si incentra solo sull’informazione, nel secondo filone si discutono<br />

anche la dimensione legale e la razionalità. Due aspetti rilevanti separano i<br />

risultati dei due filoni: (1) la negazione da una parte e il riconoscimento dall’altra<br />

dell’esistenza di relazioni di <strong>potere</strong> tra gli agenti nel sistema capitalista e (2) le<br />

diverse definizioni di impresa utilizzate. Gli elementi in comune tra i due filoni<br />

sono invece tre: (1) i rapporti tra Stato, impresa e mercato sono considerati in<br />

termini di sostituzione (ossia basati su una visione antagonistica tra le tre<br />

istituzioni) piuttosto che di complementarità, (2) il problema dell’assetto<br />

istituzionale efficiente è fatto coincidere con l’ottimizzazione del problema<br />

produttivo (viene cioè trascurato il problema distributivo), (3) la tesi che<br />

l’evoluzione istituzionale sia regolata dal principio di efficienza è fatta dipendere<br />

dall’ipotesi che le scelte individuali siano completamente libere, il che<br />

presuppone una dicotomia netta tra volontarietà e coercizione nei principi<br />

dell’azione umana.<br />

La problematizzazione del contesto decisionale consente ai due filoni della<br />

teoria neoistituzionalista di definire le condizioni che fanno dell’impresa<br />

un’istituzione efficiente e di ridurre la frontiera istituzionale efficiente ad un solo<br />

punto (o, sotto condizioni meno favorevoli, ad un insieme finito di punti). Nei<br />

limiti in cui tali condizioni siano riscontrabili nei contesti storici reali, la teoria<br />

neoistituzionalista considera risolto il problema di spiegare l’emergenza storica<br />

dell’impresa e l’evoluzione nel tempo del contesto organizzativo-istituzionale.<br />

L’individuazione del punto istituzionale efficiente risolve inoltre, secondo<br />

gli economisti neoistituzionalisti, il problema della desiderabilità delle strutture<br />

organizzative senza bisogno di introdurre giudizi di valore. Tale tesi non è in<br />

realtà sostenibile in quanto si basa sulla separazione analitica tra produzione e<br />

distribuzione (la quale, nello studio del sistema capitalista, è priva di fondamento<br />

fuori dalle ipotesi del contesto decisionale perfetto) e sull’analisi esclusiva della<br />

produzione (la quale assume validità normativa solo all’interno di un preciso<br />

sistema di valori).<br />

Il fatto che la distribuzione iniziale delle risorse sia un dato negli esercizi<br />

di statica comparata, l’uso stesso del metodo statico-comparato come strumento<br />

d’analisi storica e la superficialità teorica della dicotomia volontarietà-coercizione<br />

sono individuati come i principali punti deboli della teoria neoistituzionalista.<br />

I limiti teorici individuati nel capitolo 6 sono sviluppati organicamente nel<br />

capitolo 7. La precisazione del contesto decisionale neoistituzionalista permette di<br />

ricompattare i due filoni della ricerca neoistituzionalista e di individuare i tratti di<br />

complementarità tra essi e l’approccio neoclassico. Il problema di fondo<br />

20


dell’approccio neoistituzionalista complessivamente considerato riguarda il<br />

metodo stesso di analisi dei rapporti tra Stato, impresa e mercato: secondo tale<br />

metodo l’esistenza di impresa e Stato viene derivata (per questioni di efficienza) a<br />

partire da un sistema di soli mercati. Il fatto è che tale sistema iniziale, oltre a non<br />

trovare riscontri su un piano storico, risulta internamente contraddittorio sul piano<br />

logico.<br />

Le critiche istituzionaliste e radicali portano, in un certo senso, ad invertire<br />

i rapporti logico-cronologici mercato-impresa e mercato-Stato: (1) il mercato,<br />

essendo definito come luogo di scambio, non è atto a risolvere il problema<br />

produttivo, il che implica che l’esistenza del mercato presuppone l’esistenza di<br />

unità produttive (ad esempio, le imprese); (2) il mercato, logicamente e<br />

storicamente, non può essere istituito in assenza di un sistema ben definito di<br />

diritti di proprietà, la garanzia del quale richiede l’esistenza di un ente sovrano (lo<br />

Stato). La conclusione che se ne trae è che l’indagine sulla natura istituzionale di<br />

Stato, impresa e mercato deve passare per l’approfondimento delle relazioni tra<br />

loro e i tratti della loro coevoluzione storica. Tutto ciò comporta il passaggio da<br />

un’ottica di sostituzione ad un’ottica di complementarità: le tre istituzioni non<br />

sono sostituibili le une con le altre in base alle esigenze allocative efficientistiche<br />

del momento: esse espletano funzioni diverse (solo in minima parte<br />

intercambiabili) e la loro caratterizzazione istituzionale deve perciò comprendere<br />

dimensioni che trascendano la loro funzione puramente allocativa.<br />

Un esame attento della dicotomia volontarietà-coercizione evidenzia<br />

l’insostenibilità della stessa. Ciò invalida sia l’analisi esplicativa dell’assetto<br />

istituzionale come risultato di un processo evolutivo, sia la tesi dell’efficienza<br />

delle istituzioni capitalistiche. La via per il superamento di tale dicotomia è<br />

individuata nell’analisi della categoria analitica del <strong>potere</strong> <strong>economico</strong>. Nell’ottica<br />

del <strong>potere</strong> <strong>economico</strong> ogni scelta risulta allo stesso tempo coatta (in quanto<br />

vincolata) e volontaria (per la definizione stessa di scelta). Dal punto di vista<br />

analitico, utilizzando alcuni spunti dell’analisi marxiana, si individuano due<br />

caratteristiche rilevanti del concetto di <strong>potere</strong> <strong>economico</strong>: esso deve essere inteso<br />

in senso dinamico e sociale. Un’analisi del <strong>potere</strong> <strong>economico</strong> che permetta di<br />

endogenizzare anche la distribuzione delle risorse ha inoltre bisogno di un quadro<br />

teorico di riferimento in cui scambio e produzione possano essere distinti<br />

analiticamente.<br />

Nella parte IV si ricompattano gli spunti dei tre blocchi neoclassico, austriaco e<br />

neoistituzionalista, mettendo insieme le principali conclusioni raggiunte nel corso<br />

dell’indagine. L’analisi è divisa in due capitoli: nel capitolo 8, a partire<br />

dall’analisi dei limiti delle scuole austriaca e neoclassica-neoistituzionalista, si<br />

discutono (1) l’incompatibilità metodologica tra le due scuole e (2) i conseguenti<br />

limiti teorici dei tentativi di sintesi tra esse; nel capitolo 9, si avanza una proposta<br />

21


analitica intesa a fornire una più corretta visione dei rapporti istituzionali<br />

nell’ambito del capitalismo.<br />

Nel capitolo 8, dando per acquisiti i limiti teorici delle teorie neoclassica,<br />

austriaca e neoistituzionalista individuati nelle parti precedenti, si dimostra (1) che<br />

l’impostazione neoclassica e quella neoistituzionalista sono parte di un<br />

programma di ricerca comune sotto il profilo metodologico e (2) che tale<br />

programma di ricerca è incompatibile, sempre sotto il profilo metodologico, con<br />

quello sviluppato nell’impostazione austriaca.<br />

Le due tesi si basano su un’analisi dei rapporti di compatibilità tra i<br />

rispettivi contesti decisionali delle tre scuole di pensiero considerate, sui<br />

significati che le tre scuole assegnano ai principi di coordinamento e <strong>competizione</strong><br />

e sull’ottica valutativa che le tre scuole adottano nel confronto tra strutture<br />

organizzative. Le teorie neoclassica e neoistituzionalista utilizzano come<br />

riferimento il contesto decisionale perfetto (introducendo in esso diversi tipi di<br />

estensioni e generalizzazioni); la teoria austriaca rifiuta invece il riferimento al<br />

contesto decisionale perfetto e si pone esplicitamente l’obiettivo di definire un<br />

contesto decisionale alternativo ad esso. Ciò porta le scuole neoclassicaneoistituzionalista<br />

e austriaca a sviluppare concezioni diverse dei principi di<br />

coordinamento e <strong>competizione</strong> e ad adottare ottiche valutative opposte,<br />

(rispettivamente a posteriori e a priori), nell’analisi di desiderabilità delle<br />

strutture organizzative. L’impossibilità di definire un approccio comune in cui<br />

integrare le diverse concezioni di coordinamento e <strong>competizione</strong> e le diverse<br />

ottiche valutative è ricondotta all’incompatibilità tra i contesti decisionali.<br />

L’incompatibilità tra l’approccio neoclassico-neoistituzionalista e quello<br />

austriaco implica che i tentativi di alleanza politica tra le due scuole di pensiero<br />

siano insostenibili su un piano metodologico. La nostra conclusione è quindi che<br />

le argomentazioni volte a promuovere l’estensione dei margini di manovra dei<br />

grandi capitali e ad estendere la sfera del libero mercato sono indifendibili sia se<br />

valutate nell’ambito delle singole scuole di pensiero appartenenti alla nuova<br />

destra, sia se valutate nell’ambito dei programmi di ricompattazione tra le varie<br />

teorie della nuova destra.<br />

Nel capitolo 9 la discussione critica delle singole scuole di pensiero considerate e<br />

dei progetti di riunificazione tra esse viene utilizzata come base per il passaggio<br />

alla fase propositiva dell’analisi dei rapporti tra le istituzioni capitalistiche. La<br />

nostra proposta si fonda su una serie di scelte esplicite circa le ipotesi da assumere<br />

riguardo il contesto decisionale e porta alla definizione di uno schema dinamico<br />

sequenziale di interazione tra i principi di coordinamento, <strong>competizione</strong> e <strong>potere</strong><br />

<strong>economico</strong>. Una seconda proposta teorica è costituita dall’approfondimento e dal<br />

completamento dello schema del processo di formulazione dei piani costruito nel<br />

capitolo 4. Gli schemi di coordinamento, <strong>competizione</strong> e <strong>potere</strong> <strong>economico</strong> e del<br />

22


processo di formulazione dei piani sono poi integrati all’interno di uno schema<br />

unico, il quale costituisce il nostro contributo alla definizione di un quadro<br />

analitico per l’analisi dell’evoluzione istituzionale. Tale schema rappresenta una<br />

griglia di riferimento all’interno della quale è possibile collocare i contributi di<br />

scuole di pensiero diverse ai vari aspetti problematici del rapporto di mutua<br />

causalità tra processi decisionali individuali ed evoluzione del contesto socioistituzionale.<br />

Lo schema viene poi utilizzato per riesaminare i due temi centrali<br />

dell’indagine della nuova destra: (1) la spiegazione del relativo ordine dei processi<br />

economici capitalistici e della stabilità della struttura organizzativa capitalistica e<br />

(2) l’individuazione dei criteri per la desiderabilità di quest’ultima.<br />

Rispetto al problema di spiegare a livello teorico l’ordine dei processi<br />

economici reali, lo schema porta all’uscita dalle problematiche dell’equilibrio e<br />

della convergenza sviluppate rispettivamente dalla scuola neoclassicaneoistituzionalista<br />

e da quella austriaca e all’impostazione del problema in termini<br />

di stabilità delle dinamiche evolutive dei sistemi istituzionali. Dal punto di vista<br />

analitico, è proprio il <strong>potere</strong> <strong>economico</strong>, elemento trascurato dalle teorie della<br />

nuova destra, a giocare un ruolo primario nella spiegazione del relativo ordine dei<br />

processi economici capitalistici e della relativa stabilità evolutiva della strutture<br />

organizzative capitalistiche.<br />

Rispetto al problema dei criteri di desiderabilità istituzionale, è ancora<br />

l’introduzione del <strong>potere</strong> <strong>economico</strong> nel quadro analitico ad avere gli effetti<br />

maggiormente incisivi: l’analisi del <strong>potere</strong> <strong>economico</strong> impedisce infatti la<br />

derivazione di criteri neutrali per stabilire la desiderabilità-efficienza delle<br />

strutture organizzative.<br />

* * *<br />

Prima di iniziare, una nota di avvertimento sul carattere delle critiche che<br />

avanzeremo nel corso della tesi alle teorie della nuova destra. Esse sono<br />

essenzialmente di carattere interno.<br />

Secondo alcuni le critiche interne sono le più forti in quanto, nella misura<br />

in cui siano efficaci, sconfiggono l’avversario sul suo stesso campo. D’altra parte<br />

se è possibile criticare una teoria sullo stesso terreno in cui essa si muove è<br />

possibile che sia il terreno stesso ad essere poco saldo. 17 Inoltre, è oramai<br />

opinione diffusa con la quale concordiamo, che l’incoerenza interna di una teoria<br />

non è sufficiente al suo abbandono. Una nuova teoria più promettente deve essere<br />

proposta in alternativa. 18<br />

Coloro che siano interessati alla definizione di una proposta alternativa<br />

potrebbero dunque non condividere la nostra scelta di assumere come base<br />

17 Cf. Graziani (1997, pp. 210-5).<br />

18 Kuhn (1970).<br />

23


d’analisi teorie insoddisfacenti sotto tanti punti di vista, invece di lavorare a<br />

paradigmi più promettenti. Se lo facciamo è perché riteniamo che anche replicare<br />

alle tesi della nuova destra sia un obiettivo in sé.<br />

Dal punto di vista del contributo propositivo della tesi, esso è<br />

rappresentato essenzialmente dalla chiave di lettura proposta, basata su<br />

coordinamento, <strong>competizione</strong> e <strong>potere</strong> <strong>economico</strong> e dagli specifici punti che<br />

abbiamo menzionato, la cui originalità e importanza sta, comunque, al lettore di<br />

valutare.<br />

Il fatto che le nostre proposte siano costruite a partire dalla discussione<br />

delle teorie della nuova destra non deve comunque far apparire la critica a tali<br />

teorie come un semplice strumento, in quanto è nostra opinione che lo scontro<br />

teorico, per quanto in modo sempre più clandestino, vada assumendo caratteri<br />

sempre più politici.<br />

Scriveva Keynes:<br />

« Le idee degli economisti e dei filosofi politici, così quelle giuste come quelle<br />

sbagliate, sono più potenti di quanto si ritenga comunemente. In realtà il mondo è<br />

governato da poche cose all’infuori di quelle ». 19<br />

Se le nostre idee contano, le idee della nuova destra rappresentano un’offesa<br />

politica e non esiste approccio alternativo che si possa permettere di non fare i<br />

conti con esse. L’intervento consapevole nel dibattito teorico deve allora<br />

considerarsi in sé la realizzazione di un importante obiettivo politico.<br />

Non replichiamo dunque ai lettori interessati unicamente al lato<br />

propositivo appellandoci all’insindacabilità della domanda; piuttosto li invitiamo<br />

ad una discussione politica sulla validità della nostra idea di utilizzare gli<br />

argomenti dei valori e della distribuzione come piede di porco contro l’ideologia<br />

del mercato e come strumento di intervento <strong>economico</strong> e sociale.<br />

La nostra domanda è dunque sul tavolo della discussione e di essa<br />

rispondiamo appieno, anche se solo in sede politica. Viceversa, come vuole la<br />

prassi, rispondiamo per intero e in ogni sede di eventuali errori, imprecisioni o<br />

debolezze nelle nostre argomentazioni.<br />

19 Keynes (1936, [1963, p. 340]).<br />

24


PRIMA PARTE<br />

Riferimenti analitici per l’analisi dei rapporti<br />

tra Stato, impresa e mercato<br />

25


1<br />

PRELIMINARI<br />

I principi di coordinamento e <strong>competizione</strong> sono centrali nell’analisi di diverse<br />

scuole di pensiero. Le teorie dei meccanismi attraverso cui tali principi operano e<br />

le conclusioni circa la desiderabilità dei due principi non sono tuttavia unanimi,<br />

anzi, in alcuni casi, sono opposte. Ciò è il riflesso non solo di diverse visioni del<br />

mondo, ma anche di diverse definizioni dei concetti stessi di coordinamento e<br />

<strong>competizione</strong>. Il problema del <strong>potere</strong> <strong>economico</strong> è poi ancora più grave: il <strong>potere</strong><br />

<strong>economico</strong>, secondo alcune scuole economiche, è addirittura inesistente.<br />

Lo scopo del capitolo è di definire i concetti di coordinamento,<br />

<strong>competizione</strong> e <strong>potere</strong> <strong>economico</strong> così da precisare sia il confronto tra le nostre<br />

posizioni e quelle delle scuole di pensiero alle quali ci rapporteremo nel corso di<br />

questo lavoro, sia il confronto reciproco tra tali scuole (1.1).<br />

L’operare dei principi di coordinamento e <strong>competizione</strong> è alla base del<br />

confronto tra modelli economici basati su diverse combinazioni dei due principi<br />

(o al limite su uno solo di essi). Per operare tale confronto i due principi devono<br />

essere valutati secondo criteri opportuni; ciò pone il problema dell’ottica in cui i<br />

due principi vadano valutati. A tale scopo definiamo due criteri di valutazione,<br />

uno a priori, l’altro a posteriori (1.2).<br />

Introduciamo infine altre due definizioni di carattere generale: quella di<br />

contesto decisionale e quella di struttura organizzativa (1.3). È nostra opinione<br />

infatti che il modo di intendere i rapporti tra coordinamento e <strong>competizione</strong> (e la<br />

possibilità di cogliere l’operare del <strong>potere</strong> <strong>economico</strong>) dipenda in maniera<br />

determinante dal tipo di contesto decisionale assunto a riferimento.<br />

26


1.1. Definizione di coordinamento, <strong>competizione</strong> e<br />

<strong>potere</strong> <strong>economico</strong><br />

Non esiste una definizione unanimemente riconosciuta dei concetti di<br />

coordinamento e <strong>competizione</strong>. Per di più l’idea stessa che al concetto di<br />

<strong>competizione</strong> possa contrapporsi (o anche, semplicemente, porsi accanto) il<br />

concetto di coordinamento pone problemi terminologici e di sostanza. Secondo la<br />

scuola austriaca, ad esempio, il meccanismo concorrenziale, basato sul principio<br />

di <strong>competizione</strong>, è esso stesso un meccanismo di coordinamento.<br />

La contrapposizione coordinamento-<strong>competizione</strong> non piace neanche agli<br />

autori di tradizione marxiana, i quali, pur accettandola in senso generale,<br />

enfatizzano maggiormente la contrapposizione tra <strong>competizione</strong> e comando: 20<br />

quest’ultima contiene in sé il concetto di <strong>potere</strong> o, nei termini marxiani, di<br />

autorità: se esiste la possibilità di infliggere direttamente sanzioni si ha<br />

un’autorità di comando; se la punizione può essere inflitta unicamente attraverso<br />

la cessazione delle relazioni si parla di autorità di <strong>competizione</strong>.<br />

Nonostante il nostro angolo di attacco al problema si differenzi sia da<br />

quello della scuola austriaca, sia da quello marxiano, è proprio a tali due scuole<br />

che ci rivolgiamo per precisare la nostra visione dei principi di coordinamento e<br />

<strong>competizione</strong>.<br />

Marx (1867) oltre alla distinzione tra autorità di comando e autorità di<br />

<strong>competizione</strong>, distingue tra coordinamento ex ante e coordinamento ex post a<br />

seconda che esso preceda o segua l’attuazione delle decisioni. Nel coordinamento<br />

ex ante le decisioni sono attuate solo una volta che gli agenti abbiano provato a<br />

rendere i propri piani compatibili. Nel coordinamento ex post invece si suppone<br />

che le incompatibilità tra piani si manifestino effettivamente e che, proprio per il<br />

realizzarsi di queste, gli agenti modifichino i piani in direzione tale da eliminare<br />

alcune delle incompatibilità iniziali.<br />

La distinzione marxiana è compatibile con la definizione mengeriana dei<br />

concetti di istituzione pragmatica e istituzione organica. Menger (1983) definisce<br />

tali due concetti come opposti, nel senso che il primo si basa su un’attività<br />

intenzionale da parte di un coordinatore, mentre il secondo opera<br />

automaticamente come il risultato dell’interazione spontanea tra individui. Come<br />

è noto, la contrapposizione tra intenzionalità e spontaneità è uno dei caratteri<br />

distintivi dell’analisi sviluppata dall’intera scuola austriaca 21 e, sebbene da<br />

un’angolazione ideologica opposta, è cruciale anche nella critica marxiana del<br />

sistema capitalista.<br />

20<br />

La contrapposizione <strong>competizione</strong>-comando è proposta da Marx nel primo libro del capitale.<br />

Marx (1867).<br />

21<br />

In Hayek (1973, cap. 2) ad esempio la contrapposizione tra taxis e kosmos riflette lo stesso tipo<br />

di contrasto tra coordinamento intenzionale e coordinamento spontaneo.<br />

27


A partire dalle definizioni marxiane e mengeriane esplicitiamo le nostre.<br />

Il motivo per cui non accettiamo il pacchetto di definizioni mengeriane o<br />

marxiane è che le prime non affrontano adeguatamente il tema del <strong>potere</strong><br />

<strong>economico</strong> e, nelle seconde, il <strong>potere</strong> <strong>economico</strong> entra a far parte delle stesse<br />

definizioni di coordinamento e <strong>competizione</strong>.<br />

Rispetto alle definizioni marxiane precisiamo che ci sembra perfettamente<br />

corretto discutere le relazioni di <strong>potere</strong> nell’analisi di coordinamento e<br />

<strong>competizione</strong>, dati gli stretti legami tra essi; tuttavia, almeno in fase definitoria,<br />

preferiamo tenere distinti i principi di coordinamento e <strong>competizione</strong> dalle<br />

considerazioni sul <strong>potere</strong> <strong>economico</strong>. La nostra scelta dipende dagli obiettivi della<br />

nostra indagine. La definizione dei concetti analitici è inevitabilmente legata alla<br />

specificazione del problema da analizzare. In tal senso, precisiamo che l’oggetto<br />

del nostro interesse è la compatibilità tra i piani dei decisori.<br />

Definiamo il principio di coordinamento ex ante come il principio mediante il<br />

quale si interviene intenzionalmente sul processo di formulazione dei piani dei<br />

decisori, al fine di gestire (o, al limite, eliminare) il problema della (eventuale)<br />

incompatibilità tra i piani stessi. 22<br />

L’azione del principio di coordinamento si manifesta tipicamente in forma<br />

di processo nell’ambito di una sequenza concatenata nella quale i piani dei<br />

decisori vengono successivamente modificati. Nell’ambito di tale sequenza, la<br />

convergenza del processo di revisione dei piani (ossia la graduale riduzione delle<br />

incompatibilità tra i piani) definisce l’efficacia del principio di coordinamento.<br />

Il motivo per cui interpretiamo il principio di coordinamento in senso ex<br />

ante è che nell’ipotesi in cui gli effetti delle incompatibilità tra i piani si siano già<br />

realizzati, il coordinamento deve intendersi come (almeno in parte) fallito;<br />

secondo la nostra definizione del principio di coordinamento, il tentativo di<br />

eliminare le incompatibilità tra i piani deve perciò realizzarsi prima che queste<br />

possano manifestare (per intero) i loro effetti.<br />

La definizione del principio di coordinamento come principio ex ante non<br />

implica che esso sia necessariamente in grado di eliminare le incompatibilità tra i<br />

piani degli agenti (ossia di realizzare una situazione di equilibrio in senso<br />

austriaco): in una visione sequenziale può aversi coordinamento ex ante<br />

imperfetto, nel senso che, successivamente all’attività di coordinamento, si<br />

conservi un’incompatibilità residua tra i piani la quale, letta come errore dal<br />

coordinatore, può essere utilizzata, successivamente, per migliorare l’attività<br />

stessa di coordinamento. Il successo dell’attività di coordinamento non deve<br />

dunque necessariamente stabilirsi a priori. Il principio di coordinamento come<br />

attività progettuale ed intenzionale deve però, secondo la nostra definizione,<br />

22 La nostra definizione di coordinamento ex ante si ispira alle definizioni marxiana e mengeriana<br />

di coordinamento ex ante e istituzione pragmatica.<br />

28


essere inteso come un processo volto ad eliminare le incompatibilità in un’ottica<br />

ex ante.<br />

Se poi i piani vengono resi perfettamente coerenti e le incompatibilità<br />

completamente eliminate parleremo di coordinamento ex ante perfetto.<br />

Per il principio di <strong>competizione</strong> utilizziamo due definizioni, una ex ante, l’altra ex<br />

post. Alla base di ambedue le definizioni c’è l’idea che il motore del principio<br />

competitivo sia rappresentato dalle rivalità individuali. L’importanza delle rivalità<br />

tra i decisori implica che vi debba essere interazione tra essi o, quanto meno, un<br />

relazionarsi reciproco.<br />

Definiamo il principio di <strong>competizione</strong> ex post come un principio,<br />

operante sull’interazione tra gli individui, attraverso il quale le incompatibilità tra<br />

i piani vengono eliminate (se vengono eliminate) per effetto del manifestarsi delle<br />

rivalità tra i decisori, senza che alcuno di essi si adoperi intenzionalmente allo<br />

scopo. Il carattere ex post della definizione sta nel fatto che le rivalità si<br />

manifestino effettivamente nell’interazione tra gli individui. 23<br />

Il manifestarsi delle rivalità nell’interazione tra gli individui implica che i<br />

processi di revisione dei piani individuali siano caratterizzati da spiazzamento,<br />

ossia dall’impossibilità, almeno per alcuni agenti, di veder realizzati appieno i<br />

propri piani durante l’intero processo.<br />

Per principio di <strong>competizione</strong> ex ante intendiamo invece il principio operante<br />

sulla formulazione dei piani individuali mediante il quale ciascun decisore emette<br />

dei segnali strategici nel tentativo di rendere i propri piani realizzabili, risolvendo<br />

a proprio vantaggio la (supposta) rivalità con gli altri decisori. In tal caso è il<br />

relazionarsi reciproco tra i decisori attraverso congetture sui piani altrui che si<br />

realizza prima dell’interazione che conduce, in caso di efficacia totale del<br />

principio di <strong>competizione</strong> ex ante, alla compatibilità dei piani. Ben inteso,<br />

attraverso la <strong>competizione</strong> ex ante (a differenza del coordinamento ex ante) non è<br />

alla compatibilità dei piani che si mira, bensì alla realizzabilità dei propri piani.<br />

Il principio di <strong>competizione</strong> ex ante comprende l’insieme di strategie volte<br />

a disincentivare il realizzarsi stesso della <strong>competizione</strong>, la minaccia e l’insieme di<br />

segnali mediante i quali si tenta di aggiudicarsi il premio associato ad una<br />

<strong>competizione</strong> senza che questa abbia effettivamente luogo.<br />

Analogamente al caso del principio di coordinamento, definiamo i principi<br />

di <strong>competizione</strong> ex ante e ex post come perfetti, se essi rendono mutuamente<br />

compatibili i piani eliminando le eventuali incompatibilità tra essi.<br />

23 Tale definizione corrisponde al concetto di coordinamento ex post marxiano, in cui viene<br />

esplicitato il carattere spontaneo del processo attraverso il quale i piani divengono compatibili<br />

evidenziato nella definizione mengeriana di istituzione pragmatica.<br />

29


La possibilità che la <strong>competizione</strong> operi spontaneamente in direzione della<br />

eliminazione delle (eventuali) incompatibilità tra i piani dipende, in generale,<br />

dall’operare congiunto del principio di <strong>competizione</strong> ex ante e ex post.<br />

I risultati della <strong>competizione</strong> (ex post) forniscono agli agenti i segnali sulla<br />

base dei quali rivedere e (eventualmente) modificare i propri piani.<br />

Nella fase di revisione dei piani interviene generalmente la <strong>competizione</strong><br />

ex ante: nel revisionare i piani, gli agenti tengono infatti conto dei segnali di<br />

<strong>competizione</strong> ex ante emessi dagli altri agenti e formulano le proprie congetture<br />

sul modo in cui gli altri agenti revisionino i loro piani.<br />

Ciò tuttavia non è necessario. Il processo di revisione dei piani può, in<br />

linea teorica, svilupparsi senza alcun relazionarsi al processo di revisione dei piani<br />

altrui. In quest’ultimo caso il processo competitivo avviene per effetto del solo<br />

principio di <strong>competizione</strong> ex post.<br />

Per <strong>potere</strong> <strong>economico</strong> intendiamo l’abilità di una persona (o gruppo di persone)<br />

di generare deliberatamente risultati di tipo <strong>economico</strong> anche (ma non<br />

necessariamente) contro la volontà di altri. 24<br />

Con la nostra definizione riconosciamo lo stretto legame tra <strong>potere</strong><br />

<strong>economico</strong> e processi di coordinamento e <strong>competizione</strong> presente nella doppia<br />

definizione marxiana di coordinamento ex ante/ex post e autorità di<br />

comando/<strong>competizione</strong>. Allo stesso tempo tuttavia, separiamo concettualmente la<br />

dimensione del <strong>potere</strong> dall’operare di principi di coordinamento e <strong>competizione</strong>.<br />

Il <strong>potere</strong> <strong>economico</strong> è una dimensione che permea tutti i processi<br />

economici ed è, in tal senso, intrinsecamente presente nell’operare dei principi di<br />

coordinamento e <strong>competizione</strong>. La dimensione del <strong>potere</strong> <strong>economico</strong> è però, nelle<br />

nostre definizioni, concettualmente distinta dai principi di coordinamento e<br />

<strong>competizione</strong>: essa rappresenta una dimensione indipendente, l’analisi della quale<br />

permette di precisare l’operare di coordinamento e <strong>competizione</strong>. In altre parole, il<br />

modo in cui le relazioni di <strong>potere</strong> vengono specificate precisa la forma in cui i<br />

principi di coordinamento e <strong>competizione</strong> operano.<br />

Prima di andare avanti affrontiamo un problema terminologico fonte di<br />

confusione, cui abbiamo accennato in apertura di paragrafo.<br />

Nella terminologia della scuola austriaca il mercato è considerato essere un<br />

meccanismo di coordinamento. Tale espressione è, secondo le nostre definizioni,<br />

imprecisa e causa di equivoci: il mercato non ha volontà; secondo le nostre<br />

definizioni il termine coordinamento implica intenzionalità ed è dunque<br />

prerogativa esclusiva di agenti decisori. Con ciò non intendiamo sostenere che la<br />

teoria austriaca del « mercato come meccanismo di coordinamento » sia priva di<br />

significato; con tale espressione gli economisti austriaci intendono sostenere che il<br />

24 Rothschild (1994).<br />

30


mercato sia un’istituzione che conduce all’ordine. Traduciamo allora la locuzione<br />

austriaca meccanismo di coordinamento, nell’espressione (meno elegante, ma più<br />

precisa) di meccanismo che conduce all’ordine. 25<br />

1.2. Il problema dell’ottica valutativa<br />

Parallelamente alla definizione dei principi di coordinamento e <strong>competizione</strong><br />

come principi rispettivamente ex ante e ex post si pone un problema di definizione<br />

dei criteri di valutazione dei principi di coordinamento e <strong>competizione</strong>.<br />

I criteri di valutazione possono anch’essi dividersi in due gruppi: da una<br />

parte quelli che valutano costi e benefici dei principi di coordinamento e<br />

<strong>competizione</strong> in un’ottica a priori, dall’altra quelli che li valutano in un’ottica a<br />

posteriori.<br />

Dal nostro punto di vista, è l’ottica valutativa a priori ad essere più<br />

interessante: in essa si considerano le proprietà dei principi di coordinamento e<br />

<strong>competizione</strong> nel processo di armonizzazione dei piani individuali, non in base al<br />

risultato dell’armonizzazione dei piani. Il primo elemento problematico è infatti il<br />

fatto stesso che l’armonizzazione dei piani si realizzi. Solo una volta risolto tale<br />

problema ha senso porre il confronto tra le situazioni armonizzate.<br />

Un confronto a posteriori è perciò rilevante solo nella misura in cui si<br />

possa fare affidamento sull’efficacia del processo di armonizzazione dei piani<br />

individuali. Adottando un’ottica a priori riconosciamo invece che il processo di<br />

armonizzazione è in sé problematico e facciamo di tale processo l’oggetto del<br />

nostro studio.<br />

L’ottica a posteriori è adottata nelle analisi di equilibrio. In tali analisi i principi di<br />

coordinamento e <strong>competizione</strong> sono definiti come principi ex ante e si assume che<br />

essi operino in modo perfetto. L’ipotesi è quella che i principi di coordinamento<br />

e/o <strong>competizione</strong> permettano di eliminare completamente e istantaneamente le<br />

incompatibilità tra i piani, il che consente di valutarne le proprietà assumendo che<br />

essi abbiano finito di operare.<br />

Il carattere istantaneo dell’operare dei principi di coordinamento e<br />

<strong>competizione</strong> esclude che il problema dell’interazione tra individui possa porsi in<br />

forma di processo. Come esercizio puramente logico possiamo però immaginare<br />

un processo di interazione il quale si realizzi tramite l’operare dei principi di<br />

coordinamento e <strong>competizione</strong>: nel corso di tale processo i due principi in<br />

questione eliminano le incompatibilità tra i piani.<br />

25 Per rendere veramente precisa tale espressione si dovrà inoltre definire rigorosamente il concetto<br />

di « ordine ».<br />

31


Nei termini del nostro esercizio, la scelta dell’ottica valutativa a posteriori<br />

equivale alla valutazione dello stato finale del processo, da attuarsi nell’istante in<br />

cui termina il processo, quando i due principi hanno esplicato per intero le loro<br />

funzioni.<br />

La scelta dell’ottica a priori implica invece una valutazione del processo<br />

stesso, la quale avviene nel tempo, considerando i due principi nelle fasi in cui<br />

essi sono all’opera.<br />

Il metodo dell’equilibrio può essere visto come il limite del nostro<br />

esperimento mentale al tendere a zero dell’intervallo di tempo nel quale operano i<br />

due principi: è come immaginare che i due principi agiscano in maniera così<br />

rapida da rendere secondaria la valutazione del processo.<br />

L’interpretazione del metodo dell’equilibrio come limite a zero di un<br />

processo è, ovviamente, una forzatura. Nel metodo dell’equilibrio non c’è analisi<br />

di processo; al contrario, si assume che le incompatibilità tra i piani vengono<br />

eliminate senza che si manifestino.<br />

L’ipotesi che i due principi non operino istantaneamente impedisce l’uso del<br />

metodo dell’equilibrio. In tal caso è la valutazione a priori ante a divenire<br />

rilevante.<br />

Se definiamo i principi di coordinamento e <strong>competizione</strong> come principi<br />

imperfetti, il cui successo rispetto al risultato finale non è garantito e la cui attività<br />

richiede tempo, per poter esprimere una valutazione sul loro operare, dobbiamo<br />

analizzare i processi di eliminazione delle incompatibilità tra i piani; tali processi<br />

si sviluppano nel tempo storico ed è in esso che le incompatibilità si manifestano<br />

effettivamente.<br />

Una simile ipotesi chiama in causa la possibilità di disequilibrio.<br />

L’eliminazione delle incompatibilità tra i piani non è in tal caso un processo<br />

virtuale; essa si realizza (se si realizza) nel tempo, secondo fenomeni di path<br />

dependence e irreversibilità. 26<br />

In un simile contesto, il processo di eliminazione delle incongruenze tra i<br />

piani assume importanza in quanto tale, mentre il punto d’arrivo del processo<br />

diviene secondario. 27 I principi di <strong>competizione</strong> e coordinamento devono allora<br />

essere valutati in base alle loro proprietà a priori rispetto al processo di<br />

eliminazione delle incongruenze tra i piani nel loro realizzarsi storico.<br />

Letta nei termini del nostro esperimento mentale, l’ottica a posteriori implica che<br />

la valutazione dei principi di coordinamento e <strong>competizione</strong> avvenga rispetto alla<br />

situazione d’arrivo di un processo mai avvenuto (nel quale, per ipotesi, non ci<br />

sono incompatibilità). L’ottica a priori riguarda invece il processo stesso (nel<br />

26 Sono proprio le incongruenze realizzatesi a fornire i segnali per gli aggiustamenti necessari.<br />

27 Amendola and Gaffard (1988).<br />

32


corso del quale, tipicamente, si individuano incompatibilità tra i piani e<br />

disequilibrio).<br />

1.3. Contesto decisionale e struttura organizzativa<br />

Un sistema decisionale è definito (i) dagli agenti che vi operano (decisori), (ii)<br />

dall’ambiente in cui questi operano e (iii) dal modo in cui i decisori interagiscono.<br />

I punti (i) e (ii) definiscono il contesto decisionale; il punto (iii) definisce<br />

la struttura organizzativa. 28<br />

Sulle caratteristiche del contesto decisionale si possono fare diversi tipi di<br />

assunzioni. Cinque aspetti sono per noi oggetto di attenzione: (1) tempo, (2)<br />

incertezza, (3) informazione, (4) dimensione legale e (5) razionalità dei decisori (i<br />

primi quattro aspetti riguardano l’ambiente, il quinto i decisori).<br />

Su uno stesso contesto decisionale si possono costruire diversi sistemi<br />

decisionali, specificando opportunamente la struttura organizzativa. 29 Così si<br />

possono avere sistemi decisionali più o meno centralizzati, gerarchici o non<br />

gerarchici, verticali o orizzontali, a seconda della forma in cui i processi<br />

decisionali sono organizzati e della struttura dei rapporti di <strong>potere</strong> tra i decisori.<br />

Sulla base delle cinque caratteristiche del contesto decisionale che abbiamo<br />

individuato, definiamo il contesto decisionale perfetto come un contesto<br />

decisionale statico, deterministico, completamente noto, in cui l’attività giuridica<br />

è completa e gratuita (il che implica, in particolare, che i diritti di proprietà siano<br />

garantiti senza contenziosi a costo zero) e i decisori sono ottimizzatori senza<br />

problemi di elaborazione dell’informazione i cui processi decisionali avvengono<br />

senza costi.<br />

Una struttura organizzativa operante in un contesto decisionale perfetto<br />

definisce un sistema decisionale perfetto.<br />

Il modello walrasiano di equilibrio <strong>economico</strong> generale è un tipico esempio di<br />

sistema decisionale perfetto. La sua struttura organizzativa è impostata su base<br />

orizzontale, non gerarchica, con un livello massimo di decentralizzazione.<br />

Sullo stesso contesto decisionale perfetto si possono definire altri tipi di<br />

strutture organizzative, diverse rispetto a quella walrasiana. Possiamo ad esempio<br />

immaginare modelli nei quali i processi decisionali avvengano su base gerarchica<br />

28 Un altro modo di esprimere le nostre definizioni è quello di dire che il sistema decisionale è<br />

definito dal contesto decisionale e dalla struttura organizzativa.<br />

29 Nell’analisi di problemi allocativi, il concetto di struttura organizzativa è sinonimo del concetto<br />

di meccanismo allocativo. In generale, comunque, il primo concetto è più generale del secondo.<br />

33


con diversi gradi di centralizzazione. In modelli del genere i decisori sono posti su<br />

diversi livelli decisionali e i processi decisionali dei decisori dei livelli inferiori<br />

sono fatti dipendere (in vario modo) dalle decisioni dei decisori gerarchicamente<br />

superiori. 30<br />

Come caso limite, all’estremo opposto rispetto al modello walrasiano,<br />

possiamo considerare il modello di pianificazione perfetta in cui il decisore<br />

centrale ha un <strong>potere</strong> decisionale assoluto rispetto ai decisori periferici.<br />

Dal punto di vista metodologico, è necessario imporre la coerenza interna del<br />

contesto decisionale.<br />

Distinguiamo due tipi di problemi di coerenza del contesto decisionale: (1)<br />

problemi di coerenza tra le dimensioni del contesto decisionale; (2) problemi di<br />

coerenza tra il contesto decisionale e i tipi di esercizi che l’analista sviluppa su di<br />

esso.<br />

Per fare un esempio dei problemi del primo tipo, consideriamo il rapporto<br />

tra le dimensioni « informazione » e « incertezza »: se definiamo l’informazione<br />

come perfetta, l’unico modo per definire coerentemente l’incertezza è quello di<br />

assumere che gli eventi siano elencabili esaustivamente da tutti i decisori. Se poi<br />

l’informazione è di tipo probabilistico assumeremo anche che i decisori<br />

conoscano le probabilità degli eventi; se invece è di tipo deterministico<br />

assumeremo che i decisori sappiano con certezza quali saranno gli eventi che si<br />

realizzeranno in futuro. L’ipotesi che si realizzi un evento completamente<br />

imprevisto deve comunque essere esclusa sia nel caso di informazione perfetta<br />

probabilistica, sia nel caso di informazione perfetta deterministica: il presentarsi<br />

di un evento che i decisori non erano in grado di immaginare (neppure a bassi<br />

livelli di probabilità) è incompatibile con l’ipotesi di perfetta informazione.<br />

Come vedremo, nel contesto decisionale perfetto non ci sono problemi di<br />

coerenza tra le cinque dimensioni. Essi possono invece presentarsi se nel processo<br />

di allontanamento dal contesto decisionale perfetto non si considerano<br />

attentamente i legami tra le dimensioni.<br />

Nonostante la coerenza interna del contesto decisionale possono inoltre<br />

presentarsi problemi di coerenza del secondo tipo. Un tipico problema di coerenza<br />

del secondo tipo è discusso da Loasby: se si assume un contesto decisionale di<br />

perfetta certezza e perfetta informazione in cui gli agenti utilizzano criteri<br />

ottimizzanti, è contraddittorio ipotizzare uno shock esogeno per analizzare come i<br />

decisori modificano i loro piani. Infatti, se il contesto decisionale è perfettamente<br />

noto (con certezza) ai decisori non si vede come possano presentarsi degli shock<br />

esogeni. 31 Se allora si intende definire un contesto decisionale sul quale sviluppare<br />

esercizi basati sul verificarsi di eventi inattesi, si devono dotare i decisori di criteri<br />

di razionalità che prevedano il verificarsi di eventi inattesi.<br />

30 Cf. Zielinski (1963).<br />

31 Loasby (1976, p. 45).<br />

34


L’analisi secondo il metodo statico comparato dei processi di<br />

cambiamento che si realizzano nel contesto decisionale perfetto presenta dunque<br />

una contraddizione interna: affinché il metodo statico comparato abbia significato,<br />

si deve assumere che il cambiamento sia completamente imprevisto; ma, in un<br />

contesto decisionale di perfetta previsione, non c’è spazio per shock imprevisti.<br />

Se, come scelta di metodo, si vuole operare ipotizzando shock esogeni, il contesto<br />

decisionale deve essere definito in modo da poter contemplare tali shock e le<br />

caratteristiche degli individui (il loro modo di decidere) devono essere coerenti<br />

con la possibilità di eventi inattesi.<br />

I problemi di coerenza del primo tipo possono considerarsi problemi minimali, nel<br />

senso che riguardano il contesto decisionale in quanto tale, indipendentemente dal<br />

tipo di analisi che su di esso si conduca. È a tali tipi di problemi che rivolgiamo<br />

attenzione sistematica nel presente lavoro. I vincoli di coerenza imposti dal<br />

particolare tipo di analisi che si sviluppa su un determinato contesto decisionale<br />

sono invece discussi solo dove ritenuto strettamente necessario.<br />

Nei due paragrafi che seguono discutiamo le dimensioni del contesto<br />

decisionale e i rapporti tra contesto decisionale e struttura organizzativa.<br />

1.3.1. Le dimensioni del contesto decisionale<br />

Si considerino le cinque dimensioni del contesto decisionale selezionate poc’anzi:<br />

(1) tempo, (2) incertezza, (3) informazione, (4) dimensione legale e (5) razionalità<br />

dei decisori.<br />

Nella tabella 1.1 32 , a partire dal contesto decisionale perfetto, definito nella<br />

colonna (a), distinguiamo due modi di rendere imperfetto il contesto decisionale<br />

secondo ciascuna delle cinque dimensioni: nella colonna (b) collochiamo quei<br />

modi che sono compatibili con le altre caratteristiche del contesto decisionale<br />

perfetto e, nella colonna (c), quelli che sono incompatibili con esso.<br />

Tabella 1.1. LE DIMENSIONI DEL CONTESTO DECISIONALE<br />

32 Come convenzione, le figure sono individuate da una numerazione doppia: il primo numero si<br />

riferisce al capitolo, il secondo all’ordine progressivo all’interno del capitolo.<br />

35


(a) (b) (c)<br />

1. INFORMAZIONE Perfetta Imperfetta Conoscenza<br />

2. INCERTEZZA Certezza Rischio Incertezza radicale<br />

3. TEMPO Statica Tempo logico Tempo storico<br />

4. DIMENSIONE<br />

LEGALE<br />

Completa e<br />

gratuita<br />

Completa e costosa Incompleta<br />

5. RAZIONALITÀ Ottimizzante Ottimizzante con vincoli<br />

computazionali<br />

36<br />

Razionalità limitata<br />

(1) INFORMAZIONE. Per informazione intendiamo l’insieme dei dati relativi al set<br />

dei possibili stati di natura, al set delle decisioni e al set delle possibili<br />

conseguenze determinate dalla combinazione del verificarsi di uno degli stati di<br />

natura e di una decisione. 33<br />

Secondo la teoria delle decisioni classica i tre set degli stati di natura, delle<br />

decisioni e delle conseguenze sono chiusi. Da tale ipotesi discende che anche<br />

l’informazione è un set chiuso.<br />

A tale definizione dell’informazione si accompagna in alcuni casi l’idea di<br />

un’associazione stretta tra informazione e conoscenza: l’informazione è un bene<br />

(sebbene dalle proprietà particolari) e la conoscenza viene concepita come<br />

informazione processata: la direzione causale va, secondo tale definizione,<br />

dall’informazione alla conoscenza.<br />

Il nesso causale è tuttavia debole in quanto in condizioni di informazione<br />

imperfetta è impossibile generare una conoscenza non ambigua. Si deve infatti<br />

ammettere la possibilità che gli agenti derivino una diversa conoscenza dallo<br />

stesso set informativo a disposizione.<br />

Nell’ambito dei processi conoscitivi distinguiamo inoltre tra processi di<br />

scoperta e processi di creazione. La conoscenza, secondo ambedue i processi, si<br />

forma attraverso l’interpretazione e l’elaborazione dell’informazione; essa è il<br />

prodotto dell’applicazione dei modelli interpretativi al set informativo. Dal punto<br />

di vista analitico l’applicazione dei modelli interpretativi al set informativo può<br />

essere definita secondo due tipi di processi qualitativamente diversi: i processi di<br />

scoperta non intaccano il set informativo, i processi di creazione sì.<br />

(2) INCERTEZZA. Definiamo una situazione di rischio come una situazione in cui è<br />

possibile descrivere esaustivamente lo spazio degli stati di natura e definire una<br />

funzione di probabilità su di esso.<br />

33 Cf. Fransman (1994).


Per situazione di incertezza intendiamo una situazione in cui valga almeno<br />

una delle due seguenti condizioni: (1) non è possibile elencare esaustivamente gli<br />

stati di natura, (2) non è possibile definire una probabilità per ogni stato di natura<br />

immaginabile.<br />

Loasby evidenzia la contrapposizione tra la colonna (c) e le colonne (a-b),<br />

parlando rispettivamente di ignoranza e conoscenza: le colonne (a-b)<br />

rappresentano ambedue forme di conoscenza, l’una deterministica, l’altra<br />

probabilistica; l’ignoranza (colonna (c)) è assenza di conoscenza. 34<br />

Nell’ambito delle situazioni di rischio è possibile distinguere un approccio<br />

realista e un approccio costruttivista, a seconda che la probabilità sia considerata<br />

una caratteristica oggettiva dell’ambiente o una costruzione soggettiva dei<br />

decisori. 35<br />

(3) TEMPO. La definizione della dimensione temporale come dimensione logica<br />

(colonna (b)) viene dalla meccanica. 36 Il passaggio del tempo secondo tale<br />

definizione può essere rappresentato dal movimento di un punto lungo una retta;<br />

la dimensione temporale viene così resa omogenea alla dimensione spaziale e i<br />

concetti temporali (di durata, cambiamento, ecc.) possono essere tradotti in<br />

concetti geometrici e trattati mediante gli strumenti matematici. Una delle<br />

conseguenze dell’adozione del tempo logico è la simmetria del movimento in<br />

avanti e indietro del tempo: geometricamente ambedue le direzioni sono<br />

simmetriche rispetto al punto rappresentante il presente. Passato e futuro hanno le<br />

stesse proprietà analitiche.<br />

Nella definizione di tempo storico (colonna (c)) non c’è invece simmetria.<br />

Secondo Shackle, la transitorietà del pensiero è la nostra intuizione del tempo; 37 la<br />

memoria del passato e l’immaginazione del futuro come pensieri qualitativamente<br />

diversi delineano i caratteri unidirezionali e irreversibili del tempo storico. Ogni<br />

istante ci cambia in modo irripetibile. L’introduzione formale del tempo storico<br />

nel contesto decisionale ha tre conseguenze: (1) le aspettative in ogni istante sono<br />

funzione della memoria in quell’istante; (2) le decisioni precedono le conseguenze<br />

e non possono dunque essere basate sulla conoscenza di queste ultime; (3) è<br />

possibile il realizzarsi di situazioni di disequilibrio (risultati ex post diversi dalle<br />

aspettative ex ante).<br />

(4) DIMENSIONE LEGALE. Per dimensione legale intendiamo l’attività di tutela dei<br />

diritti. L’ipotesi che tale attività sia definibile in modo completo ex ante definisce<br />

i contesti decisionali di tipo (a-b) (essendo la differenza tra (a) e (b) solo un<br />

problema di prezzo, nullo in un caso, positivo nell’altro). L’ipotesi di<br />

34 Loasby (1976).<br />

35 Lawson (1994).<br />

36 Cf. Bausor (1994).<br />

37 Shackle (1979, p. 1).<br />

37


impossibilità di definire ex ante la tutela dei diritti (derivante dall’impossibilità<br />

stessa di elencare questi ultimi in modo esaustivo) definisce un contesto<br />

decisionale di tipo (c).<br />

Nell’ambito dei diversi tipi di diritti la nostra attenzione si sofferma sui<br />

diritti di proprietà. I diritti di proprietà sono una caratteristica sia del contesto<br />

decisionale, sia della struttura organizzativa. Contesto decisionale e struttura<br />

organizzativa rimangono comunque concetti distinti. Gli aspetti dei diritti di<br />

proprietà che caratterizzano il contesto decisionale e quelli che caratterizzano la<br />

struttura organizzativa sono infatti diversi.<br />

Le caratteristiche dei diritti di proprietà per noi oggetto di interesse<br />

riguardano (1) il costo necessario alla loro garanzia e (2) il loro carattere privato,<br />

pubblico o misto. La costosità o meno dei diritti di proprietà (ed eventualmente<br />

l’impossibilità di una loro definizione completa e/o della loro tutela perfetta) è un<br />

aspetto del contesto decisionale; la caratteristica privata, pubblica o mista dei<br />

diritti di proprietà è invece un aspetto della struttura organizzativa.<br />

A titolo esemplificativo si consideri il confronto tra modello centralizzato<br />

e modello decentralizzato nel contesto decisionale perfetto: a partire dall’ipotesi<br />

che i diritti di proprietà siano garantiti a costo zero (ossia a partire dall’assunzione<br />

di un determinato contesto decisionale), si opera un confronto tra due strutture<br />

organizzative, l’una impostata su diritti di proprietà di tipo privato, l’altra<br />

impostata su diritti di proprietà di tipo pubblico.<br />

(5) RAZIONALITÀ. La razionalità ottimizzante è definita come la selezione del<br />

mezzo più efficiente per raggiungere un dato fine. 38 Essa implica la conoscenza<br />

esaustiva dei mezzi (altrimenti non vi sarebbe garanzia dell’efficienza della<br />

selezione) e degli obiettivi. La razionalità ottimizzante è legata a filo doppio<br />

all’approccio assiomatico alla teoria delle decisioni: (1) gli assiomi della teoria<br />

delle decisioni definiscono la razionalità e (2) una scelta che rispetti gli assiomi<br />

può essere intesa come se fosse la soluzione di un problema di ottimizzazione.<br />

L’adozione dell’ipotesi di razionalità limitata porta a sostituire il criterio di<br />

ottimizzazione col criterio di soddisfazione. Essa ha tre tipi di argomentazioni: (1)<br />

il problema di ottimizzazione è eccessivamente complesso per essere risolto<br />

analiticamente (ad esempio perché i processi decisionali sono costosi); (2) il<br />

problema di ottimizzazione è mal definito (ad esempio perché non sono<br />

esaustivamente elencati mezzi e fini); (3) l’analisi empirica suggerisce che i<br />

comportamenti dei decisori non siano il risultato di procedure ottimizzanti, bensì<br />

possano essere efficacemente rappresentati come routine.<br />

Il caso (1) conduce alla colonna (b) in cui la presenza di vincoli<br />

computazionali impedisce l’ottenimento di un ottimo assoluto; il principio di<br />

ottimizzazione viene dunque sostituito dal principio di soddisfazione il quale<br />

38 Hargreaves Heap (1994).<br />

38


assume la forma di un principio di ottimizzazione relativa (ossia di un espediente<br />

per trattare problemi di ottimo complessi).<br />

Nei casi (2) e (3) si definisce un contesto decisionale di tipo (c) in cui l’uso<br />

del criterio di soddisfazione assume una propria dignità indipendentemente dal<br />

riferimento al principio di ottimizzazione. 39<br />

1.3.2. La relazione tra contesto decisionale e struttura<br />

organizzativa<br />

Intuitivamente si può pensare che la struttura organizzativa del sistema<br />

decisionale influenzi i risultati dei processi decisionali. In tal caso, ammesso che<br />

sia possibile stabilire dei criteri per confrontare i risultati dei processi decisionali,<br />

si può essere tentati dal ricercare la struttura organizzativa ottima (o,<br />

semplicemente, una struttura organizzativa desiderabile).<br />

Dovrebbe comunque essere chiaro che una struttura organizzativa che<br />

funzioni bene in qualsiasi contesto decisionale potrebbe non esistere. Per di più<br />

non è neanche detto che per ogni contesto decisionale sia possibile pervenire ad<br />

una graduatoria (magari solo approssimativa) delle diverse strutture organizzative.<br />

Ad ogni modo, se si assume l’indipendenza tra struttura organizzativa e<br />

contesto decisionale, sembra evidente che un confronto corretto tra le diverse<br />

strutture organizzative debba avvenire a parità di contesto decisionale.<br />

L’espressione « a parità di contesto decisionale » può tuttavia ingenerare<br />

confusione. Esistono almeno due possibili interpretazioni di tale espressione nel<br />

confronto tra strutture organizzative: (1) la posizione filosofica sulla definizione<br />

delle cinque dimensioni deve essere mantenuta costante nel confronto tra strutture<br />

organizzative; (2) le ipotesi specifiche che si assumono riguardo alle cinque<br />

dimensioni devono considerarsi esogene e, dunque, indipendenti dalle<br />

caratteristiche della struttura organizzativa. Un esempio aiuterà l’esposizione.<br />

Si consideri la dimensione « incertezza ». Come abbiamo visto l’incertezza<br />

può essere concettualizzata in diversi modi: come posizione filosofica, si può ad<br />

esempio ritenere che la probabilità sia una costruzione soggettiva dei decisori e<br />

che essa quindi esista solo nella mente degli agenti; secondo una simile posizione<br />

filosofica non ha senso parlare della probabilità come di una caratteristica propria<br />

dell’evento; essa è invece una proprietà che un determinato soggetto (abituato a<br />

ragionare in termini probabilistici) associa ad un determinato evento. Affermare<br />

che il confronto tra strutture organizzative debba essere sviluppato a parità di<br />

contesto decisionale significa, secondo l’interpretazione legata alla posizione<br />

39 Nelson (1994).<br />

39


filosofica, che i modelli posti a confronto devono fondarsi sulla medesima<br />

concettualizzazione dell’incertezza; nel nostro esempio, ciò equivale a limitare il<br />

confronto tra modelli a quelli basati su una concezione della probabilità di tipo<br />

soggettivo escludendo dal confronto quei modelli basati su probabilità oggettive.<br />

Veniamo ora alla seconda interpretazione. Per rimanere all’esempio<br />

ipotizzato si può immaginare che un decisore d di un determinato modello M<br />

associ una determinata probabilità p ad un certo evento e; volendo ora procedere<br />

ad un confronto con modelli basati su strutture organizzative diverse, sotto<br />

l’ipotesi che il contesto decisionale sia dato secondo questa seconda<br />

interpretazione, si devono prendere in considerazione solo quei modelli in cui si<br />

assume che la probabilità assegnata dal decisore d all’evento e sia esattamente p.<br />

Come si vede, si tratta in tal caso di mantenere fisse le ipotesi specifiche che<br />

definiscono il contesto decisionale (all’evento e il decisore d associa sempre la<br />

probabilità p, quale che sia la struttura organizzativa in cui egli opera), non<br />

soltanto la posizione filosofica generale (l’ipotesi di probabilità soggettive).<br />

Nel corso del presente lavoro, l’espressione « a parità di contesto decisionale »<br />

deve sempre intendersi secondo la prima interpretazione, quella riguardante la<br />

posizione filosofica. A nostro parere infatti l’ipotesi che per confrontare modelli<br />

diversi si debba assumere una posizione filosofica comune non rappresenta altro<br />

che una condizione necessaria di coerenza metodologica. Tale posizione<br />

metodologica costituisce un punto fermo della nostra indagine e non sarà mai<br />

abbandonata nel corso del presente lavoro.<br />

Viceversa riteniamo che l’imposizione di ipotesi specifiche comuni, non<br />

solo non sia necessaria a dare coerenza al confronto tra modelli diversi, ma, in<br />

alcuni casi, costituisca addirittura un limite analitico: se riprendiamo l’esempio<br />

dell’incertezza, il fatto che determinate strutture organizzative conducano gli<br />

agenti a formulare diverse valutazioni della probabilità può essere esso stesso un<br />

elemento di valutazione della desiderabilità di una struttura organizzativa. In tal<br />

caso, l’imposizione della condizione che gli agenti di modelli diversi pervengano<br />

alle stesse valutazioni probabilistiche impedirebbe di prendere in considerazione<br />

argomentazioni potenzialmente valide riguardo agli effetti delle diverse strutture<br />

organizzative sui processi decisionali individuali e costituirebbe perciò un limite<br />

arbitrario alla discussione della desiderabilità delle diverse strutture organizzative.<br />

La possibilità di mantenere fisse le ipotesi specifiche del contesto<br />

decisionale non costituisce una pura curiosità metodologica. Al contrario, essa<br />

rappresenta una scelta ampiamente utilizzata, in particolare negli studi basati sul<br />

metodo statico-comparato. Nel fare riferimento a tale posizione metodologica<br />

basata sulla definizione di ipotesi specifiche comuni sul contesto decisionale<br />

utilizzeremo l’espressione forte di « esogenità del contesto decisionale »<br />

riservando invece l’espressione « a parità di contesto decisionale » all’assunzione<br />

di una posizione filosofica comune nel confronto tra modelli.<br />

40


La questione dell’esogenità del contesto decisionale pone un problema<br />

metodologico: qual è la relazione tra struttura organizzativa e contesto<br />

decisionale? Più precisamente, è lecito indagare sulle proprietà di una struttura<br />

organizzativa assumendo che questa non abbia alcuna influenza sulle<br />

caratteristiche specifiche del contesto decisionale?<br />

A nostro parere, l’assunzione di un contesto decisionale esogeno non è<br />

sempre plausibile. Di certo essa semplifica notevolmente il problema dal punto di<br />

vista analitico; inoltre spesso essa conduce a precise prescrizioni normative sul<br />

ruolo dei principi di coordinamento e <strong>competizione</strong> nei sistemi decisionali che<br />

vale la pena di discutere. La discussione del confronto tra strutture organizzative<br />

prenderà dunque il via, nel prossimo capitolo, dedicato all’approccio neoclassico,<br />

sotto l’ipotesi di esogenità del contesto decisionale; nonostante la semplificazione,<br />

l’analisi richiederà un certo sforzo in quanto, come vedremo, il confronto non<br />

sempre si realizza in modo metodologicamente soddisfacente.<br />

Le analisi degli autori delle scuole austriaca e neoistituzionalista portano<br />

invece ad endogenizzare alcuni elementi del contesto decisionale. Tale<br />

endogenizzazione, come vedremo nelle parti 2 e 3, risulta tuttavia parziale e, a<br />

nostro avviso, insoddisfacente. Per questo motivo, nella parte 4 procederemo alla<br />

costruzione di uno schema formale in cui l’endogenizzazione del contesto<br />

decisionale possa essere sviluppata in modo più completo.<br />

La scelta di iniziare la discussione del confronto tra strutture organizzative sotto<br />

l’ipotesi che il contesto decisionale sia esogeno richiede una precisazione. È<br />

nostra opinione che struttura organizzativa e contesto decisionale debbano essere<br />

analizzate evolutivamente secondo una relazione di causazione cumulativa. Tale<br />

argomento non ci sembra tuttavia sufficiente a negare l’importanza di quegli studi<br />

che indagano sulle proprietà delle strutture organizzative considerando il contesto<br />

decisionale come esogeno.<br />

Tenendo presente la definizione di sistema decisionale (cf. par. 1.3), il<br />

punto che a noi sembra più critico, riguarda la relazione tra i punti (i) e (iii), ossia<br />

il nesso esistente tra gli agenti del sistema decisionale e il modo in cui essi<br />

interagiscono. A tal riguardo, l’impostazione metodologica individualista<br />

(sviluppata dalle scuole neoclassica, neoistituzionalista e austriaca), eliminando<br />

alla base la possibilità che il modo di interazione tra gli individui influenzi gli<br />

individui stessi, rappresenta un’efficace difesa dell’assunzione di esogenità del<br />

contesto decisionale (almeno per gli aspetti riguardanti l’esogenità<br />

dell’individuo). In effetti, una delle ragioni della nostra insoddisfazione nei<br />

confronti dei tentativi di endogenizzazione del contesto decisionale da parte delle<br />

scuole austriaca e neoistituzionalista è che essi si fermano non appena si pongano<br />

in discussione i principi dell’azione umana.<br />

41


Al contrario, secondo le scuole marxiana e istituzionalista l’individuo è<br />

esso stesso (almeno in qualche misura) un prodotto delle relazioni sociali e in<br />

quanto tale è influenzato dal modo in cui si realizzano le interazioni con gli altri<br />

individui (ossia dalla struttura organizzativa).<br />

L’analisi che segue (a partire dal capitolo 2 per arrivare al capitolo 8),<br />

basata sull’esogenità del contesto decisionale o su un’endogenizzazione solo<br />

parziale (tale comunque da escludere le caratteristiche base dell’individuo), è<br />

dunque sostanzialmente estranea alle problematiche marxiana e istituzionalista<br />

(alcuni aspetti delle quali verranno sviluppati nel capitolo 9); l’attenzione si<br />

concentrerà invece sulle teorie neoclassica, neoistituzionalista e austriaca e le<br />

critiche che verranno mosse a tali scuole saranno, a meno di avvertimenti espliciti<br />

in senso contrario, di tipo interno.<br />

42


2<br />

IL « CONTESTO DECISIONALE PERFETTO »<br />

Nella teoria dell’equilibrio <strong>economico</strong> generale (EEG), oltre alle ipotesi esplicite<br />

del modello walrasiano, i così detti dati del problema (dotazioni, preferenze e<br />

tecnologia), si hanno una serie di assunzioni generali circa il contesto in cui<br />

avvengono i processi decisionali e le caratteristiche degli agenti che vi operano.<br />

Tali assunzioni possono essere rese esplicite provando a leggere in termini<br />

economici l’insieme di relazioni formali descrivente il modello walrasiano. Così<br />

l’informazione a disposizione degli agenti, il modo di processare tale<br />

informazione, il modo di rapportarsi all’imprevisto, le forme di rapporti<br />

interpersonali e altre caratteristiche sottintese dalle espressioni formali del<br />

modello walrasiano sono diventate oggetto diretto di attenzione, nel tentativo di<br />

valutare il peso di tali ipotesi implicite sull’ottenimento dei risultati implicati dal<br />

modello.<br />

Come si è visto nel capitolo precedente, le caratteristiche del contesto<br />

decisionale walrasiano non devono essere necessariamente associate al<br />

meccanismo allocativo di mercato (ossia alla struttura organizzativa del modello<br />

walrasiano); esse, almeno in principio, possono essere associate a qualsiasi tipo di<br />

meccanismo allocativo. 40<br />

La separazione analitica tra contesto decisionale e struttura organizzativa<br />

permette di correggere un errore metodologico commesso da coloro che, alla luce<br />

della dimostrazione della Pareto efficienza (PE) del modello di EEG, hanno<br />

creduto di poter fondare, almeno come risultato di prima istanza, la desiderabilità<br />

di un sistema decentralizzato rispetto al sistema centralizzato. L’errore<br />

metodologico deriva dall’imputare la proprietà di PE al meccanismo allocativo di<br />

mercato, piuttosto che alle caratteristiche del contesto decisionale ipotizzato.<br />

L’importanza relativa delle caratteristiche del contesto decisionale e del<br />

tipo di meccanismo allocativo rispetto al problema dell’efficienza risulta ribaltata<br />

40 Come si è detto (par. 1.3) i concetti di struttura organizzativa e meccanismo allocativo sono<br />

sinonimi quando si analizzino problemi puramente allocativi, come nel caso del presente capitolo.<br />

43


una volta che si imposti correttamente il problema, attraverso un confronto diretto<br />

tra i vari modelli allocativi a parità di contesto decisionale. 41 In un simile<br />

confronto si evidenzia come, in un contesto decisionale di tipo walrasiano, le<br />

condizioni di efficienza siano indipendenti dal meccanismo allocativo utilizzato e<br />

come diversi meccanismi allocativi siano in grado di realizzare tali condizioni<br />

efficienti.<br />

L’analisi del confronto diretto tra il sistema centralizzato e quello decentralizzato<br />

viene sviluppata nel paragrafo 2.1 insieme alla discussione di un’altra lacuna della<br />

teoria dell’EEG, quella di non saper spiegare l’origine economica dell’impresa. In<br />

effetti, sia che si assuma come punto di partenza un sistema completamente<br />

centralizzato, sia che si assuma un sistema completamente decentralizzato, in un<br />

contesto decisionale walrasiano, non esiste alcuna spiegazione dell’impresa come<br />

risultato di un processo <strong>economico</strong>. L’impossibilità di mostrare la superiorità del<br />

meccanismo di mercato sugli altri meccanismi e l’incapacità di spiegare l’impresa<br />

sono due aspetti di un unico problema di fondo: l’assunzione di un contesto<br />

decisionale perfetto.<br />

Nel paragrafo 2.2 sulla base dei risultati del confronto teorico tra sistemi<br />

decisionali centralizzati e decentralizzati, proviamo a ragionare sulla<br />

desiderabilità del mercato e dello Stato e sui limiti che ambedue le strutture<br />

organizzative presentano in un contesto decisionale perfetto.<br />

Un’importante caratteristica del confronto tra le due strutture organizzative<br />

è che esso si basa sulla discussione separata di produzione e distribuzione. Tale<br />

separazione viene discussa nel paragrafo 2.3.<br />

Nel paragrafo 2.4 analizziamo le conseguenze dell’assunzione di un<br />

contesto decisionale perfetto sui principi di coordinamento e <strong>competizione</strong>.<br />

Nel paragrafo 2.5 tiriamo infine alcune conclusioni.<br />

2.1. L’irrilevanza del grado di centralizzazione e<br />

l’inesistenza dell’impresa<br />

Si assuma un sistema di mercato completamente decentralizzato in cui valgano le<br />

condizioni per l’EEG e per la sua PE. In tale sistema, il coordinamento esplicito<br />

tra gli agenti all’interno di un’ipotetica impresa può al più riprodurre la soluzione<br />

che il mercato, efficientemente, trova da sé.<br />

41 L’analisi a parità di contesto decisionale si realizza nella teoria neoclassica assumendo l’ipotesi<br />

forte di esogenità del contesto decisionale. Per la precisazione dei due concetti, cf. par. 1.3.2.<br />

44


Nel modello di EEG l’esistenza dei mercati (perfetti e completi) è presa<br />

per data. Inoltre, si assume (implicitamente) l’esistenza di una giurisdizione<br />

centralizzata che regoli (a costo zero) ogni eventuale disputa tra gli agenti privati.<br />

All’estremo opposto, si può assumere l’esistenza di un sistema decisionale<br />

centralizzato (perfetto), che funzioni senza costi di coordinamento e in assenza di<br />

problemi informativi; esso può essere considerato come un caso limite della<br />

giurisdizione centrale, in cui ogni decisione, anche quelle in campo <strong>economico</strong>,<br />

sia il risultato di un processo politico-legislativo che esiste e funziona a costo<br />

zero. Anche in un simile sistema non c’è ragione per decentralizzare il <strong>potere</strong><br />

decisionale a istituzioni periferiche, del tipo delle imprese. Vediamo perché.<br />

Il modello di EEG e il modello di programmazione convessa stabiliscono le<br />

condizioni di efficienza, rispettivamente, del sistema di mercato e del sistema<br />

pianificato, in quello che abbiamo definito un contesto decisionale perfetto. I<br />

risultati fondamentali dei due approcci sono sintetizzati nella dimostrazione di<br />

esistenza, unicità e PE dell’equilibrio nel modello Arrow-Debreu 42 , e<br />

nell’esistenza e unicità del piano ottimo nel modello di programmazione lineare<br />

(PL) 43 (poi generalizzato nel modello di programmazione convessa).<br />

La prova dell’efficienza nei due modelli richiede le stesse ipotesi generali<br />

sul contesto decisionale ed è condotta in una sorta di «laboratorio asettico» in cui<br />

il sistema <strong>economico</strong> funziona senza attriti a costo zero: sia il funzionamento (e<br />

l’istituzione) del mercato, sia l’applicazione (e la produzione) delle leggi sono<br />

gratuiti. 44<br />

Le ragioni per cui le ipotesi necessarie all’ottimalità sono le stesse nei due<br />

modelli, come si diceva, sono strettamente legate al fatto che l’impresa non può<br />

essere spiegata in nessuno dei due modelli.<br />

Tali ragioni dipendono dal fatto che l’analisi è condotta in un laboratorio<br />

altamente astratto (in cui non ci sono costi di funzionamento del sistema), dalle<br />

caratteristiche veramente particolari: l’informazione è perfetta e presa per data, lo<br />

spazio delle azioni degli agenti non evolve, le conseguenze delle decisioni sono<br />

42 Il problema dell’equilibrio <strong>economico</strong> generale è stato formulato da Walras nel 1874. La prova<br />

rigorosa dell’esistenza dell’equilibrio e l’analisi delle sue proprietà si devono ai contributi di<br />

Arrow, Debreu e McKenzie: Arrow (1951a), Debreu (1951), Arrow and Debreu (1954), McKenzie<br />

(1954).<br />

43 Kantorovich (1939), Dantzig (1947, [1951]).<br />

44 I due modelli di EEG e PL sono qui presentati come simmetrici rispetto alla definizione di un<br />

meccanismo allocativo efficiente in un contesto decisionale perfetto. Essi tuttavia, dal punto di<br />

vista degli obiettivi prefissi, non vanno messi su uno stesso piano: l’obiettivo degli economisti<br />

impegnati nella ricerca sul modello di EEG era (ed è) di dimostrare la desiderabilità del mercato (o<br />

i limiti di tale desiderabilità); il modello di pianificazione perfetta non nasce invece come tentativo<br />

di stabilire la desiderabilità dello Stato, ma come risposta teorica a specifici problemi derivanti<br />

dalla pratica della pianificazione (sia nei paesi socialisti, sia nei paesi capitalisti).<br />

45


deterministiche e conosciute a priori, la proprietà è rispettata, gli agenti sono<br />

ottimizzatori senza vincoli computazionali. 45<br />

In un simile sistema teorico, una volta assunta l’esistenza del mercato o del<br />

pianificatore centrale, essendo ambedue le soluzioni organizzative efficienti, non<br />

c’è ragione per cui gli agenti debbano inventare altre forme organizzative<br />

rappresentanti un livello intermedio di centralizzazione decisionale, come le<br />

imprese. Le condizioni di efficienza sono infatti determinate ad un livello preistituzionale<br />

e valgono dunque sia nel sistema centralizzato, sia in quello<br />

decentralizzato, sia nei sistemi con un livello di centralizzazione intermedia, tipo i<br />

sistemi basati sulle imprese. 46<br />

Tale risultato, già intuito da Pareto e Barone 47 , è ormai un fatto acquisito e<br />

la sua dimostrazione può essere ottenuta attraverso strade diverse. 48<br />

Al fine di approfondire il ruolo analitico del meccanismo di prezzi, la<br />

logica di questo risultato di equivalenza può essere convenientemente colta<br />

riflettendo sul significato <strong>economico</strong> dei prezzi ombra 49 associati al piano ottimo<br />

in un problema di PL.<br />

2.1.1. Il confronto tra modello di EEG e modello di<br />

pianificazione<br />

Il problema di ottimizzazione della funzione obiettivo del pianificatore in un<br />

sistema decisionale completamente centralizzato può essere formalizzato come un<br />

45 A onor del vero le ipotesi di staticità dello spazio delle azioni e non stocasticità dello spazio<br />

delle conseguenze possono facilmente essere rimosse. Per esempio nell’approccio dell’EEG,<br />

esistenza, unicità e PE sono ottenute col trucco di considerare ogni singolo bene in periodi diversi<br />

e/o in diversi stati di natura come beni diversi. Il modo in cui queste complicazioni analitiche sono<br />

introdotte nel modello -espandendo lo spazio dei beni nel tempo (logico) e nell’insieme degli stati<br />

di natura (perfettamente noto)- non diminuisce, semmai aumenta, l’astrattezza della<br />

stigmatizzazione della realtà e confina l’analisi ad un laboratorio ancora più astratto.<br />

46 Come dimostrato in Koopmans (1951a) in ipotesi di rendimenti di scala costanti e con un solo<br />

fattore di produzione (lavoro) vale il così detto teorema di non sostituzione per cui i prezzi<br />

d’equilibrio non dipendono dalla struttura della domanda, ma sono determinati interamente dalle<br />

condizioni tecnologiche. Arrow (1951b), Georgescu-Roegen (1951), Koopmans (1951b),<br />

Samuelson (1951).<br />

47 Il contributo di Barone (1908) all’analisi comparata del sistema di mercato e del sistema<br />

pianificato sta nell’aver individuato l’analogia formale tra i problemi di efficienza nei due sistemi<br />

e nell’aver anticipato alcune importanti critiche al sistema pianificato. Meno rigorose sono invece<br />

le prove di esistenza dell’equilibrio basate, come in Walras, unicamente sull’analisi della<br />

determinatezza del sistema di equazioni simultanee.<br />

48 Si veda, ad esempio, Varian (1992, cap. 18).<br />

49 Nella terminologia della scuola matematica sovietica, moltiplicatori di soluzione.<br />

46


problema di PL. Un problema di PL è definito da una funzione obiettivo (quella<br />

del pianificatore, nel nostro caso) e un sistema di vincoli (nel nostro caso, la<br />

matrice della tecnologia). Il compito del pianificatore è quello di allocare le<br />

risorse, utilizzando la tecnologia disponibile, in modo da ottimizzare la funzione<br />

obiettivo. 50 Nel caso più semplice (e per mantenere il parallelo con il modello di<br />

EEG) assumiamo che l’ottimizzazione della funzione obiettivo coincida con la<br />

massimizzazione del valore della produzione di beni finali (che supponiamo<br />

essere gli stessi del modello di EEG), determinato -data l’eterogeneità dei beni-<br />

secondo un sistema di pesi fissato dal pianificatore.<br />

Per ogni problema di PL (primale) è possibile definire un problema di PL<br />

duale la cui soluzione ha interessanti proprietà interpretative: al piano ottimo<br />

ottenuto dalla soluzione del problema primale risulta associato un vettore di prezzi<br />

ombra (soluzione del problema duale), i quali possono essere utilizzati come<br />

strumento ottimo di decentramento decisionale. 51 In altre parole, una volta risolto<br />

il problema di PL, il pianificatore ha a disposizione due modi alternativi di<br />

realizzare il vettore ottimo di produzione aggregata: primo, può impartire ordini<br />

quantitativi sulle risorse da impiegare in ciascuna attività produttiva; secondo, può<br />

istituire un sistema di prezzi contabili (i prezzi ombra) da utilizzare come<br />

riferimento nelle unità produttive decentrate.<br />

I prezzi ombra rappresentano quindi un efficiente sistema di segnali<br />

nell’ambito del modello di PL, così come i prezzi di equilibrio rappresentano lo<br />

strumento allocativo efficiente nell’ambito del modello di EEG. 52<br />

Nel confronto tra sistema centralizzato e sistema decentralizzato, gli aspetti legati<br />

alle condizioni di efficienza devono essere separati da quelli legati alle strutture<br />

delle preferenze degli agenti dei due modelli.<br />

50 La procedura di ottenimento della funzione obiettivo del pianificatore a partire dalle preferenze<br />

individuali non è, per ora, oggetto d’interesse. I problemi di aggregazione delle preferenze non<br />

sono dunque considerati in questa fase del confronto tra strutture organizzative. Essi saranno<br />

discussi nel paragrafo 2.2.2.<br />

51 L’ottimalità dei prezzi ombra come strumento di decentramento decisionale è stata scoperta dal<br />

matematico ed economista sovietico Kantorovich (1939), e poi riscoperta, indipendentemente, nel<br />

1947, da Dantzig (1947, [1951]). Alcuni importanti contributi nell’ambito della scuola sovietica<br />

sono Kantorovich (1959) e la raccolta di Smolinski (1977) dei saggi di Kantorovich; nell’ambito<br />

della scuola americana i contributi più importanti sono contenuti in Koopmans (1951a).<br />

52 Tale risultato è stato colto grazie all’aver esteso in molte direzioni l’applicabilità del modello di<br />

PL. In tal senso, i contributi storici sono Koopmans (1951a) e Dorfman, Samuelson and Solow<br />

(1958). In particolare, il secondo contributo rappresenta un fondamentale ponte tra PL e modello<br />

di EEG.<br />

Si noti che in ambedue i testi non c’è menzione degli sviluppi in materia di PL nel blocco<br />

sovietico, in cui già nel 1939 Kantorovich aveva impostato e risolto il problema di pianificazione<br />

ottima della produzione come problema di programmazione lineare. Peraltro anche Kantorovich<br />

(1959), altro fondamentale contributo allo studio del campo di applicabilità della PL, era stato<br />

scritto nel 1942. Cf. Makarov (1987).<br />

47


Si consideri a tal proposito il modello di EEG di Cassel 53 in cui, come è<br />

noto, si assumono direttamente le funzioni di domanda piuttosto che ricavarle<br />

dalle preferenze individuali come in Arrow-Debreu. 54<br />

Come mostrato in Dorfman, Samuelson e Solow (1958, cap. 13) il modello<br />

di EEG di Cassel può essere risolto grazie alle tecniche di PL, il che consente di<br />

sviluppare ulteriormente l’analogia tra modello di EEG e modello di<br />

pianificazione. In particolare, vediamo sinteticamente quali sono i dati dei due<br />

modelli e le variabili che vengono determinate dalla soluzione.<br />

(1) MODELLO DI EEG. A partire (i) dalla matrice della tecnologia, (ii) dal vettore<br />

delle risorse e (iii) dalle schede di domanda, si ricavano i vettori delle quantità e<br />

dei prezzi d’equilibrio (il vettore dei prezzi comprende i prezzi dei beni finali e i<br />

prezzi per l’uso dei fattori).<br />

(2) MODELLO DI PIANIFICAZIONE. A partire (i) dalla matrice della tecnologia, (ii)<br />

dal vettore delle risorse e (iii) dal vettore dei pesi nella funzione obiettivo (dei<br />

beni finali), si ricavano le quantità ottime e i prezzi (ombra) per l’uso dei fattori.<br />

Prendiamo dunque un modello di EEG e risolviamolo (ammesso ovviamente che<br />

ciò sia possibile). Ci poniamo ora la domanda: è possibile ottenere la stessa<br />

soluzione in un sistema pianificato basato sulla stessa matrice tecnologica e sullo<br />

stesso vettore delle risorse iniziali? La risposta è sì: basta prendere una funzione<br />

obiettivo del pianificatore che (1) sia definita sullo spazio dei beni finali e (2)<br />

abbia come vettore di pesi il vettore dei prezzi d’equilibrio dei beni finali del<br />

modello di EEG. In tal caso infatti, il vettore di prezzi ombra del sistema<br />

pianificato coincide con il vettore dei prezzi d’equilibrio dei fattori di produzione<br />

del modello di EEG.<br />

Il parallelo tra modello di pianificazione e modello di EEG può essere reso<br />

ancora più forte impostando il problema di pianificazione come un problema di<br />

programmazione parametrica, in cui i pesi degli argomenti della funzione<br />

obiettivo non sono specificati a priori. Ciò permette di ricavare la frontiera<br />

efficiente prima di far intervenire i giudizi di valore espressi nei coefficienti della<br />

funzione obiettivo: nel modello di EEG si determina il vettore dei prezzi di<br />

mercato (beni finali + fattori di produzione); nel modello di pianificazione per<br />

ogni vettore fissato dei parametri della funzione obiettivo (beni finali) si<br />

determina il vettore dei prezzi ombra (fattori di produzione).<br />

53 I primi studi rigorosi delle condizioni di equilibrio del modello di Cassel sono stati pubblicati da<br />

Wald nel 1935-36. Per una presentazione sintetica si veda Wald (1951).<br />

54 In sé tale procedura non è problematica a patto che si analizzino poi le condizioni sulle<br />

preferenze individuali necessarie a garantire che le curve di domanda abbiano le proprietà<br />

ipotizzate. Cf. Dorfman, Samuelson and Solow (1958, p. 381).<br />

48


Per ogni vettore di prezzi di mercato (ottimo rispetto ad un problema di EEG),<br />

esiste dunque una funzione obiettivo (i cui parametri coincidono con i prezzi<br />

d’equilibrio dei beni finali del modello di EEG) del pianificatore la cui<br />

ottimizzazione comporta una produzione aggregata identica a quella del modello<br />

di EEG (e prezzi ombra identici ai prezzi d’equilibrio dei fattori di produzione del<br />

modello di EEG). 55 Ma, se il pianificatore può sempre ottenere la produzione<br />

aggregata (efficiente) del modello di EEG, è ovvio che egli può anche distribuire<br />

tale produzione tra gli individui in modo da replicare l’allocazione (PE)<br />

dell’EEG 56 (assegnando a ciascun individuo i beni che questi avrebbe ottenuto nel<br />

modello di EEG). 57<br />

Da un punto di vista puramente efficientistico i due sistemi sono dunque<br />

equivalenti.<br />

L’equivalenza con i sistemi economici caratterizzati da gradi intermedi di<br />

centralizzazione, tipo i sistemi basati su imprese organizzate al loro interno su<br />

base gerarchica, discende a questo punto come corollario, non appena si rifletta<br />

sul fatto che l’impresa gerarchica può essere considerata come un mini-sistema<br />

pianificato. 58<br />

In generale dunque, se il sistema centralizzato e quello decentralizzato<br />

possono dar luogo ad allocazioni (ottime) differenti, ciò è da imputarsi ai sistemi<br />

di valori degli agenti dei due sistemi (la funzione obiettivo del pianificatore del<br />

modello di PL e le relazioni di preferenze dei consumatori del modello di EEG),<br />

non ad una superiorità nel meccanismo allocativo.<br />

2.1.2. L’inesistenza dell’impresa<br />

Nel modello di EEG e nell’interpretazione economica del modello di PL come<br />

strumento di decentramento decisionale si ragiona generalmente come se<br />

esistessero delle istituzioni, chiamate imprese, all’interno delle quali avvengano le<br />

55 Cf. ad esempio, Dorfman, Samuelson and Solow (1958, cap. 13).<br />

56 Il pianificatore può replicare la distribuzione PE che si realizza nel modello di EEG, ma non è<br />

obbligato a farlo. Ragioni di equità potrebbero, ad esempio, essere addotte contro la distribuzione<br />

di EEG.<br />

57 Dorfman, Samuelson and Solow (1958, cap. 14).<br />

58 Le condizioni necessarie a riprodurre l’allocazione efficiente del sistema pianificato in un<br />

sistema organizzato su più livelli gerarchici sono analizzate negli studi di multi-level planning.<br />

Lipták (1965), Kornai and Lipták (1965).<br />

Le tecniche di multi-level planning sono interessanti ai fini della nostra analisi in quanto<br />

possono essere interpretate come la prova dell’indipendenza delle condizioni di efficienza dal<br />

grado di centralizzazione del processo decisionale. Soprattutto però, l’importanza storica di tali<br />

tecniche deriva dalla loro utilità rispetto ai problemi reali della pianificazione nei paesi socialisti.<br />

Cf. Kornai (1975).<br />

49


attività produttive. Tuttavia, i due modelli sono modelli allocativi e il processo<br />

produttivo è dunque un fatto puramente allocativo: l’output scaturisce dalla<br />

semplice combinazione degli input. In effetti è più corretto parlare di attività<br />

produttive, piuttosto che di imprese.<br />

Se i due modelli vengono talvolta interpretati inserendo in essi un ruolo<br />

per le imprese è per pura comodità narrativa, non per un’essenzialità analitica: nel<br />

modello di EEG la combinazione degli input può benissimo avvenire attraverso<br />

puri contratti privati (i quali d’altra parte sono gratis) così come nel modello di<br />

pianificazione perfetta gli ordini politico-legislativi (anch’essi gratuiti) possono<br />

senz’altro essere assegnati ad personam.<br />

Anzi, l’interpretazione naturale, una volta superato lo sforzo di entrare nel<br />

contesto decisionale perfetto, è quella di un sistema completamente decentrato in<br />

un caso e completamente centralizzato nell’altro: nel primo caso, visto che si<br />

assume un mercato perfetto (e visto che tale mercato, come si è appena mostrato,<br />

dà luogo a risultati efficienti), non si vede perché esso non debba regolare<br />

direttamente, senza istituzioni intermedie, anche la combinazione degli input per<br />

l’ottenimento dell’output; nel secondo caso, assunto uno Stato onnipotente (il<br />

quale, si è visto, può operare in modo efficiente), non c’è ragione per complicare<br />

la procedura di assegnazione degli ordini ai cittadini inserendo livelli decisionali<br />

intermedi.<br />

La nostra critica alla spiegazione dell’impresa in un contesto decisionale perfetto<br />

si basa quindi sull’ipotesi che un meccanismo allocativo alternativo già esista (in<br />

un caso il mercato, nell’altro lo Stato) e il suo utilizzo sia gratis. Se però si<br />

accettano le caratteristiche teoriche del contesto decisionale perfetto come<br />

caratteristiche a priori del contesto decisionale definito in senso astratto, non c’è<br />

alcuna contraddizione nell’ipotizzare un sistema <strong>economico</strong> basato sulle imprese.<br />

Ciò che è contraddittorio è la spiegazione dell’esistenza delle imprese quando un<br />

diverso sistema già esista, dunque ambedue le spiegazioni dell’impresa, come<br />

centralizzazione delle relazioni di mercato e come decentralizzazione del sistema<br />

pianificato, sono inaccettabili. 59<br />

Una volta assunto il contesto decisionale perfetto si può coerentemente<br />

analizzare qualsiasi tipo di sistema <strong>economico</strong>. È ovvio comunque che la struttura<br />

organizzativa del sistema deve essa stessa considerarsi un’ipotesi, non un risultato<br />

dell’analisi. Il sistema <strong>economico</strong> che si definisce deve intendersi come una pura<br />

costruzione astratta dai caratteri a-storici. Nessun tipo di processo <strong>economico</strong> può<br />

essere chiamato in causa per argomentare sulla plausibilità del sistema<br />

istituzionale assunto.<br />

59 Le ragioni che impediscono di spiegare l’impresa nel contesto decisionale perfetto sono<br />

sintetizzate in Palermo (1995).<br />

50


2.2. Stato e mercato nel contesto decisionale perfetto<br />

Il confronto tra sistema centralizzato e sistema decentralizzato può essere<br />

interpretato come un confronto tra Stato e mercato. L’analisi delle proprietà dei<br />

due sistemi può dunque intendersi come un tentativo di confrontare la<br />

desiderabilità di un sistema incentrato sul mercato rispetto a un sistema incentrato<br />

sullo Stato. 60 Tale modo di procedere non è esente da critiche. Alcune di esse<br />

saranno sviluppate nei prossimi capitoli. Ora, pur rimanendo all’interno del<br />

contesto decisionale perfetto, proviamo a ragionare sull’effettiva desiderabilità del<br />

meccanismo di mercato. Due osservazioni al riguardo.<br />

Prima osservazione: l’analisi sviluppata nel paragrafo precedente assume<br />

l’assenza di beni pubblici, 61 esternalità e rendimenti crescenti. In generale dunque,<br />

nel contesto decisionale perfetto, un sistema che concentri tutto il <strong>potere</strong><br />

decisionale nelle mani dello Stato risulta superiore al sistema decentralizzato delle<br />

economie di mercato: nei casi in cui non si presentino fallimenti del mercato, il<br />

sistema centralizzato e quello decentralizzato sono infatti equivalenti, tuttavia, in<br />

caso di beni pubblici, esternalità o rendimenti crescenti il primo sistema è<br />

superiore al secondo. 62<br />

Ovviamente, è il caso di ribadirlo, tale risultato poggia interamente sulle<br />

caratteristiche del contesto decisionale walrasiano. Paradossalmente dunque le<br />

ipotesi del modello walrasiano, modello considerato a volte come l’apologia del<br />

capitalismo, implicano l’inferiorità di un simile sistema sociale rispetto al sistema<br />

socialista, stilizzato nel modello di pianificazione centralizzata.<br />

Seconda osservazione: dovendo disegnare un sistema dalle proprietà desiderabili,<br />

il problema dell’aggregazione delle preferenze non può essere eluso.<br />

Nel sistema di mercato le preferenze individuali vengono aggregate e i<br />

piani che da esse derivano vengono armonizzati grazie all’attività di mercato<br />

stessa: lo scambio volontario senza vincoli istituzionali (ossia l’ipotesi di mercati<br />

60 Il fatto che si parli di un sistema incentrato sul mercato non significa che tale sistema potrebbe<br />

funzionare in assenza dello Stato: come già notato in introduzione, lo Stato, come istituzione<br />

garante della proprietà (più in particolare del diritto), è una categoria analitica necessaria rispetto a<br />

qualsiasi modello di transazioni economiche (cf. Samuels (1994)), compreso il modello di EEG.<br />

Al contrario, la definizione di un sistema incentrato sullo Stato non necessita di alcun riferimento<br />

all’esistenza dei mercati.<br />

61 Le condizioni per la PE nel caso di beni pubblici sono state determinate da Samuelson (1954).<br />

Tali condizioni, per il problema del free riding, non vengono realizzate in un sistema competitivo<br />

senza interventi esterni.<br />

62 Senza tenere conto del fatto che gli unici obiettivi perseguibili tramite il mercato (e ciò,<br />

indipendentemente dalla perfezione del contesto decisionale) sono quelli, direttamente o<br />

indirettamente, collegati al consumo.<br />

51


completi e perfetti) è ciò che assicura il raggiungimento di una configurazione<br />

efficiente (secondo Pareto).<br />

Nel sistema centralizzato l’aggregazione delle preferenze e la scelta della<br />

configurazione produttiva efficiente sono invece due atti distinti: l’aggregazione<br />

delle preferenze è un atto politico realizzantesi nella definizione (ad esempio<br />

mediante voto) della funzione obiettivo del pianificatore, l’ottimizzazione della<br />

funzione obiettivo è invece un fatto tecnico.<br />

Il fatto che il voto sull’allocazione sociale sia implicito nello schema di<br />

mercato e possa invece essere reso esplicito nello schema centralizzato non<br />

dovrebbe lasciare illusioni circa il fatto che i problemi di aggregazione delle<br />

preferenze (tipo il teorema di impossibilità del voto di Arrow) 63 siano presenti in<br />

ambedue i casi.<br />

Le due osservazioni sono sviluppate nei prossimi due paragrafi.<br />

2.2.1. Problemi di coordinamento nel contesto<br />

decisionale perfetto<br />

L’equivalenza del sistema pianificato e del sistema di mercato, in assenza di beni<br />

pubblici, esternalità e rendimenti crescenti deriva dal fatto che nel contesto<br />

walrasiano i problemi di coordinamento sono, dal punto di vista logico, banali, in<br />

quanto banali sono supposte essere le relazioni tra gli agenti.<br />

Un primo segnale di ciò sta nel fatto che il coordinamento all’interno<br />

dell’impresa può essere preso per dato, ma non spiegato economicamente.<br />

Un ulteriore campanello d’allarme si può cogliere dall’analisi delle<br />

assunzioni sulle preferenze individuali nel modello di EEG: strutture delle<br />

preferenze di tipo problematico dal punto di vista delle relazioni interpersonali<br />

come l’altruismo o l’affetto (che implicherebbero funzioni d’utilità individuali<br />

dipendenti dall’utilità di altri individui) devono essere escluse per ipotesi (pena il<br />

fallimento della prova di esistenza o di PE dell’equilibrio).<br />

Stesso discorso per la tecnologia: rendimenti crescenti e esternalità (casi in<br />

cui emerge l’esigenza di un coordinamento tra le attività private) devono essere<br />

esclusi per ipotesi.<br />

In un certo senso dunque l’equivalenza centralizzazionedecentralizzazione<br />

(o, anche, Stato-mercato) vale solo nei casi in cui i problemi di<br />

coordinamento non si pongono.<br />

63 Arrow (1951c).<br />

52


Il caso di beni pubblici non è che uno dei casi in cui il coordinamento assume<br />

caratteri problematici, ma è già da sé sufficiente a mostrare i limiti del modello<br />

completamente decentralizzato. Ciò ha reso evidente che date le ipotesi del<br />

contesto decisionale qualsiasi meccanismo allocativo può al più replicare<br />

l’allocazione che un pianificatore onnisciente individua senza problemi dal punto<br />

di vista logico. 64<br />

Il confronto con la soluzione pianificata è all’origine dell’analisi del ruolo dello<br />

Stato secondo la scuola neoclassica. In effetti, nella tradizione walrasiana una<br />

teoria vera e propria dello Stato come insieme di istituzioni non esiste: lo Stato<br />

svolge un ruolo puramente residuale rispetto al mercato, ossia trova spazio solo in<br />

caso di fallimento del mercato (per via di esternalità, beni pubblici, rendimenti<br />

crescenti e mercati imperfetti/incompleti). Anche tale spazio residuale tuttavia è<br />

posto in discussione. Negli sviluppi dell’economia neoclassica rivolti ad<br />

un’analisi esplicita del ruolo dello Stato si assume (mantenendo fede all’approccio<br />

metodologico individualistico) che il comportamento dei decisori pubblici sia<br />

ispirato alla massimizzazione dei loro propri interessi particolari ed egoistici e non<br />

alla promozione disinteressata del benessere sociale. Emerge dunque la possibilità<br />

di fallimenti dello Stato, il che restringe ulteriormente le ragioni dell’intervento<br />

pubblico.<br />

L’antagonismo Stato-mercato nasce dunque dalla privazione di un ruolo<br />

esplicito allo Stato e alle istituzioni in genere: l’analisi parte dal mercato<br />

(concepito in senso astratto come categoria universale, non come istituzione<br />

storicamente determinata). Là dove il mercato fallisce, si apre uno spazio teorico<br />

per lo Stato e si pone dunque il problema di una teoria dello Stato:<br />

simmetricamente alla teoria dei fallimenti del mercato viene così costruita una<br />

teoria astratta e a-istituzionale dei fallimenti dello Stato.<br />

L’impostazione metodologica individualistica e a-istituzionale riduce<br />

l’analisi dello Stato ad una dimensione normativa astratta in cui aspetti sociali e<br />

contesto storico non entrano. Dimensione legale e istituzioni non hanno spazio in<br />

una simile teoria così come non l’avevano nella teoria del mercato.<br />

Il contesto entro cui si sviluppa l’analisi è quello di un contesto decisionale<br />

perfetto in cui il funzionamento del sistema avviene a costi nulli e i processi<br />

decisionali non presentano alcun elemento problematico da un punto di vista<br />

logico e metodologico.<br />

64 Anche se i problemi tecnici possono essere rilevanti.<br />

53


2.2.2. Sistemi decisionali e regole di voto<br />

Nel sistema pianificato si può immaginare un processo decisionale in tre stadi: (1)<br />

i cittadini votano sulla funzione obiettivo (sui pesi relativi da assegnare ai vari<br />

beni); (2) il pianificatore ottimizza la funzione obiettivo in base alla tecnologia<br />

esistente; (3) la produzione aggregata viene ripartita tra i cittadini e consumata da<br />

questi ultimi. 65<br />

Nel sistema di mercato invece si vota comprando: la produzione dei vari<br />

beni dipende dalle preferenze dei consumatori solo nella misura in cui questi<br />

possono partecipare al processo di mercato. I diritti di voto sono dunque<br />

determinati dalla capacità di spesa, la quale dipende (1) dalla distribuzione iniziale<br />

delle risorse e (2) dai prezzi che si stabiliscono sul mercato.<br />

La distribuzione delle risorse, essendo un dato del modello, non può essere<br />

soggetta ad investigazioni (gli unici vincoli che si possono porre sono imposti<br />

dalle condizioni necessarie per l’ottenimento dell’EEG e per la sua PE); i prezzi,<br />

d’altra parte, essendo determinati dalla soluzione del modello, devono poter<br />

assumere qualsiasi valore sia necessario all’ottenimento dell’equilibrio.<br />

In definitiva quindi, nel modello di EEG, i diritti di voto sono dati e non<br />

sono soggetti a vincoli di natura etica. Il sistema di voto è parte integrante del<br />

meccanismo allocativo.<br />

Nel sistema centralizzato la separazione dell’atto politico dall’atto tecnico<br />

consente invece di indagare sulle proprietà dei diversi sistemi di voto. La regola<br />

stessa di voto cessa dunque di essere presa per data una volta per tutte, come nel<br />

caso dell’EEG, per divenire anch’essa oggetto di giudizio nella discussione delle<br />

proprietà generali del sistema decisionale. Tale separazione è in sé desiderabile in<br />

quanto consente di approfondire i problemi derivanti dal fatto stesso di vivere in<br />

società, portando alla luce le difficoltà di armonizzare valori privati e relazioni<br />

sociali.<br />

Infatti, i risultati di Arrow e della scuola del social choice, come sottolinea<br />

lo stesso Arrow, sono validi per qualsiasi sistema di voto, compreso quello<br />

implicito nel meccanismo di mercato. 66<br />

In altre parole dato che non esiste alcun sistema di voto ottimo, si rende<br />

necessario approfondire, utilizzando giudizi valore, il sistema di voto da<br />

utilizzare; 67 in tal caso il fatto che l’espressione del voto avvenga in un’apposita<br />

sede, la sede politica, deve essere considerato un vantaggio del sistema<br />

centralizzato. Il sistema di mercato viceversa è vincolato all’utilizzo di un<br />

65 Il problema distributivo nel sistema pianificato può essere affrontato esplicitamente: la<br />

distribuzione del reddito non è un dato dell’analisi ma è oggetto di discussione nell’ambito del<br />

processo di definizione del sistema di valori sociali.<br />

66 Arrow (1951c, p. 59).<br />

67 Ellman (1966) considera alcuni limiti della regola di voto basata sul meccanismo di mercato nel<br />

processo di derivazione di scelte sociali razionali a partire dalle preferenze individuali.<br />

54


particolare sistema di voto secondo il quale ciascun individuo riceve tanti diritti di<br />

voto quante sono le unità di reddito a propria disposizione. 68 In tal caso quindi, il<br />

mercato risulta essere la sede unica di ricomposizione dei conflitti d’interesse e il<br />

confronto politico risulta privato dei suoi poteri. 69<br />

I ragionamenti sull’esplicitazione del sistema di voto implicito nel modello di<br />

EEG nascono dal tentativo di interpretare tale modello come una stilizzazione<br />

(ancorché forzata) del sistema di mercato. Tali ragionamenti tuttavia escono<br />

dall’ambito di coerenza del modello di EEG. In tale modello non c’è tempo, tutto<br />

avviene simultaneamente. Le stesse operazioni di voto e di attribuzione dei diritti<br />

di voto sono simultanee. È probabile dunque che un « adepto della teoria<br />

dell’EEG » abbia delle difficoltà (giustamente) a seguire il ragionamento<br />

sviluppato poc’anzi. 70 Tale ragionamento nell’ottica a-temporale dell’EEG è<br />

semplicemente assurdo in quanto presuppone una cronologia: prima si<br />

distribuiscono i diritti di voto, poi si vota. 71<br />

Viceversa nel modello di EEG i diritti di voto si determinano nell’atto<br />

stesso del voto: la distribuzione delle risorse è un dato solo in termini fisici; per<br />

conoscere il reddito (ossia il valore delle risorse iniziali) si deve attendere la<br />

determinazione dell’equilibrio, la quale fornirà i prezzi dei vari beni. Ma, una<br />

volta determinato l’equilibrio, anche i « voti » risulteranno già espressi.<br />

In effetti se il modello di Arrow-Debreu sfugge al teorema di Arrow è<br />

proprio grazie alla peculiarità di determinare simultaneamente voti e diritti di<br />

voto. 72 Se d’altra parte provassimo a fissare il reddito (ossia la distribuzione dei<br />

68 Nel modello di EEG, tale sistema di voto assume la forma di un sistema in cui gli individui<br />

votano simultaneamente, in un unico turno.<br />

69 Zamagni (1994, p. 396) oltre a discutere i limiti della regola di voto del mercato da un punto di<br />

vista morale, evidenzia come essa consenta di esprimere giudizi sui prodotti, ma non sulla<br />

tecnologia, la localizzazione delle attività industriali, o l’organizzazione del lavoro. Tali decisioni<br />

vengono infatti delegate al manager il quale si occupa della minimizzazione dei costi. (Vedi anche<br />

nota 23).<br />

70 Per « adepti dell’EEG » intendiamo coloro che, affascinati dal valore estetico del modello, sono<br />

più interessati alla sua coerenza interna che alla sua utilità pratica.<br />

71 Peraltro anche le osservazioni di Zamagni (1994) circa l’impossibilità per il consumatore di<br />

votare sulla tecnologia, la localizzazione industriale e l’organizzazione del lavoro (cf. nota 30) non<br />

rappresentano un grave problema nell’ottica dell’EEG: tale problema potrebbe risolversi<br />

differenziando i prodotti in base al tipo di tecnologia utilizzata, alla locazione della produzione e<br />

alla forma organizzativa del lavoro. Senz’altro un simile espediente risolverebbe formalmente il<br />

problema (a patto che si trovi lo spazio per aggiungere questi ulteriori indici ad ogni bene nella<br />

rappresentazione formale del modello).<br />

Si noti comunque come la moltiplicazione dei beni e dei mercati faccia leva sull’ipotesi di<br />

perfetta informazione in maniera sempre più determinante. Ciò non costituisce alcun pericolo per<br />

l’adepto all’EEG; il problema diviene tuttavia rilevante non appena si tenti di stabilire una<br />

relazione tra modello di EEG e sistema di mercato.<br />

72 Val la pena di notare come lo stesso Arrow (1951c, p. 59) quando discute della validità del<br />

teorema di impossibilità anche per il sistema di mercato sembra avere in mente il sistema<br />

55


diritti di voto) come dato iniziale del modello di EEG andremmo incontro a<br />

sovradeterminazione, pregiudicando la possibilità di risolvere il modello. 73<br />

La a-temporalità dei fenomeni di coordinamento all’interno del modello di<br />

EEG ha dunque un duplice effetto: da una parte, mina alla base la possibilità di<br />

utilizzare tale strumento come riferimento per intervenire nella realtà; dall’altra,<br />

consente una coerenza interna che permette di eludere tutte le contraddizioni con<br />

cui è alle prese la teoria del social choice. 74<br />

Il fatto che una teoria riesca ad eludere (senza contraddizioni) problemi<br />

che noi analisti riteniamo importanti (in questo caso, il problema del criterio<br />

ottimo di aggregazione delle preferenze) dovrebbe metterci in guardia sul suo<br />

valore interpretativo piuttosto che ammaliarci con i suoi tratti estetici.<br />

2.3. La separazione produzione-distribuzione<br />

Il confronto tra la struttura organizzativa dell’EEG e quella di uno Stato<br />

completamente centralizzato operante mediante la soluzione di un problema di PL<br />

passa per la discussione separata del problema produttivo e del problema<br />

distributivo.<br />

Fatto produttivo e fatto distributivo non sono indipendenti nel modello di<br />

EEG: l’allocazione d’equilibrio che si determina a partire da una data<br />

distribuzione iniziale delle risorse risolve simultaneamente sia il problema<br />

produttivo, sia il problema distributivo.<br />

Nel modello di pianificazione, produzione e distribuzione sono invece due<br />

processi coerentemente distinti: da una parte si pone il problema produttivo come<br />

problema tecnico di PL; dall’altra si pone il problema distributivo come problema<br />

da affrontare secondo principi espressamente etici. 75<br />

capitalista piuttosto che il modello suo e di Debreu. Altrimenti dovremmo supporre che Arrow non<br />

fosse pienamente consapevole delle implicazioni del modello Arrow-Debreu.<br />

73 Formalmente fissare il valore delle risorse iniziali dei vari agenti equivale ad aggiungere tanti<br />

nuovi vincoli al modello quanti sono gli agenti. Tali nuovi vincoli verrebbero introdotti senza la<br />

contemporanea introduzione di nuove incognite, il che pregiudicherebbe, in generale, la possibilità<br />

di soluzioni del modello di EEG di puro scambio (e di scambio e produzione non capitalistica).<br />

Cf., ad esempio, Varian (1992). L’impossibilità di risolvere il modello di EEG con produzione<br />

capitalistica è un problema più generale, anch’esso legato al problema di specificazione delle<br />

risorse (del capitale) in termini indipendenti dai prezzi. Cf. Garegnani (1960), Eatwell (1987).<br />

74 Contraddizioni risolvibili solo attraverso la discussione esplicita dei sistemi di valori.<br />

75 Come abbiamo notato nel paragrafo 2.1.1, la separazione tra produzione e distribuzione può<br />

essere resa evidente impostando il problema di pianificazione come un problema di<br />

programmazione parametrica: l’individuazione della frontiera efficiente risolve il problema<br />

produttivo, la scelta di un punto sulla frontiera risolve il problema distributivo.<br />

56


L’analisi delle due strutture organizzative passa (correttamente) per<br />

l’assunzione che nel modello di mercato produzione e distribuzione non siano<br />

separabili, mentre esse lo sono nel modello pianificato.<br />

Il fatto che produzione e distribuzione avvengano contestualmente<br />

(istantaneamente) nel modello di EEG potrebbe creare problemi etici qualora la<br />

soluzione produttiva (Pareto) efficiente non fosse anche eticamente accettabile. È<br />

qui che grazie ai due teoremi generali del benessere, si introduce la separazione<br />

tra analisi del problema produttivo e analisi del problema distributivo nel modello<br />

di EEG. I due teoremi generali del benessere affermano che (1) l’EEG è PE e (2)<br />

ogni allocazione PE può essere ottenuta come soluzione di un modello di EEG.<br />

Grazie ai due teoremi l’economista si pone dietro un potente scudo<br />

apolitico, contro eventuali attacchi etici: esistono due problemi distinti, la<br />

produzione di una grande torta e la spartizione della torta. I due teoremi del<br />

benessere affermano che per ogni giudizio etico sulla spartizione della torta, il<br />

meccanismo di mercato permette di ottenere la più grande torta possibile. 76 Se non<br />

siamo soddisfatti dei criteri di spartizione, cambiamoli ma, una volta cambiatili,<br />

sarebbe stupido accontentarsi di una torta che non sia la più grande possibile.<br />

Sebbene i due processi di produzione e distribuzione siano interdipendenti,<br />

i due teoremi del benessere ci permettono di analizzarli separatamente.<br />

L’interdipendenza del processo produttivo e del processo distributivo è una<br />

caratteristica generale del sistema capitalista; è un bene che essa possa essere colta<br />

anche nelle ipotesi astratte del contesto decisionale perfetto.<br />

I due teoremi del benessere valgono invece solo nel contesto decisionale<br />

perfetto. La separazione dei problemi produttivo e distributivo che i due teoremi<br />

consentono è dunque una caratteristica unica dell’analisi del contesto decisionale<br />

perfetto. 77<br />

Nel sistema pianificato i problemi di produzione e distribuzione sono<br />

indipendenti. Le dotazioni iniziali non sono degli individui, ma della collettività;<br />

tali dotazioni pubbliche sono utilizzate per risolvere il problema produttivo, il<br />

quale è un problema puramente tecnico. Gli obiettivi da perseguire nella<br />

produzione e i criteri di ripartizione dei benefici della produzione tra la<br />

popolazione sono invece problemi discussi esplicitamente in termini di giudizi di<br />

valore. La separazione tra produzione e distribuzione è quindi una caratteristica<br />

dell’assunzione di proprietà pubblica dei mezzi di produzione.<br />

76 La soluzione produttiva ottima, fissato l’obiettivo distributivo, viene ottenuta attraverso<br />

l’imposizione di tasse-trasferimenti lump sum.<br />

77 Una delle manifestazioni della possibilità di separare produzione e distribuzione nel contesto<br />

decisionale perfetto si ha nel così detto teorema di Coase (la cui formulazione è di Stigler (1989) il<br />

quale trae ispirazione dall’articolo di Coase del 1960) il quale afferma che la distribuzione iniziale<br />

dei diritti di proprietà (privati) non influisce sulla configurazione produttiva del sistema. Si noti<br />

peraltro che Coase (1960) insiste sul carattere paradossale di tale risultato dipendente dall’ipotesi<br />

fortemente irrealistica di assenza di costi di transazione.<br />

57


2.4. <strong>Coordinamento</strong> e <strong>competizione</strong> nel contesto<br />

decisionale perfetto<br />

Analizziamo ora il ruolo dei principi di coordinamento e <strong>competizione</strong> nel<br />

contesto decisionale perfetto.<br />

(1) PRINCIPIO DI COMPETIZIONE. Esso è assente sia nel modello centralizzato, sia<br />

in quello decentralizzato. L’analisi del principio di <strong>competizione</strong> come principio<br />

ex post è impedita dall’ipotesi di equilibrio. Consideriamo dunque il ruolo del<br />

principio di <strong>competizione</strong> ex ante.<br />

Nel modello di pianificazione perfetta la <strong>competizione</strong> (in ogni sua forma)<br />

è negata esplicitamente.<br />

Nel modello di EEG la <strong>competizione</strong> ex ante opera solo sullo sfondo:<br />

l’idea che viene in mente è che gli agenti, in <strong>competizione</strong> tra loro, offrano a<br />

prezzi più bassi o domandino a prezzi più alti, così da evitare stock invenduti o<br />

domande insoddisfatte, fino al raggiungimento dell’equilibrio. D’altra parte nel<br />

modello di EEG gli agenti sono per ipotesi price-taker, il che impedisce una<br />

simile interpretazione del principio di <strong>competizione</strong>.<br />

La storia del banditore evidenzia inoltre come il processo virtuale di<br />

raggiungimento dell’equilibrio sia fondato su un esplicito coordinamento ex ante<br />

centralizzato. Il principio di <strong>competizione</strong> non ha tuttavia spazio neanche nel<br />

corso di tale processo immaginario di coordinamento ex ante: ogni agente<br />

risponde alle grida del banditore pensando unicamente a sé stesso, senza interagire<br />

con gli altri partecipanti al mercato. Gli agenti non sono in relazione tra loro,<br />

come invece si ha in una <strong>competizione</strong>.<br />

(2) PRINCIPIO DI COORDINAMENTO. La storia del banditore è solo un espediente<br />

narrativo: un modello di equilibrio porta alla determinazione delle condizioni che,<br />

qualora assunte, impediscono il cambiamento. Il coordinamento di cui è garante il<br />

banditore è dunque implicito nelle ipotesi del modello, non è il risultato di un<br />

processo.<br />

Non solo dunque, nel modello di EEG non si ha <strong>competizione</strong>, ma il<br />

principio di coordinamento deve essere assunto come un elemento definitorio<br />

dell’equilibrio. Il coordinamento come processo non può essere considerato, esso<br />

deve essere assunto come qualcosa che, in equilibrio, ha già operato.<br />

In questo senso i due modelli centralizzato e decentralizzato non sono così<br />

differenti: ambedue sfruttano il puro principio di coordinamento ex ante ed<br />

ambedue assegnano a tale principio un ruolo puramente definitorio.<br />

58


Inoltre, come si è visto nel paragrafo 2.2.1 i casi in cui si pongono veri e<br />

propri problemi di coordinamento devono essere esclusi per ipotesi nel modello di<br />

EEG. Tali casi possono invece essere considerati nel modello di pianificazione,<br />

ma è probabile che tale modello fallisca il coordinamento in sede di aggregazione<br />

delle preferenze.<br />

Tirando le somme dunque, nel contesto decisionale perfetto il principio di<br />

<strong>competizione</strong> non gioca più alcun ruolo. Tutto è svolto dal principio di<br />

coordinamento. D’altra parte, il principio di coordinamento opera soltanto in quei<br />

casi in cui un vero problema di coordinamento non si pone (l’esclusione di beni<br />

pubblici, esternalità e rendimenti crescenti, nel caso dell’EEG) o si suppone già<br />

risolto (l’ipotesi che la funzione obiettivo sia data, nel caso del modello di<br />

pianificazione e che il banditore abbia già operato nel modello di EEG).<br />

Tali risultati paradossali sono diretta conseguenza dell’aver schiacciato al<br />

limite le imperfezioni del modello (tempo, incertezza, informazione, diritti,<br />

razionalità) fino ad annullarle completamente. Una volta ottenuto un contesto<br />

perfetto i due principi di coordinamento e <strong>competizione</strong> non hanno più alcun<br />

compito da svolgere.<br />

Per dirla brutalmente, nel contesto decisionale perfetto il principio di<br />

<strong>competizione</strong> non opera e il principio di coordinamento opera solo quando non<br />

serve.<br />

2.5. Conclusioni<br />

Nel contesto decisionale perfetto l’efficienza di una struttura organizzativa non<br />

dipende dal suo grado di centralizzazione decisionale. Ciò implica che tutte le<br />

strutture organizzative definibili sul contesto decisionale perfetto non possono<br />

essere spiegate economicamente ma devono essere assunte come ipotesi.<br />

Il confronto tra Stato e mercato è vinto dallo Stato: (1) nei casi di fallimento del<br />

mercato, il sistema pianificato è superiore al sistema di mercato, (2) negli altri casi<br />

i due sistemi sono equivalenti.<br />

Il modello centralizzato soffre di problemi di aggregazione delle preferenze che si<br />

manifestano nel teorema di impossibilità del voto. Tali problemi non sono<br />

specifici della struttura organizzativa centralizzata, bensì riguardano tutte le<br />

strutture organizzative definibili sul contesto decisionale perfetto. Nella struttura<br />

organizzativa di mercato essi, pur essendo presenti, rimangono tuttavia latenti.<br />

59


La separazione dei problemi di produzione e distribuzione è una caratteristica<br />

intrinseca del modello di pianificazione; nel modello di EEG essa è invece resa<br />

possibile dalla dimostrazione dei due teoremi generali del benessere.<br />

Dal punto di vista dei principi di coordinamento e <strong>competizione</strong> si ha che il primo<br />

non ha modo di operare e il secondo è efficace solo quando è inutile.<br />

L’analisi del contesto decisionale perfetto porta infine a stabilire le due seguenti<br />

tautologie: (1) nei casi in cui non si hanno fallimenti del mercato, il meccanismo<br />

di mercato è efficiente; (2) nei casi in cui è possibile derivare una funzione<br />

obiettivo a partire dalle preferenze individuali senza generare paradossi, il<br />

modello di pianificazione è efficiente.<br />

60


SECONDA PARTE<br />

I rapporti tra Stato e mercato<br />

nella teoria austriaca<br />

61


3<br />

LA TEORIA AUSTRIACA E IL DIBATTITO<br />

SULLA PIANIFICAZIONE<br />

62<br />

Socialism is the abolition of rational economy.<br />

Mises (1920)<br />

The socialist mode of production - the most perfect in the history of mankind.<br />

Kantorovich (1975)<br />

Il dibattito tra sostenitori e critici della pianificazione economica ha coinvolto<br />

scuole di pensiero diverse, i cui argomenti non sempre sono stati correttamente<br />

compresi dalle scuole rivali. 78 Parte delle incomprensioni possono essere<br />

ricondotte al fatto che il confronto tra strutture organizzative si è realizzato sotto<br />

l’assunzione (a volte solo implicita) di contesti decisionali diversi, violando così<br />

la condizione di coerenza metodologica che vuole che il confronto si sviluppi a<br />

parità di contesto decisionale. A complicare le cose si aggiunga che il delinearsi<br />

dei diversi contesti decisionali è esso stesso un processo dipendente dal dibattito.<br />

Ciò porta ad individuare due traiettorie divergenti lungo cui si è sviluppato il<br />

dibattito. Esse sono presentate nel paragrafo 3.1 e discusse separatamente nei<br />

paragrafi 3.2 e 3.3.<br />

Un aspetto interessante del confronto tra strutture organizzative su contesti<br />

decisionali diversi concerne il significato di efficienza di una struttura<br />

78 Basti notare come da ambo i lati si sia ritenuto concluso il dibattito con la propria definitiva<br />

vittoria. Scrivono rispettivamente Hayek e Drewnowsky (citati in Lavoie (1985a, p. 4)):<br />

« I don’t think it can now be gainsaid by anybody who has studied these discussions [the<br />

great debate of the 1920s and 1930s] that those hopes were shattered and that it came to be<br />

recognised that an attempt at centralised collectivist planning of a large economic system was on<br />

the contrary bound greatly to decreased productivity ». Hayek (1978, p. 235)<br />

« Mises, as everybody agrees now, was wrong in his main contention that economic<br />

calculation under socialism is theoretically impossible ». Drewnowsky (1961, p. 341).


organizzativa; tale concetto assume significati diversi nei diversi contesti<br />

decisionali. Esso è discusso nel paragrafo 3.4.<br />

Dal dibattito è rimasta sostanzialmente ai margini la scuola matematica<br />

sovietica (di impostazione marxiana). Gli economisti sovietici in effetti non si<br />

sono preoccupati molto di rispondere agli attacchi teorici austriaci, quanto<br />

piuttosto di migliorare la pratica della pianificazione. Un aspetto del dibattito<br />

interno all’Unione Sovietica riguarda l’uso dei metodi matematici per la<br />

pianificazione economica; tale dibattito non solo offre interessanti spunti per<br />

l’analisi del principio di coordinamento, ma rappresenta anche un contrattacco<br />

(rimasto sostanzialmente inascoltato) alle teorie borghesi del capitalismo. Esso è<br />

discusso nel paragrafo 3.5.<br />

Il paragrafo 3.6 conclude il capitolo.<br />

3.1. Due traiettorie divergenti<br />

L’inizio del dibattito sulla pianificazione è unanimemente ricondotto all’articolo<br />

di Mises del 1920, « Economic Calculation in the Socialist Commonwealth ».<br />

Tuttavia, l’articolo di Barone del 1908 rappresenta già un precedente nella critica<br />

all’economia del socialismo. È il riferimento di Barone al contesto decisionale<br />

walrasiano che porta a ricondurre l’origine del dibattito a Mises piuttosto che a<br />

Barone, in quanto è l’originalità delle tesi austriache, per molti versi, l’elemento<br />

di interesse del dibattito.<br />

Ciò che è interessante è che il dibattito ha costretto i partecipanti a<br />

esplicitare la propria visione del mondo e il proprio metodo d’analisi il che, a sua<br />

volta, ha permesso una migliore caratterizzazione delle diverse scuole di pensiero.<br />

Questo non significa che nel corso del dibattito si sia pervenuti ad un<br />

maggiore livello di chiarezza nelle rispettive posizioni. Al contrario, Lavoie<br />

(1985a) sostiene che l’antagonismo tra le diverse posizioni non sia mai stato<br />

chiarito e che anzi abbia finito per perdersi nella generale confusione. 79 L’origine<br />

di tale confusione sta proprio nel fatto che sono venute a confronto scuole dalle<br />

impostazioni metodologiche assai diverse.<br />

Proprio tale confusione può essere utilizzata per caratterizzare le diverse<br />

scuole. Secondo Vaughn (1980) è grazie al dibattito sulla pianificazione che la<br />

scuola austriaca ha preso coscienza della propria radicale distanza dalla scuola<br />

neoclassica. 80 A nostro parere, nel dibattito sulla pianificazione si possono allora<br />

79 « The initial rivalry between the advocates and critics of central planning was never resolved; it<br />

was simply dissipated in confusion » Lavoie (1985a, p. 183).<br />

80 Dello stesso parere è Kirzner (1987), secondo il quale il dibattito sulla pianificazione è stato<br />

determinante nel processo di esplicitazione della visione austriaca del processo di mercato.<br />

63


individuare due traiettorie divergenti, l’una legata all’approccio neoclassico,<br />

l’altra legata all’approccio austriaco.<br />

Il problema è che le differenze tra i due approcci sono venute delineandosi<br />

nel corso del dibattito stesso. La confusione di cui parla Lavoie si può allora<br />

ricondurre al fatto che i protagonisti dell’attacco alla pianificazione erano in<br />

campo austriaco, anche se le caratteristiche di tale campo non erano ancora<br />

completamente esplicitate o, quanto meno, risultavano appannate da una<br />

somiglianza con le tesi neoclassiche. 81 La difesa dei sostenitori della<br />

pianificazione (Lange, Lerner, Taylor) ha fatto invece leva su argomentazioni<br />

basate sullo schema neoclassico. Se le risposte dei sostenitori della pianificazione<br />

fossero state indirizzate a Barone piuttosto che a Mises, è probabile che molti<br />

elementi di confusione sarebbero eliminati: Barone infatti è coerentemente legato<br />

all’approccio neoclassico mentre Mises discende dalla tradizione mengeriana.<br />

Tuttavia, come si diceva, è proprio a partire dal dibattito sulla<br />

pianificazione che gli economisti austriaci riscoprono le proprie radici<br />

mengeriane. 82 In effetti, Mises stesso sembra in alcuni casi sottovalutare la<br />

sostanziale differenza metodologica tra la scuola austriaca e quella neoclassica.<br />

Scrive Mises nel 1933: 83<br />

« Within modern subjectivist economics it has become customary to distinguish<br />

several schools. We usually speak of the Austrian and the Anglo-American Schools<br />

and the School of Lauzanne (...). (The fact is) that these three schools of thought<br />

differ only in their mode of expressing the same fundamental idea and they are<br />

divided more by their terminology and by peculiarities of presentation than by the<br />

substance of their teaching ». 84<br />

La distanza metodologica tra la scuola neoclassica e quella austriaca non è<br />

peraltro di secondaria importanza. Prova ne è il fatto che, col delinearsi dei<br />

caratteri originali dell’approccio austriaco, la scuola neoclassica, da alleata teorica<br />

contro la minaccia marxista, è divenuta essa stessa oggetto degli attacchi<br />

metodologici della scuola austriaca.<br />

81 In realtà già tra i protagonisti della così detta svolta marginalista non si può dire che ci fosse<br />

accordo sui metodi d’analisi. Jaffè (1976), in particolare, dimostra la consapevolezza di Menger<br />

della propria diversità metodologica rispetto a Walras. Streissler (1972) sostiene inoltre che l’atto<br />

di definire Menger come uno dei fondatori del marginalismo non solo è arbitrario, ma fa anche<br />

torto all’originalità degli insegnamenti mengeriani. Cf. anche Vaughn (1987).<br />

82 Vaughn (1980, 1994), Kirzner (1987).<br />

83 La traduzione inglese è del 1960.<br />

84 Mises (1960, [1981, p. 214]).<br />

64


3.2. La prima traiettoria<br />

La presa di distanza della scuola austriaca da quella neoclassica si è realizzata<br />

ponendo in discussione due ipotesi del contesto decisionale: la dimensione<br />

temporale e quella informativa. Secondo la teoria austriaca, la desiderabilità dei<br />

meccanismi allocativi pianificato e decentralizzato deve essere posta in relazione<br />

alle potenzialità dei due sistemi di scoprire e gestire nel tempo l’informazione<br />

necessaria al loro funzionamento.<br />

La discussione del problema della conoscenza come problema legato alla<br />

dimensione temporale chiama in causa un secondo problema, quello degli<br />

incentivi: il sistema <strong>economico</strong>, secondo la teoria austriaca, può operare in modo<br />

efficiente solo se gli individui ricevono, nel corso dei propri processi decisionali, i<br />

corretti stimoli e incentivi. Secondo la teoria austriaca è perciò necessario che i<br />

meccanismi di eliminazione delle incompatibilità tra i piani siano coerenti con la<br />

natura degli individui che partecipano ai processi economici.<br />

Gli individui, secondo le ipotesi austriache, sono per natura opportunisti.<br />

La tesi austriaca è che in un mondo in continuo cambiamento caratterizzato da<br />

informazione imperfetta e tacita e agenti opportunisti, il sistema pianificato non ha<br />

modo di funzionare, in quanto entrano in conflitto interessi privati e valori sociali.<br />

La proprietà pubblica dei mezzi di produzione, in particolare, impedisce<br />

l’espressione delle rivalità individuali, la quale costituisce il motore del processo<br />

di sviluppo <strong>economico</strong> ed è alla base del benessere collettivo. Il sistema di<br />

mercato invece, essendo basato sulla proprietà privata dei mezzi di produzione,<br />

proprio perché enfatizzante il perseguimento dell’interesse opportunistico<br />

individuale, non presenta incoerenze tra comportamenti individuali e obiettivi<br />

sociali e non pone dunque problemi sul fronte degli incentivi: ogni individuo è<br />

incentivato a contribuire al benessere pubblico, in quanto questo si realizza<br />

automaticamente attraverso il perseguimento degli obiettivi privati dei singoli<br />

individui.<br />

L’attacco austriaco al socialismo è sviluppato da Mises ed Hayek. L’originalità di<br />

ambedue gli autori rispetto all’approccio neoclassico sta nella concezione del<br />

tempo. Accanto alla discussione della dimensione temporale Mises individua il<br />

problema degli incentivi e discute il ruolo analitico dell’equilibrio (3.2.1).<br />

L’analisi di Hayek si concentra sul problema della conoscenza (3.2.2). 85<br />

85 Hayek (1937) sviluppa anche un’importante critica al metodo dell’equilibrio con la quale rende<br />

le distanze dalle analisi sviluppate sul contesto decisionale perfetto; essa sarà dis cussa nell’analisi<br />

della seconda traiettoria, la quale si sviluppa su un contesto decisionale di tipo neoclassico.<br />

65


3.2.1. Tempo, equilibrio e incentivi<br />

Mises pone l’accento sui problemi economici come problemi di dinamica<br />

piuttosto che di statica. L’importanza della dimensione temporale modifica il<br />

ruolo analitico del concetto di equilibrio rispetto alla visione neoclassica:<br />

l’equilibrio non rappresenta il riferimento teorico atto a descrivere il normale<br />

funzionamento del sistema; al contrario, il continuo cambiamento dei dati<br />

economici fa sì che ogni posizione (teorica) di equilibrio divenga rapidamente<br />

priva di importanza, in quanto superata da una nuova configurazione d’equilibrio.<br />

Il problema del calcolo <strong>economico</strong> non è in sé rilevante nello stato stazionario;<br />

esso è invece il motivo dell’impossibilità del socialismo in un sistema in continuo<br />

cambiamento. 86<br />

L’attacco al sistema pianificato (e al tempo stesso l’efficienza del sistema<br />

capitalista) non si basa dunque sulla possibilità o meno di raggiungere e<br />

mantenere l’equilibrio. Il confronto tra sistema capitalista e sistema socialista è<br />

basato invece proprio sull’analisi dei processi che avvengono fuori dall’equilibrio.<br />

L’analisi del disequilibrio ha due implicazioni.<br />

Primo, il sistema pianificato è più lento negli aggiustamenti: nel sistema<br />

capitalista gli aggiustamenti avvengono in maniera rapida e automatica; nel<br />

sistema socialista invece si manifestano necessariamente ritardi, in quanto i<br />

prezzi, unico strumento razionale di segnalazione degli aggiustamenti necessari,<br />

possono essere aggiustati solo ad intervalli di tempo considerevoli.<br />

Secondo, e più importante ancora, fuori dall’equilibrio risulta in generale<br />

impossibile armonizzare gli aggiustamenti necessari al funzionamento efficiente<br />

del sistema con le forze spontanee derivanti dall’assunzione di individui<br />

opportunisti. 87 Individui opportunisti e proprietà pubblica dei mezzi di produzione<br />

sono, nella visione di Mises, concetti incompatibili con l’efficienza economica.<br />

L’assunzione di individui opportunisti è alla base della visione del principio di<br />

<strong>competizione</strong> ex post come principio efficiente e unico.<br />

Un sistema disegnato attorno al principio di <strong>competizione</strong> ex post<br />

(realizzantesi attraverso il meccanismo dei prezzi di mercato) in cui sia garantita<br />

la proprietà privata dei mezzi di produzione consente di rendere compatibili in<br />

modo automatico i processi decisionali individuali. Per di più il meccanismo dei<br />

prezzi è considerato sufficientemente flessibile da garantire un aggiustamento<br />

continuo in risposta ai cambiamenti delle preferenze degli individui. Esso è<br />

dunque un efficace sistema dinamico di incentivi.<br />

86 « The static state can dispense with economic calculation. (...) in the socialist commonwealth<br />

every economic change becomes an undertaking whose success can be neither appraised in<br />

advance nor later retrospectively determined ». Mises (1920, [1972, pp. 79-80]).<br />

87 Mises (1920, [1972, pp. 78-80]).<br />

66


Al contrario, in un sistema di proprietà pubblica dei mezzi di produzione<br />

non esistono strumenti razionali di calcolo atti a fronteggiare i cambiamenti<br />

continui del sistema <strong>economico</strong>. Il problema principale non è che la pianificazione<br />

come strumento di calcolo non è sufficientemente flessibile; piuttosto il problema<br />

è che essa non è razionale in quanto basata su una contraddizione interna:<br />

individui rivali vengono chiamati a concorrere agli obiettivi sociali senza poter<br />

esprimere le proprie rivalità: « Socialism is the abolition of rational economy ». 88<br />

La tesi di Mises circa l’impossibilità del calcolo <strong>economico</strong> nel sistema socialista<br />

può allora ricondursi alla doppia argomentazione secondo cui (1) il sistema dei<br />

prezzi è l’unico sistema di incentivi razionale e (2) esso è una caratteristica<br />

esclusiva del sistema di mercato. 89<br />

Il problema non è se il sistema di prezzi di mercato sia o meno uno<br />

strumento perfetto per il calcolo <strong>economico</strong>; l’attacco al socialismo si basa<br />

piuttosto sulla tesi che in assenza del calcolo monetario (basato sui prezzi di<br />

mercato) il funzionamento razionale del sistema <strong>economico</strong> è impossibile. 90<br />

Condizione necessaria per la razionalità del calcolo <strong>economico</strong> è che i prezzi<br />

esprimano effettivamente le rivalità individuali, ossia che siano il risultato di un<br />

reale processo competitivo. Ciò richiede la proprietà privata dei mezzi di<br />

produzione e la massima autonomia decisionale degli individui nella<br />

manifestazione delle proprie rivalità.<br />

3.2.2. Tempo e conoscenza<br />

Nel proseguimento dell’analisi per opera di Hayek l’attenzione si concentra sul<br />

problema della conoscenza. 91 La concezione hayekiana del problema della<br />

conoscenza è del tutto particolare rispetto al problema informativo della scuola<br />

neoclassica. In Hayek il problema della conoscenza è visto nella sua dimensione<br />

temporale. Si rigetta inoltre l’idea che la conoscenza possa essere considerata un<br />

dato del problema: ciò significherebbe cancellare il problema <strong>economico</strong> stesso. 92<br />

88 Mises (1920, [1972, p. 80]).<br />

89 « When there is no free market, there is no pricing mechanism; without a pricing mechanism,<br />

there is no economic calculation ». Mises (1920, [1972, p. 81]).<br />

90 « Admittedly, monetary calculation has its inconveniences and serious defects, but we have<br />

certainly nothing better to put in its place (...). Were we to dispense with it, any economic system<br />

of calculation would become absolutely impossible ». Mises (1920, [1972, p. 79]).<br />

91 Hayek (1937, 1945, 1946, 1968).<br />

92 « If we possess all the relevant information, if we can start out from a given system of<br />

preferences, and if we command complete knowledge of the available means, the problem which<br />

remains is purely one of logic. That is, the answer to the question of what is the best use of the<br />

available means is implicit in our assumptions ». Hayek (1945, p. 519).<br />

67


Al contrario l’analisi dei meccanismi economici deve essere incentrata proprio<br />

sulle caratteristiche dei processi di scoperta della conoscenza. È in tale contesto<br />

che viene analizzata l’efficienza del sistema competitivo: la <strong>competizione</strong><br />

rappresenta per Hayek il più potente meccanismo di scoperta della conoscenza<br />

mai esistito. 93<br />

Conoscenza e tempo rappresentano due caratteri intrinsecamente legati<br />

nell’analisi di Hayek: 94 le caratteristiche della conoscenza sono di essere per lo<br />

più tacita e connotata nel tempo e nello spazio e di cambiare insieme a tutti i dati<br />

del problema. La variabilità dei dati non deve far pensare che il confronto tra<br />

sistemi economici organizzati secondo diversi principi divenga impossibile. Al<br />

contrario, il confronto deve basarsi proprio sulle proprietà dei diversi sistemi<br />

riguardo alle procedure di scoperta dei dati stessi. 95<br />

Da questo punto di vista, il fatto che la conoscenza sia tacita rappresenta di<br />

per sé un potente attacco alla pianificazione (in ogni sua forma, matematica e<br />

non). In « The Use of Knowledge in Society », Hayek capovolge in un certo senso<br />

i termini del problema di disegnare un sistema dalle proprietà desiderabili: l’idea<br />

che il progetto consapevole di un sistema <strong>economico</strong> desiderabile porti alla<br />

definizione di un sistema governato consapevolmente è rigettata. 96 Attraverso il<br />

sistema pianificato si pretenderebbe di coordinare consapevolmente i processi<br />

economici; ebbene questo per Hayek rappresenta un limite, non un pregio: il<br />

problema riguarda piuttosto il modo in cui si può estendere il campo di<br />

utilizzazione delle risorse oltre il campo di controllo di ogni singola mente. L’idea<br />

che progettare un sistema ottimo significhi pianificare è dunque sbagliata: la<br />

desiderabilità di un sistema è da ricercarsi invece in quei meccanismi che<br />

permettono di superare i vincoli imposti dal controllo consapevole dei processi<br />

economici.<br />

L’attenzione sui processi di scoperta della conoscenza permette ad Hayek di<br />

mantenere l’impostazione del problema della desiderabilità del sistema<br />

« (...) the absurdity of the usual procedure of starting the analysis with a situation in<br />

which all the facts are supposed to be known ». Hayek (1968, [1978, p. 182]).<br />

93 Hayek (1945, 1946, 1968).<br />

94 Conoscenza e tempo sono divenuti i termini chiave del messaggio hayekiano. Vaughn (1990, p.<br />

394), osserva come essi dovrebbero piuttosto essere associati a Menger, il quale anticipa molti<br />

degli aspetti del problema conoscitivo sviluppati da Hayek.<br />

95 Si vede così come Hayek rifiuti l’ipotesi neoclassica di completa esogenità del contesto<br />

decisionale e basi invece la tesi della desiderabilità del capitalismo proprio sull’analisi degli effetti<br />

della struttura organizzativa sulla dimensione informativa del contesto decisionale.<br />

96 Tale posizione è già anticipata in Hayek (1935c, [1946, p. 213]): « Proprio quella politica<br />

[adottata dall’autorità pianificatrice] che secondo molti dovrebbe portare alla diminuzione degli<br />

sperperi, diviene di fatto una causa di sperperi ». Cf. anche Hayek (1973).<br />

68


competitivo in termini di « ottimo » (anche se, ovviamente, il significato del<br />

concetto di ottimalità assume caratteristiche diverse dall’accezione neoclassica). 97<br />

Ciò è possibile in quanto sebbene l’insieme da scoprire cambi<br />

continuamente (e in modo imprevedibile a priori) esso è supposto cambiare in<br />

modo esogeno o, quanto meno, indipendente dal contesto istituzionale in cui i<br />

processi di scoperta hanno luogo. Questo permette di confrontare i sistemi in base<br />

alla loro capacità di scoprire il più possibile tale insieme in continuo cambiamento<br />

(esogeno). L’ottimalità del sistema di mercato deriva allora dalle proprietà del<br />

meccanismo dei prezzi, il quale (facendo leva unicamente sul principio di<br />

<strong>competizione</strong>) guida i processi individuali di scoperta e conduce in modo<br />

spontaneo ed automatico all’ordine sociale.<br />

3.3. La seconda traiettoria<br />

La concezione austriaca del problema <strong>economico</strong> come problema temporale è<br />

incompatibile con la visione neoclassica. 98 Nell’analisi austriaca la concorrenza è<br />

un meccanismo (automatico) ex post che conduce all’ordine simile alla<br />

concezione smithiana. 99 La presentazione più coerente dell’analisi neoclassica è<br />

invece, a nostro giudizio, quella in cui il riferimento al contesto decisionale<br />

perfetto viene reso esplicito; un primo passo in tale direzione, come si è visto, è da<br />

ricondursi all’articolo di Barone (1908) in cui viene evidenziata l’analogia<br />

formale tra sistema pianificato e economia di mercato. Ed è in tale direzione che<br />

andrebbero (logicamente, non storicamente) collocate le analisi di Lange, Lerner e<br />

Taylor.<br />

Lange e Lerner propongono una procedura a tentativi ed errori atta ad<br />

eliminare ex post, mediante aggiustamenti successivi, le incompatibilità dei piani<br />

nel loro manifestarsi storico. 100 L’obiettivo della procedura è di dimostrare sul<br />

piano formale la possibilità del calcolo razionale in un sistema pianificato<br />

97 L’analisi in termini di ottimo è sviluppata, in particolare, in Hayek (1968).<br />

98 Così Hayek commenta la visione neoclassica della concorrenza: « This is a state of affairs<br />

which economic theory curiously calls ‘perfect competition’. It leaves no room whatever for the<br />

activity called competition, which is presumed to have already done its task » (enfasi in originale).<br />

Hayek (1968, [1978, p. 182]).<br />

99 Cf. Hayek (1968, [1978, p. 184]).<br />

100 La procedura Lange-Lerner è presentata in Lange and Taylor (1938). Essa è una versione<br />

lievemente modificata dell’articolo di Lange comprendente due parti, pubblicate separatamente nel<br />

1936 e nel 1937. La pubblicazione di Lange (1936) è seguita dai commenti di Lerner (1936). Nel<br />

1937 Lange pubblica la seconda parte dell’articolo del 1936 e replica ai commenti di Lerner<br />

(1936). Determinante ai fini della definizione della procedura Lange-Lerner è stato il contributo di<br />

Taylor (1929) in cui viene descritto per la prima volta il metodo trial-and-error alla base della<br />

procedura Lange-Lerner.<br />

69


astraendo dal problema degli incentivi (ossia dal perché il centro di pianificazione<br />

o i manager decentrati dovrebbero desiderare di operare secondo i principi previsti<br />

dalla procedura).<br />

La visione di Lange e dei market socialist rigetta l’idea marxiana che il<br />

mercato sia un concetto alieno al socialismo. Secondo la procedura Lange-Lerner<br />

esistono veri e propri mercati per i beni di consumo e per il lavoro ma i prezzi dei<br />

beni capitali e delle altre risorse produttive (eccetto il lavoro) sono stabiliti dal<br />

centro di pianificazione (per semplicità si assume che tutti i mezzi di produzione<br />

siano di proprietà pubblica). 101 I processi decisionali si basano dunque sia su un<br />

set di veri e propri prezzi di mercato, sia su un set di prezzi contabili.<br />

La procedura iterativa per tentativi ed errori e le regole di comportamento<br />

imposte ai manager sono espressamente un artificio atto a riprodurre il<br />

meccanismo di mercato. In tal modo l’ipotesi di razionalità del sistema di mercato<br />

è utilizzata per dimostrare la razionalità del sistema pianificato.<br />

La procedura Lange-Lerner rappresenta effettivamente una dimostrazione della<br />

possibilità del calcolo razionale nel sistema socialista, ma su un contesto<br />

decisionale diverso da quello austriaco: il problema hayekiano della conoscenza è<br />

infatti trattato come un mero problema informativo.<br />

L’introduzione del tempo storico, d’altra parte, differenzia il contesto<br />

decisionale di Lange-Lerner anche dal contesto decisionale perfetto<br />

neoclassico. 102 In un certo senso, la procedura Lange-Lerner opera in un contesto<br />

decisionale a metà tra il contesto decisionale perfetto di Barone e quello austriaco.<br />

Il fatto che le caratteristiche dei diversi contesti decisionali non siano state<br />

sufficientemente esplicitate è, a nostro giudizio, uno dei motivi della confusione<br />

tuttora presente nelle diverse interpretazioni del dibattito. 103 Se è così, il tentativo<br />

101 Il riferimento è alla prima delle procedure descritte in Lange and Taylor (1938, pp. 72-98),<br />

ripubblicata in Nove and Nuti (1972, pp. 92-110). Nello stesso articolo vengono presentate anche<br />

due varianti della procedura base. Nella prima variante (Lange and Taylor (1938, [1972, pp. 105-<br />

7])), i piani di consumo sono interamente determinati dal centro di pianificazione; nella seconda<br />

(Lange and Taylor (1938, [1972, pp. 108-110])), le preferenze dei consumatori sui beni di<br />

consumo sono manifestate sul mercato, ma il centro di pianificazione esprime il proprio ordine di<br />

preferenze imponendo appropriati prezzi contabili ai manager (si hanno in tal caso due set di<br />

prezzi per i beni di consumo: i prezzi di mercato ai quali i consumatori acquistano i beni e i prezzi<br />

contabili utilizzati dai manager come base di calcolo nella produzione). L’idea degli autori è che<br />

tali due varianti non sono sostenibili dal punto di vista socio-politico. Lange and Taylor (1938,<br />

[1972, pp. 108-10]).<br />

102 Il riferimento al tempo storico è esplicito in diversi passaggi dell’articolo di Lange: « Actually<br />

the process of trial and error would, of course, proceed on the basis of the prices historically<br />

given » (enfasi in originale). Lange and Taylor (1938, [1972, p. 102]). E ancora, citando Taylor<br />

(1929), « (...) too high a valuation of any factor would cause the stock of that factor to show a<br />

surplus at the end of the productive period ». Lange and Taylor (1938, [1972, p. 102]).<br />

103 Come si è detto, se si analizzano le cause di tale problema, gli austriaci non possono<br />

considerarsi privi di responsabilità.<br />

70


di chiarire le posizioni dei dibattenti (e di capirne i relativi insegnamenti) deve<br />

passare per un’analisi dei rapporti tra i diversi contesti decisionali (3.3.1).<br />

Una delle manifestazioni rilevanti dell’assunzione di contesti decisionali<br />

diversi si ha nelle diverse concezioni dei principi di coordinamento e<br />

<strong>competizione</strong> adottate dagli economisti austriaci e dai market socialist (3.3.2).<br />

Attraverso il confronto tra i diversi contesti decisionali e le diverse<br />

concezioni di coordinamento e <strong>competizione</strong> si evidenzia come nonostante lo<br />

schema di Lange-Lerner rigetti il riferimento al contesto decisionale perfetto, esso<br />

possa comunque essere interpretato coerentemente secondo l’impostazione di<br />

Barone. Il punto di maggiore avanzamento analitico lungo tale impostazione,<br />

successivamente ai contributi di Lange e Lerner, è raggiunto dall’organization<br />

theory, la quale rappresenta un corpo teorico organico per il confronto tra strutture<br />

organizzative secondo il metodo neoclassico (3.3.3).<br />

3.3.1. Un confronto tra contesti decisionali<br />

Si considerino le relazioni esistenti tra i contesti decisionali di Lange-Lerner, di<br />

Mises-Hayek e di Barone.<br />

(1) MISES-HAYEK VS. LANGE-LERNER. Nel contesto decisionale austriaco le<br />

dimensioni « tempo » e « conoscenza » non possono essere colte l’una senza<br />

l’altra. Nel contesto decisionale di Lange-Lerner « tempo » e « informazione »<br />

sono invece dimensioni indipendenti.<br />

L’indipendenza delle due dimensioni è essenziale all’operare della<br />

procedura Lange-Lerner. La procedura iterativa infatti risolve il problema della<br />

pianificazione proprio giocando sulla separazione tra le due dimensioni: gli<br />

scambi informativi avvengono (concettualmente) in un istante del tempo; il tempo<br />

scorre invece (sempre concettualmente) solo tra le iterazioni, ossia tra uno<br />

scambio informativo e l’altro.<br />

Nel contesto austriaco viceversa la conoscenza è un processo temporale: la<br />

conoscenza si forma, si modifica e si trasmette nel tempo: la comunicazione è<br />

parte di un processo conoscitivo, non un atto di trasmissione dati.<br />

Si ha allora un rapporto di incompatibilità tra i due contesti decisionali in<br />

quanto i processi austriaci di scoperta della conoscenza non possono essere ridotti<br />

a puri problemi di comunicazione dell’informazione.<br />

(2) LANGE-LERNER VS. BARONE. L’introduzione del tempo storico nel contesto<br />

decisionale di Lange-Lerner pone il problema del disequilibrio, il che rappresenta<br />

una differenza qualitativa rispetto al contesto decisionale perfetto di Barone.<br />

Tuttavia, al tendere a zero della durata degli intervalli in cui i piani non possono<br />

71


essere modificati, il contesto decisionale di Lange-Lerner tende al contesto<br />

decisionale perfetto di Barone: al limite, i due contesti decisionali coincidono e il<br />

disequilibrio scompare. Da questo punto di vista il contesto decisionale di Lange-<br />

Lerner, sebbene qualitativamente diverso da quello di Barone, può essere<br />

considerato un’estensione di questo.<br />

La nostra interpretazione è confermata dalle riflessioni dei protagonisti del<br />

dibattito sulla pianificazione a proposito degli sviluppi della matematica e del<br />

computer. È infatti il proseguimento del dibattito lungo le linee definite da Barone<br />

ed estese da Lange e Lerner, piuttosto che lungo quelle di Mises e Hayek, che fa<br />

apparire lo sviluppo del computer come determinante ai fini del dibattito.<br />

Scrive Lange a quasi trenta anni dalla sua storica risposta agli attacchi<br />

austriaci:<br />

« Were I to rewrite my essay today my task would be much simpler. My answer to<br />

Hayek and Robbins would be: so what’s the trouble? Let us put the simultaneous<br />

equations on an electronic computer and we shall obtain the solution in less than a<br />

second ». 104<br />

Il riferimento al sistema di equazioni simultanee riassorbe il contesto decisionale<br />

di Lange-Lerner in quello perfetto riproponendo una visione dei processi di<br />

coordinamento come processi d’equilibrio. Al contempo ciò pone forti dubbi sulla<br />

storicità del tempo di Lange-Lerner.<br />

(3) BARONE VS. MISES-HAYEK. L’operazione di far tendere a zero gli intervalli in<br />

cui vengono rivisti i piani non può essere condotta nel contesto decisionale di<br />

Mises-Hayek. Determinante in tal senso è il fatto che la rottura delle ipotesi del<br />

contesto decisionale perfetto sia doppia, attraverso l’introduzione contestuale<br />

della dimensione temporale e di quella della conoscenza.<br />

La discussione del problema della conoscenza in un contesto decisionale di<br />

tempo storico impedisce infatti di ricondurre l’analisi hayekiana al metodo<br />

dell’equilibrio. Ciò assicura che il lasso di tempo in cui i piani devono rimanere<br />

invariati non possa essere fatto tendere a zero.<br />

Facendo tendere a zero tale limite, il problema della conoscenza collassa: i<br />

dati da scoprire e le decisioni da prendere diventano contemporanei.<br />

A partire da « Economics and knowledge » 105 è chiaro che Hayek rigetta la<br />

possibilità di utilizzare il concetto di equilibrio come strumento di analisi delle<br />

104 Lange (1967, p. 158).<br />

105 Hayek (1937).<br />

72


interazioni tra individui proprio a causa della dimensione temporale dei processi<br />

decisionali. 106<br />

Per Hayek i processi decisionali di un singolo individuo possono essere<br />

analizzati secondo lo schema formale dati → principio di razionalità →<br />

decisione; secondo tale schema, le azioni di un individuo sono in una relazione<br />

d’equilibrio se fanno parte di un programma coerente. Ciò significa (1) che<br />

qualsiasi variazione nella conoscenza provoca la rottura della relazione<br />

d’equilibrio (a meno che non alteri il programma) e (2) che il concetto di<br />

equilibrio ha significato solo nel tempo. 107<br />

Nell’analisi dell’interazione tra individui lo schema dati → principio di<br />

razionalità → decisione diventa invece contraddittorio: i dati alla base del<br />

processo decisionale di un individuo comprendono le aspettative circa le decisioni<br />

di un altro individuo ed « è essenziale, ai fini della compatibilità dei differenti<br />

piani, che i piani dell’uno includano esattamente quelle azioni che costituiscono i<br />

dati per i piani dell’altro ». 108<br />

Il fatto che i processi conoscitivi e i processi decisionali avvengano nel<br />

tempo storico impedisce d’altra parte che tale problema possa essere risolto:<br />

affinché un individuo possa formulare un piano d’equilibrio egli deve conoscere i<br />

dati del proprio problema, ossia i piani degli altri decisori; il dato tuttavia, come<br />

elemento oggettivo reale non deve essere confuso con la percezione soggettiva del<br />

decisore, il quale scopre il dato proprio nell’interazione con gli altri individui.<br />

La conoscenza come processo temporale, in quanto in continuo<br />

cambiamento per effetto delle interazioni individuali, impedisce in generale la<br />

compatibilità dei piani. Solo ex post è possibile verificare se si è stati in equilibrio,<br />

o meno. Il metodo dell’equilibrio (ossia l’ipotesi che i piani degli agenti siano in<br />

una relazione d’equilibrio) non risolve il problema, lo cancella. 109<br />

« Economics and knowledge » è dunque essenzialmente un attacco al<br />

contesto decisionale perfetto e a ogni tipo di analisi condotta su di esso, non un<br />

attacco specifico alla pianificazione. Come tale esso rigetta sul piano teorico<br />

l’intera traiettoria neoclassica di analisi dei processi di coordinamento come<br />

processi ex ante, sia nelle versioni pro-market, sia nelle versioni pro-planning.<br />

3.3.2. Gli schemi di coordinamento e <strong>competizione</strong><br />

106<br />

Il percorso formativo delle critiche di Hayek al metodo dell’equilibrio è ricostruito da Donzelli<br />

(1988), il quale mostra come, nello stesso periodo, un’analoga insoddisfazione verso tale metodo<br />

sia riscontrabile nell’opera di Hicks e Lindahl.<br />

107<br />

Hayek (1937, [1988, pp. 230-1]).<br />

108<br />

Hayek (1937, [1988, p. 233]).<br />

109<br />

L’attacco alla pretesa scientificità del metodo dell’equilibrio in economia è ripreso nel discorso<br />

di investitura del premio Nobel. Hayek (1974).<br />

73


A partire dal confronto tra contesti decisionali è possibile approfondire l’analisi<br />

dei principi di coordinamento e <strong>competizione</strong>. Al fine di precisare le posizioni in<br />

campo si considerino i due schemi di <strong>competizione</strong> ex post e coordinamento ex<br />

ante rappresentati rispettivamente nelle figure 3.1 e 3.2: i due schemi<br />

rappresentano l’operare della <strong>competizione</strong> ex post e del coordinamento ex ante,<br />

nell’ipotesi che essi operino in modo perfetto, ossia che siano, singolarmente, in<br />

grado di condurre ad una situazione di equilibrio. 110<br />

Figura 3.1. COMPETIZIONE EX POST<br />

1. Piani individui<br />

2.1. Compatibili 2.2. Non compatibili<br />

3. Competizione<br />

Ex post<br />

4.1. Interazione individui 4.2. interazione individui<br />

5.1. Equilibrio 5.2. Revisione piani<br />

(End) (Goto 1)<br />

Nel caso di <strong>competizione</strong> ex post i piani vengono rivisti sulla base dell’interazione<br />

tra gli individui. Per il realizzarsi di una situazione finale d’equilibrio, si deve<br />

assumere la convergenza del processo di revisione dei piani (1 - 5.2). Ad ogni<br />

modo, indipendentemente dalla convergenza o divergenza del processo 1 - 5.2,<br />

l’operare del processo stesso avviene per il realizzarsi di situazioni di<br />

110 Come legenda precisiamo che i rettangoli indicano le fasi (logiche o cronologiche) dei processi<br />

di <strong>competizione</strong> e di coordinamento, gli ovali indicano i principi economici che agiscono su tali<br />

fasi e i rettangoli con gli angoli arrotondati indicano le ipotesi che noi, in quanto analisti,<br />

formuliamo in merito alla relazione esistente tra i piani dei decisori. Gli schemi rappresentano<br />

quindi il punto di vista di un osservatore esterno, non quello di un decisore del modello.<br />

74


disequilibrio. Quando poi (in ipotesi di convergenza) il processo imbocca il<br />

sentiero 2.1 si realizzano interazioni d’equilibrio.<br />

Figura 3.2. COORDINAMENTO EX ANTE<br />

1. <strong>Coordinamento</strong><br />

Ex ante<br />

2. Piani individui<br />

3.1. Compatibili 3.2. Non compatibili<br />

4.1. Interazione individui 4.2. Goto 1<br />

5. Equilibrio<br />

(End)<br />

Nel coordinamento ex ante (perfetto) non si ha alcuna interazione tra gli individui<br />

finché i piani non siano resi compatibili; solo una volta raggiunta la compatibilità<br />

avviene l’interazione, la quale è quindi un’interazione d’equilibrio. Ad ogni<br />

iterazione del processo 1 - 4.2 il principio di coordinamento realizza una revisione<br />

dei piani. Affinché il coordinamento ex ante sia efficace rispetto al<br />

raggiungimento dell’equilibrio si deve richiedere che il processo 1 - 4.2 sia<br />

convergente; in tal caso il processo prende la direzione 3.1 e, solo a questo punto,<br />

si realizzano le interazioni tra gli individui.<br />

Sulla base dei due schemi considerati, analizziamo la posizione austriaca e quella<br />

di Lange-Lerner.<br />

La teoria austriaca si concentra unicamente sul principio di <strong>competizione</strong><br />

come principio ex post giungendo alla conclusione che qualsiasi applicazione del<br />

principio di coordinamento, in quanto incompatibile col manifestarsi delle rivalità<br />

individuali, è irrazionale. Il processo di mercato, nella visione austriaca, può<br />

dunque essere rappresentato dallo schema 3.1, nel quale si assuma la convergenza<br />

75


del processo di revisione dei piani. L’impossibilità di mettere in atto uno schema<br />

del genere nel sistema pianificato costituisce il motivo dell’irrazionalità della<br />

pianificazione.<br />

L’analisi dei market socialist approfondisce invece il principio di<br />

coordinamento. Essa tuttavia presenta problemi interpretativi derivanti da una<br />

insufficiente precisione nella definizione del contesto decisionale. Lange sembra<br />

infatti voler mostrare la possibilità del coordinamento centralizzato (e la sua<br />

superiorità rispetto al meccanismo decentralizzato) sia su un piano ex ante, sia su<br />

un piano ex post. Tale duplice obiettivo può ingenerare confusione.<br />

Da una parte l’analisi di Lange risponde alle critiche austriache sullo<br />

stesso campo in cui queste vengono mosse: i processi di aggiustamento sono<br />

processi reali che hanno luogo nel tempo storico. Il processo di eliminazione delle<br />

incompatibilità tra i piani è dunque un processo ex post che opera per il realizzarsi<br />

di situazioni di disequilibrio: esso si fonda sul principio di coordinamento ex ante<br />

(il quale in ipotesi di tempo storico opera necessariamente in modo imperfetto)<br />

per correggere il disequilibrio ex post.<br />

Dall’altra, il precisarsi della posizione di Lange porta lo stesso Lange a<br />

considerare la procedura Lange-Lerner come un espediente pratico per risolvere<br />

un problema teorico di equilibrio statico. 111 La visione del coordinamento che ne<br />

deriva è di un meccanismo attraverso cui eliminare le incompatibilità tra i piani<br />

prima ancora che esse si realizzino. L’operare del principio di coordinamento è<br />

così ricondotto allo schema del coordinamento ex ante puro rappresentato nella<br />

figura 3.2. L’ipotesi che le incompatibilità tra i piani possano essere eliminate<br />

prima che gli agenti interagiscano suggerisce un’interpretazione dello schema 3.2<br />

di tipo a-temporale, avvicinando il contesto decisionale di Lange-Lerner al<br />

contesto decisionale perfetto.<br />

L’analisi delle relazioni tra i tre contesti decisionali di Barone, Lange-Lerner e<br />

Mises-Hayek e l’esplicitazione dei sottostanti meccanismi di coordinamento e<br />

<strong>competizione</strong> chiariscono la natura della confusione originata nel dibattito sulla<br />

pianificazione: sul fronte anti-planning il dibattito ha portato, dopo incertezze<br />

iniziali, ad un allontanamento progressivo dal contesto decisionale neoclassico,<br />

alla presa di coscienza dell’originalità austriaca e all’esplicitazione dei suoi tratti<br />

distintivi; sul fronte pro-planning si è avuto invece un progressivo avvicinamento<br />

al contesto decisionale perfetto e al metodo dell’equilibrio.<br />

Le due traiettorie lungo cui si è sviluppato il dibattito sulla pianificazione<br />

sono allora non soltanto separate, ma anche divergenti. Questo spiega perché gli<br />

elementi di confusione presenti nel dibattito non siano stati risolti, ma siano<br />

semmai andati aumentando.<br />

111 « The market mechanism and trial and error procedure proposed in my essay really played the<br />

role of a computing device for solving a system of simultaneous equations ». Lange (1967, p. 159)<br />

76


Come conseguenza dell’avvicinamento del contesto decisionale di Lange-Lerner<br />

al contesto decisionale perfetto, i tratti di originalità dei market socialist riguardo<br />

all’analisi del principio di coordinamento sono stati progressivamente annullati.<br />

Un’importante linea di sviluppo dell’analisi del principio di coordinamento, in cui<br />

confluiscono gli studi dei market socialist, è quella dell’organization theory ed è<br />

ad essa che volgiamo ora l’attenzione.<br />

3.3.3. Organization theory<br />

Lo scopo dell’organization theory è quello di approfondire in senso matematico le<br />

proprietà normative di sistemi decisionali con strutture organizzative diverse<br />

definite su uno stesso contesto decisionale; tale linea di sviluppo costituisce un<br />

raffinamento dell’analisi sviluppata nel contesto decisionale perfetto attraverso la<br />

rottura dell’ipotesi di perfetta informazione.<br />

Gli studi dell’organization theory si ricollegano esplicitamente al dibattito<br />

sulla pianificazione. L’organization theory si propone infatti come la soluzione<br />

rigorosa del dibattito: 112 l’idea, secondo molti degli economisti operanti in tale<br />

branca, è che gli sviluppi in campo matematico ed informatico rendano obsolete le<br />

argomentazioni austriache. Di tale avviso è, ad esempio, Marschak (1987) il<br />

quale, peraltro, ha un’interpretazione del dibattito alquanto singolare, secondo la<br />

quale la controversia si concluse nell’accettazione unanime del risultato di<br />

superiorità informativa dello schema decentralizzato rispetto a quello<br />

centralizzato. 113<br />

Ciò che intendiamo ora mostrare è che l’analisi dell’organization theory<br />

assume un contesto decisionale neoclassico (da ricollegarsi all’impostazione dei<br />

problemi di informazione à la Barone-Lange-Lerner, piuttosto che à la Mises-<br />

Hayek) e che dunque essa (1) non corrisponde alla problematica austriaca e (2)<br />

rimane soggetta alle critiche di Hayek sul metodo dell’equilibrio.<br />

Nell’organization theory i problemi di informazione e incentivo ricevono una<br />

rigorosa trattazione matematica.<br />

L’idea di fondo è quella di disegnare una struttura organizzativa in grado<br />

di rispondere efficientemente alle condizioni di un ambiente incerto, dinamico e<br />

con informazione imperfetta. La dimensione dell’incertezza e la dimensione<br />

112 Importanti contributi all’organization theory vengono da Hurwicz, Marschak, Radner e Walker.<br />

113 Secondo la visione di Marschak non vi sono grandi problemi interpretativi nel dibattito sulla<br />

pianificazione: a mano a mano che il rigore formale è venuto affermandosi si sono stabiliti risultati<br />

in grado di risolvere definitivamente le controversie. L’organization theory rappresenta il culmine<br />

del processo. Nella visione di Marschak non ha senso parlare di diversi contesti decisionali nelle<br />

diverse scuole di pensiero: la distinzione è tra maggiore o minore rigore formale.<br />

77


temporale sono ricondotte a quella informativa attraverso l’espediente di<br />

considerare incertezza e tempo come problemi di informazione sugli stati di<br />

natura futuri.<br />

Due sono i problemi che l’organization designer deve tenere presenti: (1) i<br />

costi informativi; (2) l’efficacia del sistema di incentivi. Il contesto decisionale è<br />

preso per dato; su di esso vengono confrontate le proprietà di diverse strutture<br />

organizzative. Dato che tutti i problemi del contesto decisionale sono ricondotti<br />

alla dimensione informativa, la struttura organizzativa ottima è determinata dalla<br />

distribuzione dell’informazione.<br />

Al fine di verificare se tale approccio rappresenti effettivamente una<br />

trattazione formale dei problemi sollevati nel dibattito sulla pianificazione, faremo<br />

riferimento all’articolo di Marschak sul New Palgrave alla voce « Organization<br />

theory ». 114<br />

Si consideri un sistema decisionale a n decisori. Gli n decisori formano<br />

un’organizzazione. Sia e = (e1, ... , en) un ambiente definito nel set dei possibili<br />

ambienti E = E1 × ... × En (ei indica l’aspetto dell’ambiente e osservato dal decisore<br />

i). 115 Sia A è il set delle azioni dell’organizzazione. Sia M = M1 × ... × Mn un set<br />

chiamato linguaggio definito dal prodotto cartesiano degli n linguaggi dei<br />

decisori. Sia fi una funzione da M × Ei in Mi e sia f la n-pla (f 1, ... , fn); m0 = (m01, ... ,<br />

m0n) è il messaggio iniziale (una n-pla in M); h è una funzione da M × E in A.<br />

La nozione centrale per il confronto tra strutture organizzative è quella di<br />

processo d’aggiustamento. Sia π = (M, m0, f, h) un processo d’aggiustamento.<br />

L’ambiente è supposto cambiare ad intervalli regolari:<br />

-al passo 0 l’agente i emette il messaggio m0i in Mi ;<br />

-al passo 1, emette il messaggio m1i = fi(m0, ei) in Mi ;<br />

-in generale, al passo t, il decisore i emette il messaggio mti = fi(mt-1, ei),<br />

dove mti ∈ Mi e mt-1 = (mt-1,1, ... , mt-1,n) indica un elemento di M;<br />

-al passo finale T, effettua l’azione h(mT, e) in A. Tale azione rappresenta la<br />

risposta finale all’ambiente e. 116<br />

Sulla base di questo schema generale si possono specificare diversi tipi diversi di<br />

strutture organizzative.<br />

Si assuma, sempre seguendo Marschak (1987), che come ragionevole<br />

punto di partenza il confronto si basi unicamente sulle proprietà della azione<br />

finale (una volta che si sia raggiunto l’equilibrio), ignorando la performance<br />

durante il processo di raggiungimento dell’equilibrio. Per ogni e in E, si indichi<br />

con M e il set di messaggi d’equilibrio: ogni m e = (m e 1, ... , m e n) in M è tale che m e i =<br />

114 Marschak (1987, pp. 757-61).<br />

115 Nel modello di EEG di puro scambio ei comprende il vettore delle dotazioni e la relazione di<br />

preferenze dell’agente i.<br />

116 La formalizzazione ripercorre l’articolo di Hurwicz (1960).<br />

78


fi(m e , ei) per ogni i. Si limiti l’analisi ai processi con funzioni f non parametriche<br />

(ossia indipendenti da e). Si indichi con π * = (M * , m * 0, f * , h * ) la struttura<br />

organizzativa del modello di EEG nel caso di economia di puro scambio. Il<br />

risultato che si ottiene è che per il processo π * e per ogni e tutti i risultati di<br />

equilibrio sono Pareto efficienti. 117<br />

Il problema che si pone è allora: esiste un processo π con le stesse<br />

proprietà di π * (individualmente razionale e Pareto efficiente), più <strong>economico</strong> dal<br />

punto di vista informativo di π * ?<br />

Per poter rispondere alla domanda si deve definire cosa si intenda per<br />

costo dell’informazione.<br />

Marschak (1987, p. 759) assume che come naturale punto di partenza si<br />

possa prendere la « misura » del linguaggio. Se limitiamo lo studio ai processi π<br />

in cui M è contenuto in uno spazio euclideo finito, allora, sempre secondo<br />

Marschak, una naturale misura del linguaggio è la « dimensione ». Con l’ulteriore<br />

ipotesi che il processo π sia liscio 118 si ottiene infine una risposta alla domanda<br />

posta. La risposta è negativa: il processo di mercato è il più <strong>economico</strong> dal punto<br />

di vista informativo, nell’insieme dei processi Pareto efficienti e individualmente<br />

razionali. 119<br />

Tale risultato è peraltro suscettibile di generalizzazioni in diverse<br />

direzioni: si può modificare il senso in cui il processo π deve essere liscio, si<br />

possono considerare processi con linguaggi non euclidei e misure del linguaggio<br />

più generali della dimensione.<br />

Il passo successivo (più complesso dal punto di vista logico e formale) è<br />

poi quello di valutare le diverse strutture organizzative anche in base ai risultati<br />

realizzati nel corso del processo di raggiungimento dell’equilibrio.<br />

Ma, ha tutto ciò a che fare con la critica austriaca?<br />

Nella visione moderna del dibattito sulla pianificazione il problema principale è<br />

quello di ricondurre i concetti austriaci di tempo e conoscenza ad un contesto di<br />

tipo neoclassico, in cui essi possano essere trattati secondo il principio<br />

dell’ottimizzazione. Non interessa qui discutere le ipotesi sussidiarie necessarie a<br />

risolvere il problema organizzativo, come la misura del linguaggio, le<br />

caratteristiche dello spazio del linguaggio o l’ipotesi che il processo sia liscio<br />

(ipotesi che, per quanto ad alcuni possano apparire naturali, svolgono comunque<br />

il ruolo analitico di rendere possibile la derivazione di un particolare risultato).<br />

Piuttosto il problema è quello di vedere perché tali formalizzazioni escano<br />

117 Primo teorema del benessere.<br />

118 Ogni messaggio di arbitraria dimensione può essere codificato in un messaggio ad una<br />

dimensione. Imponendo che π sia liscio si esclude tale possibilità.<br />

119 Hurwicz (1977).<br />

79


necessariamente dalla problematica austriaca. Quattro ipotesi ci sembrano<br />

rilevanti.<br />

(1) L’idea di Mises dell’impossibilità del calcolo razionale nel socialismo<br />

basata sulla necessità dei prezzi di mercato non è colta: la differenza tra i prezzi di<br />

mercato e ogni altro tipo di indice di scarsità è che solo i primi riflettono le rivalità<br />

individuali. Tali rivalità sono un elemento centrale della visione austriaca del<br />

processo di mercato, ed è il loro venir meno la ragione della radicalità dell’attacco<br />

di Mises al socialismo, come sistema incompatibile col calcolo razionale.<br />

Nell’organization theory il calcolo razionale è in linea teorica possibile in<br />

qualsiasi struttura organizzativa; la scelta della struttura organizzativa è solo un<br />

problema di costo informativo.<br />

(2) ei l’aspetto dell’ambiente osservato dall’agente i, è un dato del<br />

problema; esso comprende le preferenze dell’individuo i; ciò annulla il problema<br />

hayekiano della conoscenza come processo di scoperta delle preferenze;<br />

(3) la conoscenza viene prima fatta coincidere con l’informazione e poi<br />

quantificata e misurata in termini di costo. Il concetto di costo dell’informazione è<br />

estraneo al problema hayekiano in cui l’efficacia dei processi di scoperta non sta<br />

nello scoprire a basso costo, ma nello scoprire.<br />

(4) Il processo di definizione dell’azione dell’organizzazione abbraccia sia<br />

il caso di processo virtuale, sia il caso di processo reale. Nel primo caso, esso<br />

riproduce un meccanismo di coordinamento ex ante (schematizzato nella figura<br />

3.2 del paragrafo precedente) che non ha niente a che vedere col processo di<br />

<strong>competizione</strong> ex post austriaco (rappresentato nella figura 3.1). Nel secondo caso,<br />

il fatto che i risultati del processo (prima del raggiungimento dell’equilibrio) siano<br />

valutati in base a un set predefinito di preferenze contraddice l’idea austriaca di<br />

efficienza del meccanismo di mercato come meccanismo guida nei processi di<br />

scoperta delle azioni: il meccanismo competitivo è infatti per Hayek una<br />

procedura per la scoperta di fatti che altrimenti rimarrebbero ignoti.<br />

Le quattro ipotesi sono indispensabili allo schema concettuale dell’organization<br />

theory. Esse appaiono al tempo stesso come un passo necessario per rendere le<br />

“chiacchiere” concetti ben definiti e per ridare forza al concetto di efficienza<br />

ricollegandolo all’idea di ottimo in senso matematico.<br />

Sul piano dell’analisi dei principi di <strong>competizione</strong> e coordinamento si<br />

riproducono i risultati raggiunti nell’analisi del contesto decisionale perfetto: il<br />

principio di <strong>competizione</strong> non ha modo di operare e il principio di coordinamento<br />

è supposto operare in modo perfetto (dato il problema informativo).<br />

80


3.4. Efficienza e ottimalità<br />

Il riferimento all’ottimalità è uno degli elementi portanti dell’analisi neoclassica<br />

dell’efficienza delle strutture organizzative.<br />

In effetti è proprio tale riferimento all’ottimalità che fa apparire la tesi<br />

neoclassica dell’efficienza del sistema di mercato come più forte rispetto alla tesi<br />

austriaca. In questo modo tuttavia non si coglie la potenza dell’attacco austriaco.<br />

Come osserva Pagano (1992b, p. 19), sebbene il concetto di efficienza in<br />

senso austriaco non abbia niente a che fare con l’idea di un sistema in continuo<br />

equilibrio con agenti ottimizzanti, esso, proprio in virtù di un’analisi dei processi<br />

che si realizzano fuori dall’equilibrio, rappresenta un concetto più forte di quello<br />

di Pareto utilizzato nell’analisi neoclassica: il sistema di mercato rappresenta,<br />

nell’analisi austriaca, l’unico modello in grado di gestire i problemi di<br />

informazione ed incentivo presenti nel sistema <strong>economico</strong>. 120<br />

L’introduzione della dimensione temporale in esplicito riferimento ai<br />

processi di scoperta della conoscenza assicura infatti dal pericolo di teoremi di<br />

equivalenza e uguaglianze formali. L’efficienza del sistema di mercato secondo<br />

gli economisti austriaci non deriva dalle sue proprietà di ottimalità, ma dalla<br />

capacità di gestire problemi sostanzialmente intrattabili nel sistema pianificato.<br />

L’attacco alla pianificazione assume dunque negli economisti austriaci una<br />

connotazione radicale. Il sistema socialista perde il confronto col sistema<br />

capitalista non perché inferiore sul piano allocativo, ma perché irrazionale. Il<br />

sistema di mercato è l’unico sistema <strong>economico</strong> razionale.<br />

La desiderabilità del sistema di mercato nella concezione austriaca rappresenta<br />

un’affermazione derivata dall’analisi della complessità delle interazioni<br />

individuali in un contesto decisionale caratterizzato da tempo storico e problemi<br />

di conoscenza. In tale contesto il mercato è definito come il meccanismo per<br />

eccellenza in cui si manifestano e si realizzano (attraverso il principio di<br />

<strong>competizione</strong> ex post) le rivalità tra individui.<br />

Questa visione del contesto decisionale e del principio di <strong>competizione</strong> ex<br />

post fa apparire l’approccio austriaco distante dall’impostazione neoclassica e<br />

semmai più vicino (per alcuni aspetti metodologici, non certo ideologici)<br />

all’analisi marxiana.<br />

Lavoie (1985a, pag. 3) a tal proposito osserva come parte della confusione<br />

relativa al dibattito sia da attribuirsi al semplicismo con cui i teorici austriaci<br />

abbiano abbracciato l’approccio neoclassico come un naturale alleato contro la<br />

120 Cf. anche Lavoie (1985a, p. 84): « Barone believes that his approach to the “formal similarity”<br />

argument is more potent than the Austrian approach because it can concern itself only with the<br />

formal mathematical proof of the determinateness of equilibrium under the two social systems. (...)<br />

In my view this exclusive concern with the rigorously mathematical aspect of value theory is a<br />

weakness rather than a strength of Barone’s argument ».<br />

81


minaccia del risorgere della teoria classica del valore nella forma marxiana. Ciò<br />

ha impedito di realizzare la compatibilità teorica di alcuni degli argomenti<br />

dell’analisi austriaca e marxiana. Questo passaggio ha trovato terreno fertile nella<br />

somiglianza (solo apparente) nelle tesi sostenute dagli economisti neoclassici e<br />

austriaci.<br />

Inoltre, la radicalità dell’attacco austriaco ha impedito il raggiungimento di<br />

una sintesi tra le posizioni dei teorici pro-planning e anti-planning. 121 L’attacco<br />

austriaco, nei termini in cui è argomentato, non può infatti avere alcun tipo di<br />

risposta. Se si accetta che la pianificazione è irrazionale non ha alcun senso<br />

inseguire una sintesi combinando elementi teorici di diverse scuole di pensiero<br />

(alcuni dei quali razionali, altri irrazionali).<br />

3.5. La scuola matematica sovietica<br />

La scuola marxiana rimane sostanzialmente ai margini del dibattito teorico sulla<br />

pianificazione in quanto più interessata alla risoluzione dei problemi concreti<br />

presenti nell’economia sovietica. Su tale fronte, una volta rimosso il veto all’uso<br />

delle tecniche matematiche come deviazioni borghesi, la ricerca prende<br />

decisamente la direzione della pianificazione ottima. 122<br />

La figura leader della ricerca è Kantorovich. 123 Nel 1939, con otto anni di<br />

anticipo rispetto ai matematici americani, scopre la programmazione lineare<br />

intuendone subito i larghi campi di applicabilità nei problemi di allocazione delle<br />

risorse a livello industriale. 124 Nonostante alcuni importanti riconoscimenti<br />

iniziali, tuttavia, la diffusione della ricerca di Kantorovich viene praticamente<br />

bandita per scelta politica in un clima che Smolinski (1977a, p. xiv) definisce di<br />

« mathematicophobia ». 125 Dopo la morte di Stalin, l’utilità dei metodi matematici<br />

nella pianificazione economica viene gradualmente riconosciuta, fino a<br />

121 Si è qui sostanzialmente d’accordo con la tesi di Lavoie (1985a) secondo cui i market socialist<br />

non devono considerarsi i rappresentanti di una sintesi dialettica tra la tesi di Marx (dell’abolizione<br />

del mercato e dei prezzi in un sistema di pianificazione) e l’antitesi austriaca (secondo cui il<br />

sistema di prezzi è necessario) come invece è sostenuto da Lerner (1934). Al contrario le soluzioni<br />

proposte appaiono come un ibrido in cui sia la posizione marxiana sia quella austriaca risultano<br />

banalizzate.<br />

122 Cf. Nove and Nuti (1972, parte V), Smolinski (1977a).<br />

123 Premio Lenin nel 1965, premio Nobel nel 1975.<br />

124 Il problema risolto da Kantorovich (1939) è un problema di pianificazione di breve periodo a<br />

livello di impresa.<br />

125 Uno dei timori dei vertici politici, peraltro ingiustificato, era che gli strumenti di pianificazione<br />

ottima potessero limitare i margini di scelta del sistema degli obiettivi politici.<br />

82


determinare la fine dell’isolamento della ricerca di Kantorovich; 126 nel 1959,<br />

Kantorovich pubblica il famoso « The Best Use of Economic Resources » in cui<br />

presenta un modello di pianificazione economica a livello dell’intera economia<br />

nazionale. 127 A partire dagli anni ‘60 il gruppo di Kantorovich (cui appartengono<br />

anche Nemchinov e Novozhilov) 128 si afferma come un’influente scuola nel<br />

panorama <strong>economico</strong> sovietico. Nel frattempo le tecniche matematiche di<br />

pianificazione si sono diffuse anche in occidente, 129 sebbene con scarsa attenzione<br />

da parte degli economisti impegnati nel dibattito sulla pianificazione.<br />

Ai fini della nostra indagine, il lavoro di Kantorovich è interessante per<br />

due motivi: primo, costituisce un contrattacco alle critiche al socialismo che a<br />

tutt’oggi non è stato raccolto dagli economisti anti-planning; secondo, permette di<br />

approfondire le proprietà del principio di coordinamento. Prima di discutere questi<br />

due aspetti del contributo di Kantorovich (paragrafi 3.5.2 e 3.5.3) è opportuno<br />

affrontare un terzo problema discusso dall’economista sovietico, vale a dire il<br />

problema della coerenza tra le premesse dell’analisi marxiana e leniniana e l’uso<br />

dei modelli matematici (3.5.1); 130 a nostro parere infatti è proprio a partire dalla<br />

discussione di tale problema che è possibile interpretare l’opera di Kantorovich<br />

come contributo alle due questioni di diretto interesse per la nostra indagine.<br />

3.5.1. Matematica e socialismo<br />

Il problema della matematica come deviazione borghese è mal posto. 131 Il<br />

simbolismo matematico, osserva Kantorovich, occupa uno spazio importante<br />

nell’analisi di Marx e di Lenin e lo scarso uso nella gestione dei problemi<br />

economici dell’Unione Sovietica è ingiustificato; 132 altrettanto ingiustificato è il<br />

pregiudizio contro i metodi matematici per la sola ragione che siano utilizzati da<br />

126<br />

Per una ricostruzione storica dei metodi di pianificazione in Unione Sovietica e<br />

dell’atteggiamento di Stalin nei confronti dei metodi matematici (e degli economisti matematici),<br />

cf. Sherman (1972, cap. 14), Kaser (1970, capp. 2, 6).<br />

127<br />

Il testo era pressoché completo sin dal 1943, ma non ottenne i diritti di pubblicazione. Cf.<br />

Smolinski (1977a, p. xiv), Makarov (1987, p. 15).<br />

128<br />

Ambedue premi Lenin, insieme a Kantorovich, nel 1965.<br />

129<br />

Sherman (1972, p. 228) sottolinea come l’importanza delle ricerche dei matematici sovietici<br />

(tra i quali anche Leontief) sia stata riscoperta solo in seguito alla diffusione delle opere di<br />

economisti occidentali.<br />

130<br />

Kantorovich (1959a, 1974a).<br />

131<br />

Si veda, in particolare, Kantorovich (1959a, [1972, pp. 462-3]).<br />

132<br />

Molti dei saggi matematici raccolti da Smo linski (1977) si aprono con un riferimento a Marx.<br />

Ciò oltre a denotare una particolare attenzione verso il problema del metodo nella ricerca<br />

economica da parte di Kantorovich, lascia trasparire una certa frustrazione per il lungo periodo di<br />

isolamento nella ricerca sulla pianificazione ottima.<br />

83


parte delle scuole economiche borghesi: l’uso (scorretto) della matematica per<br />

scopi diversi da quelli degli economisti sovietici non deve impedire l’applicazione<br />

dei metodi matematici in modo corretto e utile per la costruzione del comunismo.<br />

Anzi, argomenta Kantorovich, è l’uso della teoria dell’ottimizzazione<br />

come principio generale per lo studio delle leggi del sistema capitalista ad essere<br />

contraddittorio dal punto di vista metodologico:<br />

« In capitalist society the existence of unemployment, crises and systematic underutilization<br />

of production capacities shows that the use of the maximum principle for<br />

studying its economics as a whole is inadmissible. Hence the attempts on the part of<br />

the economists-apologists for capitalism (for example, Pareto) to study the economic<br />

laws of capitalism, starting from the mathematical conditions for a maximum, are<br />

faulty in their method ». 133<br />

Il problema dell’uso della matematica nella pianificazione socialista è allora<br />

quello di utilizzare i modelli matematici in modo coerente al metodo dialettico. 134<br />

L’analisi matematica non è applicabile direttamente ai problemi reali: il<br />

modello, essendo un’astrazione e parzializzazione della realtà, è solo uno<br />

strumento di ragionamento e di intervento consapevole e razionale sulla realtà.<br />

Esso invece non può essere utilizzato per dimostrare la desiderabilità di una certa<br />

forma di organizzazione sociale in quanto ciò presuppone che il modello sia una<br />

descrizione corretta e completa della realtà, cosa, per definizione, impossibile<br />

(dato il carattere necessariamente parziale delle astrazioni modellistiche).<br />

Il metodo analitico se utilizzato unilateralmente è perciò insufficiente a<br />

risolvere il problema conoscitivo scientifico dal punto di vista dialettico<br />

dell’approccio marxiano. Esso è un momento necessario, ma non esclusivo<br />

dell’indagine dialettica della realtà: non c’è quindi una rigida opposizione tra<br />

metodo dialettico e metodo analitico 135 e non c’è alcuna incompatibilità tra l’uso<br />

dei modelli matematici e l’approccio dialettico.<br />

La matematica e, in particolare, la pianificazione ottima sono strumenti di<br />

indagine della realtà particolarmente utili dal punto di vista della possibilità di<br />

migliorare il coordinamento delle attività economiche ed è in tal senso che devono<br />

essere utilizzate nell’ambito del sistema socialista. 136 L’uso della matematica<br />

come strumento di dimostrazione dell’efficienza (o dell’inefficienza) di una<br />

struttura organizzativa rappresenta invece, dal punto di vista marxiano, una pura<br />

speculazione teorica deduttiva senza alcuna utilità pratica: il metodo matematico è<br />

uno strumento di razionalizzazione del sistema socialista, la superiorità del quale<br />

133 Kantorovich (1959a, [1972, p. 464, nota 9]).<br />

134 Kantorovich (1959a, [1972, pp. 462-5]).<br />

135 Semmai la contrapposizione è tra metodo analitico e metodo sintetico. Il metodo dialettico è<br />

invece sia analitico, sia sintetico, ma non può essere ridotto ad alcuno di essi. Cf. Shamsavari<br />

(1994).<br />

136 Un esempio assai citato dell’utilità dell’applicazione della pianificazione ottima all’economia<br />

sovietica è quello dell’utilizzazione ottima dei laminatoi. Cf. Kantorovich (1970).<br />

84


ispetto al sistema capitalista è argomentata a livello etico e politico ed è derivata<br />

da un’analisi dialettica e non richiede dunque alcuna dimostrazione matematica.<br />

Kantorovich è peraltro consapevole dei rischi derivanti da una non corretta<br />

interpretazione degli studi portati avanti dal suo gruppo di lavoro, soprattutto da<br />

parte della stampa occidentale. 137 Egli infatti avverte dei pericoli di identificare gli<br />

studi sul piano ottimo sia con il socialismo di mercato, sia col sogno (senza<br />

speranza) di una pianificazione ottima perfetta. 138 Il problema del controllo<br />

consapevole dei processi economici non può essere ridotto ad un problema da<br />

affrontare nel contesto decisionale perfetto. Gli studi sul piano ottimo assumono<br />

invece per dato il carattere problematico del contesto decisionale nell’intento di<br />

razionalizzare l’intervento nella realtà, migliorare il controllo dei processi<br />

economici, eliminare gli sprechi e progettare consapevolmente il futuro. Queste<br />

sono le ambizioni della scuola matematica sovietica, non la realizzazione teorica<br />

di un sistema perfetto, utopistico e predeterminato.<br />

3.5.2. Il dibattito mai avvenuto<br />

La discussione sul ruolo della matematica in economia rappresenta un<br />

contrattacco esplicito alla traiettoria di critica alla pianificazione di Barone, Pareto<br />

e dell’organization theory di tipo sostanzialmente diverso dalla replica di Lange e<br />

Lerner. L’analisi di Kantorovich offre inoltre le basi per rispondere anche alle<br />

critiche sviluppatesi secondo la traiettoria austriaca.<br />

In tutti e due i casi gli attacchi di Kantorovich e della scuola matematica<br />

sovietica (a volte neanche troppo impliciti) non hanno ricevuto alcuna attenzione<br />

da parte degli economisti impegnati nel dibattito sulla pianificazione. 139<br />

137 Il carattere transitorio dell’economia socialista secondo l’approccio marxiano dovrebbe peraltro<br />

essere sufficiente a rigettare l’interpretazione degli studi sul piano ottimo nell’ottica della<br />

definizione del sistema decisionale perfetto.<br />

138 Cf. Smolinski (1977, p. xxvi).<br />

139 Non solo le osservazioni dei matematici sovietici non sono state raccolte dai teorici austriaci,<br />

ma anche tra gli analisti del dibattito viene spesso sottovalutata l’importanza delle tesi dei<br />

matematici sovietici, le quali vengono spesso confuse (o identificate) con quelle dei market<br />

socialist. In particolare, Lavoie (1985a), una figura autorevole del dibattito (di parte austriaca) non<br />

dà alcun peso all’opera della scuola di Kantorovich: i nomi di Kantorovich, Nemchinov e<br />

Novozhilov compaiono in tutto il libro (denso peraltro di riferimenti bibliografici), una sola volta<br />

(p. 94, nota 12) accanto a quelli di altri 47 studiosi di planimetria. Il contesto in cui compaiono è<br />

quello della « soluzione matematica » del dibattito, ossia della soluzione (statica) proposta dai<br />

market socialist.<br />

Tale confusione è peraltro un problema sentito da parte di Kantorovich il quale dieci anni<br />

prima della pubblicazione del libro di Lavoie, scrive: « (...) pronouncements appearing in the<br />

Western press (based on ignorance or deliberate distortion of the matter) that associate optimal<br />

85


(1) IL CONTRATTACCO ALLA TRAIETTORIA NEOCLASSICA. L’analisi comparata<br />

nel contesto decisionale neoclassico si propone di derivare la desiderabilità di una<br />

struttura organizzativa unicamente in base al metodo deduttivo, come se il<br />

modello matematico potesse essere a priori un modello completo della realtà e<br />

come se il problema della scelta delle ipotesi del modello potesse essere delegato<br />

ad altre scienze e/o essere risolto una volta per tutte. Tale tentativo è legato ad un<br />

uso improprio del metodo analitico.<br />

Secondo il metodo dialettico di indagine della realtà le ipotesi del modello<br />

matematico devono essere sottoposte a continua revisione. Ciò porta gli<br />

economisti marxiani a rigettare le ipotesi del contesto decisionale perfetto e ad<br />

adottare un contesto decisionale maggiormente problematico. Che lo strumento<br />

matematico sia di ottimizzazione non significa quindi che esso sia perfetto; al<br />

contrario, la sua imperfezione è conseguenza dell’imperfezione del contesto<br />

decisionale.<br />

Il tentativo (peraltro, come abbiamo visto, scarsamente efficace) di<br />

dimostrare matematicamente la desiderabilità della struttura organizzativa<br />

capitalistica, oltre ad essere in sé un’operazione priva di senso nell’ambito di un<br />

approccio di indagine dialettico, è criticato per lo scarso realismo delle ipotesi su<br />

cui si fonda:<br />

« Of prime significance for the effectiveness and applicability of a particular model<br />

is the correctness of the initial premises used in its construction; it is also necessary<br />

that the important factors are in fact included and that the lesser are discarded. Thus,<br />

certain models of capitalist economies introduced by bourgeois economists turned<br />

out to be necessarily fallacious, since in their construction the authors have ignored<br />

the existence of unemployment and similar phenomena which are always inherent in<br />

their social structure. Naturally, the conclusions drawn from these premises do not<br />

merit the least credence ». 140<br />

Il contrattacco rispetto alle critiche mosse in un contesto decisionale perfetto è in<br />

questo caso esplicito. L’assunzione dell’ipotesi di ottima utilizzazione delle<br />

risorse elimina alla base il problema dell’analisi delle proprietà delle strutture<br />

organizzative. L’analisi della struttura organizzativa capitalistica sotto le ipotesi di<br />

piena compatibilità tra i piani individuali, come sviluppata ad esempio da Arrow-<br />

Debreu o nell’organization theory, assume dunque un tono puramente<br />

apologetico: l’analisi non ha altro scopo che quello di dimostrare la desiderabilità<br />

della struttura organizzativa capitalistica resa perfetta mediante l’espediente di<br />

farla operare su di un contesto decisionale perfetto.<br />

planning with theories of “market socialism” are entirely without foundation ». Kantorovich<br />

(1975a, [1977, p. 8]).<br />

140 Kantorovich (1959a, [1972, p. 463]).<br />

86


Il problema dei limiti del metodo analitico come strumento unico di analisi<br />

delle proprietà delle strutture organizzative può dunque essere interpretato come<br />

replica alla traiettoria neoclassica di attacco al socialismo. La parzialità di<br />

qualsiasi costruzione teorica non implica di per sé l’impossibilità metodologica di<br />

un confronto coerente tra strutture organizzative: qualsiasi costruzione teorica è<br />

infatti, per definizione, incompleta. Il problema è però nel grado di realismo e nel<br />

rigore scientifico nella definizione delle ipotesi analitiche da assumere come<br />

riferimento nel confronto tra le strutture organizzative. Ed è in questo senso che la<br />

polemica di Kantorovich in merito alle ipotesi assunte dagli economisti<br />

neoclassici risulta pertinente.<br />

Dal nostro punto di vista, la rilevanza del contrattacco di Kantorovich alla<br />

traiettoria matematica occidentale non è quindi tanto nel fatto che essa non meriti<br />

la minima credenza, quanto piuttosto nel fatto che le conclusioni tratte dall’analisi<br />

dei contesti decisionali neoclassici sono insufficienti a gettar luce sul problema<br />

del confronto tra le strutture organizzative reali a causa dello scarso realismo delle<br />

caratteristiche del contesto decisionale. Inoltre, come abbiamo visto, pur<br />

accettando l’impostazione del problema in termini puramente analitici, la<br />

traiettoria neoclassica (1) fallisce il tentativo di dimostrare la superiorità del<br />

sistema di mercato rispetto al sistema centralizzato (per via dei risultati discussi<br />

nel capitolo 2 se si assume il contesto decisionale perfetto e per via dei risultati di<br />

Lange-Lerner se si assume un contesto decisionale neoclassico con tempo<br />

storico), (2) annulla l’operare del principio di <strong>competizione</strong> come principio<br />

temporale e (3) elimina il problema della incompatibilità dei piani assumendolo<br />

risolto per ipotesi.<br />

(2) IL CONTRATTACCO ALLA TRAIETTORIA AUSTRIACA. La teoria austriaca<br />

attacca la pianificazione sostenendo un sistema basato sul puro principio di<br />

<strong>competizione</strong> ex post. L’operare di tale principio, nella visione austriaca, è legato<br />

alla proprietà privata dei mezzi di produzione e alla manifestazione delle rivalità<br />

individuali: tali due ipotesi sono necessarie all’operare della mano invisibile. 141<br />

La pianificazione economica tuttavia non è una caratteristica esclusiva del<br />

sistema socialista; essa è ampiamente diffusa (anche nella sua forma matematica)<br />

anche nel sistema capitalista, sia nel settore pubblico, sia nel settore privato. La<br />

programmazione lineare viene infatti riscoperta 142 e utilizzata negli Stati Uniti<br />

141 In questo paragrafo ci concentriamo principalmente sull’attacco di Mises al socialismo. Per<br />

quanto riguarda la critica hayekiana sulla dimensione conoscitiva, rimandiamo la discussione al<br />

capitolo 5; tale discussione risulterà infatti più agevole dopo che avremo discusso alcuni limiti<br />

generali dell’approccio austriaco (cap. 4).<br />

142 I contributi fondamentali sono di Dantzig (1951) e Koopmans (1951a). Koopmans, come egli<br />

stesso scrive, ricevette l’articolo di Kantorovich del 1939 solo nel 1958. Il suo commento<br />

all’articolo è peraltro entusiasta. Cf. Koopmans (1960).<br />

87


proprio per risolvere problemi lasciati irrisolti dalla mano invisibile (e irrisolvibili<br />

tramite essa). 143<br />

La diffusione della pianificazione ottima come strumento universale di<br />

decisione razionale è discussa in un articolo-intervista a Kantorovich:<br />

« Q. How do you explain the fact that a work which derived from the study of the<br />

economy of a socialist society was awarded a prize (for the first time, by the way)<br />

by a scientific organization of a capitalist country?<br />

A. I see nothing surprising here (...). After all, (...) these methods are applicable at<br />

the level of an individual enterprise, at the level of an individual sector, etc. (...)<br />

Confirmation of the universality of these methods is provided by the fact that they<br />

were discovered independently, if somewhat later, in the Western countries ». 144<br />

Un primo attacco alla teoria austriaca si basa dunque su una questione di realismo:<br />

la pianificazione (efficiente o inefficiente che sia) non è una peculiarità del<br />

sistema socialista; al contrario essa emerge anche nei paesi basati sulla proprietà<br />

privata dei mezzi di produzione e, non a caso, nel paese capitalista più avanzato<br />

economicamente. 145 L’argomentazione secondo cui l’efficienza della struttura<br />

organizzativa basata sulla proprietà privata derivi dal manifestarsi effettivo delle<br />

rivalità individuali viene quindi negata nei fatti: nelle strutture capitalistiche<br />

operanti secondo i principi della pianificazione le rivalità non possono esprimersi<br />

eppure tali strutture emergono proprio nei paesi considerati più efficienti dal<br />

punto di vista <strong>economico</strong>. 146<br />

Si può individuare poi una critica di carattere metodologico. La pianificazione è sì<br />

uno strumento razionale universale, ma tra pianificazione socialista e<br />

pianificazione capitalista vi è una differenza da tenere presente in sede analitica:<br />

143 Si noti in proposito che gli studi di Dantzig (1951) erano espressamente finalizzati alla<br />

risoluzione di problemi logistici del sistema militare americano. I fondi della RAND corporation<br />

(un istituto privato di ricerca commissionato principalmente dall’US Air Force) hanno inoltre<br />

finanziato anche i lavori di Koopmans (1951a, 1951b) e di Dorfman, Samuelson e Solow (1958).<br />

144 Kantorovich (1975a, [1977, p. 7]). Le caratteristiche che fanno della pianificazione ottima uno<br />

strumento universale e flessibile e le difficoltà di applicazione di tali tecniche alla pianificazione<br />

nazionale sono discusse schematicamente in Kantorovich (1975b).<br />

145 Tale critica non tocca invece la traiettoria Barone-organization theory, in quanto, come si è<br />

visto in un contesto decisionale neoclassico il problema della centralizzazione ottima non è<br />

direttamente legato alla proprietà (privata o pubblica) dei mezzi di produzione e al sistema di<br />

incentivi che ne deriva. Il fatto che nel capitalismo convivano strutture con diversi gradi di<br />

centralizzazione non rappresenta una contraddizione con l’ipotesi di efficienza della proprietà<br />

privata dei mezzi di produzione.<br />

146 Il radicalismo di Hayek contro la pianificazione come soppressione della razionalità, ben<br />

evidente negli scritti contro il socialismo, risulta attenuato nelle opere più recenti dell’autore<br />

austriaco. In particolare, una volta abbandonato il tono polemico nei confronti di ogni forma di<br />

pianificazione, Hayek (1973) sviluppa l’analisi dei rapporti tra organizzazione e ordine spontaneo<br />

definendo le categorie analitiche di taxis e kosmos, dalle quali, come si ricorderà, abbiamo tratto,<br />

in parte, ispirazione nella definizione dei principi di coordinamento e <strong>competizione</strong> (cf. cap. 1).<br />

88


nell’analisi del sistema socialista, produzione e distribuzione possono (devono)<br />

essere separate; la separazione non è invece consentita nell’analisi della società<br />

capitalista. 147<br />

« In the study of (...) the economics of socialist society it is known to be correct to<br />

separate the problem of production from the problem of distribution. Independent<br />

consideration of the problem of optimum organization of production is permissible<br />

since in socialist economy without crises and with public socialist ownership of the<br />

means of production in its two forms goods cannot be produced according to the<br />

requirements of society and then remain unused ». 148<br />

L’effettivo manifestarsi delle rivalità individuali come condizione necessaria<br />

dell’operare della mano invisibile implica che nel sistema capitalista il processo<br />

produttivo e il processo distributivo non possano che avvenire contestualmente e<br />

devono quindi essere analizzati congiuntamente.<br />

Nella teoria austriaca, a differenza di quella neoclassica, i processi di<br />

produzione e distribuzione sono considerati (correttamente) come interdipendenti.<br />

Il problema è che gli aspetti distributivi non sono mai approfonditi.<br />

Nel sistema capitalista, la proprietà privata dei mezzi di produzione (o, più<br />

in generale, la distribuzione del <strong>potere</strong> <strong>economico</strong>) è essenziale per l’operare del<br />

principio di <strong>competizione</strong> ex post, il quale è alla base della tesi austriaca di<br />

efficienza del sistema <strong>economico</strong>. Ma, sorge la domanda, efficiente per chi?<br />

Chi sceglie se centralizzare o decentralizzare (o, in generale, come<br />

strutturare il processo produttivo) è chi ha il <strong>potere</strong> di farlo. Le decisioni<br />

individuali, d’altra parte, per ipotesi non dipendono da considerazioni<br />

sull’efficienza del sistema, ma dai propri interessi personali. L’idea di Mises e<br />

della scuola austriaca è che l’efficienza del sistema capitalista (o quanto meno la<br />

sua superiorità rispetto al sistema socialista) possa essere derivata in base<br />

all’analisi del sistema di incentivi alla produzione e all’ipotesi di sovranità del<br />

consumatore. Nella visione austriaca del sistema capitalista si riconosce dunque<br />

che il processo di produzione è allo stesso tempo un processo di distribuzione: 149<br />

l’efficienza del sistema di incentivi alla produzione deriva infatti dall’ipotesi che<br />

sia possibile appropriarsi dei profitti; ciò significa che il processo produttivo, nel<br />

funzionare efficientemente, determina anche la distribuzione del reddito. Detto in<br />

altri termini, la distribuzione è una conseguenza inevitabile della produzione.<br />

Dall’ipotesi che l’obiettivo sociale sia l’efficienza del processo produttivo,<br />

discende che la distribuzione deve essere accettata così com’è.<br />

147 Nell’analisi del sistema socialista è possibile separare l’obiettivo dell’ottimizzazione del<br />

sistema produttivo dal problema dell’equità del sistema distributivo, in quanto nel socialismo i due<br />

processi di produzione e distribuzione sono indipendenti.<br />

148 Kantorovich (1959a, [1972, pp. 464-5]).<br />

149 Se così non fosse verrebbe meno il discorso dell’efficienza del sistema di incentivi del processo<br />

di mercato.<br />

89


Ciò suggerisce una risposta alla domanda « efficiente per chi? »: il sistema<br />

capitalista è efficiente per chi ha il reddito e/o il <strong>potere</strong> <strong>economico</strong>. La negazione<br />

del problema del <strong>potere</strong> <strong>economico</strong> e del problema distributivo impedisce invece<br />

di analizzare i meccanismi attraverso i quali l’interesse personale possa tradursi in<br />

efficienza sociale.<br />

La soluzione austriaca al problema dell’interdipendenza tra processo produttivo e<br />

processo distributivo consistente nel concentrarsi unicamente sull’efficienza del<br />

processo produttivo, trascurando l’analisi delle conseguenze sulla distribuzione<br />

non è accettabile. In un sistema di proprietà privata dei mezzi di produzione,<br />

osserva Kantorovich, la strutturazione efficiente del processo produttivo pone<br />

inevitabili problemi dal punto di vista degli interessi sociali:<br />

« In capitalism the use of such models [the models of production planning] for the<br />

general analysis of economics is impossible (...). In a capitalist economy (...) the<br />

interests of society [are] continually subordinated to those of the capitalist<br />

corporations ». 150<br />

Interpretata dal punto di vista dell’analisi del principio di <strong>competizione</strong> ex post,<br />

l’osservazione di Kantorovich evidenzia come l’operare di tale principio sia nei<br />

fatti legato a questioni inerenti al <strong>potere</strong> <strong>economico</strong>. D’altra parte, la<br />

constatazione che il meccanismo concorrenziale si realizzi attraverso relazioni di<br />

<strong>potere</strong> tra gli agenti non solo rende il processo produttivo e il processo distributivo<br />

intimamente legati, ma implica anche che siano gli interessi privati dei gruppi di<br />

<strong>potere</strong> <strong>economico</strong> più rilevanti a guidare la realizzazione di ambedue i processi.<br />

La soluzione di discutere solo gli aspetti efficientistici della produzione<br />

(trascurando le conseguenze dal lato della distribuzione) rende estremamente<br />

debole l’attacco austriaco al socialismo: uno dei motivi dell’origine del modo di<br />

produzione socialista e della sua proclamata superiorità rispetto a quello<br />

capitalista sta infatti proprio nell’analisi del problema distributivo.<br />

All’attacco di Mises al socialismo basato sul problema degli incentivi, la<br />

scuola sovietica risponde evidenziando i limiti del sistema capitalista proprio sul<br />

campo degli incentivi: l’operare del sistema capitalistico di incentivi implica un<br />

assoggettamento totale dei valori sociali agli interessi privati dei gruppi<br />

economicamente più forti.<br />

Come si vede, la critica di realismo e la critica metodologica sono strettamente<br />

legate: da una parte le analisi austriache sul processo di mercato insistono a tenere<br />

come unità d’analisi l’individuo, senza considerare le relazioni tra organizzazioni,<br />

imprese e corporazioni nell’ambito del processo di mercato; dall’altra non si<br />

discutono i problemi del <strong>potere</strong> <strong>economico</strong> e della distribuzione del reddito. Se gli<br />

150 Kantorovich (1959a, [1972, p. 465, nota 10]).<br />

90


economisti austriaci provassero a rispondere ad una delle due osservazioni essi si<br />

troverebbero automaticamente a rispondere anche all’altra. Ed è forse proprio ciò<br />

alla base del loro silenzio. 151<br />

3.5.3. Piano ottimo e principio di coordinamento<br />

Nella scuola matematica sovietica il dibattito sul piano ottimo porta a sviluppare<br />

una serie di temi quali la rimozione dell’assunzione di linearità, i problemi del<br />

tempo e dell’incertezza e l’importanza di tener conto di alcuni fattori non<br />

economici. 152<br />

Gli strumenti utilizzati possono, senza difficoltà, definirsi come<br />

neoclassici: funzioni aggregate di produzione (generalmente Cobb-Douglas),<br />

produttività marginali, incertezza probabilizzata sono i modi in cui nella<br />

pianificazione ottima si affrontano i caratteri problematici del contesto<br />

decisionale. Da questo punto di vista dunque, il dibattito matematico in terra<br />

sovietica non è sostanzialmente diverso dall’omologo dibattito in occidente da<br />

parte di Koopmans e del suo gruppo. 153 La differenza di fondo è però che in<br />

Unione Sovietica la discussione sulla pianificazione ottima assume la<br />

connotazione di un dibattito sulle caratteristiche del modo di produzione<br />

socialista. 154<br />

Secondo Kantorovich, la pianificazione ottima è lo strumento per<br />

eccellenza del modo di produzione socialista. 155 Essa è centrale in quanto centrale<br />

è il ruolo dell’attività progettuale in seno a tale modo di produzione. L’attività<br />

progettuale non implica tuttavia la previsione perfetta, né la risoluzione ex ante<br />

dei problemi di coordinamento. Al contrario, il fatto che l’attività di<br />

coordinamento si realizzi in forma di processo implica che essa risulti<br />

necessariamente imperfetta, in quanto il passaggio del tempo porta con sé<br />

incertezza, nuova conoscenza, cambiamenti delle opzioni decisionali e degli<br />

obiettivi stessi della pianificazione.<br />

L’imperfezione del principio di coordinamento nella discussione sul piano<br />

ottimo deriva dunque dalle ipotesi sul contesto decisionale. L’assunzione di un<br />

contesto decisionale problematico implica che qualsiasi attività di coordinamento<br />

151<br />

Nel prossimo capitolo cercheremo di mostrare che tale silenzio dipende dalla generale<br />

inadeguatezza del framework austriaco rispetto al problema del <strong>potere</strong>.<br />

152<br />

Kantorovich (1959b), Kantorovich, Gol’shtein, Makarov and Romanovskii (1972).<br />

153<br />

Sostanzialmente diverso è invece l’uso normativo degli studi sul piano ottimo à la Dorfman,<br />

Samulelson and Solow (1958).<br />

154<br />

Kantorovich, Gol’shtein, Makarov and Romanovskii (1972), Kantorovich (1974a), (1975a).<br />

155<br />

« Economic-mathematical planning methods correspond to the nature of the socialist<br />

economy ». Kantorovich (1974a, [1977, p. 14]).<br />

91


ex ante non possa che risultare (a meno di casi fortuiti) subottimale ex post. 156<br />

D’altra parte il coordinamento ex ante è considerato come uno strumento<br />

necessario per il funzionamento di una struttura organizzativa avanzata con<br />

l’ambizioso compito di realizzare un complesso insieme di obiettivi ritenuti<br />

fondamentali a livello politico. Il coordinamento è dunque per definizione<br />

imperfetto (in quanto imperfetto è il contesto decisionale) ma, allo stesso tempo,<br />

necessario e richiede dunque interventi correttivi ex post. 157<br />

Nella visione di diverse correnti socialiste, contrarie eticamente all’idea<br />

della rivalità individuale come fatto naturale da sfruttare nel disegnare un sistema<br />

efficiente, gli atti correttivi ex post devono anch’essi avvenire tramite il principio<br />

di coordinamento. Nello schema di pianificazione che ne risulta, gli eventi<br />

imprevisti, gli errori o le imprecisioni progettuali devono quindi essere riletti dal<br />

centro di coordinamento per proporre nuovi tentativi di coordinamento ex ante<br />

volti a correggere e/o ridefinire il processo di eliminazione delle incompatibilità<br />

tra i piani alla luce della subottimalità evidenziata dagli eventi effettivamente<br />

realizzati. In linea di principio (e in diverse realizzazioni pratiche delle società<br />

socialiste) l’attività correttiva può comunque avvenire anche secondo il principio<br />

di <strong>competizione</strong>. L’ideologia marxista-leninista è tuttavia contraria<br />

all’incentivazione delle rivalità individuali ed è per questo che, quanto meno nelle<br />

intenzioni, il ruolo del principio di <strong>competizione</strong> tende in molti casi ad essere<br />

minimizzato o, se possibile, abolito.<br />

Nel sistema capitalista le rivalità individuali giocano invece un ruolo<br />

cruciale, in quanto è su di esse che si basa il funzionamento del sistema. In tale<br />

sistema il principio di coordinamento ex ante può quindi logicamente combinarsi<br />

con il principio di <strong>competizione</strong> ex post. Dal punto di vista ideologico, la scuola<br />

austriaca insiste sull’essenzialità delle rivalità individuali come condizione<br />

necessaria per l’efficienza del sistema. D’altra parte gli austriaci hanno problemi<br />

156 La necessità di una flessibilità metodologica tra ottimizzazione e metodi meno formali (basati<br />

anche su considerazioni di semplice buon senso) costituisce la soluzione che emerge dal dibattito<br />

sul piano ottimo alla problematicità del contesto decisionale. A tal proposito si deve notare che<br />

molte delle critiche all’operare della pianificazione sovietica possono essere ricondotte proprio<br />

all’insoddisfacente capacità di realizzare tale auspicata flessibilità.<br />

157 Nonostante una strumentazione analitica simile, si ha un ribaltamento di posizione rispetto<br />

all’impostazione neoclassica al problema della struttura organizzativa ottima. La pianificazione<br />

ottima è, secondo la scuola matematica sovietica, la metodologia che si conforma meglio, per la<br />

sua natura, al modo di produzione socialista, il quale è considerato il modo di produzione più<br />

avanzato che l’umanità abbia sperimentato indipendentemente dal fatto che in esso trovino spazio<br />

le tecniche della pianificazione ottima. Nell’economia neoclassica la pianificazione ottima viene<br />

invece utilizzata come strumento per ricavare il modo di produzione perfetto ed è appunto il<br />

tentativo di definire il modo di produzione perfetto che rende necessario assumere come<br />

riferimento il contesto decisionale perfetto. Il problema della flessibilità tra metodi matematici e<br />

metodi diversi di pianificazione non può dunque porsi nell’ambito dell’approccio neoclassico in<br />

quanto gli elementi problematici del contesto decisionale da cui origina il problema stesso della<br />

flessibilità vengono eliminati per ipotesi grazie all’assunzione del contesto decisionale perfetto.<br />

92


ad accettare la razionalità stessa del coordinamento ex ante in un sistema<br />

impostato sulle rivalità. Le strutture organizzative operanti grazie al principio di<br />

coordinamento giocano peraltro un ruolo importante nel funzionamento del<br />

sistema capitalista ed è nostra opinione che esse siano essenziali al suo<br />

funzionamento (indipendentemente dal discorso dell’efficienza del suo<br />

funzionamento). 158 Se è così, l’analisi del principio di <strong>competizione</strong> ex post non è<br />

sufficiente a gettar luce sui meccanismi del sistema capitalista se non affiancata<br />

dall’analisi del principio di coordinamento e, soprattutto, dall’approfondimento<br />

delle relazioni tra i due principi.<br />

3.6. Conclusioni<br />

Il dibattito non si è realizzato nella forma di un reale confronto, bensì si è<br />

sviluppato su linee sempre più distanti tra loro. Ciò implica che la controversia<br />

teorica più importante nella storia dell’economia comparata 159 non è stata, in<br />

realtà, mai risolta.<br />

Attraverso il dibattito sulla pianificazione la teoria austriaca è venuta<br />

caratterizzandosi come un approccio alternativo e antagonistico rispetto alla teoria<br />

neoclassica. Ciò, al di là delle responsabilità austriache in merito alle<br />

incomprensioni emerse nel corso del dibattito, consente di individuare un contesto<br />

decisionale austriaco indipendente dal contesto decisionale neoclassico e slegato<br />

nella sua definizione dal contesto decisionale perfetto. Il contesto decisionale<br />

austriaco è caratterizzato dalla problematizzazione congiunta della dimensione<br />

temporale e di quella informativa, il che consente di analizzare gli aspetti<br />

problematici dei processi di scoperta della conoscenza.<br />

L’attacco austriaco al socialismo è radicale. Sia gli argomenti di Mises, sia<br />

quelli di Hayek rappresentano istanze senza possibilità di mediazione: la<br />

pianificazione, come soppressione del mercato, è irrazionale. In tal senso, la<br />

dissociazione del concetto di efficienza dal principio di ottimalità non rappresenta<br />

un ripiegamento nella controversia sul socialismo, bensì un punto di forza nel<br />

progetto di demolizione senza possibilità di replica dei fondamenti razionali della<br />

teoria economica del socialismo.<br />

158 In proposito Pagano (1992b, p. 18, nota 12), dopo aver criticato la conseguenze pratiche del<br />

tentativo socialista di organizzare il sistema <strong>economico</strong> sulla base del solo principio di<br />

coordinamento ex ante, nota: « Tuttavia, nonostante tali disastrose conseguenze, si deve osservare<br />

che una economia a una sola impresa (...) è riuscita ad esistere per molti anni. Sono francamente<br />

convinto che una società a mercati completi e senza imprese non riuscirebbe a reggere nemmeno<br />

due minuti ».<br />

159 Così Lavoie (1985a, p. 1) definisce il dibattito.<br />

93


La radicalità austriaca può essere ricondotta all’assolutezza del principio di<br />

<strong>competizione</strong> ex post come principio razionale: esso è efficiente e unico. Il<br />

principio di coordinamento, nella misura in cui viene posto in essere, sopprime il<br />

principio di <strong>competizione</strong> (generando inefficienza). Tra i principi di <strong>competizione</strong><br />

e coordinamento intercorre dunque una relazione antagonistica: l’operare del<br />

principio di coordinamento avviene a spese del principio di <strong>competizione</strong>. Il<br />

principio di coordinamento in quanto diverso dal principio di <strong>competizione</strong> (unico<br />

principio efficiente e razionale), è inefficiente e irrazionale.<br />

La risposta di Lange-Lerner assume un contesto decisionale diverso da quello<br />

austriaco. Nel contesto decisionale di Lange-Lerner, come in quello austriaco, la<br />

dimensione temporale è sviluppata in senso storico; tuttavia, essa è tenuta<br />

analiticamente separata dalla dimensione informativa. Su tale contesto decisionale<br />

la procedura Lange-Lerner, astraendo dal problema degli incentivi, risolve il<br />

problema informativo e dimostra la razionalità del socialismo. Nel contesto<br />

decisionale Lange-Lerner non è invece possibile replicare al problema dei<br />

processi conoscitivi nei termini in cui è posto dagli economisti austriaci, in quanto<br />

nel contesto decisionale austriaco le dimensioni tempo e informazione sono<br />

interdipendenti.<br />

Gli sviluppi della traiettoria Lange-Lerner portano inoltre ad un<br />

riassorbimento della dimensione temporale nel contesto decisionale perfetto. È su<br />

un simile contesto decisionale di ispirazione neoclassica, nel quale solo la<br />

dimensione informativa è trattata come problematica, che viene sviluppato il<br />

confronto tra strutture organizzative secondo l’approccio dell’organization theory.<br />

Il tentativo di tradurre le istanze austriache nei termini dell’organization theory<br />

porta perciò a snaturare le argomentazioni di Mises e Hayek.<br />

Il dibattito sulla pianificazione è un dibattito prettamente occidentale in cui le tesi<br />

dei matematici marxisti sovietici non giocano alcun ruolo. Nonostante ciò, le tesi<br />

della scuola matematica russa rappresentano una risposta (a volte solo indiretta)<br />

agli attacchi teorici al socialismo.<br />

Il tipo di risposta avanzato dalla scuola matematica sovietica si differenzia<br />

nella sostanza dalla replica dei market socialist. Mentre questi ultimi accettano le<br />

caratteristiche di fondo del contesto decisionale neoclassico e dimostrano la<br />

possibilità della pianificazione su un simile contesto decisionale, l’impostazione<br />

marxiana respinge le caratteristiche del contesto decisionale perfetto e il tentativo<br />

stesso di affrontare il problema del confronto tra strutture organizzative su basi<br />

efficientistiche. Il confronto tra strutture organizzative è invece impostato come<br />

problema etico e storico da risolvere in sede politica.<br />

In Unione Sovietica la discussione del problema dell’uso razionale delle<br />

risorse mediante la pianificazione ottima si sviluppa infatti al di fuori del mito del<br />

sistema decisionale perfetto. La pianificazione ottima è uno strumento razionale e<br />

94


imperfetto. La sua imperfezione deriva dalla complessità del contesto decisionale:<br />

in un contesto decisionale problematico non esistono infatti strutture organizzative<br />

perfette. L’impostazione secondo cui ogni tentativo di progettazione è irrazionale<br />

in quanto imperfetto è dunque insensata. Con i teoremi sul piano ottimo non si<br />

intende dimostrare la possibilità del socialismo (sebbene ciò sfugga ad alcuni<br />

osservatori occidentali, tra cui Lavoie), bensì razionalizzare la pratica della<br />

pianificazione sovietica.<br />

L’evidenziazione da parte della scuola marxiana dell’interdipendenza tra<br />

processo produttivo e processo distributivo nel sistema capitalista può essere<br />

utilizzata come replica all’attacco austriaco al socialismo in merito al problema<br />

degli incentivi. Nell’analisi austriaca si presenta infatti la seguente contraddizione:<br />

produzione e distribuzione non possono essere separate, tuttavia la tesi della<br />

desiderabilità del sistema di incentivi del sistema capitalista passa per la<br />

negazione del problema distributivo.<br />

Le linee di riflessione di Mises-Hayek e della scuola di Kantorovich contengono<br />

ambedue importanti insegnamenti per l’analisi dei principi di <strong>competizione</strong> e<br />

coordinamento nel sistema <strong>economico</strong>, il che rende appetibile la possibilità di<br />

un’effettiva sintesi tra le due. Tale sintesi è tuttavia impedita dalla radicalità della<br />

critica austriaca.<br />

Il contributo dell’analisi austriaca è da individuarsi nell’approfondimento<br />

di alcuni aspetti del principio di <strong>competizione</strong> come principio ex post. Gli<br />

insegnamenti austriaci sul principio di <strong>competizione</strong> sono però limitati dalla<br />

negazione del <strong>potere</strong> <strong>economico</strong> come elemento caratterizzante le relazioni<br />

competitive.<br />

L’insegnamento dei matematici sovietici sta nell’individuazione dei<br />

problemi analitici posti dalla pratica della pianificazione e nella loro collocazione<br />

in un contesto decisionale problematico. Il coordinamento ex ante è un principio<br />

razionale e imperfetto. L’imperfezione non deriva dall’irrazionalità del principio<br />

di coordinamento ma dalle caratteristiche del contesto decisionale.<br />

Prima di concludere il capitolo, rivediamo in forma sintetica il percorso fin qui<br />

effettuato in merito al problema del confronto tra strutture organizzative a parità<br />

di contesto decisionale. Si ha innanzitutto un problema di definizione del contesto<br />

decisionale: la definizione del contesto decisionale pone problemi di realismo e<br />

rappresenta un processo complesso alla cui discussione l’economista non può<br />

sottrarsi. Indipendentemente dal contesto decisionale abbiamo poi individuato due<br />

problemi generali: (1) incentivi e (2) conoscenza.<br />

Nella traiettoria neoclassica l’analisi del problema della conoscenza porta<br />

ai risultati di Lange-Lerner e dell’organization theory.<br />

95


Nella traiettoria austriaca l’interdipendenza tra processo distributivo e<br />

processo produttivo nel sistema capitalista rende debole la critica al sistema<br />

socialista e la tesi dell’efficienza del sistema capitalista.<br />

Sebbene i risultati fin qui raggiunti dovranno essere precisati e<br />

approfonditi, due sono le questioni fondamentali che rimangono aperte: il<br />

problema degli incentivi nei contesti decisionali di tipo neoclassico e il problema<br />

della conoscenza nel contesto decisionale austriaco. Dell’introduzione dei<br />

problemi di incentivi nell’ambito di schemi a informazione imperfetta da parte<br />

della scuola neoclassica ci occuperemo nella terza parte della tesi quando<br />

discuteremo il problema principale-agente. Alcuni elementi utili in merito<br />

all’analisi del problema della conoscenza nel contesto decisionale austriaco sono<br />

invece discussi nel capitolo che segue.<br />

96


4<br />

I LIMITI TEORICI DELLA SCUOLA<br />

AUSTRIACA MODERNA<br />

Markets do work. They work so obviously well that our scientific curiosity is aroused<br />

to seek understanding of the counter-intuitive phenomenon of this success.<br />

Kirzner (1992).<br />

Nella teoria austriaca si evidenzia un vuoto d’analisi rispetto al problema<br />

dell’incertezza. Tale vuoto, per via dell’interdipendenza tra le dimensioni del<br />

contesto decisionale, crea problemi di coerenza e di interpretazione nell’analisi di<br />

Hayek di tempo e conoscenza. I processi conoscitivi rappresentano peraltro un<br />

tema centrale dell’analisi del processo di mercato sviluppata dagli economisti<br />

della scuola austriaca moderna.<br />

Nell’ambito di tale scuola esaminiamo i lavori di Kirzner e Lachmann, due<br />

figure leader del revival austriaco. Sebbene Kirzner e Lachmann si richiamino<br />

ambedue espressamente all’opera di Mises e di Hayek, essi sviluppano visioni<br />

assai diverse del processo di mercato, le quali conducono, in alcuni casi, a<br />

conclusioni opposte. Le diverse conclusioni cui giungono Kirzner e Lachmann<br />

non sono solo un problema di implicazioni normative. Esse sono la<br />

manifestazione di un conflitto profondo derivante dall’incompatibilità dei contesti<br />

decisionali, in particolare sulla concezione dell’incertezza.<br />

Il vuoto analitico presente nell’opera di Hayek in tema di incertezza, non<br />

solo rischia di rendere inefficace l’analisi dei processi di conoscenza sviluppata<br />

dallo stesso Hayek, ma è anche fonte di interpretazioni contrastanti nell’ambito<br />

dei moderni economisti austriaci. La tradizione austriaca viene così a perdere di<br />

unità proprio sui temi portanti (conoscenza e tempo) attorno ai quali i suoi leader<br />

hanno tentato di delineare i caratteri distintivi di una scuola di pensiero autonoma,<br />

nell’ambito del panorama metodologico individualistico.<br />

Se, come sostiene Vaughn, è col dibattito sulla pianificazione che<br />

prendono forma i tratti originali della scuola austriaca, è anche nel dibattito sulla<br />

97


pianificazione che si manifestano i limiti di tale scuola di pensiero. La nostra tesi<br />

è che qualora Hayek avesse affrontato il problema dell’incertezza egli si sarebbe<br />

trovato di fronte a un bivio: (1) perdere il dibattito sulla pianificazione; (2)<br />

perdere i tratti di originalità della tradizione austriaca, col rischio di un<br />

assorbimento nel paradigma neoclassico. 160 Non affrontando adeguatamente<br />

l’analisi dell’incertezza, il problema è stato trasmesso alla generazione<br />

successiva. 161 Lachmann e Kirzner hanno imboccato le due vie di fronte alle quali<br />

Hayek si è fermato.<br />

La posizione di Lachmann, secondo alcuni l’unica nel panorama austriaco<br />

moderno genuinamente mengeriana, 162 non consente (né si propone) di dimostrare<br />

la superiorità del capitalismo, né l’impossibilità della pianificazione.<br />

La posizione di Kirzner riguardo alla desiderabilità del capitalismo è<br />

invece netta: il processo di mercato, secondo Kirzner, assicura la convergenza ad<br />

una situazione di equilibrio e ciò, sempre secondo Kirzner, costituisce un<br />

argomento sufficiente ad auspicare politiche deregolatorie e liberiste. 163 La linea<br />

di sviluppo kirzneriana, come lo stesso Kirzner afferma, porta ad una<br />

riconciliazione tra le tradizioni austriaca e neoclassica e, in un certo senso,<br />

all’assorbimento della prima nella seconda. Essa inoltre, come vedremo, non<br />

permette di evitare la sconfitta nel dibattito sulla pianificazione: se nel caso di<br />

Lachmann il confronto tra strutture organizzative è espressamente negato, nel<br />

caso di Kirzner, pur se in modo meno immediato, esso risulta impossibile secondo<br />

i canoni epistemologici austriaci.<br />

Lo scopo del presente capitolo è duplice. Primo intendiamo porre le basi per un<br />

riesame del dibattito sulla pianificazione; secondo vogliamo mettere in luce i<br />

limiti interni della moderna scuola austriaca.<br />

Rispetto al primo obiettivo, precisiamo che l’interesse non è di tipo<br />

storico, bensì analitico. Il dibattito sulla pianificazione è infatti il terreno d’analisi<br />

dei rapporti tra Stato e mercato; le carenze nel framework austriaco impediscono a<br />

nostro giudizio di impostare correttamente il problema e sono fonte di ambiguità e<br />

confusione. Il nostro tentativo è dunque quello di eliminare per quanto possibile le<br />

interpretazioni ambigue e precisare le posizioni che ci appaiono confuse. La<br />

riapertura del dibattito sulla pianificazione è invece un problema che affronteremo<br />

nel capitolo 5. Lì, tenteremo di dimostrare che l’attacco al socialismo e la difesa<br />

del mercato non possono essere sostenute e che, dunque, la scuola austriaca esca<br />

sconfitta dal dibattito sulla pianificazione.<br />

160<br />

Il che avrebbe rimandato, ma non impedito, la sconfitta nel dibattito sulla pianificazione.<br />

161<br />

Generazione successiva dal punto di vista di storia del pensiero, non in senso anagrafico.<br />

162<br />

Cf. Gloria (1996a, capp. 4-5).<br />

163<br />

In realtà, come vedremo, la convergenza del processo di mercato non dimostra né l’irrazionalità<br />

del socialismo, né l’efficienza del capitalismo (né tanto meno la desiderabilità del laissez faire).<br />

98


Col secondo obiettivo intendiamo mostrare che la sconfitta nel dibattito<br />

sulla pianificazione è solo una delle manifestazioni dei limiti teorici della scuola<br />

austriaca. L’impostazione metodologica austriaca impedisce infatti un’analisi<br />

ponderata sia dei rapporti tra Stato e mercato, sia dei meccanismi stessi del<br />

processo di mercato.<br />

Il capitolo è diviso in sei paragrafi.<br />

Nel paragrafo 4.1 tentiamo di riempire il vuoto analitico austriaco riguardo<br />

all’incertezza. A tal fine, introduciamo una serie di definizioni che utilizzeremo<br />

nei paragrafi successivi per esplicitare le posizioni di Hayek, Kirzner e Lachmann.<br />

Nel paragrafo 4.2 analizziamo la posizione di Hayek in materia di<br />

incertezza: anticipiamo sin d’ora che, a partire dagli elementi a nostra<br />

disposizione, non siamo in grado di esplicitare in modo non ambiguo la<br />

concezione hayekiana dell’incertezza. Nonostante ciò siamo in grado di<br />

restringere il campo di indagine, individuando due possibili interpretazioni del<br />

contesto decisionale hayekiano.<br />

Le due interpretazioni sono approfondite nei due paragrafi successivi (4.3<br />

e 4.4) dedicati rispettivamente alle opere di Kirzner e Lachmann. I contesti<br />

decisionali dei due autori della scuola austriaca moderna corrispondono infatti a<br />

quelli individuati nelle due possibili interpretazioni di Hayek. L’analisi delle<br />

teorie di Kirzner e Lachmann permette perciò sia di esplicitare lo stato recente del<br />

dibattito interno alla scuola austriaca moderna, sia di approfondire le conseguenze<br />

teoriche dell’analisi hayekiana lasciate in sospeso dallo stesso Hayek.<br />

Le diverse conclusioni cui conducono gli sviluppi dell’analisi secondo le<br />

direzioni di Kirzner e Lachmann pongono inoltre un problema di definizione dei<br />

rapporti esistenti tra le due correnti. Tale problema è analizzato nel paragrafo 4.5.<br />

Il paragrafo 4.6 raccoglie le nostre conclusioni.<br />

4.1. Il problema dell’incertezza<br />

Nell’ambito della scuola austriaca non è possibile individuare una posizione<br />

unanime rispetto al problema dell’incertezza. Al fine di precisare le diverse<br />

posizioni assunte dagli economisti austriaci procediamo dapprima definendo<br />

alcuni concetti fondamentali in materia di incertezza e utilizzando poi tali<br />

definizioni per discutere le categorie analitiche centrali rispetto alle quali si<br />

differenziano le posizioni degli economisti austriaci. Le definizioni che<br />

proponiamo riguardano (1) il concetto di incertezza, (2) quello di probabilità e (3)<br />

le visioni determinista e decisionista del contesto decisionale. Le categorie<br />

analitiche che discutiamo sono quelle (A) di scoperta e creazione e (B) di<br />

arbitraggio e speculazione.<br />

99


(1) RISCHIO E INCERTEZZA. Secondo la definizione di Knight si ha una situazione<br />

di incertezza (radicale) quando la probabilità non è misurabile; i casi in cui (gli<br />

agenti ritengono che) la probabilità sia misurabile definiscono situazioni di<br />

rischio.<br />

La questione della misurabilità dell’incertezza è approfondita da Davidson<br />

(1982-3, 1991) utilizzando il concetto di ergodicità. Un processo ergodico è un<br />

processo stocastico in cui le medie calcolate sulla base delle osservazioni passate<br />

non sono persistentemente diverse dalle medie temporali degli eventi futuri. 164<br />

(2) PROBABILITÀ. Introduciamo due distinzioni definitorie:<br />

(1) Approccio oggettivista versus approccio soggettivista: nel primo caso<br />

la probabilità è una proprietà oggettiva dell’ambiente; nel secondo caso essa<br />

esprime una valutazione soggettiva dell’agente.<br />

(2) Approccio realista versus approccio costruttivista: secondo l’approccio<br />

realista la probabilità esiste come caratteristica della realtà; la probabilità è<br />

dunque uno degli oggetti da scoprire nella nostra investigazione della realtà.<br />

Secondo l’approccio costruttivista la probabilità è invece una costruzione<br />

dell’agente che non ha una sua propria esistenza al di fuori del ragionamento<br />

umano.<br />

Nell’approccio costruttivista non si può parlare propriamente di probabilità<br />

degli eventi, in quanto questi sono determinati dalle azioni dei decisori i quali,<br />

sulla base delle proprie stime probabilistiche, interagiscono e determinano il<br />

futuro corso degli eventi. L’approccio realista implica invece che la realtà abbia<br />

un proprio corso (espresso in termini probabilistici) indipendentemente dalle<br />

scelte individuali; come osserva Palley (1993), in tal caso, l’attività decisionale<br />

può influenzare la conoscenza individuale ma non la realtà. 165<br />

Analizziamo la relazione esistente tra le due distinzioni oggettività-soggettività e<br />

realismo-costruttivismo. La questione è delicata ma importante. Come vedremo,<br />

la visione soggettivista di Lachmann si avvicina alla concezione costruttivista di<br />

Keynes (e della scuola post-keynesiana). Secondo Keynes la probabilità non è una<br />

proprietà del mondo ma una caratteristica del modo in cui noi ragioniamo sul<br />

mondo; la probabilità è quindi il risultato di una costruzione teorica individuale.<br />

Nonostante ciò, secondo Keynes, se l’evidenza empirica (l’ambiente esterno) non<br />

muta, la probabilità assegnata ad un evento rimane fissa e, in tal senso, le opinioni<br />

164 In un sistema non ergodico le regole della probabilità non sono applicabili in quanto le<br />

caratteristiche qualitative del processo cambiano nel tempo. L’uso delle stime statistiche nei<br />

processi decisionali deriva quindi da una visione ergodica del sistema <strong>economico</strong>.<br />

165 La doppia bipartizione misurabilità-non misurabilità dell’incertezza e realismo -costruttivismo<br />

della probabilità è approfondita da Lawson (1988, 1994), il quale, tra l’altro, la utilizza come<br />

criterio di tassonomizzazione delle principali teorie delle decisioni in condizioni di incertezza.<br />

100


probabilistiche sono oggettive. L’approccio di Keynes costituisce perciò un<br />

esempio di probabilità oggettiva nell’ambito di un approccio costruttivista. 166<br />

In una visione soggettiva, viceversa, le valutazioni probabilistiche possono<br />

cambiare anche se l’ambiente esterno rimane invariato, in quanto si ipotizza che<br />

l’individuo possa cambiare autonomamente anche senza stimoli esterni.<br />

L’ipotesi soggettivista è dunque più forte dell’ipotesi costruttivista in<br />

quanto fa dipendere le variazioni delle valutazioni probabilistiche individuali dal<br />

decisore, oltre che dall’ambiente. Abbiamo così stabilito le due seguenti relazioni:<br />

soggettivismo ⇒ costruttivismo<br />

realismo ⇒ oggettivismo. 167<br />

L’importanza di tali relazioni sta nel fatto che, secondo noi, i confini tra<br />

costruttivismo e soggettivismo fanno da spartiacque rispetto alla possibilità di<br />

costruire una teoria delle decisioni in condizioni di incertezza con validità<br />

operativa. Il problema si manifesta, in particolare, in Lachmann, la cui teoria di<br />

impostazione soggettivista è soggetta ad una critica di nihilismo il cui<br />

superamento è, a nostro parere, subordinato al ripiegamento verso l’approccio<br />

costruttivista. 168<br />

(3) DETERMINISMO E DECISIONISMO. Shackle (1979, pp. 3-6) distingue tra<br />

visione determinista e visione decisionista del contesto decisionale.<br />

Nella visione determinista tutto è predeterminato, compresi i pensieri<br />

umani, i quali giocano dunque un ruolo essenzialmente passivo in un quadro<br />

interamente descritto una volta per tutte. Parlare di tempo in una simile visione<br />

significa soltanto collocare gli eventi lungo una dimensione logicamente analoga a<br />

quella spaziale. In tale visione la storia procede indipendentemente dai pensieri e<br />

dalle esperienze individuali; il rapporto tra individuo e ambiente è caratterizzato<br />

166<br />

Lawson (1988, 1994).<br />

167<br />

La seconda relazione è derivata dalla prima mediante i principi elementari della teoria degli<br />

insiemi: A ⊂ B ⇔ B¯ ⊂ Ā..<br />

168<br />

Se la nostra interpretazione è corretta la relazione tra soggettivismo e costruttivismo chiarisce<br />

anche come la scuola post-keynesiana sia riuscita a sviluppare una propria teoria delle decisioni in<br />

condizioni di incertezza evitando il nihilismo dell’approccio soggettivista: nell’approccio<br />

soggettivista, l’ipotesi che le valutazioni (e dunque le decisioni) possano variare anche senza<br />

alcuna modificazione dell’ambiente decisionale impedisce infatti l’individuazione di regolarità nei<br />

criteri decisionali individuali; nelle ipotesi costruttivistiche della scuola post-keynesiana esiste<br />

invece uno spazio di influenza degli elementi oggettivi dell’ambiente sul soggetto decisore.<br />

Uno schema generale delle decisioni in condizioni di incertezza (o, di ignoranza, come<br />

talvolta viene chiamata) nell’ambito della scuola post-keynesiana è sviluppata, in particolare, da<br />

Vickers il quale approfondisce lo schema di Shackle. Cf. Shackle (1969), Vickers (1978, parte 3;<br />

1986). L’operatività del modello di Shackle-Vickers è stata oggetto di un acceso dibattito interno<br />

alla scuola post-keynesiana. Cf. Katzner (1990; 1992-93), Williams and Findlay III (1986).<br />

101


dai processi di scoperta che gli individui sperimentano i quali, tuttavia, non<br />

alterano in nessun senso il corso degli eventi.<br />

« Determinism deems time an illusion of human thought, and must deem that<br />

thought itself in some sense an illusion ». 169<br />

Nella visione decisionista, viceversa, la storia non ha forma finché i pensieri, e le<br />

decisioni che da essi scaturiscono, non ne determinano il corso. I pensieri sono il<br />

motore della storia; l’immaginazione, come attività centrale dei processi<br />

decisionali, rende imprevedibile il corso futuro degli eventi e la creazione diviene<br />

l’elemento analitico centrale dei processi decisionali.<br />

La distinzione tra decisionismo e determinismo determina il ruolo della<br />

scelta nel modello. La scelta, nella visione decisionista di Shackle, rappresenta<br />

un’origine: essa non è causata, ma causa. La scelta per essere tale (1) non deve<br />

essere determinata a priori e (2) deve avere effetti sul futuro. Nella visione<br />

determinista la scelta non ha invece tali proprietà. Ciò porta Loasby a sostenere<br />

che in un modello di certezza e razionalità piena non può esserci scelta, ma solo<br />

relazioni stimolo-risposta:<br />

« If knowledge is perfect and the logic of choice complete and compelling the<br />

choice disappears; nothing is left but stimulus and response (...). If choice is real, the<br />

future cannot be certain; if the future is certain, there can be no choice ». 170<br />

La visione decisionista presuppone dunque un approccio soggettivista alla<br />

probabilità e, per via del carattere libero della scelta soggettiva, una visione non<br />

ergodica dei processi economici. 171 Al contrario, la visione determinista implica<br />

un approccio realista alla probabilità; essa non ha invece implicazioni sulla<br />

misurabilità della probabilità in quanto i processi economici, per quanto<br />

predeterminati, potrebbero essere sia ergodici, sia non ergodici.<br />

(A) SCOPERTA E CREAZIONE. Distinguiamo i processi di conoscenza in processi<br />

di scoperta e processi di creazione in base alle caratteristiche del set informativo<br />

su cui essi si realizzano.<br />

I processi di scoperta avvengono o su un set informativo chiuso, o su un<br />

set informativo esogenamente aperto. Nel primo caso, risulta ipotecata la<br />

169 Shackle (1979, p. 4).<br />

170 Loasby (1976, p. 5).<br />

171 L’approccio decisionista-soggettivista conduce a posizioni radicali nell’ambito della teoria<br />

austriaca (soprattutto in Lachmann) riguardo alla possibilità di spiegare le regolarità dei processi<br />

economici reali. Ciò dipende dall’assenza, nella teoria austriaca, dell’analisi del <strong>potere</strong>. Le scelte<br />

individuali, in realtà, per quanto libere, si realizzano all’interno di un sistema di vincoli<br />

(determinato dalle relazioni di <strong>potere</strong> tra gli agenti), il quale, come vedremo nel capitolo 9, può<br />

essere sufficiente a generare margini di regolarità nei processi di interazione tra individui che<br />

scelgono liberamente.<br />

102


possibilità di sviluppare l’analisi della conoscenza in senso dinamico, in quanto i<br />

processi di scoperta finirebbero, prima o poi, per esaurire il set da scoprire (per<br />

ipotesi chiuso), generando lo stato stazionario. Nel secondo caso è invece<br />

possibile assumere che il set informativo cambi continuamente e<br />

imprevedibilmente, ma si deve esclude la possibilità che esso cambi per effetto<br />

dell’attività di scoperta. La dinamica del sistema non è perciò autopropulsiva,<br />

bensì è introdotta dall’esterno attraverso shock sul set informativo: i processi di<br />

scoperta inseguono incessantemente un set informativo in continuo cambiamento<br />

esogeno.<br />

I processi di creazione operano invece su un set informativo<br />

endogenamente aperto. 172 Ogni decisore definisce il proprio set di stati di natura<br />

possibili lavorando sulla propria immaginazione. Non c’è alcuna ragione per cui<br />

un agente non possa immaginare scenari assurdi, e non si può neanche escludere<br />

che egli consideri la possibilità che si realizzino eventi totalmente inattesi e che, in<br />

funzione di ciò, si prepari, un modo o nell’altro, ad affrontare l’imprevisto. Se il<br />

set informativo è aperto è allora perché è l’attività stessa della creazione a<br />

modificarlo imprevedibilmente. Il fenomeno della creazione implica dunque la<br />

presenza di incertezza radicale nel contesto decisionale.<br />

La distinzione tra scoperta e creazione è legata alla distinzione tra visione<br />

determinista e visione decisionista del contesto decisionale.<br />

Nell’approccio determinista, si può sbagliare, ma non si possono creare<br />

opportunità nuove, né si può scegliere ciò che non è già nel set informativo. La<br />

dinamica evolutiva dell’insieme di opportunità sfruttabili è, secondo tale<br />

approccio, prestabilita (anche se ignota ai decisori); all’interno della frontiera<br />

delle opportunità è possibile che i decisori sbaglino, ossia che si lascino sfuggire<br />

alcune delle opportunità esistenti. Gli sbagli dei decisori non retroagiscono<br />

tuttavia sulla dinamica delle opportunità, cosicché l’evoluzione della frontiera<br />

delle opportunità risulta indipendente dai processi conoscitivi effettivamente<br />

sperimentati.<br />

Nella visione decisionista viceversa i fatti sono creati, non scoperti. La<br />

stessa attività comunemente definita di scoperta, in quanto oggetto dei processi<br />

decisionali (risultato di scelte), è un atto di creazione. Secondo tale approccio, è la<br />

scelta che determina il corso degli eventi: la realtà non esiste finché non avviene<br />

l’attività decisionale. Qualsiasi atto decisionale è dunque un atto di creazione.<br />

« If man are essentially free, they are essentially creative in a fundamental sense. 173<br />

(...) If history is made by men, it cannot be foreknown. 174 (...) If we knew in an<br />

172 L’apertura del set informativo implica anche l’impossibilità di considerare le decisioni<br />

individuali come il prodotto di processi di ottimizzazione. Loasby (1976, p. 217).<br />

173 Shackle (1979, p. 7).<br />

174 Shackle (1979, p. 134).<br />

103


exploitable degree what we should find, we should not need to find it. If we do not<br />

know what we shall find, how can we say what it will be worth? » 175<br />

Con queste definizioni, possiamo affermare che non è possibile prevedere ciò che<br />

potrà essere creato, mentre (almeno in teoria) è possibile prevedere ciò che potrà<br />

essere scoperto.<br />

(B) ARBITRAGGIO E SPECULAZIONE. La distinzione tra arbitraggio e speculazione<br />

riflette la presenza/assenza di incertezza (o quanto meno di rischio) nella doppia<br />

operazione di apertura e chiusura di una posizione non liquida.<br />

Tale distinzione può essere precisata utilizzando la distinzione analitica tra<br />

dimensione spaziale e dimensione temporale. Sia le operazioni di arbitraggio, sia<br />

le operazioni di speculazione sono caratterizzate dal doppio intervento su mercati<br />

diversi. Nel caso dell’arbitraggio, si tratta di mercati diversi rispetto alla<br />

collocazione spaziale; nel caso della speculazione, rispetto alla dimensione<br />

temporale. 176 Ciò implica che tra arbitraggio e speculazione vi può essere una<br />

differenza qualitativa solo nella misura in cui esista una differenza analitica tra<br />

dimensione spaziale e dimensione temporale. Tale differenza esiste nei modelli di<br />

tempo storico, non esiste nei modelli di tempo logico. Nei modelli di tempo<br />

storico, l’apertura di una posizione incorpora un grado ineliminabile di incertezza<br />

(o rischio) e costituisce quindi una posizione speculativa. Nei modelli di tempo<br />

logico si hanno invece solo operazioni di arbitraggio.<br />

4.2. La posizione di Hayek<br />

Le posizioni di Hayek, Kirzner e Lachmann rispetto alle categorie analitiche<br />

introdotte non sono omogenee. I maggiori problemi interpretativi sorgono rispetto<br />

alla posizione di Hayek.<br />

Nel paragrafo 4.2.1 avanziamo due possibili interpretazioni del problema<br />

dell’incertezza in Hayek. La ricostruzione della visione hayekiana dell’incertezza<br />

è importante per interpretare correttamente la critica di Hayek alla pianificazione;<br />

a tal fine, nel paragrafo 4.2.2, argomentiamo in favore di una delle due ipotesi<br />

prospettate, in quanto l’altra rende palese l’impossibilità di un confronto coerente<br />

tra strutture organizzative, contraddicendo quella che, per noi, è una motivazione<br />

centrale dell’opera scientifica di Hayek, vale a dire la critica al socialismo.<br />

Più importante ancora del tentativo di ricostruire la posizione di Hayek in<br />

tema di incertezza ci sembra il problema di ricavare le implicazioni di ambedue le<br />

175 Shackle (1983, p. 8).<br />

176 Cf. Chick (1994).<br />

104


possibili interpretazioni del pensiero hayekiano (4.2.3), soprattutto alla luce del<br />

fatto che esse coincidono in larga parte con le posizioni di Kirzner e Lachmann.<br />

Il fatto che i leader della scuola austriaca moderna assumano contesti<br />

decisionali corrispondenti alle due interpretazioni del contesto decisionale<br />

hayekiano non è casuale. Secondo noi infatti le due interpretazioni proposte, non<br />

solo costituiscono le uniche a dare coerenza alla teoria di Hayek, ma definiscono<br />

anche gli unici contesti decisionali sui quali è possibile trattare la problematica<br />

austriaca della conoscenza. Per questo motivo, con l’analisi delle opere di Hayek<br />

non ci proponiamo di risolvere il problema dell’interpretazione più corretta del<br />

pensiero hayekiano, ma di precisare le caratteristiche analitiche dei possibili<br />

contesti decisionali su cui è possibile utilizzare la teoria della conoscenza come<br />

argomentazione teorica nel confronto tra strutture organizzative.<br />

4.2.1. Due possibili interpretazioni del contesto<br />

decisionale hayekiano<br />

La concezione di Hayek dell’incertezza non può essere determinata senza<br />

ambiguità. Tuttavia, che l’incertezza sia intrinsecamente presente nell’analisi di<br />

Hayek della conoscenza è fuor di dubbio: l’attenzione di Hayek per il processo di<br />

mercato deriva proprio dall’impossibilità di prevedere i cambiamenti del contesto<br />

decisionale. La definizione stessa di <strong>competizione</strong>, in Hayek, implica<br />

l’impossibilità di conoscerne l’esito: non si farebbe una gara se già si conoscesse<br />

il vincitore.<br />

« It would clearly be pointless to arrange for competition, if we were certain<br />

beforehand who would do best. (...) Competition is valuable only because, and so far<br />

as, its results are unpredictable (...). In those cases in which it [competition] is<br />

interesting, the validity of the theory can never be tested empirically ». 177<br />

A partire dal riconoscimento della presenza di incertezza come condizione<br />

necessaria per la teoria hayekiana del processo di mercato, suggeriamo due<br />

interpretazioni alternative del pensiero di Hayek. Il nodo centrale che non siamo<br />

in grado di sciogliere riguarda il carattere oggettivo o soggettivo dell’incertezza.<br />

Facendo leva sulla coerenza dell’opera di Hayek, definiamo allora due scenari.<br />

1. Scenario di incertezza oggettiva: il set informativo è aperto solo per via<br />

esogena; la visione del contesto decisionale non è realmente decisionista; i<br />

processi conoscitivi sono solo processi di scoperta (il che non permette di<br />

prendere posizione circa la proprietà di ergodicità del sistema <strong>economico</strong>).<br />

177 Hayek (1968, [1978, pp. 179-80]), enfasi in originale.<br />

105


2. Scenario di incertezza soggettiva: il set informativo è aperto in modo<br />

endogeno per via della libertà di scelta dei decisori; la visione del contesto<br />

decisionale è decisionista e non ergodica; i processi conoscitivi che Hayek<br />

analizza col termine di scoperta comprendono anche la categoria analitica della<br />

creazione. 178<br />

Vediamo perché l’ipotesi sull’oggettività/soggettività dell’incertezza conduce ai<br />

due scenari delineati.<br />

Notiamo innanzitutto che il termine creazione non compare mai negli<br />

scritti di Hayek. Osserviamo anche che l’analisi dei processi di scoperta, proprio<br />

per la mancata esplicitazione della posizione analitica rispetto all’incertezza,<br />

assume nell’opera hayekiana il carattere di una trattazione esaustiva dei processi<br />

conoscitivi. La questione è allora se il significato del concetto di scoperta in<br />

Hayek sia ampio al punto da includere anche il concetto di creazione.<br />

Supponiamo che Hayek definisca l’incertezza come oggettiva. Se esiste un<br />

corso degli eventi oggettivamente determinato (magari in termini probabilistici),<br />

la scelta dei decisori riguarda solo la selezione di un’opzione esistente, ma non<br />

crea nuove opportunità. Se Hayek si concentra sui processi di scoperta è allora<br />

perché non c’è posto nel contesto decisionale che ha definito per l’analisi della<br />

creazione.<br />

Assumiamo ora che Hayek consideri l’incertezza in senso soggettivo. Se<br />

l’imprevedibilità dell’interazione competitiva di cui parla Hayek deriva dal fatto<br />

che le decisioni individuali si basano sull’immagine del contesto decisionale che il<br />

decisore si costruisce soggettivamente, il set informativo deve considerarsi aperto<br />

dall’interno. In tal caso l’analisi hayekiana dei processi conoscitivi pur se ispirata<br />

al fenomeno della scoperta è in realtà generale e comprende anche la creazione.<br />

Anzi, come abbiamo visto, la stessa attività di scoperta, in una visione<br />

decisionista-soggettivista deve considerarsi alla stregua di un processo creativo.<br />

178 Si ricorderà che nella discussione del dibattito sulla pianificazione abbiamo rigettato la<br />

possibilità di considerare l’organization theory come la trattazione formale degli argomenti<br />

austriaci. La doppia interpretazione del contesto decisionale che stiamo proponendo non intende<br />

riaprire la questione. Le tesi di Hayek circa il carattere tacito di certe conoscenze e i problemi di<br />

codificazione dell’informazione sono sufficienti a rigettare la corrispondenza con l’approccio<br />

dell’organization theory. Esse non sono invece sufficienti a risolvere il nostro dilemma.<br />

106


4.2.2. Alcuni elementi in favore dello scenario di<br />

incertezza oggettiva<br />

Sebbene, come detto, il nostro interesse sia analitico più che storico, val la pena di<br />

valutare quali siano gli elementi in favore delle due interpretazioni proposte. A<br />

nostro parere infatti proprio la difficoltà di definire in modo univoco il contesto<br />

decisionale hayekiano fa apparire le tesi di Hayek più forti di quanto in realtà<br />

siano.<br />

Nei saggi sul problema della conoscenza Hayek si concentra sui processi<br />

di scoperta. Sulla base dell’analisi dei processi di scoperta della conoscenza,<br />

Hayek attacca le analisi sviluppate sul contesto decisionale perfetto. L’efficacia<br />

della critica di Hayek deriva dal fatto che nel contesto decisionale perfetto i<br />

problemi di scoperta non possono essere posti per via delle ipotesi su<br />

informazione e tempo.<br />

A partire dal contesto decisionale perfetto, l’introduzione di asimmetrie<br />

informative sarebbe tuttavia sufficiente alla definizione dei problemi di scoperta.<br />

Il problema è allora se gli argomenti di Hayek nell’analisi della conoscenza<br />

possano essere ricondotti al problema delle asimmetrie informative oppure no.<br />

Il fatto che la concorrenza (la struttura organizzativa di mercato) sia una<br />

procedura per la scoperta di fatti che altrimenti rimarrebbero ignoti 179 suggerisce<br />

che non sia possibile definire a priori la probabilità di un evento; inoltre, il<br />

processo competitivo hayekiano è tale da lasciare continuamente disattesi i piani<br />

degli agenti, il che lascia intendere che gli agenti nel corso dei processi di<br />

revisione dei propri piani prendano coscienza dell’impossibilità di prevedere<br />

esattamente i risultati delle interazioni competitive.<br />

L’imprevedibilità dei risultati non è tuttavia messa in relazione all’effetto<br />

della scelta come fatto intrinsecamente imprevedibile nel senso decisionista di<br />

Shackle. Il problema di fondo con cui si cimenta Hayek è che le decisioni di un<br />

agente sono parametri del processo decisionale di un altro agente e ciò rende<br />

indeterminabile a priori il risultato dell’interazione tra i due agenti. 180 Hayek<br />

tuttavia non considera mai il caso in cui un’agente abbia un’idea, ossia scelga una<br />

soluzione originale mai considerata prima. Al contrario, insiste sull’importanza<br />

dei processi di scoperta di possibilità già esistenti. Il fatto che i decisori,<br />

interagendo in una struttura organizzativa inefficiente, non scoprano<br />

sufficientemente bene, non pregiudica necessariamente i processi di scoperta<br />

futuri; semmai, paradossalmente, l’inefficacia dei processi di scoperta attuali<br />

aumenta, secondo Hayek, le potenzialità dei processi di scoperta futuri (in quanto<br />

179 « I propose to consider competition as a procedure for the discovery of such facts as, without<br />

resort to it, would not be known to anyone, or at least would not be utilised ». Hayek (1968, [1978,<br />

p. 179]).<br />

180 A meno di introdurre ipotesi forti sulla conoscenza come nelle analisi d’equilibrio.<br />

107


imane di più da scoprire). Osserva Hayek a proposito del confronto tra paesi<br />

avanzati e paesi arretrati:<br />

« There is in such countries [underdeveloped societies] so much more to be<br />

discovered (...). Possibilities of growth are likely to be greater the more extensive<br />

are a country’s yet unused opportunities. Strange though this may seem at first sight,<br />

a high rate of growth is more often than not evidence that opportunities have been<br />

neglected in the past. Thus, a high rate of growth can sometimes testify to bad<br />

policies of the past rather than good policies of the present ». 181<br />

Come secondo elemento a favore dello scenario di incertezza oggettiva,<br />

consideriamo l’ipotesi di tendenza all’ordine: Hayek sottolinea come, sebbene i<br />

risultati specifici delle interazioni competitive siano imprevedibili, sia tuttavia<br />

possibile prevedere il carattere di ordine che scaturisce da tali interazioni:<br />

« [The] capacity [of the theory of competition] to predict is necessarily limited to<br />

predicting the kind of pattern, or the abstract character of the order that will form<br />

itself, but does not extend to the prediction of particular facts ». 182<br />

Supponiamo allora che due agenti interagiscano, e ricavino dai risultati della loro<br />

interazione una certa conoscenza. Se tale conoscenza è soggettiva significa che<br />

ciascun agente può ricavare dallo stesso fatto un insegnamento diverso; e significa<br />

anche che uno stesso agente può interpretare uno stesso fatto in maniera diversa a<br />

seconda del suo stato soggettivo (del suo stato d’animo). Ma allora, perché<br />

dall’interazione dovrebbe scaturire nel tempo una qualche forma di ordine? Gli<br />

agenti potrebbero interpretare i risultati delle interazioni in modi sempre nuovi e,<br />

in tal caso, come possiamo escludere che si generi il caos? In altri termini, se non<br />

esiste una realtà oggettiva, cosa scoprono, in effetti, gli agenti?<br />

Sembrerebbe allora che l’ipotesi che la teoria della concorrenza sia in<br />

grado di garantire la tendenza all’ordine si fondi su una visione oggettiva<br />

dell’incertezza.<br />

Nonostante queste considerazioni corroborino lo scenario oggettivista, il problema<br />

di fondo che ci impedisce di prendere una posizione definitiva circa la concezione<br />

hayekiana dell’incertezza riguarda l’assenza in Hayek di un’analisi sistematica dei<br />

cambiamenti del set informativo. Non è infatti chiaro se il modificarsi del set<br />

informativo dipenda dall’attività conoscitivo-decisionale degli agenti o se sia<br />

invece esogeno, né è chiaro in che misura la dinamica del set informativo sia<br />

caratterizzata da path dependence. D’altra parte la stessa path dependence della<br />

dinamica del set informativo non risulta affatto necessaria alla teoria hayekiana<br />

della conoscenza.<br />

181 Hayek (1968, [1978, p. 189]).<br />

182 Hayek (1968, [1978, p. 181]).<br />

108


L’ipotesi che avanziamo è che i problemi di interpretazione del contesto<br />

decisionale hayekiano dipendano da una certa ambiguità nell’analisi dello stesso<br />

Hayek. Se è così, è proprio l’oscillare tra due contesti decisionali a conferire<br />

apparente forza alle tesi di Hayek.<br />

In effetti, se, come suggeriamo con la nostra interpretazione, vale lo<br />

scenario di incertezza oggettiva, il contesto decisionale hayekiano non è poi così<br />

diverso dal contesto decisionale neoclassico con imperfezioni informative. D’altra<br />

parte il carattere tacito della conoscenza e l’imprevedibilità del processo<br />

competitivo sono gli elementi di soggettivismo che (giustamente) vengono<br />

sollevati in campo austriaco non appena si provi a chiudere il confronto tra<br />

strutture organizzative con i risultati del contesto decisionale neoclassico. Tali<br />

elementi sono infatti sufficienti a distinguere l’approccio austriaco da quello<br />

neoclassico; essi tuttavia per essere valutati correttamente devono essere discussi<br />

in un contesto decisionale che sia internamente coerente.<br />

Sotto il profilo analitico, la forza delle tesi di Hayek deve allora essere<br />

valutata su ciascuno degli scenari individuati. Ciò che invece deve essere impedito<br />

è l’uso congiunto di tesi ricavate in contesti decisionali diversi (e incompatibili).<br />

4.2.3. Le implicazioni delle due interpretazioni<br />

Prima di approfondire le implicazioni dei due scenari, vediamo in modo<br />

impreciso, ma intuitivo perché è lo scenario di incertezza oggettiva a dare<br />

maggior forza alla critica di Hayek alla pianificazione.<br />

Nell’analisi hayekiana il confronto tra strutture organizzative ruota attorno<br />

al problema conoscitivo. Il problema sta allora nell’analisi delle categorie<br />

analitiche di scoperta e creazione, le quali assumono un ruolo centrale<br />

rispettivamente nello scenario di incertezza oggettiva e soggettiva. Mentre i<br />

risultati delle attività di scoperta realizzate in due strutture organizzative diverse<br />

possono essere confrontati secondo caratteri quantitativi o qualitativi ordinabili,<br />

l’attività di creazione conduce a set informativi incomparabili: nel primo caso il<br />

confronto tra strutture organizzative è vinto dalla struttura organizzativa che<br />

scopre di più, o meglio il sottostante set informativo; nel secondo caso invece le<br />

strutture organizzative non sono confrontabili in quanto strutture organizzative<br />

diverse creano, in generale, set informativi diversi. 183<br />

183 In realtà non è detto che l’attività di scoperta conduca a set comparabili: anche se il set<br />

informativo da scoprire è comune, è possibile che strutture organizzative diverse scoprano parti<br />

diverse di esso, rendendo il confronto impossibile. Il fatto che i set informativi scoperti siano<br />

sottoinsiemi di uno stesso insieme implica comunque che, in condizioni favorevoli, il confronto<br />

insiemistico sia possibile. Nel caso della creazione, non esiste invece un set informativo comune di<br />

riferimento e ciò impedisce, in generale, il confronto insiemistico dei set informativi creati.<br />

109


(1) SCENARIO DI INCERTEZZA OGGETTIVA. La dinamica del sistema è per lo più<br />

predeterminata, anche se non completamente: il sistema informativo ha una sua<br />

dinamica esogena predefinita, ma la conoscenza del sistema informativo da parte<br />

dei decisori dipende dai processi di scoperta che questi ultimi sperimentano su di<br />

esso. L’ipotesi di conoscenza imperfetta è ciò che introduce nella dinamica del<br />

sistema un margine di indeterminatezza. Ciò ha per noi tre conseguenze rilevanti.<br />

1. Il fatto che vi siano dei margini di indeterminatezza consente di dare significato<br />

all’analisi del confronto tra strutture organizzative: se la dinamica del sistema<br />

fosse interamente predeterminata, indipendentemente dalla struttura organizzativa,<br />

tutte le strutture organizzative sarebbero equivalenti. D’altra parte, l’autonomia<br />

della dinamica del set informativo garantisce che il confronto tra strutture<br />

organizzative possa avvenire in ipotesi di esogenità (della dinamica) del set<br />

informativo. In questo modo le proprietà delle strutture organizzative possono<br />

essere isolate dal contesto decisionale. Le proprietà su cui viene impostato il<br />

confronto riguardano le procedure di scoperta: data la dinamica del set<br />

informativo, la struttura organizzativa ottima è quella che ottimizza il problema<br />

della scoperta della conoscenza e della sua gestione nell’interazione tra gli<br />

individui.<br />

2. La definizione di incertezza oggettiva costituisce un’anomalia nel quadro<br />

generale soggettivista della teoria di Hayek. Secondo la tabella d’analisi del<br />

contesto decisionale discussa nel capitolo 1, questa interpretazione dell’incertezza<br />

deve essere classificata nella colonna (b). Ciò ci porta a riconsiderare la posizione<br />

di Hayek rispetto alle due dimensioni del contesto decisionale che egli considera<br />

esplicitamente, tempo e informazione.<br />

Si è visto come Hayek tenti di sviluppare l’analisi delle dimensioni<br />

informazione e tempo in un contesto decisionale di tipo (c) e come secondo alcuni<br />

interpreti del dibattito sulla pianificazione, la forza dell’argomentazione<br />

hayekiana derivi proprio dall’efficacia dell’analisi di tali due dimensioni. 184 Al<br />

contrario, se la presente interpretazione è corretta, la coerenza interna del contesto<br />

decisionale, impone che tempo e conoscenza siano anch’esse di tipo (b).<br />

-Effetti sulla conoscenza. Il problema della conoscenza è essenzialmente<br />

un problema di comunicazione delle informazioni. Ciò che rende problematica la<br />

comunicazione delle informazioni è (1) il problema di codificazione e (2) il loro<br />

carattere tacito. Il problema della conoscenza si riduce allora al problema di<br />

rendere esplicite e codificabili le informazioni (oggettive). Nel processo di<br />

esplicitazione delle informazioni possono senz’altro presentarsi problemi tecnici;<br />

il processo non presenta però problemi teorici sostanziali.<br />

184 L’analisi completa dei rapporti tra le dimensioni del contesto decisionale sarà sviluppata nel<br />

capitolo 8.<br />

110


-Effetti sul tempo. L’esogenità della dinamica del set informativo implica<br />

che anche la dimensione temporale sia di tipo (b). Ciò non significa che non si<br />

abbia cambiamento nel tempo. Tuttavia viene meno la necessità di una qualsiasi<br />

forma di path dependence nell’evoluzione del set informativo, il che porta a<br />

rigettare l’ipotesi di tempo storico nei termini della nostra definizione.<br />

3. La visione decisionista del contesto decisionale ne esce ridimensionata:<br />

esistono dei confini alla libertà di scelta, i quali, per quanto ignoti ai decisori, sono<br />

comunque definibili a priori, prima che l’attività di scelta abbia luogo. 185<br />

(2) SCENARIO DI INCERTEZZA SOGGETTIVA. I processi di scoperta hayekiani sono<br />

definiti in senso così ampio da includere anche i processi di creazione. Il set<br />

informativo è endogenamente aperto e la dinamica del sistema non<br />

predeterminata.<br />

L’incertezza radicale derivante dall’attività decisionale nel senso di<br />

Shackle porta a ribaltare la relazione tra processi conoscitivi e set informativo: la<br />

conoscenza non è un sottoinsieme dell’informazione derivante dal contatto tra<br />

decisore e set informativo; il set informativo è invece creato a partire dai processi<br />

conoscitivi e, in tal senso, è il risultato della conoscenza, non l’origine. Il<br />

confronto tra strutture organizzative rispetto al problema conoscitivo è allora<br />

impossibile perché strutture organizzative diverse (o, se si preferisce, i decisori di<br />

strutture organizzative diverse) creano set informativi diversi.<br />

Ma, se il set informativo è il risultato dei processi conoscitivi, risulta<br />

dubbio anche che si possa impostare il confronto tra strutture organizzative in<br />

ipotesi di esogenità del contesto decisionale, in quanto l’individuo (che è parte del<br />

contesto decisionale) risulta egli stesso influenzato dalla struttura organizzativa: le<br />

idee creative dell’individuo dipendono infatti dai processi conoscitivi che<br />

l’individuo sviluppa. 186 Allora, quando affermiamo che strutture organizzative<br />

diverse producono set informativi diversi affermiamo anche che strutture<br />

185 Non abbiamo niente in contrario a considerare la scelta come categoria analitica rilevante pur se<br />

non completamente libera. L’esis tenza del <strong>potere</strong> <strong>economico</strong> è, ad esempio, una chiara<br />

manifestazione del carattere di non completa libertà della scelta. Il <strong>potere</strong> <strong>economico</strong> si manifesta<br />

tuttavia sulla struttura organizzativa; ci opponiamo invece alle costrizioni analitiche sulla scelta<br />

imposte dal contesto decisionale. Imporre costrizioni tramite il contesto decisionale porta a<br />

snaturare il significato analitico della scelta; analizzare le costrizioni imposte dalle strutture<br />

organizzative ci sembra invece un passo necessario ad integrare i caratteri soggettivi della scelta<br />

con le forze oggettive operanti nelle diverse strutture organizzative.<br />

186 Se viceversa assumiamo che gli individui sviluppino sempre le stesse idee creative in qualsiasi<br />

struttura organizzativa essi operino ricadiamo esattamente nella situazione che Shackle definisce di<br />

determinismo. In tal caso, il confronto tra strutture organizzative in ipotesi di esogenità del<br />

contesto decisionale è possibile, ma ritorniamo alle ipotesi dello scenario di incertezza oggettiva,<br />

con la conseguenza che sarebbe più appropriato parlare di scoperta invece che di creazione.<br />

111


organizzative diverse producono individui diversi e, dunque, contesti decisionali<br />

diversi.<br />

Come conseguenza dell’impossibilità del confronto tra strutture<br />

organizzative sotto l’ipotesi di esogenità del contesto decisionale, si ha anche<br />

l’impossibilità di definire la struttura organizzativa ottima. Concludiamo allora<br />

che in un contesto decisionale di incertezza soggettiva (1) il tentativo di confronto<br />

tra strutture organizzative in base al problema conoscitivo risulta fallimentare e<br />

(2) le argomentazioni in favore di un struttura organizzativa non possono avere<br />

carattere definitivo in quanto non esiste una struttura organizzativa ottima. Tali<br />

conclusioni rendono debole la posizione austriaca nel dibattito sulla<br />

pianificazione.<br />

Le implicazioni delle due possibilità sono ulteriormente approfondite nei prossimi<br />

due paragrafi; le due prospettive sono infatti sviluppate rispettivamente nei lavori<br />

di Kirzner e Lachmann. Kirzner considera il set informativo come aperto solo<br />

esogenamente o, addirittura, chiuso; Lachmann lo considera invece aperto<br />

endogenamente. Nella misura in cui si ritenga corretta la prima interpretazione<br />

dell’opera di Hayek, l’autore austriaco è soggetto alle osservazioni che<br />

sviluppiamo a proposito dell’analisi di Kirzner; nell’altro caso, valgono le<br />

considerazioni che sviluppiamo a riguardo di Lachmann.<br />

4.3. La posizione di Kirzner<br />

Sviluppiamo l’analisi della posizione di Kirzner in quattro paragrafi.<br />

Nel paragrafo 4.3.1, esplicitiamo le caratteristiche del contesto decisionale<br />

kirzneriano. Esso suscita tre ordini di critiche, le quali sono sviluppate nei tre<br />

paragrafi successivi.<br />

La prima critica riguarda la coerenza stessa del contesto decisionale<br />

kirzneriano e il carattere effettivamente dinamico della teoria di Kirzner (4.3.2).<br />

Come seconda critica consideriamo un problema sollevato originariamente<br />

da Richardson contro le teorie della concorrenza perfetta, tra cui la teoria<br />

dell’EEG. Il fatto che una critica al modello di EEG si applichi anche alla teoria di<br />

Kirzner non deve stupire in quanto lo stesso Kirzner considera la propria teoria<br />

compatibile e complementare rispetto alla teoria dell’EEG (4.3.3).<br />

La terza critica riguarda ancora la complementarità della teoria di Kirzner<br />

rispetto alla teoria dell’EEG. In particolare, il tentativo di Kirzner di integrare il<br />

modello di EEG con una teoria della convergenza all’equilibrio non fa, a nostro<br />

parere, i conti con i risultati neoclassici in materia di stabilità dell’EEG (4.3.4).<br />

Due brevi considerazioni sul carattere delle tre critiche.<br />

112


(1) La prima critica è di tipo filosofico in quanto riguarda la concezione<br />

del tempo implicita nel contesto decisionale kirzneriano. Le altre due critiche sono<br />

invece di carattere tecnico: assunta la posizione filosofica di Kirzner ci si<br />

interroga sul carattere della teoria kirzneriana di ottenere gli scopi che si prefigge.<br />

Lo scopo di Kirzner è di spiegare la tendenza all’equilibrio; ma è proprio su tale<br />

punto che si evidenziano i limiti del framework kirzneriano.<br />

(2) Rispetto alle prime due critiche, la posizione di Kirzner è singolare in<br />

quanto egli ne riconosce la coerenza ma ne minimizza semplicemente la rilevanza.<br />

Il nostro scopo è allora solo quello di dimostrarne la validità generale. La terza<br />

critica è invece stranamente originale: in effetti è curioso che ad un autore che<br />

pone esplicitamente la propria teoria come complemento alla teoria dell’EEG,<br />

sfugga l’origine essenziale del problema della stabilità dell’equilibrio del modello<br />

di EEG.<br />

4.3.1. Il contesto decisionale di Kirzner<br />

Kirzner ipotizza un sistema ergodico in progressivo avvicinamento all’equilibrio.<br />

Il problema che si pone Kirzner è quello di supplire alla carenza neoclassica in<br />

merito alla convergenza all’equilibrio, affiancando all’analisi (statica) delle<br />

condizioni di equilibrio, una teoria (dinamica) del moto verso l’equilibrio basata<br />

sull’attività imprenditoriale. 187<br />

L’imprenditore kirzneriano è un arbitraggista vigile, sempre all’erta,<br />

pronto a sfruttare le opportunità di profitto presenti nel sistema. Le possibilità di<br />

arbitraggio sono alla portata di tutti; solo i più attenti riescono tuttavia a coglierle.<br />

Il ruolo analitico dell’imprenditore è quello di muovere l’economia verso<br />

l’equilibrio, eliminando via via gli squilibri che si creano nei diversi mercati.<br />

L’arbitraggio su piazze diverse è, secondo Kirzner, sufficiente a garantire la<br />

tendenza verso l’equilibrio <strong>economico</strong> generale.<br />

Il processo di mercato è definito da Kirzner come un processo di scoperta<br />

ed eliminazione delle opportunità di profitto. L’esistenza di opportunità non<br />

sfruttate è messa in relazione agli errori di percezione degli agenti. Nella visione<br />

di Kirzner esiste una realtà oggettiva soggiacente alle interpretazioni degli agenti.<br />

Le opportunità di profitto esistono dunque nella realtà indipendentemente<br />

187 « What is needed is a theory of the market process that takes explicit notice of the way in which<br />

systematic changes in the information and expectations upon which market participants act lead<br />

them in the direction of the postulated equilibrium “solution”. The Austrian point of view does, in<br />

fact, help us arrive at such a theory ». Kirzner (1976a, p. 117).<br />

113


dall’attività imprenditoriale. 188 La realtà tuttavia, non è conosciuta perfettamente<br />

dagli agenti, i quali quindi possono sbagliare. L’errore rappresenta una categoria<br />

analitica delicata nell’opera di Kirzner: essa è definita in modo particolare e gioca<br />

un ruolo determinante nell’ambito del tentativo di Kirzner di definire un contesto<br />

decisionale di tempo storico e sviluppare su di esso un’analisi dinamica.<br />

Kirzner (1978) precisa che l’errore non è uno sbaglio di valutazione, ma il<br />

risultato di una distrazione. Il caso di un agente che non sceglie il mezzo migliore<br />

per realizzare il proprio fine non rappresenta necessariamente un errore. Ad<br />

esempio, non si può parlare di errore se l’agente non era a conoscenza<br />

dell’esistenza di un mezzo migliore, né se l’agente non faccia ogni sforzo per<br />

acquisire maggiori informazioni sui mezzi esistenti per realizzare i propri fini: la<br />

scelta di non acquisire informazioni può infatti essere il prodotto razionale di una<br />

valutazione costi-benefici sull’acquisizione di informazioni. L’unico caso vero di<br />

errore è invece quello in cui l’agente ha a disposizione l’informazione eppure,<br />

siccome pensa ad altro, non la utilizza. Kirzner fa il seguente esempio:<br />

« A man walks along a street, sees a store with signs offering to sell apples for $1<br />

but, perhaps thinking to other things, enters a second store where he pays $2 for<br />

identical apples. (...) Because the necessary information was available to him, it was<br />

surely an error on his part to have failed to act upon it ». 189<br />

Attorno alla categoria analitica dell’errore, così delicatamente definita, ruota tutta<br />

la dinamica del processo di mercato secondo l’analisi di Kirzner. Il problema è<br />

che il tentativo di definire la dimensione temporale in senso storico cozza, a<br />

nostro avviso, con la definizione realista dell’incertezza.<br />

4.3.2. Il problema della dinamica<br />

Iniziamo la critica di Kirzner trascurando l’effettiva capacità della teoria<br />

kirzneriana di spiegare la convergenza all’equilibrio. Assumiamo dunque che la<br />

teoria di Kirzner funzioni. La nostra tesi è che la separazione dell’analisi nei due<br />

stadi, determinazione dell’equilibrio e dinamica verso di esso, si basi su una<br />

visione realista del sistema <strong>economico</strong>, incompatibile con l’ipotesi di tempo<br />

storico.<br />

Notiamo innanzi tutto che affinché le analisi delle condizioni di esistenza e<br />

di convergenza possano essere sviluppate separatamente è necessario ipotizzare<br />

188 Nel contesto decisionale kirzneriano non esiste dunque speculazione; esistono solo arbitraggi o<br />

errori a seconda che le decisioni imprenditoriali risultino (a posteriori) profittevoli o meno. Cf.<br />

Kirzner (1973, p. 86).<br />

189 Kirzner (1978, pp. 67-8).<br />

114


che i due set di condizioni siano tra loro indipendenti. Più in particolare, si deve<br />

assumere che il realizzarsi di una situazione di disequilibrio non abbia alcun<br />

effetto sui dati che definiscono l’equilibrio. 190<br />

In caso contrario, il realizzarsi del disequilibrio, modificando la posizione<br />

d’equilibrio, annullerebbe il (supposto) ruolo di attrazione svolto dalla posizione<br />

d’equilibrio originaria; ma, modificandosi la posizione d’equilibrio, risulterebbe<br />

modificata anche la dinamica del sistema nelle posizioni di disequilibrio. Ciò<br />

significa che posizioni (teoriche) d’equilibrio e posizioni (reali) di disequilibrio<br />

sarebbero legate le une alle altre e che la separazione analitica tra esistenza<br />

dell’equilibrio e convergenza ad esso non potrebbe essere mantenuta.<br />

L’ipotesi che la posizione d’equilibrio non sia influenzata dal realizzarsi di<br />

situazioni di disequilibrio è perciò necessaria a dare significato alla separazione<br />

analitica tra esistenza e convergenza all’equilibrio. Ma se è da escludere che il<br />

moto verso l’equilibrio possa spiegare lo spostamento della posizione d’equilibrio,<br />

si hanno solo due possibili interpretazioni della teoria di Kirzner: essa può<br />

condurre (1) allo stato stazionario o (2) ad uno stato d’equilibrio soggetto a<br />

cambiamenti esogeni. In tutti e due i casi, non si ha una teoria della dinamica<br />

dell’equilibrio, il che significa che il carattere dinamico della teoria kirzneriana<br />

deve essere ricercato nell’analisi della convergenza all’equilibrio dato.<br />

Approfondiamo quindi la teoria kirzneriana della convergenza<br />

all’equilibrio. La dinamica del sistema è affidata alla possibilità di errore degli<br />

imprenditori. Questi, a volte (ad esempio perché soprappensiero) possono<br />

mancare di cogliere opportunità alla loro portata. Tuttavia esistono sempre agenti<br />

attenti (imprenditori all’erta) pronti a lucrare sulle opportunità sfuggite agli<br />

altri. 191 Ogni volta che un imprenditore all’erta sfrutta un’opportunità esistente,<br />

l’insieme delle opportunità sfruttabili si restringe. A meno di shock esogeni sui<br />

190 Tale ipotesi è esplicitamente rigettata da Lachmann (1986, pp. 126-8), il quale osserva che<br />

anche se si potesse dimostrare che il processo di mercato è sempre convergente, non si potrebbe<br />

comunque ignorare la possibilità che le transazioni che si realizzano fuori dall’equilibrio possano<br />

modificare i dati che definiscono l’equilibrio verso il quale il sistema sta convergendo.<br />

191 La trattazione della categoria analitica dell’errore suggerisce la presenza di un doppio livello di<br />

coscienza nell’agente kirzneriano: ad un primo livello si collocano le informazioni che l’agente<br />

riceve dal mondo esterno; nel secondo livello vi sono le informazioni che l’agente è cosciente di<br />

avere e di cui tiene conto nei processi decisionali. Sulla base di un simile schema Kirzner (1976a,<br />

pp. 121-3) ha discusso il fenomeno della pubblicità. Secondo Kirzner la pubblicità è essenziale in<br />

quanto diffonde le informazioni rilevanti sui prodotti; essa deve però essere anche in grado di<br />

attrarre l’attenzione del consumatore, risvegliando il secondo livello di coscienza ed evitando che<br />

le informazioni rilevanti rimangano inutilizzate nel primo livello di coscienza. I messaggi volti a<br />

stimolare l’acquisto del prodotto non producono invece alcun effetto in quanto tentano di agire sul<br />

livello incosciente, il quale è ininfluente in fase decisionale. Notiamo, in proposito, che la teoria di<br />

Kirzner implica che gli uffici vendite perdano tempo e denaro quando, invece di limitarsi ad<br />

attrarre l’attenzione sulle proprietà di un prodotto, cercano anche di venderlo.<br />

115


dati che definiscono l’equilibrio, il sistema si avvicina allora alla posizione<br />

d’equilibrio (definita come situazione di assenza di opportunità di profitto). 192<br />

La dinamica verso l’equilibrio risulta perciò predefinita a meno delle<br />

diverse sequenze con cui possono essere sfruttate le opportunità esistenti. I diversi<br />

sentieri di convergenza non hanno tuttavia alcuna rilevanza analitica in quanto il<br />

risultato del processo (lo stato d’equilibrio) non dipende dal particolare sentiero<br />

seguito.<br />

L’irrilevanza del sentiero di convergenza rispetto allo stato finale deriva,<br />

come abbiamo visto, dalla scelta stessa di affrontare il problema della dinamica<br />

separando l’analisi in definizione dell’equilibrio e convergenza ad esso. D’altra<br />

parte è proprio sull’indipendenza delle condizioni d’equilibrio dal sentiero di<br />

convergenza che si regge la visione realista del contesto decisionale kirzneriano:<br />

se non fosse possibile stabilire l’equilibrio prima di analizzare la dinamica verso<br />

di esso non sarebbe infatti nemmeno possibile considerare le opportunità di<br />

profitto come un fatto esistente realmente indipendentemente dall’attività<br />

imprenditoriale.<br />

Il tentativo di integrare tempo storico e approccio realista solleva quindi un<br />

problema di coerenza nel contesto decisionale: se si accetta l’approccio realista, si<br />

presentano problemi di interpretazione in senso storico della dimensione<br />

temporale; se viceversa si definisce la dimensione temporale come dimensione<br />

storica è l’assunzione realista a risultare contraddittoria.<br />

Bohem (1992), accettando implicitamente l’approccio realista, evidenzia, in un<br />

articolo-intervista a Kirzner, l’insostenibilità filosofica della concezione<br />

kirzneriana del tempo. Analizziamo la risposta di Kirzner.<br />

« The critics point out that the future does not ‘exist’ in any philosophically valid<br />

sense. It must be created so that the notion of alertness in the sense of seeing what is<br />

out there in the future is a mistaken notion. I recognize the philosophical validity of<br />

this kind of criticism. But I am not sure that is really relevant to the nature of<br />

entrepreneurship in its economic understanding. I think the distinction surely is one<br />

between an ex ante and an ex post perspective. From an ex ante perspective it is<br />

quite clear that the circumstances on which an entrepreneur’s action will impinge do<br />

not exist in any philosophically valid sense. (...) Ex post we look back and say: if<br />

only I had seen this coming. The opportunity was there ». 193<br />

Il fatto che Kirzner riconosca l’insostenibilità filosofica della sua teoria, eppure ne<br />

rivendichi la validità in campo <strong>economico</strong> è imbarazzante non solo per Kirzner<br />

ma per gli economisti in genere.<br />

La distinzione « ex ante - ex post » è corretta ma non fa che aggravare le<br />

cose: se l’ottica a priori implica l’insostenibilità filosofica del contesto decisionale<br />

192 In equilibrio, non essendoci opportunità di profitto da cogliere, non esistono neanche né<br />

operazioni di arbitraggio, né errori imprenditoriali.<br />

193 Intervista di Boehm (1992, p. 101) a Kirzner.<br />

116


kirzneriano, l’ottica a posteriori annulla la possibilità di sviluppare una teoria<br />

dinamica dell’attività imprenditoriale. Da un punto di vista a posteriori, infatti,<br />

non può che realizzarsi uno dei possibili scenari immaginabili a priori; 194 ma in<br />

che modo la realizzazione di un determinato scenario può spiegare la sequenza di<br />

scelte imprenditoriali che ha portato alla sua realizzazione? Dato che, nell’ottica a<br />

posteriori, le scelte hanno già avuto luogo esse risultano un dato del problema e<br />

non possono essere perciò oggetto d’analisi. 195 Una teoria dell’imprenditore che si<br />

muova in ottica a posteriori è allora una contraddizione in termini.<br />

Esclusa la possibilità di sviluppare una teoria dinamica dell’imprenditore<br />

nell’approccio realista, ci domandiamo in che modo la teoria kirzneriana possa<br />

trattare la dimensione temporale come dimensione storica. Se si definisce il tempo<br />

in senso storico è infatti l’impostazione realista a risultare problematica.<br />

L’ipotesi di tempo storico implica l’impossibilità di utilizzare l’ottica<br />

valutativa a posteriori nella teoria delle scelte imprenditoriali. Il problema è<br />

lucidamente evidenziato da Soros:<br />

« La valutazione è un atto positivo che ha un impatto sul corso degli eventi ». 196<br />

Soros, in netto contrasto con la teoria dell’errore di Kirzner (pur senza alcun<br />

riferimento ad essa), sostiene che siano proprio le concezioni erronee dei soggetti<br />

a determinare il corso degli eventi. 197 Secondo Soros, i processi storici non sono<br />

in alcun modo predeterminati e, se lo scopo è quello di renderli intelligibili, il<br />

tentativo non deve essere quello di spiegare perché determinati agenti facciano<br />

scelte giuste ed altri scelte sbagliate, bensì quello di spiegare come mai certe<br />

scelte (che in ottica a priori appaiono, evidentemente, corrette) determinino fatti<br />

che, a posteriori, fanno apparire le scelte fatte come corrette o errate.<br />

Dato che la perfetta previsione sulle scelte altrui è esclusa sia nella teoria<br />

austriaca, sia in quella di Soros, il realizzarsi di un certo corso di eventi, in un<br />

contesto di tempo storico, mostra sempre (a meno di casi particolari e fortuiti) la<br />

parziale erroneità delle previsioni e, dunque, delle scelte. Ma allora, l’idea stessa<br />

che le opportunità di arbitraggio esistano indipendentemente dalle scelte<br />

imprenditoriali risulta contraddetta: l’ipotesi di tempo storico implica infatti<br />

l’impossibilità di conoscere con certezza l’esito di un investimento nel momento<br />

in cui esso è effettuato, il che annulla le categorie analitiche di arbitraggio ed<br />

errore su cui si fonda la visione realista di Kirzner.<br />

194<br />

E comunque non è detto che lo scenario che si realizza debba essere stato effettivamente<br />

immaginato da qualcuno.<br />

195<br />

A posteriori esistono solo il compiacimento e il rammarico a seconda che le scelte fatte abbiano<br />

dato frutti positivi o negativi, ma tali sentimenti non sono di alcun aiuto rispetto all’obiettivo di<br />

spiegare i criteri decisionali dell’imprenditore.<br />

196<br />

Soros (1987, [1995, p. 30]).<br />

197 Soros (1987, [1995, p. 59]).<br />

117


Allora, Kirzner, adottando l’ottica a posteriori, non solo fallisce l’obiettivo<br />

di costruire una teoria dinamica della convergenza che renda intelligibili i processi<br />

economici secondo l’approccio realista, ma rende indifendibile la stessa visione<br />

realista dell’economia non appena il problema delle decisioni imprenditoriali<br />

venga impostato in chiave dinamica. 198 Il fatto che Kirzner di fronte<br />

all’incompatibilità tempo-realismo sembri privilegiare il mantenimento<br />

dell’ipotesi realista (ne è indice la risposta a Bohem) ci porta a concludere (1) che<br />

la dimensione temporale del contesto decisionale kirzneriano è definita in senso<br />

logico piuttosto che storico e (2) che la teoria di Kirzner è dinamica solo da un<br />

punto di vista formale. 199<br />

4.3.3. La critica di Richardson<br />

In questo e nel prossimo paragrafo analizziamo la capacità della teoria di Kirzner<br />

di spiegare il progressivo avvicinamento all’equilibrio.<br />

La teoria di Kirzner si basa sulla diffusione della conoscenza nel processo<br />

di mercato. Tale teoria è soggetta alla critica di Richardson secondo cui il<br />

processo di mercato non fornisce agli agenti gli elementi necessari a intraprendere<br />

processi decisionali tali da garantire la tendenza all’equilibrio (né il suo<br />

mantenimento nell’ipotesi in cui esso sia, in qualche modo, raggiunto).<br />

I processi decisionali, osserva Richardson (1990, cap. 1), si basano su uno<br />

schema temporale opinioni → piani → decisioni. Le opinioni dei decisori a loro<br />

volta sono influenzate dalle informazioni a loro disposizione. Il problema<br />

dell’ottenimento (o del mantenimento nel tempo) di una situazione di equilibrio è<br />

quello di analizzare l’informazione sulla base della quale si fondano le opinioni<br />

dei decisori, le quali danno poi luogo alle decisioni. Affinché l’equilibrio sia<br />

ottenuto e/o mantenuto è necessario che l’informazione a disposizione degli agenti<br />

(in particolare degli imprenditori) supporti opinioni tali da dar luogo a piani<br />

compatibili; ciò significa (1) che l’informazione che l’agente acquisisce nel corso<br />

del processo (o di cui l’agente dispone nello stato d’equilibrio) deve convalidare<br />

198 Al contrario, Soros (1987) dimostra come l’ottica a priori, oltre ad essere l’unica coerente<br />

nell’affrontare il problema delle scelte imprenditoriali, possa contribuire anche a rendere<br />

intelligibili i processi di cambiamento <strong>economico</strong>.<br />

199 La nostra critica al carattere realmente dinamico della teoria austriaca è compatibile con quella<br />

di Ioannides (1992, cap. 6). Ioannides (1992, p. 86) costruisce un modello di puro scambio in cui<br />

ogni giorno un’autorità sovrumana assegna ad ogni individuo sempre le stesse dotazioni; in tale<br />

modello, argomenta Ioannides, la possibilità di cambiamenti nelle preferenze dei decisori potrebbe<br />

dar luogo a processi di scoperta ed errori, eppure difficilmente il modello potrebbe considerarsi<br />

dinamico. La conclusione di Ioannides è che il carattere endogeno del movimento degli elementi<br />

interni del sistema non è sufficiente a definire la teoria austriaca come dinamica.<br />

118


la convinzione dell’agente stesso della correttezza dei propri piani e (2) che i piani<br />

degli individui non devono rivelarsi nel tempo tra loro incompatibili.<br />

Non è necessario ipotizzare che gli agenti godano di perfetta<br />

informazione. 200 È necessario tuttavia che gli agenti credano che un certo corso di<br />

azioni sia quello giusto (quello ottimo nei termini del modello di EEG) e che nel<br />

processo di formulazione ed esecuzione dei piani non emerga nessuna<br />

informazione che porti gli agenti a cambiare opinione e a modificare i piani. Tale<br />

condizione non è soddisfatta nel modello di EEG. Richardson dimostra, infatti,<br />

che nel modello di EEG, anche ammesso che l’economia si trovi in una posizione<br />

di equilibrio, non esistono condizioni tali da garantire che gli imprenditori abbiano<br />

l’informazione necessaria ad intraprendere le attività di investimento:<br />

« A profit opportunity which is known by and available to everybody is available to<br />

nobody in particular. A situation of general profit potential can be trapped by one<br />

entrepreneur only if similar action is not intended by too many others; otherwise<br />

excess supply and general losses would result ». 201<br />

L’esistenza di un’opportunità di profitto chiaramente percepita da tutti gli<br />

imprenditori (all’erta) è proprio ciò che impedisce che tale opportunità possa<br />

essere sfruttata. È allora proprio l’ipotesi di perfetta informazione che impedisce<br />

agli imprenditori di realizzare i piani di investimento rendendo impossibile il<br />

funzionamento stesso del meccanismo competitivo. Affinché il principio di<br />

<strong>competizione</strong> ex post possa operare è allora necessario, secondo Richardson, che<br />

esistano dei meccanismi ex ante atti a garantire le attività di investimento.<br />

Il problema messo in luce da Richardson è posto all’attenzione di Kirzner da<br />

Boehm. Questa è la reazione di Kirzner:<br />

« Now, I think this is an interesting special case. (...) The special case of perfect<br />

symmetry certainly creates problems. But (...) it is like a friction between one’s<br />

shoes and the road which makes walking possible. A perfectly smooth road,<br />

perfectly smooth shoes would frustrate ambulation entirely. I think something<br />

similar is going on here ». 202<br />

La risposta di Kirzner non ci sembra soddisfacente. Nel caso di una passeggiata<br />

sulla strada, bastano piccole imperfezioni (nella strada e nelle scarpe) per<br />

permettere la deambulazione (per rendere corretta la teoria della deambulazione).<br />

Per rendere corretta la teoria dell’imprenditore di Kirzner non bastano invece<br />

piccole imperfezioni al caso Richardson di perfetta simmetria nell’accesso alle<br />

opportunità di profitto. L’introduzione di imperfezioni rende semplicemente<br />

200<br />

La perfetta informazione è sufficiente ma non necessaria all’ottenimento dell’equilibrio.<br />

Richardson (1990, p. 4).<br />

201<br />

Richardson (1959, p. 233).<br />

202<br />

Intervista di Boehm (1992, p. 102) a Kirzner.<br />

119


l’effetto Richardson meno dirompente: invece che uno scoordinamento totale tra<br />

le decisioni degli imprenditori, si avranno scoordinamenti parziali, nel senso che<br />

gli imprenditori sbaglieranno lo stesso, ma in misura probabilmente (e il che<br />

andrebbe provato) minore. Il caso Richardson non è dunque un caso limite valido<br />

solo in condizioni di perfetta simmetria informativa; tale caso è semplicemente<br />

quello in cui l’assenza di meccanismi ex ante per l’eliminazione delle<br />

incompatibilità tra i piani ha i suoi effetti maggiori. Il problema è invece che, in<br />

assenza di simili meccanismi ex ante, il principio di <strong>competizione</strong> ex post non può<br />

operare. Ed è per questo che Richardson ritiene essenziale integrare il principio di<br />

<strong>competizione</strong> ex post con meccanismi che operino ex ante (siano essi di<br />

coordinamento o di <strong>competizione</strong>). La teoria di Kirzner considera invece<br />

esclusivamente il principio di <strong>competizione</strong> ex post, ed è in questo senso che la<br />

teoria di Kirzner, non quella di Richardson, deve considerarsi una teoria della<br />

camminata in assenza di attrito. 203<br />

Nello schema di Richardson, l’esistenza di meccanismi ex ante di<br />

eliminazione delle incompatibilità è una condizione necessaria all’operare del<br />

principio di <strong>competizione</strong> ex post. 204 I meccanismi (di coordinamento e/o di<br />

<strong>competizione</strong>) ex ante, tuttavia, se letti dal punto di vista del modello di<br />

concorrenza perfetta, appaiono come imperfezioni (accordi collusivi, forme di<br />

monopolio, ecc.); senza di essi però il processo puro di <strong>competizione</strong> ex post non<br />

può realizzarsi. L’analisi di Richardson evidenzia allora come non soltanto il<br />

modello di pura <strong>competizione</strong> ex post sia un caso limite del modello di<br />

coordinamento e <strong>competizione</strong>, ma anche come tale modello limite rappresenti un<br />

caso internamente incoerente proprio per via della completa assenza di principi<br />

che eliminino (o riducano) le incompatibilità tra i piani su base ex ante.<br />

« There is no special machinery, in the perfect competition model, to ensure that<br />

investment programmes are made known to all concerned at the time of their<br />

inception ». 205<br />

Il fatto che il meccanismo competitivo funzioni solo in presenza di principi ex<br />

ante ha come effetto l’invalidamento delle argomentazioni in favore della<br />

desiderabilità del sistema di mercato basate sulle proprietà del meccanismo dei<br />

prezzi. Infatti, come osserva Richardson (1990, p. 37), se il prezzo scaturisce<br />

dall’interazione tra i principi ex ante di coordinamento e <strong>competizione</strong> e il<br />

principio di <strong>competizione</strong> ex post esso perde la proprietà di strumento efficiente di<br />

segnalazione. La critica di Richardson, dunque, anche se non rivolta<br />

203 Si vede allora come la replica di Kirzner al caso Richardson secondo cui le teorie dei casi limite<br />

siano di scarsa importanza analitica si ritorca contro lo stesso Kirzner: in tal caso, è infatti la teoria<br />

dell’imprenditore kirzneriano a dover essere rigettata, non la teoria di Richardson.<br />

204 L’annuncio delle decisioni di investimento da parte degli imprenditori potrebbe essere già un<br />

tentativo ex ante in grado di eliminare (in parte) le potenziali incompatibilità tra i piani.<br />

205 Richardson (1990, p. 36).<br />

120


espressamente contro la teoria austriaca, fa cadere la tesi austriaca della<br />

desiderabilità del sistema di mercato, la quale si basa appunto sul ruolo del<br />

sistema dei prezzi come sistema efficiente di segnali.<br />

4.3.4. Il problema della stabilità dell’EEG<br />

La seconda critica al problema del moto verso l’equilibrio riguarda un argomento<br />

tecnico legato alla stabilità dell’EEG. Secondo Kirzner, la teoria dell’imprenditore<br />

arbitraggista è sufficiente a garantire la tendenza all’EEG:<br />

« Consider the simple theorem that predicts a market tendency towards achieving a<br />

single price for a given good in a given market. (...) This tendency obviously rests<br />

upon the economist’s confidence in the speed and success with which entrepreneurs<br />

will pounce upon the pure profit opportunity created by any price discrepancies (...).<br />

A little refection must surely convince us that economist’s confidence in this<br />

powerful tendency supports not only their understanding of this tendency itself, but<br />

also (...) their confidence in equilibrating tendencies in general, both in the context<br />

of the Marshallian single market and in that of the Walrasian system of inter-linked<br />

markets ». 206<br />

Il passaggio dallo schema marshalliano allo schema walrasiano è tutt’altro che<br />

scontato. Il problema della stabilità dell’equilibrio si pone in tutti e due i casi, ma<br />

è nel secondo che la teoria neoclassica ha ottenuto i risultati meno incoraggianti.<br />

Scrive Hahn:<br />

« In a single market context Diamond (1971) 207 has studied adjustments as a search<br />

process with firms setting prices. But it does not seem possible to extend this<br />

approach to the multi-market case ». 208<br />

La conclusione del caposcuola neoclassico circa i risultati dell’analisi del<br />

problema della stabilità è che non esiste ancora una teoria formale soddisfacente<br />

del meccanismo della mano invisibile:<br />

« We shall have to conclude that we still lack a satisfactory descriptive theory of the<br />

invisible hand ». 209<br />

Nel passaggio da un’esposizione verbale ad un’analisi formale del processo di<br />

mercato, l’efficienza del sistema dei prezzi come sistema di segnali non può<br />

206 Kirzner (1992, p. 56).<br />

207 Diamond P. (1971), A Model of Price Adjustment, Journal of Economic Theory, N. 3, pp. 156-<br />

68.<br />

208 Hahn (1982, p. 746).<br />

209 Hahn (1982, p. 746).<br />

121


dunque essere sostenuta sotto condizioni sufficientemente generali. 210 Il problema<br />

della stabilità dell’EEG ha infatti a che vedere proprio con il ruolo del sistema dei<br />

prezzi nel processo di scambio informativo realizzantesi attraverso il meccanismo<br />

di mercato. Nel caso di mercati interconnessi, oltre ai problemi di stabilità<br />

derivanti dalle elasticità delle curve di domanda e di offerta, possono generarsi<br />

situazioni perverse legate all’interdipendenza dei mercati. D’altra parte definire<br />

ipotesi ad hoc in modo da eliminare i casi perversi, significa eliminare per ipotesi<br />

il problema della compatibilità tra i piani. La dimostrazione dell’esistenza di un<br />

sistema di segnali che sia efficiente solo quando il problema della compatibilità<br />

tra i piani non si pone non sarebbe dunque, in ogni caso, un risultato<br />

soddisfacente.<br />

A partire dal risultato negativo conseguito in campo neoclassico, ci chiediamo in<br />

che modo la teoria kirzneriana possa porre rimedio. Secondo Kirzner il contributo<br />

della teoria austriaca (e, in particolare, della sua teoria dell’imprenditore) consiste<br />

nel fornire spiegazione dei meccanismi attraverso i quali i cambiamenti<br />

nell’informazione e nelle aspettative degli agenti determinano comportamenti che<br />

muovono il sistema verso l’equilibrio. 211 Dobbiamo allora ipotizzare due casi.<br />

(1) Attraverso il processo di mercato gli agenti prendono coscienza del<br />

sistema nella sua complessità e capiscono che è loro unanime convenienza<br />

muovere verso la soluzione d’equilibrio (per ipotesi Pareto efficiente). In altre<br />

parole, gli agenti, operando sul mercato, imparano a risolvere il modello di EEG:<br />

quella che sembrava un’impresa impossibile da parte del pianificatore del sistema<br />

centralizzato sarebbe, secondo questa interpretazione, un’operazione così<br />

semplice da essere svolta da tutti gli operatori del mercato. Ciò implica che siano<br />

annullati i presunti vantaggi del sistema dei prezzi come sistema sintetico di<br />

segnali efficienti.<br />

(2) La diffusione della conoscenza non è tale da far acquisire agli agenti<br />

una coscienza sistemica del funzionamento del mercato. Ma allora la possibilità di<br />

reazioni perverse del sistema dei prezzi dovute all’interrelazione dei mercati non<br />

può essere esclusa e la stabilità dell’EEG rimane un problema aperto.<br />

210 Sawyer (1993, pp. 23-4) osserva inoltre che l’analisi in tempo storico del processo di<br />

convergenza all’equilibrio risulta contraddittoria se sviluppata nell’approccio di Arrow-Debreu<br />

all’EEG. Infatti, le definizioni di mercato e bene nel modello di Arrow-Debreu con indicizzazione<br />

rispetto al tempo sono incompatibili con il problema della stabilità dell’equilibrio: se al tempo t c’è<br />

un eccesso d’offerta sul mercato X, l’analisi della stabilità dovrebbe investigare come le<br />

modificazioni nel tempo del sistema dei prezzi influenzino l’eccesso d’offerta del bene x; ciò è<br />

semplicemente impossibile perché x(t+1) è definito come un bene diverso rispetto a x(t). Non<br />

esiste perciò una variazione nel tempo del prezzo del bene x, in quanto non si può parlare<br />

propriamente di bene x se non si specifica la sua collocazione temporale: il bene x non esiste,<br />

esistono solo i beni x(t) e x(t+1). Allora, l’analisi degli effetti del sistema dei prezzi sull’eccesso<br />

d’offerta di x(t) è impossibile: se il mercato X(t) non è in equilibrio, esso non lo sarà mai.<br />

211 Kirzner (1976a, p. 117).<br />

122


La nostra conclusione è allora che la teoria kirzneriana del processo di<br />

mercato non pone alcun rimedio ai problemi neoclassici del moto verso<br />

l’equilibrio.<br />

Si noti che l’assunzione implicita di stabilità dell’equilibrio è un’assunzione<br />

essenziale anche nell’argomentazione di Hayek.<br />

In « The Use of Knowledge in Society » Hayek sviluppa il famoso esempio<br />

dello stagno: 212 supponiamo che da qualche parte nel mondo emerga una nuova<br />

opportunità di utilizzo dello stagno. Tutto ciò che coloro che utilizzano lo stagno<br />

devono sapere è che lo stagno deve essere economizzato, in quanto esso è<br />

utilizzato (più profittevolmente) in altri settori. Non c’è alcun bisogno per essi di<br />

sapere come sarà utilizzato lo stagno nel nuovo settore emergente o che tipo di<br />

preferenze esso andrà a soddisfare. Ciò che conta è la conoscenza delle particolari<br />

circostanze di spazio e di tempo di ciascun agente: grazie ad essa, il sistema si<br />

aggiusta automaticamente e ciò avviene proprio perché ognuno tiene conto solo<br />

della propria informazione e perché il sistema dei prezzi comunica a ciascuno<br />

l’informazione rilevante.<br />

L’esempio di Hayek corrisponde al secondo caso che abbiamo analizzato<br />

(nessuno ha una coscienza sistemica e ciascuno utilizza solo la propria<br />

conoscenza). Questo significa che Hayek assume implicitamente (1) che il sistema<br />

<strong>economico</strong> che si definisce in seguito alla scoperta del nuovo utilizzo dello stagno<br />

abbia una soluzione d’equilibrio e (2) che tale soluzione sia stabile. 213 La<br />

trattazione sia di Hayek che di Kirzner del problema dell’interdipendenza dei<br />

mercati è allora superficiale e ciò li porta ad attribuire al sistema dei prezzi<br />

proprietà che non potrebbero essere sostenute alla luce di maggiori<br />

approfondimenti analitici.<br />

La nostra conclusione è che Kirzner non è in grado di superare le difficoltà<br />

presenti nell’analisi neoclassica né rispetto al problema di Richardson, né rispetto<br />

al problema della stabilità dell’equilibrio; e anche ammesso che lo fosse, la sua<br />

teoria presenterebbe gli stessi limiti della teoria neoclassica rispetto al carattere<br />

logico della dimensione temporale. Allora, è vero che l’analisi di Kirzner è<br />

compatibile con la problematica neoclassica incentrata sul concetto d’equilibrio,<br />

ma essa non supplisce ad alcuna delle deficienze di quest’ultima.<br />

212 Hayek (1945, [1949, pp. 85-6]).<br />

213 Si noti che è proprio quando tali ipotesi non sono soddisfatte che i problemi di compatibilità tra<br />

i piani assumono forme comp lesse, tali da richiedere una visione d’insieme del sistema <strong>economico</strong>.<br />

In tal caso, la conoscenza delle particolari circostanze di tempo e di spazio non solo non è<br />

sufficiente a rendere compatibili i piani, ma aggrava ulteriormente il problema.<br />

123


4.4. La posizione di Lachmann<br />

L’analisi di Lachmann esce definitivamente dal campo di indagine aperto col<br />

dibattito sulla pianificazione basato sul confronto tra strutture organizzative.<br />

Lachmann è forse l’economista austriaco 214 meno interessato alla desiderabilità<br />

del sistema capitalista e più immerso nel problema di rendere intelligibile il<br />

funzionamento del processo di mercato. 215 La teoria di Lachmann, comunque,<br />

sebbene priva dei toni polemici presenti in alcuni scritti di Hayek e Kirzner nei<br />

confronti della pianificazione, offre diversi spunti per valutare le proprietà della<br />

struttura organizzativa capitalistica e analizzare i rapporti tra Stato e mercato.<br />

Nella teoria della convergenza del processo di mercato, Lachmann,<br />

approfondendo in direzione soggettivista il problema delle aspettative, prende le<br />

distanze da Hayek e Kirzner ed evidenzia una serie di problemi teorici nelle<br />

costruzioni dei due colleghi. Dal canto suo, la teoria di Lachmann è invece<br />

soggetta alle critiche di Kirzner.<br />

In un certo senso, i problemi delle teorie di Kirzner e Lachmann sono<br />

opposti: se uno dei problemi di Kirzner riguarda la staticità dell’analisi, la critica<br />

alla teoria di Lachmann deriva dal suo carattere intrinsecamente dinamico.<br />

Secondo la corrente kirzneriana infatti l’enfasi della teoria di Lachmann<br />

sull’irripetibilità delle condizioni soggettive in un contesto di tempo storico<br />

impedisce di trarre conclusioni generali dalla teoria (critica di nihilismo).<br />

Il fatto che Lachmann non sviluppi una teoria dalle conclusioni generali<br />

non ci sembra un fatto grave. La difficoltà di argomentare, in ipotesi generali, la<br />

convergenza (o la divergenza) del processo di mercato potrebbe infatti essere<br />

semplicemente il riflesso del fatto che il processo di mercato non è in realtà né<br />

generalmente convergente, né generalmente divergente e che la convergenza e la<br />

divergenza dipendano dalle specifiche circostanze istituzionali. 216<br />

La replica di Lachmann fa infatti leva proprio sulla specificazione del<br />

problema della convergenza in particolari contesti istituzionali. Tuttavia, se<br />

l’analisi istituzionale di Lachmann riesce a rispondere alla critica kirzneriana di<br />

nihilismo è perché in essa Lachmann abbandona implicitamente l’ipotesi<br />

soggettivista.<br />

Ma allora, anche se l’impossibilità di derivare dalla teoria di Lachmann<br />

conclusioni generali sulla convergenza non è necessariamente un limite, ha<br />

comunque ragione Kirzner a imputare le conclusioni nihiliste di Lachmann<br />

all’ipotesi di incertezza soggettiva. Il ripiegamento di Lachmann dalle ipotesi<br />

soggettiviste è infatti, a nostro avviso, un passo obbligato per risolvere il problema<br />

214 Austriaco come scuola di pensiero, non come nazionalità.<br />

215 Lachmann (1978, parr. 1, 6).<br />

216 Ciò, evidentemente, andrebbe contro la visione di Hayek e Kirzner secondo cui il fatto che il<br />

mercato funzioni è una constatazione empirica.<br />

124


del nihilismo. Viceversa, l’ipotesi soggettivista non è affatto necessaria a dare<br />

validità alle critiche di Lachmann nei confronti delle teorie di Hayek e Kirzner.<br />

Le critiche incrociate di Lachmann e Kirzner sono dunque entrambe<br />

valide: esse si basano rispettivamente sull’insufficiente attenzione verso il<br />

problema delle aspettative e sulle necessarie conseguenze nihiliste dell’ipotesi<br />

soggettivista sulle aspettative. La via per il superamento di tali limiti teorici deve<br />

allora ricercarsi, secondo noi, in un approfondimento del problema delle<br />

aspettative su basi non soggettiviste.<br />

La nostra strategia è la seguente: nel paragrafo 4.4.1 analizziamo le caratteristiche<br />

generali del contesto decisionale lachmanniano; esso è approfond ito nel paragrafo<br />

4.4.2 tramite uno schema formale per l’analisi del processo di formulazione dei<br />

piani individuali che consente di approfondire il ruolo delle aspettative nel<br />

processo di mercato; la critica di nihilismo è discussa nel paragrafo 4.4.3.<br />

4.4.1. Il contesto decisionale di Lachmann<br />

Il contesto decisionale lachmanniano è caratterizzato da incertezza soggettiva,<br />

indeterminismo e tempo storico; inoltre Lachmann introduce la categoria analitica<br />

dell’immaginazione e sviluppa quella della speculazione. La teoria di Lachmann,<br />

più vicina alla problematica di Shackle, definisce il sistema <strong>economico</strong> come non<br />

ergodico: la non ergodicità è derivata esplicitamente dal carattere shackliano della<br />

scelta e dal ruolo dell’immaginazione come motore del cambiamento.<br />

Lachmann accetta l’idea di Hayek secondo cui il progresso teorico delle<br />

scienze economiche può essere messo in relazione all’estensione del<br />

soggettivismo:<br />

« (...) It is probably no exaggeration to say that every important advance in<br />

economic theory during the last hundred years was a further step in the consistent<br />

application of subjectivism ». 217<br />

A partire da tale affermazione Lachmann si propone di compiere un altro passo in<br />

direzione soggettivista. La scuola austriaca, osserva Lachmann (1976a, p. 58), ha<br />

approfondito l’analisi soggettiva delle preferenze, eppure si è lasciata sfuggire il<br />

tema delle aspettative. È a Shackle che spetta il merito di aver esteso il<br />

soggettivismo anche alle aspettative. Il progetto di Lachmann è allora quello di<br />

sviluppare la tradizione mengeriana e misesiana integrandola con l’analisi<br />

soggettivista di Shackle. 218 Il soggettivismo radicale, essendo secondo Lachmann<br />

217 Hayek (1955, p. 31). Citato in Lachmann (1978, p. 1) e in Lachmann (1986, p. 144).<br />

218 Lachmann (1976a).<br />

125


un elemento definitorio dell’approccio austriaco, deve infatti essere esteso alle<br />

aspettative:<br />

« The first, and most prominent, feature of Austrian economics is a radical<br />

subjectivism, today no longer confined to human preferences but extended to<br />

expectations ». 219<br />

L’estensione delle ipotesi soggettiviste all’analisi delle aspettative riceve<br />

valutazioni opposte: secondo alcuni ciò definisce Lachmann come un radicale<br />

nell’ambito delle posizioni interne alla scuola austriaca; secondo altri ciò fa della<br />

corrente di Lachmann la più avanzata nel paradigma di ricerca austriaco.<br />

La radicalizzazione delle assunzioni soggettiviste è legata all’analisi della<br />

dimensione temporale. Il continuo cambiamento di conoscenza e aspettative (oltre<br />

che delle preferenze) definisce il contesto decisionale lachmanniano come un<br />

contesto di tempo storico. D’altra parte, l’assunzione soggettivista forte esclude<br />

che sia possibile stabilire le caratteristiche della dinamica del loro cambiamento:<br />

« As soon as we permit time to elapse, we must permit knowledge to change, and<br />

knowledge cannot be regarded as a function of anything else. (...) Expectations must<br />

be regarded as autonomous, as autonomous as human preferences are. To be sure,<br />

they are modified by experience, but we are unable to postulate any particular mode<br />

of change ». 220<br />

L’impossibilità di stabilire le determinanti della conoscenza e delle aspettative è<br />

alla base della critica di Lachmann alle teorie di Hayek e di Kirzner. La<br />

conseguenza analitica più rilevante dell’estensione del soggettivismo alle<br />

aspettative è infatti che diviene problematico stabilire a priori la convergenza del<br />

processo di mercato. 221 Secondo Lachmann è proprio la scarsa attenzione degli<br />

economisti austriaci verso l’analisi soggettivista delle aspettative che ha portato<br />

ingiustificatamente a trascurare l’ipotesi di divergenza:<br />

« Professor Hayek dealt with expectations, (...) but not with the causes and<br />

consequences of their divergence. In fact, expectations were (...) regarded as being<br />

of analytical interest only to the extent to which they converge ». 222<br />

219 Lachmann (1978, p. 1).<br />

220 Lachmann (1976b, pp. 127-9).<br />

221 Quando, nella letteratura austriaca, si parla di convergenza del processo di mercato, ci si<br />

riferisce agli effetti del processo di mercato sulla compatibilità dei piani: un processo di mercato<br />

convergente è tale da generare processi di revisione dei piani che tendono a rendere i piani stessi<br />

compatibili. Per brevità, in linea con la terminologia austriaca, parleremo (impropriamente), anche<br />

di piani, conoscenza, aspettative, ecc. convergenti, intendendo con tali espressioni che nel<br />

processo di mercato piani, conoscenza, aspettative, ecc. si modifichino in direzione della<br />

compatibilità dei piani.<br />

222 Lachmann (1976a, p. 59).<br />

126


Nelle teorie di Hayek e Kirzner il processo di mercato assembla la conoscenza<br />

dispersa negli individui e, allo stesso tempo, dissemina tra gli agenti la<br />

conoscenza di mercato. Nel corso del processo di mercato gli individui rivedono i<br />

propri piani in base alla conoscenza diffusa dal mercato e ciò è sufficiente,<br />

secondo i due economisti, a garantire la convergenza del processo di revisione dei<br />

piani.<br />

Lachmann, accetta l’analisi hayekiana e kirzneriana della conoscenza e<br />

introduce nel quadro analitico del processo di mercato un modello di aspettative<br />

soggettive. Il problema posto da Lachmann è che non è possibile assumere che il<br />

mercato diffonda le aspettative nello stesso modo in cui diffonde la conoscenza.<br />

Tale conclusione deriva, nella teoria di Lachmann, dall’assunzione soggettivista<br />

sulle aspettative; in realtà l’ipotesi soggettivista non è necessaria a dar validità alla<br />

critica di Lachmann nei confronti di Hayek e Kirzner. Indipendentemente da tale<br />

ipotesi, l’esplicitazione delle aspettative è infatti sufficiente a mostrare come la<br />

conclusione di Hayek e Kirzner circa la convergenza del processo di mercato<br />

derivi dall’assunzione implicita di aspettative convergenti. Al fine di precisare le<br />

implicazioni delle diverse ipotesi sulle aspettative dobbiamo approfondire il<br />

processo di formulazione e revisione dei piani degli individui.<br />

4.4.2. Il processo di formulazione dei piani<br />

Si consideri la figura 4.1, rappresentante il processo austriaco di formulazione dei<br />

piani. 223 La conoscenza viene determinata dall’informazione e dal modo in cui<br />

l’informazione viene processata (dai modelli interpretativi); le aspettative, oltre<br />

che dall’informazione e dai modelli interpretativi dipendono dall’immaginazione.<br />

Sulla base della conoscenza e delle aspettative vengono formulati i piani.<br />

223 Col titolo « Processo austriaco di formulazione dei piani » non intendiamo addebitare la<br />

paternità dello schema ad alcun economista austriaco. Lo schema è costruito al fine di<br />

rappresentare la nostra interpretazione delle diverse teorie degli economisti austriaci, ma è il frutto<br />

di elaborazioni unicamente nostre.<br />

127


Figura 4.1. PROCESSO AUSTRIACO DI FORMULAZIONE DEI PIANI<br />

A.1<br />

A.1. Informazione A.2. Modelli A.3. Immaginazione<br />

Convergente<br />

interpretativi A.2<br />

B.1. Conoscenza B.2. Aspettative<br />

C. Piani<br />

128<br />

A.3 Divergente<br />

Lo schema proposto può essere utilizzato per scomporre il problema della<br />

convergenza del processo di mercato in base agli elementi che determinano il<br />

processo di formulazione e revisione dei piani. Ciò che accomuna le teorie degli<br />

economisti austriaci è l’ipotesi che il processo di formulazione dei piani<br />

individuali sia regolato dal solo principio di <strong>competizione</strong> ex post. Ciò che<br />

differenzia le posizioni interne alla scuola austriaca sono invece gli elementi del<br />

processo di formulazione dei piani su cui si concentra l’analisi.<br />

La differenza di vedute tra Hayek e Kirzner da una parte e Lachmann<br />

dall’altra si manifesta a livello B: Lachmann affronta esplicitamente il problema<br />

delle aspettative che Hayek e Kirzner considerano (implicitamente) risolto. Il<br />

problema è però a monte: l’analisi di Lachmann mostra infatti che l’impossibilità<br />

di stabilire in via generale la convergenza delle aspettative deriva dal ruolo<br />

dell’immaginazione come elemento autonomo di cambiamento soggettivo.<br />

Lachmann accetta l’ipotesi che il processo di mercato possa rendere<br />

convergente l’informazione ma esclude che si possano stabilire gli effetti sui<br />

modelli interpretativi e l’immaginazione, in quanto tali elementi, in un approccio<br />

soggettivista radicale, non possono essere oggetto di teorie esplicative.<br />

Se non è possibile stabilire le cause dei modelli interpretativi e<br />

dell’immaginazione è però necessario analizzarne gli effetti. L’effetto principale<br />

dell’introduzione dell’immaginazione come categoria soggettiva esogena è quello<br />

di rendere eroica l’ipotesi di convergenza delle aspettative. 224 Il soggettivismo<br />

224 Dal punto di vista analitico, l’importanza dell’immaginazione nei processi decisionali è<br />

sviluppata nella teoria delle decisioni di Shackle (1969, 1979).


adicale sui modelli interpretativi porta inoltre a rimettere in discussione anche la<br />

convergenza della conoscenza.<br />

Hayek e Kirzner, discutendo la convergenza del processo di mercato solo<br />

in relazione alla diffusione della conoscenza, assumono implicitamente (1) la<br />

convergenza dei modelli interpretativi e (2) la convergenza dell’immaginazione (il<br />

che implica, nelle condizioni in cui il processo di mercato rende convergente<br />

l’informazione, la convergenza delle aspettative). Ma allora, il problema delle<br />

teorie di Hayek e Kirzner non sta solo nel trascurare le aspettative, ma anche nel<br />

fatto che la teoria della convergenza della conoscenza è, in realtà, una teoria della<br />

convergenza dell’informazione: la convergenza dei modelli interpretativi è infatti<br />

assunta come ipotesi, non è ricavata dalle proprietà del processo di mercato.<br />

Per quanto riguarda l’ipotesi di convergenza delle aspettative, Lachmann<br />

evidenzia come essa sia in contrasto con l’obiettivo di rendere intelligibili i<br />

processi economici. In particolare, essa impedisce di spiegare il funzionamento<br />

dei mercati finanziari e il fenomeno della speculazione. Un mondo senza<br />

speculazione, d’altra parte, è un mondo senza tempo:<br />

« In a stationary world, we might hold, time will in the long run, “hammer logic into<br />

brains” and teach its human pupils what they must do to achieve success and stave<br />

off failure. Why this should be so in a changing world is by no means clear. In such<br />

a world there may always be speculators (...). Speculative markets require divergent,<br />

not convergent, expectations. They cannot exist without bulls and bears ». 225<br />

Il problema è di coerenza interna del contesto decisionale. Nel mondo stazionario<br />

è ragionevole supporre che gli individui abbiano sviluppato un tipo di logica<br />

basata su una visione uniforme e corretta del contesto decisionale, secondo la<br />

quale ogni opportunità è immediatamente (o, in breve tempo, come nella teoria di<br />

Kirzner) sfruttata. 226 In un contesto decisionale in continuo cambiamento la<br />

coerenza tra ambiente e individui spinge invece in direzione opposta. Non c’è<br />

ragione perché gli individui debbano avere tutti la stessa visione del mondo; si<br />

deve assumere invece che gli individui abbiano opinioni diverse e contrastanti, il<br />

che introduce necessariamente la categoria analitica della speculazione.<br />

La critica di Lachmann alle teorie di Hayek e Kirzner è perciò più generale<br />

di quanto non sembri. Il problema non è tanto che tali teorie non sono in grado di<br />

spiegare il funzionamento dei mercati finanziari, quanto piuttosto che si basano su<br />

un contesto decisionale privo di tempo storico. In ipotesi di tempo storico, la<br />

speculazione è una categoria analitica generale e necessaria e la sua introduzione<br />

225 Lachmann (1982, p. 636).<br />

226 Le caratteristiche dell’individuo sono in tal caso coerenti con le caratteristiche dell’ambiente.<br />

La condizione di non arbitraggio rappresenta una condizione di coerenza interna al contesto<br />

decisionale. D’altra parte nel mondo stazionario non vi possono essere neanche operazioni di<br />

speculazione in quanto, sempre per questioni di coerenza, gli agenti hanno tutti la stessa visione<br />

(giusta) della realtà, il che impedisce di trovare una controparte con cui speculare.<br />

129


nel quadro analitico è sufficiente a ribaltare le conclusioni kirzneriane sulla<br />

convergenza del processo di mercato.<br />

Nel contesto decisionale kirzneriano l’ipotesi di arbitraggio (pur nei limiti<br />

considerati nel paragrafo 4.3) è coerente con l’ipotesi di convergenza del processo<br />

di mercato; in un contesto decisionale speculativo devono invece essere presenti<br />

dei meccanismi che rendano le aspettative divergenti. In presenza di tempo storico<br />

l’eterogeneità delle aspettative rappresenta una condizione di coerenza interna del<br />

contesto decisionale ed è, in tal senso, ineliminabile. Ciò contraddice l’ipotesi<br />

implicita negli schemi di Hayek e Kirzner di aspettative convergenti.<br />

L’unico tipo di risposta che potrebbero offrire Hayek e Kirzner alla critica<br />

di Lachmann dovrebbe passare per l’analisi esplicita del problema delle<br />

aspettative in un contesto decisionale di tempo storico e speculazione (oltre che<br />

approfondire il ruolo dei modelli interpretativi sull’ipotesi di convergenza della<br />

conoscenza). Tale analisi dovrebbe spiegare i meccanismi attraverso i quali le<br />

aspettative vengono fatte convergere. In Hayek e Kirzner viceversa si assume che<br />

le aspettative siano convergenti.<br />

4.4.3. La critica di nihilismo<br />

La critica al soggettivismo delle aspettative è il pilastro dell’argomentazione<br />

kirzneriana di nihilismo della corrente lachmanniana. Kirzner, dopo aver ripreso<br />

la citazione di Hayek, cara a Lachmann, sulla correlazione tra progresso<br />

scientifico e applicazione del soggettivismo, esprime il suo dissenso verso il<br />

radicalismo soggettivista:<br />

« Here we appear to have arrived at an almost diametrically opposed conclusion: the<br />

most consistent application of subjectivist freedom appears to sabotage every<br />

attempt by economic science to understand observed economic regularities ». 227<br />

D’altra parte, Lachmann insiste sul fatto che una teoria che non consenta di<br />

determinare il corso futuro degli eventi è semplicemente coerente con la realtà che<br />

analizza. L’indeterminismo è dunque per Lachmann un punto forte della teoria:<br />

« The task of economic theory, as of other social sciences, is to make the world of<br />

human action intelligible to us. This world offers little scope for determinism ». 228<br />

Il problema è allora quello di individuare il limite tra indeterminismo e nihilismo.<br />

Secondo Lachmann l’ipotesi di incertezza soggettiva non implica necessariamente<br />

il nihilismo; essa è invece necessaria a rendere la realtà intelligibile:<br />

227 Kirzner (1992, p. 47).<br />

228 Lachmann (1986, p. 114).<br />

130


« A world of uncertainty is clearly not a world of chaos. (...) Our inability to predict<br />

future events in no way prevents us from making forecasts. (...) Men make plans<br />

before they act (...) Collision of the plans conceived by different agents is a daily<br />

occurrence and is of course the essence of competition. (A competitive market<br />

process with consistency of plans constitutes a contradiction in terms) ». 229<br />

Per dimostrare che incertezza soggettiva e nihilismo non siano necessariamente<br />

legate, Lachmann si propone di sviluppare una teoria delle istituzioni basata<br />

sull’ipotesi di incertezza soggettiva. Lachmann ritiene infatti che il problema del<br />

nihilismo non dipenda dal soggettivismo, bensì da un problema di livelli di<br />

astrazione dei contesti istituzionali: secondo Lachmann (1986, cap. 6) i concetti di<br />

mercato o di agente <strong>economico</strong> rappresentano livelli di astrazione troppo alti ed è<br />

ad essi che deve essere ricondotto il problema del nihilismo.<br />

Lachmann procede definendo, come unità d’analisi, idealtipi più specifici<br />

di agenti economici e di mercati: egli non parla dunque solo di agenti economici<br />

ma di produttori e traders, non solo di imprenditori, ma di arbitraggisti,<br />

speculatori e innovatori, non solo di agenti che reagiscono ai prezzi di mercato,<br />

ma di price-taker e price-fixer; 230 gli idealtipi di mercati sono definiti dagli<br />

idealtipi di agenti che vi partecipano. Per Lachmann non si ha dunque il processo<br />

di mercato, ma vari tipi di processi di mercato, uno per ogni idealtipo di mercato.<br />

Attraverso l’analisi dei diversi idealtipi di mercato secondo Lachmann è possibile<br />

dire qualcosa sulle ragioni della convergenza o divergenza dei diversi processi di<br />

mercato.<br />

La scelta degli idealtipi da considerare dipende dal problema in analisi. Ad<br />

esempio, se si vuole approfondire il problema delle forze equilibranti e<br />

disequilibranti, l’esperienza empirica e la necessità analitica suggeriscono di<br />

considerare lo schema di classificazione degli agenti in arbitraggisti, speculatori e<br />

innovatori 231 . Secondo Lachmann, l’attività dell’arbitraggista (come per Kirzner)<br />

è sempre stabilizzante, quella dell’innovatore (come per Schumpeter) sempre<br />

destabilizzante, quella dello speculatore non identificabile a priori, in quanto<br />

dipendente dalle circostanze. La tipologia di agenti che partecipano al processo di<br />

mercato, sebbene non consenta di trarre conclusioni definitive sul risultato del<br />

processo di mercato (il che non sarebbe peraltro auspicabile, perché<br />

significherebbe ricadere nel determinismo), permette però di trarre conclusioni<br />

sufficientemente generali sulla convergenza/divergenza dei vari tipi di processi di<br />

mercato.<br />

229 Lachmann (1986, pp. 139-40).<br />

230 Lachmann (1986, pp. 116-7).<br />

231 Lachmann (1986, p. 125).<br />

131


« Our main conclusions are, in the first place, that different markets, characterized<br />

by the encounter of different classes of agents with different interest and functions,<br />

will give rise to market processes of various kinds ». 232<br />

L’analisi di idealtipi specifici di agenti e di mercati rappresenta la replica di<br />

Lachmann alla critica di nihilismo: diversi idealtipi di mercato generano processi<br />

di mercato diversi rispetto ai quali possiamo stabilire la convergenza o la<br />

divergenza in quanto conosciamo (per ipotesi) i tipi (ideali) di agenti vi<br />

partecipano.<br />

Tale replica è, a nostro parere, efficace solo se si riconosce l’uscita<br />

dall’ipotesi soggettivista. Se invece essa viene interpretata all’interno di un quadro<br />

soggettivista essa risulta contraddittoria e/o tautologica.<br />

Se i mercati sono definiti dagli agenti che vi partecipano (come assume<br />

Lachmann), come è possibile individuare a quale idealtipo appartiene un certo<br />

mercato che osserviamo nella realtà?<br />

La risposta, secondo l’approccio lachmanniano, consiste nell’individuare<br />

gli idealtipi di agenti che partecipano al mercato in questione. Ciò tuttavia non è<br />

possibile: secondo l’ipotesi soggettivista un agente può essere oggi di un tipo e<br />

domani di un altro, senza che nessun elemento esterno sia cambiato. 233 Il mercato<br />

(reale) che cercavamo di analizzare e rendere intelligibile può allora anch’esso<br />

cambiare dall’oggi al domani inspiegabilmente. Se d’altra parte imponessimo dei<br />

vincoli agli agenti reali ipotizzando ad esempio che in uno stesso ambiente un<br />

innovatore sia sempre un innovatore e un arbitraggista sia sempre un arbitraggista<br />

violeremmo l’ipotesi che il soggetto abbia libertà di scelta nel senso di Shackle e<br />

ci avvicineremmo ad un approccio costruttivista ma non soggettivista.<br />

Le nostre conclusioni sulla convergenza di un certo idealtipo di processo<br />

di mercato e sulla divergenza di un altro si rivelano così del tutto inutili, in quanto<br />

il mercato reale che oggi corrisponde all’idealtipo convergente potrebbe<br />

corrispondere domani ad un idealtipo divergente; e a tale problema non c’è<br />

soluzione, in quanto l’ipotesi soggettivista ci priva di qualsiasi punto saldo cui<br />

agganciare un’eventuale teoria della stabilità (o del cambiamento) degli idealtipi.<br />

La definizione di idealtipi specifici non permette dunque di risolvere il<br />

problema del nihilismo. Essa lo rimanda solamente: l’analisi di Lachmann<br />

permette di stabilire la convergenza dei processi di mercato idealtipici, ma è<br />

nihilista sul problema della corrispondenza tra tipi ideali e tipi reali.<br />

Se, allora, l’analisi istituzionale di Lachmann è interpretata in termini<br />

strettamente soggettivisti essa risulta, in fin dei conti, tautologica: si assume che<br />

l’arbitraggista [innovatore] sia stabilizzante [destabilizzante], si definisce un<br />

232 Lachmann (1986, p. 124).<br />

233 Il tempo, che era la dimensione cruciale su cui Lachmann insisteva per rendere intelligibili i<br />

processi economici, diventa la causa del nihilismo: il passaggio del tempo modifica l’individuo;<br />

anche se l’ambiente fosse invariato e i piani dell’individuo si stessero realizzando, nulla esclude<br />

che l’individuo cambi strategia semplicemente perché è cambiato lui stesso internamente.<br />

132


mercato (ideale) in base al fatto che vi operino arbitraggisti [innovatori] e si<br />

deduce che il processo di mercato sia convergente [divergente].<br />

Il problema deriva evidentemente dal fatto di definire i mercati a partire<br />

dagli individui ideali che vi operano (e non per esempio dalle regole istituzionali<br />

che li governano) e di non poter stabilire alcuna relazione tra gli individui ideali e<br />

gli individui reali per via dell’assunzione soggettivista. L’aver spostato l’analisi<br />

ad un livello puramente ideale, eliminando ogni collegamento con la realtà, porta<br />

alla definizione di un sistema chiuso in cui si deduce solo ciò che si ipotizza.<br />

Il ragionamento di Lachmann non presenterebbe invece problemi se<br />

sviluppato al di fuori di un approccio soggettivista. In effetti l’idea che le forme<br />

istituzionali dei mercati reali determinino delle regolarità di comportamento che<br />

possono essere idealizzate e approfondite analiticamente non ci sembra in sé<br />

un’idea incoerente. Lo stesso Lachmann insiste infatti nel tentativo di individuare<br />

una corrispondenza tra i vari mercati reali e le diverse forme idealtipiche. 234 Tale<br />

tentativo non ci appare insensato, in quanto, nella misura in cui si riesca a definire<br />

una corrispondenza stabile tra un certo mercato reale e una determinata forma<br />

idealtipica della quale si conoscono le proprietà (le regolarità, la convergenza,<br />

ecc.) si risolve effettivamente il problema del nihilismo, evitando allo stesso<br />

tempo di ricadere in un’impostazione determinista. 235 Il superamento del<br />

nihilismo deriverebbe in tal caso proprio dal fatto di delimitare (pur senza<br />

annullare) il campo della scelta soggettiva attraverso l’introduzione di elementi<br />

oggettivi. Un approccio costruttivista sull’incertezza sarebbe sufficiente allo<br />

scopo. L’approccio costruttivista è sufficiente inoltre a dar coerenza alle critiche a<br />

Hayek e Kirzner basate sullo schema di formulazione dei piani: il limite di fondo<br />

dell’analisi di Hayek e di Kirzner sta nel considerare esclusivamente<br />

l’informazione trascurando le relazioni tra modelli interpretativi e immaginazione,<br />

da una parte, e convergenza dei piani, dall’altra. L’ipotesi di aspettative non<br />

necessariamente convergenti (ipotesi che può essere derivata dall’assunzione di<br />

un approccio costruttivista, anche se non soggettivista) ha come implicazione la<br />

non necessaria convergenza del processo di mercato.<br />

234 Lachmann considera ad es empio gli idealtipi di mercati a prezzi flessibili e a prezzi fissi,<br />

osservando che i primi prevalgono nei mercati finanziari e nei mercati delle materie prime,<br />

industriali e agricole, mentre nelle industrie moderne predominano i prezzi fissi (con l’eccezione<br />

del mercato dell’usato). Lachmann (1986, p. 112).<br />

235 L’idea di approfondire diversi idealtipi di mercati e i loro meccanismi di fissazione del prezzo<br />

non è caratteristica esclusiva della scuola austriaca. Mi permetto, al riguardo, di citare un saggio di<br />

cui sono coautore in cui si analizza l’istituzione della contrattazione come metodo di fissazione dei<br />

prezzi tipica di alcune regioni turistiche del mondo; in tale saggio, l’analisi degli aspetti<br />

istituzionali della contrattazione è proprio ciò che rende i risultati economici dei rapporti tra turisti<br />

e comunità locali parzialmente prevedibili. Gloria and Palermo (1996).<br />

133


4.5. I rapporti tra le correnti di Kirzner e di Lachmann<br />

Nei paragrafi precedenti abbiamo insistito sul carattere antagonistico di alcuni<br />

aspetti delle teorie di Kirzner e di Lachmann. Ora, sebbene sia riconosciuto che le<br />

correnti kirzneriane e lachmanniane siano, per molti versi, correnti rivali, i due<br />

leader raramente si sono lasciati andare a critiche dirette; al contrario essi hanno<br />

sempre evidenziato soprattutto i loro caratteri unitari nell’ambito delle linee di<br />

ricerca della scuola austriaca.<br />

Il problema dei rapporti tra le correnti di Kirzner e Lachmann non riguarda<br />

solo gli storici del pensiero. Esso ha a che vedere con il significato e gli obiettivi<br />

delle analisi sviluppate dai due autori. Secondo l’interpretazione che abbiamo<br />

proposto il problema dei rapporti tra le due correnti può essere ricondotto ai<br />

diversi tipi di contesti decisionali che i due autori definiscono, i quali, abbiamo<br />

sostenuto, sono incompatibili. La manifestazione più evidente dell’incompatibilità<br />

dei contesti decisionali si ha, a nostro parere, nella contrapposizione scopertacreazione.<br />

Tale contrapposizione si incarna nella figura dell’imprenditore.<br />

Per Kirzner l’imprenditore è un arbitraggista: l’attività dell’arbitraggista è<br />

quella di scoprire le opportunità esistenti.<br />

Per Lachmann, esistono diversi idealtipi di imprenditore; tra questi,<br />

l’innovatore ha un ruolo centrale: l’attività dell’innovatore è quella di immaginare<br />

(e creare) opportunità inesistenti.<br />

La nostra interpretazione secondo cui le due analisi sono incompatibili non<br />

è scontata. Una diversa interpretazione potrebbe ricondurre le differenze tra le<br />

analisi dei due leader ad un mero problema di linguaggio (analogo al problema<br />

interpretativo che abbiamo incontrato a proposito dell’opera di Hayek), oppure<br />

ancora le due analisi potrebbero essere intese come complementari, piuttosto che<br />

antagonistiche. È a queste possibili interpretazioni che volgiamo ora la nostra<br />

attenzione, allo scopo di precisare le modificazioni che esse implicherebbero sulle<br />

conclusioni che abbiamo raggiunto.<br />

Littlechild (1979), confrontando l’opera di Kirzner con quella di Shackle,<br />

individua tre possibili interpretazioni della distinzione tra imprenditorialità e<br />

immaginazione.<br />

Secondo la prima interpretazione l’analisi di Kirzner e l’analisi di Shackle<br />

sono complementari in quanto la prima tratta del problema della scoperta e della<br />

diffusione della conoscenza esistente, mentre la seconda (approfondita da<br />

Lachmann) tratta della creazione di nuova conoscenza ossia dell’invenzione. In tal<br />

senso le due analisi sarebbero complementari: esse rappresenterebbero una<br />

divisione del lavoro interna alla scuola austriaca attraverso la quale approfondire i<br />

diversi tipi di processi conoscitivi.<br />

Tale ipotesi è lontana dalla nostra interpretazione; tuttavia non crediamo di<br />

avere elementi sufficienti a rigettarla. Limitiamoci dunque a precisare quali siano i<br />

134


confini entro i quali, secondo la presente interpretazione, valgono rispettivamente<br />

le analisi di Kirzner e di Lachmann.<br />

L’analisi di Kirzner è applicabile solo in un contesto privo di incertezza, in<br />

cui non vi siano attività speculative né innovative. In tale contesto valgono le due<br />

osservazioni critiche riguardanti il problema della dinamica e la critica di<br />

Richardson; non hanno senso invece le osservazioni relative al problema della<br />

stabilità dell’EEG, in quanto l’analisi di Kirzner viene confinata (contro il parere<br />

dello stesso Kirzner) ad un contesto di analisi parziale.<br />

Negli altri casi (contesti innovativi e incerti) si applica l’analisi di<br />

Lachmann e valgono le osservazioni che abbiamo fatto a proposito del problema<br />

del nihilismo.<br />

La seconda interpretazione rigetta l’ipotesi di complementarità. Kirzner e Shackle<br />

non trattano di fenomeni diversi, bensì affrontano lo stesso problema da punti di<br />

vista diversi:<br />

« It is true that a jet engine is in one sense a new invention, he [Kirzner] might say,<br />

but it might equally be regarded as the discovery of a better means of satisfying an<br />

existing demand for fast air travel ». 236<br />

Il problema dei rapporti tra la scoperta kirzneriana e la creazione lachmanniana<br />

consisterebbe in tal caso in un problema di linguaggio o di angolo visuale.<br />

Secondo Kirzner l’analisi di Shackle non è necessariamente antagonistica rispetto<br />

alla sua; semplicemente sviluppa un diverso livello di discussione. Il livello di<br />

discussione di Shackle è, secondo Kirzner, quello dell’analisi psicologica del<br />

processo decisionale ed è perciò estraneo al campo d’analisi dell’economia:<br />

« The two approaches, Shackle’s and our own, deals with different levels of<br />

discussion (and may therefore both be simultaneously valid without coinciding at<br />

all). Shackle is concerned with the psychology of decision-making . He regrets that<br />

economics developed at the hand of Smith, Ricardo and Marshall, instead of at the<br />

hands of psychologists». 237<br />

Il motivo per cui l’analisi di Shackle è psicologica è, secondo Kirzner, che la<br />

categoria dell’immaginazione esce dalla sfera d’analisi della teoria della scelta la<br />

quale definisce il campo d’interesse dell’economia. Scrive ancora Kirzner:<br />

« We remain content to stay at the purely formal level at which economic theory<br />

have always aimed their discussion. We still see economics as a theory of<br />

choice ». 238<br />

236 Littlechild (1979, p. 40).<br />

237 Kirzner (1967, pp. 798-9).<br />

238 Kirzner (1967, pp. 798-9).<br />

135


Come osserva Littlechild (1979, p. 42), sebbene Shackle non abbia commentato la<br />

provocazione di Kirzner è probabile che egli si considerasse un economista<br />

piuttosto che uno psicologo 239 e il dubbio non può neanche essere posto a<br />

proposito di Lachmann.<br />

Di fronte a questa interpretazione riteniamo di avere elementi sufficienti a<br />

prendere posizione. Infatti, Shackle, proprio lavorando analiticamente sulla<br />

categoria dell’immaginazione, ha sviluppato una teoria delle decisioni in<br />

condizioni di incertezza basata sul concetto di sorpresa potenziale in cui il<br />

decisore è cosciente di essere chiamato ad immaginare l’inimmaginabile; 240 tale<br />

teoria ha diverse applicazioni in campo <strong>economico</strong> e finanziario, e non può<br />

considerarsi una pura teoria psicologica. La modellizzazione alternativa del<br />

processo decisionale proposta da Shackle riflette una visione del contesto<br />

decisionale in cui il decisore sa di non <strong>potere</strong> elencare tutti gli stati del mondo ed<br />

è, perciò, incompatibile con la concezione di vigilanza kirzneriana (non si può<br />

essere vigili rispetto a opportunità non ancora definite).<br />

Il problema della diversa analisi del processo decisionale non può quindi<br />

essere ricondotto ad una questione di angolo visuale.<br />

La terza interpretazione è quella di incompatibilità dell’analisi di Kirzner con<br />

quelle di Shackle e di Lachmann ed è quella che a noi sembra più corretta.<br />

L’incompatibilità tra le due teorie deriva dall’incompletezza dell’analisi di<br />

Kirzner riguardo al processo di formulazione dei piani.<br />

Se si riconosce il diritto dell’economista di investigare il processo di<br />

formulazione dei piani, si deve anche riconoscere il suo dovere di investigarli<br />

quanto più a fondo possibile. Secondo il nostro schema è possibile individuare<br />

(almeno) tre elementi che partecipano al processo di formulazione e revisione dei<br />

piani. Kirzner considera solo l’informazione, trascurando i modelli interpretativi e<br />

l’immaginazione. È ormai famosa la citazione di Shackle:<br />

« When we are speaking of knowledge, what we may call ingredients, ideas known<br />

and even familiar, may be visible at the same time to the same man without the<br />

sudden flash of fusion into something new ever taking place. Professor Kirzner is<br />

suggesting in effect, I think, that the natural entrepreneur is the man in whose mind<br />

such fusion do take place. I am not sure however that what he calls alertness is the<br />

heart of the matter. Were Dante, Michelangelo, Shakespeare, Newton and<br />

Beethoven merely alert? ». 241<br />

Se il nostro schema del processo di formulazione dei piani è corretto l’analisi di<br />

Kirzner deve considerarsi viziata da una svista analitica consistente nella mancata<br />

individuazione di uno degli elementi determinanti della formulazione dei piani<br />

239 Cf. anche Earl (1988a, p. 6).<br />

240 Shackle (1969, 1979).<br />

241 Shackle (1983, pp. 7-8).<br />

136


(l’immaginazione) e dall’insufficiente attenzione dedicata ai modelli<br />

interpretativi.<br />

Altrimenti, se vogliamo considerare l’analisi di Kirzner del processo di<br />

formulazione dei piani come corretta e completa, dobbiamo dedurre che essa<br />

rifletta una visione del contesto decisionale incompatibile con quello<br />

lachmanniano. In tal caso valgono i risultati problematici implicati<br />

dall’approfondimento dei rispettivi contesti decisionali: il contesto decisionale di<br />

Kirzner presenta problemi di coerenza interna; le analisi sviluppate sul contesto<br />

decisionale di Lachmann conducono a risultati nihilisti.<br />

4.6. Conclusioni<br />

La visione hayekiana dell’incertezza si espone a due interpretazioni alternative<br />

che abbiamo nominato scenario di incertezza oggettiva e scenario di incertezza<br />

soggettiva. Ambedue le interpretazioni evidenziano problemi di coerenza<br />

nell’analisi hayekiana del processo di mercato.<br />

(1) Lo scenario di incertezza oggettiva porta ad un ridimensionamento del<br />

contributo di Hayek all’analisi della conoscenza: il problema della conoscenza si<br />

riduce ad un problema di diffusione dell’informazione.<br />

(2) Lo scenario di incertezza soggettiva implica incoerenze nell’analisi del<br />

confronto tra strutture organizzative sviluppato nel dibattito sulla pianificazione. Il<br />

confronto tra strutture organizzative è analiticamente improponibile in termini di<br />

efficienza.<br />

I due scenari sono sviluppati da Kirzner e Lachmann. A seconda che si opti per lo<br />

scenario di incertezza oggettiva o per lo scenario di incertezza soggettiva, l’analisi<br />

di Hayek risulta soggetta ai problemi presenti nelle analisi di Kirzner e Lachmann<br />

rispettivamente.<br />

L’analisi di Kirzner presenta due problemi: (1) assume una posizione filosofica<br />

insostenibile sul contesto decisionale, la quale, tra le altre cose, non consente di<br />

sviluppare un’analisi coerentemente dinamica; (2) fallisce il tentativo di supplire<br />

ai problemi rimasti insoluti nell’analisi neoclassica dell’EEG: in particolare<br />

l’analisi di Kirzner è soggetta alla critica di Richardson e assume erroneamente<br />

che l’EEG sia stabile sotto condizioni generali.<br />

La posizione di Lachmann è incoerente. La critica di Lachmann alle posizioni di<br />

Hayek e Kirzner si basa sull’assunzione di una posizione soggettivista radicale.<br />

Tale posizione conduce al nihilismo. La difesa dalla critica di nihilismo porta (e<br />

non potrebbe essere altrimenti) all’abbandono della posizione soggettivista.<br />

137


Scendiamo in maggiori dettagli.<br />

Il processo di mercato nell’accezione kirzneriana è fondato sull’idea che si<br />

realizzino situazioni di disequilibrio; esso è però ipotizzato essere essenzialmente<br />

un processo di convergenza all’equilibrio. L’equilibrio non viene raggiunto, non<br />

per effetto diretto delle decisioni o delle incompatibilità tra piani, ma perché i dati<br />

che definiscono l’equilibrio cambiano continuamente in modo esogeno. La<br />

dinamica del set informativo è inoltre predeterminata.<br />

Il ruolo analitico del disequilibrio è quello di offrire opportunità da<br />

sfruttare. L’ipotesi che esistano imprenditori all’erta pronti a sfruttare le<br />

opportunità è (erroneamente) considerata sufficiente a garantire la convergenza<br />

all’equilibrio.<br />

Nel contesto decisionale kirzneriano non c’è posto per la creazione,<br />

dunque il compito dell’imprenditore è quello di scoprire opportunità già esistenti.<br />

La critica di Richardson mette in evidenza come tali opportunità anche qualora<br />

fossero scoperte efficientemente non potrebbero comunque essere sfruttate.<br />

La critica di Richardson è generale nel senso che si applica a qualsiasi<br />

sistema che tenti di fare a meno di meccanismi ex ante nel processo di<br />

eliminazione delle incompatibilità tra i piani.<br />

L’abbandono del soggettivismo radicale consentirebbe di rendere coerente<br />

l’analisi di Lachmann. Affinché le osservazioni di Lachmann sul ruolo<br />

dell’immaginazione (e delle aspettative) possano essere utilizzate come critica<br />

all’opera di Hayek e di Kirzner è sufficiente infatti un approccio costruttivista<br />

all’incertezza (non è necessario il soggettivismo).<br />

La possibilità di aspettative divergenti evidenzia i limiti dell’analisi di<br />

Hayek e Kirzner i quali riconoscono l’esistenza del problema delle aspettative, ma<br />

non lo affrontano (ipotizzando implicitamente che esse siano sempre convergenti).<br />

L’introduzione dell’immaginazione nel quadro analitico di Lachmann<br />

consente un approfondimento del processo di formulazione e revisione dei piani<br />

individuali il quale rappresenta una tappa fondamentale dell’analisi della<br />

convergenza del processo di mercato. Nell’ambito dell’analisi del processo di<br />

formulazione dei piani un capitolo relativamente inesplorato è costituito dai<br />

modelli interpretativi.<br />

L’analisi delle posizioni di Kirzner e Lachmann pone problemi che vanno al di là<br />

della semplice critica alle teorie di due dei protagonisti del revival austriaco: ci<br />

domandiamo se tali incoerenze siano semplici sviste o piuttosto tentativi di<br />

eludere un problema intrinseco dell’approccio austriaco dovuto alla compresenza<br />

di due elementi definitori tra loro incompatibili: tempo e soggettivismo.<br />

Il problema dei confini tra indeterminismo e nihilismo è una<br />

manifestazione della scarsa precisione nella definizione dei tratti fondamentali<br />

138


della scuola austriaca. Il tentativo di Kirzner di sviluppare un’analisi<br />

indeterminista ma non nihilista si espone alle osservazioni di Lachmann sul<br />

carattere oggettivista del contesto decisionale. Il tentativo di Lachmann di dare<br />

massimo spazio alla dimensione temporale si espone alla critica di nihilismo, alla<br />

quale non può essere data risposta nell’ambito di un approccio radicalsoggettivista.<br />

La strada intrapresa da Kirzner conduce verso un riassorbimento nel<br />

paradigma neoclassico. Tale percorso ha due implicazioni: (1) si attenuano i tratti<br />

soggettivisti del contesto decisionale e (2) si perdono gli spunti di originalità<br />

contenuti nell’analisi hayekiana della conoscenza e della dimensione temporale.<br />

La strada di Lachmann, nel tentativo di evitare il nihilismo, si avvicina<br />

invece (implicitamente) all’impostazione della scuola istituzionalista, nella quale<br />

l’impostazione soggettivista viene esplicitamente negata.<br />

In tutti e due i casi si pone un problema di identità e di definizione della<br />

scuola austriaca.<br />

139


5<br />

LA SCONFITTA AUSTRIACA NEL DIBATTITO<br />

SULLA PIANIFICAZIONE<br />

Da ognuno secondo le sue capacità, a ciascuno secondo i suoi bisogni.<br />

Marx und Engels (1878)<br />

Come abbiamo visto nel capitolo 3, Mises e Hayek sono le due figure chiave<br />

dell’attacco austriaco al socialismo. L’originalità delle tesi di Mises e Hayek<br />

riguarda rispettivamente il problema degli incentivi e il problema della<br />

conoscenza.<br />

La critica di Mises fondata sulla questione degli incentivi non suscita<br />

problemi di interpretazione. L’analisi hayekiana della conoscenza è invece<br />

soggetta a problemi interpretativi. Tali problemi, come abbiamo visto nel capitolo<br />

4, sono approfonditi nei lavori di Kirzner e Lachmann. 242<br />

A questo punto abbiamo quindi tutti gli elementi per poter riaprire il<br />

dibattito sulla pianificazione.<br />

La nostra tesi è che (1) la scuola austriaca fallisca il tentativo di dimostrare<br />

l’irrazionalità del socialismo e la desiderabilità del capitalismo e che (2) la sua<br />

posizione nel dibattito sulla pianificazione sia incoerente.<br />

Il limite fondamentale dell’attacco austriaco al socialismo è, a nostro<br />

avviso, da individuarsi nel problema dei giudizi di valore. Il problema dei giudizi<br />

di valore è un problema rispetto al quale la scuola austriaca non riesce a<br />

mantenersi neutrale nonostante le dichiarazioni formali in questo senso: 243<br />

242 Nell’ambito della scuola austriaca moderna, una terza corrente, decisamente minoritaria rispetto<br />

alle correnti di Kirzner e Lachmann, ma importante dal punto di vista politico, è quella di<br />

Rothbard. L’analisi di Rothbard si ispira fedelmente all’opera di Mises.<br />

243 Kirzner (1981) dopo un lungo elogio dell’opera di Mises per la sua neutralità ideologica,<br />

propone il tema della libertà dai giudizi di valore come centrale per l’agenda della scuola austriaca<br />

140


secondo la nostra interpretazione la scuola austriaca nel sostenere la desiderabilità<br />

del sistema di mercato esprime giudizi di valore. 244 Il nostro obiettivo al riguardo<br />

è quello di esplicitarli e di valutarne le implicazioni.<br />

Qualora invece la teoria austriaca venga sviluppata coerentemente alla<br />

propria posizione epistemologica di neutralità sul piano dei valori i risultati<br />

analitici risultano paradossali: la teoria austriaca, invece di suffragare<br />

l’impossibilità del socialismo, implica l’indesiderabilità del capitalismo; in più<br />

l’approccio metodologico austriaco impedisce di misurare i gradi di<br />

indesiderabilità delle varie strutture organizzative, col risultato che<br />

l’indesiderabilità del capitalismo diviene l’unico risultato che potrebbe essere<br />

coerentemente argomentato sulla base dell’impianto analitico austriaco.<br />

I problemi della conoscenza e degli incentivi sono strettamente legati: mentre il<br />

problema della conoscenza può presentarsi in maniera tutt’altro che banale anche<br />

indipendentemente dall’esistenza di un problema di incentivi, quest’ultimo<br />

diviene banale 245 se considerato come problema puro in ipotesi di perfetta<br />

informazione. Ed è per questo che la discussione austriaca del problema degli<br />

incentivi fa leva, contestualmente, sul tema della conoscenza. Nella discussione<br />

del problema della conoscenza invece non sempre il problema degli incentivi<br />

viene correttamente valutato e, in alcuni casi, esso sembra essere semplicemente<br />

assunto come risolto.<br />

moderna: « In this rediscovery process, the Misesian commitment to strict ideological neutrality,<br />

to an almost puritanical wertfreiheit, must never be relaxed ». Kirzner (1981, p. 18).<br />

244 Il fatto che nella tradizione austriaca si rifiuti l’introduzione di giudizi di valore non è del tutto<br />

evidente nell’analisi degli scritti polemici di Hayek contro il sistema socialista. Così Hayek<br />

(1935c, [1946, pp. 227-31]) argomenta il suo dissenso nei confronti della pianificazione: « E quali<br />

sarebbero i vantaggi che rimarrebbero per compensare la perdita di efficienza che, tenendo conto<br />

delle nostre precedenti obbiezioni, sembra debba essere una inevitabile conseguenza del fatto che,<br />

eliminata la proprietà privata, la concorrenza sarebbe necessariamente in qualche modo ridotta, ed<br />

alcune decisioni dovrebbero essere lasciate alla decisione arbitraria dell’autorità centrale? (...) Un<br />

sistema a pianificazione centrale, sebbene non eviterebbe errori anche più gravi di quelli che<br />

conducono alla crisi in regime capitalistico, presenterebbe almeno il vantaggio di rendere possibile<br />

una ripartizione egualitaria della perdita fra tutti i suoi membri. (...) Oggi noi non siamo<br />

intellettualmente attrezzati per migliorare il nostro sistema <strong>economico</strong> con la “pianificazione”, o<br />

per risolvere il problema della produzione socialista altrimenti che con una notevole riduzione<br />

della produttività. (...) In un mondo tutto rivolto alla pianificazione nulla può essere più tragico<br />

della conclusione che la persistenza in tale direttiva conduce necessariamente alla decadenza<br />

economica ».<br />

La nostra sensazione è che Hayek individui un trade off efficienza-equità e che scelga<br />

utilizzando giudizi di valore. La scelta secondo giudizi di valore (nulla può essere più tragico..)<br />

contraddice peraltro la posizione di Hayek (1935b, [1946, p. 16]) in cui afferma: « sulla validità<br />

dei fini ultimi la scienza non ha nulla da dire. Possono essere accettati o respinti, ma non si può<br />

provare che siano buoni o cattivi ».<br />

245 Il fatto che il problema divenga banale dal punto di vista logico non toglie che la sua trattazione<br />

formale possa essere analiticamente complessa.<br />

141


La nostra discussione dei due problemi è dunque organizzata analizzando<br />

dapprima il problema della conoscenza nella sua forma pura (in cui si astrae dal<br />

contestuale problema degli incentivi) e, in seguito, analizzando i due problemi nel<br />

loro manifestarsi congiunto.<br />

Il piano è il seguente. Nel paragrafo 5.1 analizziamo la posizione austriaca in<br />

merito alla questione dei giudizi di valore definendo e discutendo il concetto di<br />

ordine, il quale costituisce l’unico principio normativo accettato dagli economisti<br />

austriaci e valutando le implicazioni del suo utilizzo nel framework teorico<br />

austriaco.<br />

Nel paragrafo 5.2 analizziamo il problema puro della conoscenza secondo<br />

i due scenari di incertezza oggettiva e soggettiva delineati nel capitolo 4.<br />

Nel paragrafo 5.3 ridefiniamo il problema della conoscenza in modo da<br />

comprendere in esso anche il problema degli incentivi; l’analisi che ne scaturisce<br />

consente di esplicitare i giudizi di valore impliciti nell’approccio austriaco al<br />

confronto tra strutture organizzative.<br />

Il problema dei giudizi di valore ed il problema, ad esso legato, della<br />

distribuzione sono discussi nel paragrafo 5.4 nel quale, presa coscienza della<br />

necessità dei giudizi di valore, avanziamo la proposta di porre l’analisi dei giudizi<br />

di valore al centro della discussione del problema della pianificazione, il che ci<br />

consentirà un breve confronto anche con la scuola marxiana (nella quale i giudizi<br />

di valore sono espressamente considerati).<br />

Le conclusioni sono presentate nel paragrafo 5.5.<br />

5.1. L’ordine come valore assoluto<br />

Nella teoria austriaca si rigetta fermamente la possibilità di introdurre giudizi di<br />

valore.<br />

« It should be clear that economics by itself cannot establish an ethical position ». 246<br />

Il tentativo della teoria austriaca di evitare giudizi di valore si realizza<br />

nell’innalzamento della nozione di coordinamento ad un principio normativo<br />

assoluto:<br />

« Modern Austrians have converged on the notion of coordination as the key to<br />

normative discussion ». 247<br />

246 Rothbard (1956, p. 243).<br />

247 Kirzner (1987, p. 11), enfasi in originale.<br />

142


Si ricorderà che la nozione austriaca di coordinamento non corrisponde alla<br />

nostra. Come abbiamo precisato nel capitolo 1, il coordinamento nella nostra<br />

accezione è un’attività intenzionale; nell’accezione austriaca la centralità<br />

normativa del coordinamento deriva invece dall’assenza di intenzionalità.<br />

All’espressione austriaca secondo cui il mercato coordina abbiamo dunque<br />

sostituito, nel nostro lavoro, l’espressione secondo cui nel processo di mercato si<br />

ha una tendenza all’ordine: il mercato non ha infatti una propria intenzionalità. Il<br />

concetto normativo chiave di cui parla Kirzner è dunque, nel nostro linguaggio,<br />

l’ordine.<br />

Una situazione d’ordine è una situazione in cui gli individui realizzano i<br />

propri piani. Il motivo per cui l’ordine rappresenta un criterio normativo neutrale<br />

rispetto ai giudizi di valore è che esso non richiede confronti interpersonali, bensì<br />

rispetta gli obiettivi individuali quali che essi siano. 248<br />

Analizziamo il significato dell’assunzione dell’ordine (o, a seconda dei casi,<br />

dell’equilibrio) come principio normativo unico.<br />

Notiamo in ciò una contraddizione di fondo (1) con il metodo di analisi del<br />

processo di mercato da parte della scuola austriaca e (2) con l’impegno normativo<br />

austriaco in favore del libero mercato.<br />

Primo, l’analisi austriaca del processo di mercato ha senso solo nella<br />

misura in cui l’equilibrio (o l’ordine perfetto) non sia raggiunto, altrimenti non si<br />

ha più il processo di mercato. Il processo di mercato è perciò, per definizione, un<br />

processo in cui gli agenti non realizzano i propri piani.<br />

Secondo, gli economisti austriaci insistono sull’importanza del processo,<br />

rispetto allo stato finale: se i piani venissero resi compatibili nel corso del<br />

processo di mercato, il processo finirebbe. Anche la valutazione normativa deve<br />

perciò riferirsi al processo, non allo stato finale.<br />

La contraddizione che vediamo sta allora nel fatto che una delle ipotesi<br />

centrali (non eliminabile) della teoria austriaca del processo di mercato è che gli<br />

individui agiscano in una situazione di assenza di ordine, eppure il sistema<br />

capitalista è considerato efficiente (o quanto meno desiderabile). Ma, se il criterio<br />

normativo è l’ordine, su che base si vorrebbe dimostrare la desiderabilità di un<br />

sistema che per ipotesi è considerato non ordinato?<br />

L’ipotesi secondo cui la situazione di ordine perfetto (nei termini austriaci, il<br />

coordinamento dei piani) non si realizzi impedisce agli economisti austriaci di<br />

argomentare coerentemente la desiderabilità del capitalismo.<br />

Tutto ciò che la teoria austriaca consente di ricavare è viceversa un<br />

giudizio negativo sulla struttura organizzativa capitalista: ammesso che il<br />

248 Kirzner (1976c, pp. 84-6), Kirzner (1973, pp. 212-42).<br />

143


funzionamento del sistema capitalista sia correttamente rappresentato dalla teoria<br />

austriaca del processo di mercato, il capitalismo è inefficiente.<br />

Ma, dato che la struttura organizzativa capitalista non è desiderabile, su<br />

che basi possiamo impostare il confronto con strutture organizzative diverse?<br />

Il concetto normativo di ordine non può esserci di aiuto, in quanto è<br />

incompatibile con i presupposti della teoria austriaca (nel framework austriaco, gli<br />

individui, almeno in parte, non realizzano i propri piani).<br />

Al di là della contraddizione interna dell’assunzione di un criterio<br />

normativo incompatibile con i principi caratterizzanti dell’analisi austriaca,<br />

rimane poi il problema che se accettiamo l’ordine come riferimento normativo, il<br />

campo d’applicazione normativa della teoria austriaca risulta estremamente<br />

ridotto, in quanto è sufficiente che un individuo non realizzi i propri piani a<br />

riproporre il problema del confronto interpersonale. E tale problema si presenta<br />

senz’altro se vale la rappresentazione austriaca del sistema di mercato come<br />

sistema in disequilibrio.<br />

L’unica via d’uscita sarebbe quella di misurare i gradi di disordine (o, se si<br />

preferisce, di scoordinamento).<br />

Il confronto tra strutture organizzative dovrebbe allora essere basato sulla misura<br />

degli scoordinamenti che si realizzano nel processo di mercato e nel processo di<br />

pianificazione. L’analisi di tali scoordinamenti non viene tuttavia sviluppata da<br />

parte degli autori austriaci.<br />

Si vede così come abbia ragione Hodgson (1988, p. 260) quando sostiene<br />

che Lavoie (1985b), nella sua ripresa del dibattito sulla pianificazione, si sia<br />

costruito un nemico di paglia, la cui aspirazione è quella della pianificazione<br />

perfetta, e l’abbia poi abbattuto argomentando l’impossibilità di realizzare un<br />

sistema perfettamente pianificato:<br />

« Clearly, Lavoie has erected a straw man to knock down with ease ». 249<br />

Se la nostra analisi è corretta, possiamo affermare che il metodo dell’uomo di<br />

paglia non sia una peculiarità dell’analisi di Lavoie, ma rappresenti il metodo<br />

implicito in tutta la critica austriaca alla pianificazione: l’attacco austriaco al<br />

socialismo concerne infatti solo il sistema di pianificazione perfetta; 250 la critica<br />

austriaca è basata sulla tesi secondo cui tale sistema non può realizzare situazioni<br />

249 Hodgson (1988, p. 260).<br />

250 L’impossibilità della pianificazione perfetta, come abbiamo già notato, è solo una delle<br />

conseguenze dell’impossibilità dei sistemi decisionali perfetti (in un contesto decisionale perfetto,<br />

qualsiasi struttura organizzativa presenta problemi di qualche tipo). La dimostrazione<br />

dell’impossibilità della pianificazione perfetta è allora un’argomentazione inutile per la causa dei<br />

sostenitori del mercato.<br />

144


di coordinamento pieno. 251 Il problema, però, è che nessun sistema realizza il<br />

coordinamento pieno.<br />

Ciò che gli austriaci dovrebbero dimostrare è invece che il processo di<br />

mercato permette di realizzare minori scoordinamenti del processo di<br />

pianificazione.<br />

Tale progetto è però impossibile, in quanto la misurazione degli<br />

scoordinamenti richiede giudizi di valore, confronti interpersonali o problemi<br />

espliciti di aggregazione delle preferenze: il problema della misura degli<br />

scoordinamenti pone questioni del tipo: quali sono gli agenti che non realizzano i<br />

propri piani? e in che misura non li realizzano?<br />

Tali questioni non possono avere risposta in un framework normativo<br />

basato sul criterio unico dell’ordine. Preso l’ordine come riferimento normativo, si<br />

pongono infatti almeno due problemi: (1) quello di precisare quali siano gli agenti<br />

i cui piani possono non realizzarsi senza che ciò implichi la non desiderabilità<br />

della struttura organizzativa (e, simmetricamente, quali siano invece gli agenti<br />

rispetto ai quali il non realizzarsi dei piani costituisce motivo di indesiderabilità<br />

dell’intera struttura organizzativa); (2) quello di fissare una misura critica della<br />

mancata realizzazione dei piani oltre la quale si stabilisce il passaggio dall’ordine<br />

al disordine. 252<br />

Tali problemi, è evidente, non possono essere affrontati, se non passando<br />

per l’introduzione di giudizi di valore e confronti interpersonali.<br />

Deduciamo allora, che non solo gli austriaci combattono contro un uomo<br />

di paglia, ma non hanno neanche gli strumenti per abbatterlo.<br />

La teoria austriaca è di fronte a un impasse: essa non può affermare la<br />

desiderabilità del mercato se non decide di misurare gli scoordinamenti.<br />

Il problema della misura degli scoordinamenti evidenzia un altro limite del<br />

framework austriaco: quello dell’assenza in esso del concetto di <strong>potere</strong><br />

<strong>economico</strong>.<br />

Misurare gli scoordinamenti porta infatti non soltanto ad affrontare il<br />

problema della derivazione di valori sociali a partire dai valori privati, ma anche<br />

ad analizzare i meccanismi attraverso i quali le incompatibilità tra i piani vengono<br />

risolte ex post, lasciando alcuni agenti completamente soddisfatti, altri meno, altri<br />

ancora, del tutto insoddisfatti.<br />

In un sistema di <strong>competizione</strong> è l’analisi ex ante del <strong>potere</strong> <strong>economico</strong> che<br />

ci permette di dire qualcosa sugli esiti della <strong>competizione</strong>. Gli scoordinamenti ex<br />

post non rappresentano altro che la nomina di vincitori e vinti.<br />

251 Peraltro, come abbiamo notato, una simile critica, non può essere sostenuta a partire dal<br />

framework austriaco in cui ha interesse il processo piuttosto che lo stato.<br />

252 Ai due problemi se ne può aggiungere un terzo consistente nello stabilire se la misura critica<br />

debba essere uguale per tutti o diversificata secondo determinate variabili.<br />

145


Il problema della misura degli scoordinamenti prevede allora come passo<br />

successivo l’analisi del <strong>potere</strong> <strong>economico</strong>. Tale analisi, come vedremo nel<br />

capitolo 9, evidenzia però la non neutralità del processo di mercato.<br />

Come vedremo nei prossimi paragrafi la scuola austriaca non tiene conto delle<br />

conseguenze dell’impasse in cui si trova. Nell’ambito della moderna scuola<br />

austriaca la scelta è quella di procedere ugualmente al confronto tra strutture<br />

organizzative nonostante l’inadeguato equipaggiamento per una simile<br />

operazione.<br />

Ciò che tenteremo di mostrare è che gli economisti austriaci, pur<br />

mantenendo formalmente una posizione di avversità nei confronti dei giudizi di<br />

valore, li utilizzino surrettiziamente nell’argomentare la desiderabilità del<br />

mercato.<br />

5.2. Il problema puro della conoscenza<br />

La nostra replica alla critica hayekiana basata sull’analisi della conoscenza si<br />

articola secondo le due possibili interpretazioni dell’opera di Hayek. Secondo lo<br />

scenario di incertezza soggettiva, la nostra tesi è che il confronto efficientistico tra<br />

strutture organizzative sia impossibile e che dunque l’attacco al socialismo sia<br />

incoerente. Lo scenario di incertezza oggettiva consente invece un confronto tra<br />

strutture organizzative; in tal caso sosteniamo che (1) il confronto non consente di<br />

stabilire la superiorità del capitalismo e (2) nel confronto gli economisti austriaci<br />

reintroducono surrettiziamente giudizi di valore.<br />

(1) SCENARIO DI INCERTEZZA OGGETTIVA. Nel capitolo 3 abbiamo visto come la<br />

radicalità dell’attacco austriaco al socialismo derivi dall’assolutezza e unicità del<br />

principio di <strong>competizione</strong> ex post come principio razionale.<br />

La critica di Richardson, discussa nel capitolo 4, ha messo in evidenza<br />

l’impossibilità generale del sistema di mercato di funzionare in assenza di<br />

meccanismi per l’eliminazione delle incompatibilità tra i piani che operino ex<br />

ante.<br />

L’argomento utilizzato per dimostrare l’inefficienza del sistema socialista<br />

(la soppressione, almeno parziale, del principio di <strong>competizione</strong> ex post) implica<br />

dunque l’inefficienza anche del sistema capitalista.<br />

Il problema di misurare il grado di inefficienza non può peraltro essere<br />

discusso in base all’apparato analitico austriaco. Tale operazione richiede la<br />

definizione di un sistema efficiente (che sia al tempo stesso realizzabile) e che, a<br />

tale sistema, siano rapportati tutti gli altri, a fini comparativi. La definizione<br />

austriaca di un sistema efficiente come un sistema di pura <strong>competizione</strong> ex post<br />

146


non è però operativa (la critica di Richardson ha evidenziato come tale sistema sia<br />

soggetto a problemi ineliminabili in fase di investimento, tali addirittura da<br />

paralizzare l’attività produttiva). Non esiste dunque nessuna situazione ideale<br />

operativa cui rapportarsi per misurare l’inefficienza.<br />

L’analisi di Hayek e Kirzner si basa inoltre sull’ipotesi implicita di stabilità<br />

dell’EEG. 253 Hayek e Kirzner suppongono dunque che il sistema dei prezzi<br />

fornisca i segnali giusti (necessari alla convergenza all’equilibrio) anche fuori<br />

dall’equilibrio, il che equivale ad assumere il problema degli incentivi come<br />

risolto.<br />

Se si accetta tale ipotesi si ha però che anche la procedura Lange-Lerner<br />

funziona: si ricorderà che i problemi della procedura Lange-Lerner erano originati<br />

dalla presenza di tempo storico la quale implicava il realizzarsi di transazioni a<br />

falsi segnali.<br />

Il problema di Hayek-Kirzner di assumere le condizioni di stabilità<br />

dell’EEG è dunque del tutto analogo al problema di Lange-Lerner di assumere che<br />

i falsi segnali non impediscano la continua convergenza all’ottimo. La replica di<br />

Lange-Lerner alla critica di Hayek è dunque coerente ed efficace.<br />

Se poi il sistema capitalista à la EEG e il sistema socialista à la Lange-<br />

Lerner convergono all’equilibrio in modo così veloce da potersi assumere, in<br />

realtà, il continuo realizzarsi di situazioni d’equilibrio, valgono le conclusioni<br />

raggiunte nel capitolo 2 a proposito dell’analisi del contesto decisionale perfetto: i<br />

due sistemi conducono alla stessa soluzione a patto che si eliminino per ipotesi i<br />

casi di fallimento del mercato dal primo e i problemi di aggregazione delle<br />

preferenze dal secondo; negli altri casi i due sistemi sono incomparabili.<br />

L’unico elemento originale e, al tempo stesso, il punto di forza<br />

dell’argomentazione hayekiana sarebbe allora quello del carattere tacito della<br />

conoscenza. Una simile argomentazione si basa sul concetto di equilibrio e<br />

assume implicitamente che l’equilibrio individuale esista, ma che l’individuo non<br />

ne sia pienamente cosciente e debba dunque scoprire i propri dati soggettivi.<br />

Tale argomento è sviluppato nella teoria dell’errore di Kirzner. La teoria<br />

dell’errore di Kirzner rimane tuttavia soggetta alle tre critiche che abbiamo<br />

considerato (Richardson, stabilità dell’EEG e dinamica solo formale). Essa non<br />

consente dunque di dimostrare alcuna proprietà di desiderabilità del sistema<br />

capitalista.<br />

Concludendo, secondo lo scenario di incertezza oggettiva, la superiorità<br />

informativa del sistema di mezzi di produzione privati non può essere sostenuta.<br />

253 Trattasi evidentemente di un’ipotesi, dati gli scoraggianti risultati ottenuti della scuola<br />

neoclassica nel tentativo di dimostrare, sotto condizioni generali, la stabilità dell’equilibrio<br />

<strong>economico</strong> generale.<br />

147


(2) SCENARIO DI INCERTEZZA SOGGETTIVA. Come si è visto nel capitolo 4, lo<br />

scenario di incertezza soggettiva porta a spostare l’attenzione dai fenomeni di<br />

scoperta a quelli di creazione. Ciò rende il confronto efficientistico tra strutture<br />

organizzative impossibile.<br />

L’analisi della creazione si basa sull’assunzione che il set informativo sia<br />

endogenamente aperto e che i suoi cambiamenti siano path dependent. Questo<br />

significa che i decisori di strutture organizzative diverse creano (a meno di casi<br />

particolari e fortuiti) set informativi diversi, il che impedisce di operare confronti<br />

sulla base di un set comune predefinito (o di una dinamica predefinita del set<br />

informativo). L’impossibilità di operare confronti rende incoerente l’attacco<br />

austriaco al socialismo.<br />

5.3. Incentivi e conoscenza<br />

Nel ridefinire il problema conoscitivo in modo da includervi il problema degli<br />

incentivi distinguiamo due problemi della conoscenza.<br />

Definiamo l’insieme delle conoscenze a disposizione di una struttura<br />

organizzativa come l’insieme unione delle conoscenze dei suoi singoli decisori.<br />

Dal punto di vista del disegno di una struttura organizzativa, un primo problema è<br />

quello di espandere il più possibile il set delle conoscenze della struttura<br />

organizzativa. Un secondo problema è determinato dal modo in cui nella struttura<br />

organizzativa le conoscenze individuali vengono assemblate, fatte interagire e<br />

sfruttate. I due problemi sono ovviamente interrelati ed è su entrambi che si<br />

manifesta la questione degli incentivi.<br />

L’argomentazione austriaca della desiderabilità del sistema di mercato<br />

considera (correttamente) ambedue i problemi della conoscenza. Nell’esprimere la<br />

valutazione efficientistica delle diverse strutture organizzative, la teoria austriaca<br />

si concentra però esclusivamente sul primo problema. L’espansione del set<br />

informativo diviene così l’unico criterio di valutazione delle strutture<br />

organizzative. Ciò che intendiamo dimostrare è che tale criterio equivale<br />

all’introduzione di giudizi di valore nell’analisi delle strutture organizzative. 254<br />

254 Il fatto che l’espansione del set informativo implichi l’entrata in scena dei giudizi di valore è un<br />

altro modo di vedere il problema discusso nel paragrafo 5.1 secondo il quale i giudizi di valore<br />

sono chiamati in causa dalla necessità di misurare gli scoordinamenti. Il collegamento tra i due<br />

modi di vedere il problema dell’introduzione dei giudizi di valore sta nel fatto che se il processo di<br />

mercato conduce all’ordine (secondo la teoria austriaca) è perché gli individui scoprono il set<br />

informativo. La corrispondenza tra i due angoli di lettura può essere precisata come segue:<br />

148


Vediamo perché la scuola austriaca è portata ad introdurre come criterio<br />

valutativo l’espansione del set informativo.<br />

Nell’approccio metodologico individualista, l’individuo conserva la sua<br />

essenza e la sua natura indipendentemente dalla forma in cui si realizzano le<br />

interazioni con gli altri individui (l’individuo è cioè indipendente dalla struttura<br />

organizzativa). Secondo la teoria austriaca, dunque, le preferenze individuali non<br />

sono influenzate dalla struttura organizzativa ma dipendono unicamente dal<br />

singolo decisore: uno stesso decisore avrebbe le stesse preferenze (e<br />

perseguirebbe gli stessi obiettivi) sia che vivesse in un sistema pianificato, sia che<br />

vivesse in un sistema di mercato.<br />

L’indipendenza dell’individuo dalla struttura organizzativa, oltre che<br />

conseguenza di una scelta metodologica, è necessaria a sviluppare il confronto tra<br />

strutture organizzative in termini puramente efficientistici. In un approccio<br />

efficientistico, la struttura organizzativa deve essere valutata in base alla capacità<br />

di permettere l’ottimizzazione degli obiettivi 255 degli individui che vi partecipano;<br />

se la definizione degli obiettivi di un individuo venisse a dipendere dalla struttura<br />

organizzativa in cui questi opera, il problema della struttura organizzativa ottima<br />

(o del confronto tra strutture organizzative) risulterebbe mal definito: la<br />

valutazione di una struttura organizzativa dipenderebbe dagli obiettivi degli<br />

agenti, ma tali obiettivi dipenderebbero a loro volta dalla struttura<br />

organizzativa. 256<br />

L’individualismo metodologico e il tentativo di sviluppare confronti in<br />

termini di pura efficienza sono due ragioni che portano gli economisti austriaci a<br />

negare qualsiasi influenza della struttura organizzativa sull’individuo.<br />

Il confronto tra strutture organizzative viene allora impostato in base allo<br />

spazio che una struttura organizzativa lascia ai singoli individui per realizzare i<br />

propri obiettivi.<br />

Il collegamento tra realizzazione degli obiettivi individuali e espansione<br />

del set informativo è rappresentato dal fatto che la realizzazione degli obiettivi dei<br />

vari individui necessita di processi di scoperta e di creazione del set informativo.<br />

-l’ipotesi di ordine corrisponde all’ipotesi in cui i processi di scoperta (e creazione) del set<br />

informativo si siano esauriti e il set informativo è dunque «ottimizzato»; in tale stato non c’è<br />

bisogno di introdurre giudizi di valore;<br />

-nel processo durante il quale il set informativo viene scoperto (o creato) invece non c’è<br />

ordine; per esprimere valutazioni su tale processo sono necessari i giudizi di valore e confronti<br />

interpersonali.<br />

255 In realtà, si potrebbe sostenere che una struttura organizzativa dovrebbe essere valutata<br />

innanzitutto in base alla capacità di soddisfare i bisogni (oggettivi) -piuttosto che le preferenze<br />

(soggettive)- dei suoi decisori.<br />

256 La dipendenza dell’individuo dalla struttura organizzativa non creerebbe problemi se si<br />

definisse il problema del confronto tra strutture organizzative in termini di valori imposti<br />

dall’analista.<br />

149


Affinché in un contesto in continuo cambiamento sia possibile migliorare (o non<br />

peggiorare) il grado di realizzazione degli obiettivi individuali è necessario<br />

espandere il più possibile il set informativo (quanto meno la parte di esso<br />

conosciuta dai decisori), ed è qui che diviene rilevante il problema degli incentivi.<br />

Disegnare un sistema di incentivi efficiente significa definire dei meccanismi che<br />

consentano ai decisori di realizzare adeguatamente i propri processi conoscitivi.<br />

L’ipotesi che una struttura organizzativa sia preferibile ad un’altra se in<br />

essa le idee di creazione e i processi di scoperta possono realizzarsi senza vincoli<br />

(o con minori vincoli) porta a concludere che la struttura organizzativa<br />

desiderabile sia quella in cui gli agenti abbiano tutti la possibilità di realizzare le<br />

loro idee e di sviluppare pienamente i propri processi di scoperta. In parole<br />

povere, ciò significa che agli agenti che scoprono o inventano dovrebbero essere<br />

assegnate sufficienti risorse economiche per realizzare le loro (innate) capacità.<br />

È grazie a tale principio che i meccanismi del sistema di mercato appaiono<br />

estremamente attraenti: essi infatti permettono il trasferimento delle risorse dai<br />

meno capaci ai più capaci (o, nei termini kirzneriani, dai meno vigili ai più<br />

vigili). 257 La desiderabilità del sistema di mercato deriverebbe allora dal fatto che<br />

i suoi meccanismi rappresentano un sistema di incentivi efficiente rispetto al<br />

problema conoscitivo.<br />

La nostra idea è che il trasferimento delle risorse ai più capaci come<br />

condizione di desiderabilità di una struttura organizzativa contraddice l’ipotesi di<br />

neutralità rispetto ai giudizi di valore, anche nelle ipotesi più favorevoli alla teoria<br />

austriaca. Trascuriamo infatti per un attimo il problema che l’esistenza del <strong>potere</strong><br />

<strong>economico</strong> potrebbe impedire (o, quanto meno, ostacolare) il fluido operare del<br />

trasferimento di risorse ai più capaci. Assumiamo invece che il meccanismo di<br />

mercato descritto dalla teoria austriaca funzioni senza problemi e analizziamo il<br />

ragionamento in base al quale, da tale teoria, si deduce la desiderabilità del<br />

mercato.<br />

Si tenga presente che condizione necessaria al funzionamento del sistema<br />

di incentivi del mercato è che gli individui abbiano diritto esclusivo a godere dei<br />

benefici delle proprie attività di scoperta e creazione.<br />

Ma allora, se assumiamo che le risorse di cui i decisori hanno bisogno per<br />

realizzare i propri processi conoscitivi sono scarse, 258 si deve introdurre un criterio<br />

di ripartizione. La ripartizione delle risorse in base alle capacità degli agenti<br />

assume, a nostro parere, il carattere di un vero e proprio giudizio di valore se<br />

257 Si noti che l’individualismo metodologico impedisce di investigare le ragioni della<br />

distribuzione iniziale delle capacità degli individui. Il fatto che un individuo sia più capace di un<br />

altro è un dato; la sua analisi esce dal campo di indagine degli economisti aderenti<br />

all’individualismo metodologico.<br />

258 Se d’altra parte le risorse fossero abbondanti, non si porrebbe nemmeno il problema della<br />

struttura organizzativa e noi, in quanto economisti, saremmo disoccupati.<br />

150


collocata nell’ambito di una teoria (quale quella austriaca) in cui si afferma<br />

l’inseparabilità dei processi di produzione e distribuzione: tale giudizio di valore<br />

afferma che chi è più capace deve avere diritto a maggiori godimenti.<br />

L’efficienza del sistema di incentivi capitalistici richiede l’assenza di interferenze<br />

sugli effetti benefici che gli individui traggono dall’agire nella direzione indicata<br />

dagli incentivi. L’interdipendenza produzione-distribuzione esclude che si<br />

possano separare i discorsi (1) delle dimensioni della torta e (2) della ripartizione<br />

della torta: un intervento sui criteri di ripartizione modifica infatti il sistema di<br />

incentivi che determina la dimensione della torta.<br />

Come osserva Rothbard, non esiste un processo di distribuzione distinto<br />

dal processo di produzione e scambio:<br />

« There is no dis tributional process apart from the production and exchange<br />

processes of the market; hence the very concept of “distribution” becomes<br />

meaningless in the free market ». 259<br />

La valutazione efficientistica delle strutture organizzative secondo l’analisi<br />

simultanea del problema della conoscenza (inteso come espansione del set<br />

informativo) e del problema degli incentivi porta allora a definire come obiettivo<br />

sociale quello di una grande torta; ciò implica che come criterio normativo<br />

debbano essere privilegiati quegli individui che siano in grado di dare il maggior<br />

contributo alla torta. Come effetto secondario tali individui saranno anche coloro<br />

che avranno diritto a mangiare la torta.<br />

5.4. I giudizi di valore e la riapertura del dibattito sulla<br />

pianificazione<br />

La teoria austriaca presenta, a nostro avviso, una forte connotazione ideologica e<br />

ciò si manifesta proprio nella trattazione della questione dei giudizi di valore. 260<br />

Ciò non rappresenta, dal nostro punto di vista, un problema. Crediamo infatti che i<br />

giudizi di valore, se esplicitamente trattati, possano a pieno titolo essere utilizzati<br />

nel confronto tra strutture organizzative.<br />

Sul piano metodologico, l’analisi dei problemi degli incentivi e della<br />

conoscenza conduce ad un risultato contraddittorio rispetto alla posizione di<br />

neutralità etica della scuola austriaca. Tale analisi suggerisce (pur<br />

nell’impossibilità di dimostrarne la fondatezza) come criterio di desiderabilità di<br />

259 Rothbard (1956, p. 251).<br />

260 Gloria et Palermo (1997).<br />

151


una struttura organizzativa quello che le risorse siano assegnate agli agenti più<br />

capaci. Un simile criterio di assegnazione delle risorse, per via<br />

dell’interdipendenza di produzione e distribuzione, risulta tuttavia non neutrale.<br />

Esso incorpora un giudizio di valore forte e controintuitivo: perché mai chi è<br />

capace dovrebbe avere più risorse per perseguire i suoi propri interessi? Si<br />

potrebbe ad esempio sostenere -sulla base di un diverso sistema di valori- che<br />

occorrerebbe fare avere di più a chi è incapace. 261 Ne seguirebbe, sotto le ipotesi<br />

austriache, che non è vero che sia meglio avere una grande torta. Ma ciò non<br />

farebbe che provare -al di là dell’apparente ovvietà- che l’idea che sia opportuno<br />

avere una grande torta sia un giudizio di valore.<br />

Si aggiunga anche che nel sistema capitalista la partecipazione al processo<br />

sociale di produzione, rappresenta un diritto, ma non un dovere (come nello Stato<br />

comunista); ciò significa che coloro i quali non siano in condizioni di bisogno<br />

sono esonerati di fatto dalle fatiche del lavoro.<br />

Se Marx e Engels, nella « Critica al Programma di Gotha » 262 ,<br />

affermavano « da ognuno secondo le sue capacità, a ciascuno secondo i suoi<br />

bisogni », il motto austriaco (ovviamente non esplicitato) diviene « da ognuno<br />

secondo i suoi bisogni, a ciascuno secondo le sue capacità ». 263<br />

Non è nostro obiettivo sviluppare un confronto sistematico tra sistemi di<br />

valori. Ci è sufficiente notare che se il confronto tra strutture organizzative non<br />

può fare a meno dei giudizi di valore, il problema andrebbe discusso<br />

esplicitamente.<br />

Tornando al dibattito sulla pianificazione, notiamo come il problema dei valori<br />

abbia segnato la discussione sin dall’inizio.<br />

L’attacco austriaco al socialismo ha insistentemente posto il problema del<br />

sistema di valori di mercato come l’unico sistema di valori razionale. Tale<br />

proposizione è stata sostanzialmente accettata anche dai market socialist.<br />

Ciò, a nostro giudizio, dimostra la distanza metodologica, oltre che<br />

ideologica, tra market socialist e marxismo. Austriaci e market socialist hanno<br />

insistito sul fatto che i tentativi di pianificare dovrebbero partire necessariamente<br />

dal sistema dei prezzi di mercato e, una volta soppresso il mercato, tentare di<br />

riprodurre la soluzione che troverebbe il mercato al cambiare dei dati che<br />

261<br />

Ad esempio perché un incapace potrebbe avere bisogno di più risorse per soddisfare i propri<br />

bisogni.<br />

262<br />

Marx und Engels (1878).<br />

263<br />

L’introduzione del suddetto sistema di valori non è peraltro sufficiente a conferire validità allo<br />

schema austriaco in quanto il <strong>potere</strong> <strong>economico</strong> (non considerato nello schema austriaco) potrebbe<br />

ostacolare il trasferimento delle risorse ai più capaci. Se così fosse, i valori su cui si fonda la tesi<br />

austriaca della desiderabilità della struttura organizzativa capitalistica dovrebbero essere<br />

modificati: non più « a ciascuno secondo le sue capacità », bensì « a ciascuno secondo la sua<br />

capacità e il suo <strong>potere</strong> ».<br />

152


definiscono l’equilibrio. 264 Il problema che non è stato colto è che se nella teoria<br />

marxista la pianificazione socialista viene proposta come soluzione alternativa e<br />

superiore al mercato è perché si rigetta (1) l’assetto distributivo capitalistico e (2)<br />

il sistema di valori sociali che scaturisce dall’aggregazione delle preferenze<br />

individuali attraverso il processo di mercato. 265<br />

L’impostazione del dibattito sulla pianificazione lungo linee estranee al<br />

problema dei giudizi di valore è dunque necessariamente estranea ai principi<br />

socialisti. Negare i problemi dei giudizi di valore e della distribuzione significa<br />

negare le basi sulle quali si è sviluppato il progetto di una società superiore a<br />

quella capitalista. Lo stesso Hayek riconosce che il problema del socialismo non<br />

può essere confinato ad una trattazione meramente tecnica:<br />

« Contro tutte queste osservazioni sta il vantaggio che sarebbe possibile migliorare<br />

la posizione relativa della classe lavoratrice passandole una parte dei redditi della<br />

terra e del capitale. È questo, in fin dei conti, lo scopo principale del socialismo ». 266<br />

La risposta dei market socialist all’attacco austriaco può allora considerarsi<br />

efficace sul piano tecnico ma inefficace sul piano politico, in quanto implicante<br />

l’accettazione della logica efficientistica.<br />

In questo modo si vede come sebbene il dibattito sulla pianificazione si sia<br />

sviluppato lungo due traiettorie divergenti, l’una neoclassica, l’altra austriaca,<br />

esso ha, nonostante ciò, portato alla precisazione di due differenti metodi di<br />

confronto tra strutture organizzative. Tali metodi, come abbiamo visto, si rivelano<br />

in realtà incompatibili in quanto si sviluppano su contesti decisionali non<br />

omogenei.<br />

Nonostante ciò, il dibattito ha potuto aver luogo grazie al fatto di vedere a<br />

confronto scuole accomunate dallo stesso interesse efficientistico: l’indipendenza<br />

dell’individuo dalla struttura organizzativa e l’enfasi sul problema di efficienza<br />

sono caratteristiche che i market socialist non hanno avuto difficoltà ad accettare,<br />

data l’impostazione metodologica neoclassica.<br />

Viceversa l’incapacità degli economisti austriaci di replicare alle tesi degli<br />

economisti della scuola sovietica è la necessaria conseguenza dell’attaccamento<br />

ad un approccio efficientistico dei primi, esplicitamente rigettato nelle analisi dei<br />

secondi. 267<br />

L’inferiorità del modo di produzione capitalista rispetto a quello socialista<br />

deriva, secondo gli economisti marxisti, dall’analisi della necessaria<br />

264 Cf. Mises (1920), Lange (1936, 1937), Lange and Taylor (1938).<br />

265 Bruno (1986, p. 146) evidenzia come l’abitudine di considerare rilevanti ai fini del « valore » la<br />

sola disponibilità di risorse derivi dal fatto, storicamente circoscritto, che il mercato è, nelle nostre<br />

società, la sede principale in cui si forma la nostra cultura del valore.<br />

266 Hayek (1935c, [1946, p. 228]).<br />

267 La presente interpretazione storico-analitica del dibattito sulla pianificazione è presentata in<br />

Palermo (1997).<br />

153


interdipendenza tra processo di produzione e processo di distribuzione. Tale<br />

interdipendenza implica che il tentativo austriaco di definire il concetto di<br />

efficienza di una struttura organizzativa in base ai sistemi di incentivi per la<br />

risoluzione del problema conoscitivo sia contraddittorio.<br />

Come abbiamo accennato nel capitolo 3, la scuola marxiana sostiene<br />

infatti che il sistema di incentivi del sistema capitalista implichi (a causa<br />

dell’inseparabilità nel capitalismo dei processi di produzione e distribuzione)<br />

l’assoggettamento dei valori sociali agli interessi privati. Secondo l’impostazione<br />

marxiana la caratteristica del sistema capitalista di privilegiare gli interessi privati<br />

rispetto agli obiettivi sociali deve considerarsi in sé un giudizio di valore. Tale<br />

giudizio di valore assume caratteri radicali nella scuola austriaca, la quale rifiuta<br />

del tutto la possibilità di definire obiettivi sociali diversi dalla libertà di perseguire<br />

i propri interessi individuali. Il rifiuto di tale giudizio di valore è parte integrante<br />

dell’argomentazione marxiana della superiorità del comunismo.<br />

In più l’impostazione marxiana rifiuta l’indipendenza dell’individuo dalla<br />

struttura organizzativa e da tale rifiuto trae un ulteriore argomento contro il modo<br />

di produzione capitalista: l’interagire competitivo nel capitalismo genera infatti<br />

nell’individuo valori individualistici opposti e inferiori su un piano etico a quelli<br />

solidaristici espliciti nel comunismo.<br />

Una corretta riapertura del dibattito sulla pianificazione dovrebbe, a nostro<br />

giudizio, affrontare esplicitamente il problema dei giudizi di valore ed il<br />

problema, ad esso legato, della distribuzione. I risultati finora raggiunti<br />

dimostrano l’impossibilità di operare confronti puramente efficientistici. Il<br />

tentativo di sviluppare l’analisi astraendo dal problema dei giudizi di valore è<br />

costato alla scuola austriaca la sconfitta in quella che definiscono la più<br />

importante controversia di economia comparata.<br />

L’idea di una possibile sintesi tra gli argomenti austriaci e le tesi marxiste<br />

circa l’operare del processo di mercato e del processo di pianificazione deve a<br />

nostro giudizio passare per un confronto aperto sul problema dei giudizi di valore.<br />

Secondo la nostra impostazione, la ripresa del dibattito sulla pianificazione<br />

(se mai esso si sia chiuso) dovrebbe partire dall’analisi dell’interazione dei<br />

principi di coordinamento e <strong>competizione</strong> (filtrati ovviamente dal <strong>potere</strong><br />

<strong>economico</strong>) e dei loro effetti sulla distribuzione oltre che sulla produzione.<br />

Il fatto che la teoria austriaca non consenta di dimostrare né l’impossibilità del<br />

socialismo, né la desiderabilità del capitalismo, non toglie che essa contenga<br />

elementi interessanti a proposito dell’analisi della convergenza del processo di<br />

mercato. L’analisi austriaca ha bisogno però di essere completata e corretta e,<br />

soprattutto, inserita in un framework adeguato.<br />

Interpretata nei termini dello schema di formulazione dei piani che<br />

abbiamo proposto, l’analisi di Hayek e Kirzner si concentra unicamente sugli<br />

154


effetti del processo di mercato sull’informazione. Ciò fa venir meno i tratti di<br />

originalità dell’analisi hayekiana della conoscenza. Nonostante ciò l’analisi<br />

austriaca delle interrelazioni tra processo di mercato e conoscenza potrebbero<br />

essere recuperate purché inserite in uno schema d’analisi più completo. Il nostro<br />

schema basato su informazione, modelli interpretativi e immaginazione intende<br />

essere una proposta in tale direzione.<br />

Infine, una breve nota sull’importanza della riapertura del dibattito sulla<br />

pianificazione nell’ambito della scuola austriaca moderna.<br />

Kirzner insiste a voler riaprire il dibattito sulla pianificazione. 268 La<br />

posizione di Kirzner non è tuttavia sostenibile in quanto si basa sull’efficienza del<br />

mercato come verità empirica.<br />

« Markets do work. They work so obviously well that our scientific curiosity is<br />

aroused to seek understanding of the counter-intuitive phenomenon of this<br />

success ». 269<br />

« As an empirical matter, (...), opportunities do tend to be perceived and exploited.<br />

And it is on this observed tendency that our belief in a determinate market process is<br />

founded ». 270<br />

Impostare il confronto tra strutture organizzative a partire dall’ipotesi che una di<br />

queste funzioni significa ipotizzare la soluzione, non dimostrarla. La riapertura del<br />

dibattito sulla pianificazione secondo il metodo di Kirzner equivale a reimpostare<br />

il problema in modo che sia impossibile risolverlo.<br />

5.5. Conclusioni<br />

L’attacco austriaco alla razionalità della pianificazione e del socialismo presenta<br />

argomentazioni contraddittorie.<br />

L’argomentazione austriaca della desiderabilità della struttura organizzativa di<br />

mercato utilizza implicitamente giudizi di valore. L’introduzione di giudizi di<br />

valore è un passo necessario affinché la teoria austriaca possa stabilire dei risultati<br />

normativi nel confronto tra strutture organizzative.<br />

I giudizi di valore austriaci possono essere esplicitati nel seguente motto<br />

anticomunista: da ognuno secondo i suoi bisogni, a ciascuno secondo le sue<br />

capacità.<br />

268 Kirzner (1987).<br />

269 Kirzner (1992, p. 60).<br />

270 Kirzner (1976a, p. 121).<br />

155


156


TERZA PARTE<br />

I rapporti tra Stato, impresa e mercato<br />

nella teoria neoistituzionalista<br />

157


6<br />

LA TEORIA NEOISTITUZIONALISTA<br />

DELL’IMPRESA<br />

Since costs must be incurred to monitor each other, each input owner will have more incentive<br />

to shirk when he works as part of a team, than if his performance could be monitored.<br />

Alchian e Demsetz (1972)<br />

Someone must have told you that if you work too hard you can sweat.<br />

The Stranglers (1986)<br />

Il problema di spiegare economicamente l’impresa è uno dei temi centrali della<br />

teoria neoistituzionalista. 271<br />

Il punto di partenza di tale teoria è l’analisi di un sistema astratto basato<br />

unicamente sul mercato. 272 Tale sistema teorico può essere identificato, in prima<br />

approssimazione, col modello di EEG con la differenza di fondo che in esso si<br />

considera esplicitamente la costosità delle transazioni. 273 A partire da tale<br />

rappresentazione del sistema <strong>economico</strong> ci si domanda: sotto quali condizioni<br />

risulta vantaggioso organizzare la produzione in un’organizzazione distinta<br />

rispetto al mercato? La risposta che si individua è: in tutti quei casi in cui tale<br />

organizzazione alternativa permette di economizzare sui costi di transazione.<br />

271 La teoria neoistituzionalista è definita da Williamson (1985) come comprendente la teoria dei<br />

costi di transazione originata da Coase (1937) e la teoria dei diritti di proprietà originata da Coase<br />

(1960).<br />

272 Tale impostazione metodologica è largamente diffusa, ma non unanime. In particolare, come<br />

vedremo, se ne discosta Coase (1937); essa è invece esplicita in Williamson: « In the beginning<br />

there were markets ». Williamson (1975, p. 20).<br />

273 Come vedremo, nell’opera di alcuni autori della scuola neoistituzionalista, la costosità delle<br />

transazioni non è la sola imperfezione, rispetto al contesto decisionale perfetto.<br />

158


L’uscita dal contesto decisionale perfetto, nel quadro della teoria<br />

neoistituzionalista, avviene ponendone in discussione tre dimensioni<br />

fondamentali: informazione, dimensione legale e razionalità.<br />

Il primo passo in tale direzione è fatto risalire a Coase (1937), il quale<br />

analizza i costi informativi e la possibilità che lo Stato abbia un ruolo attivo nella<br />

distribuzione dei diritti di proprietà (6.1). 274 Negli sviluppi della teoria<br />

neoistituzionalista si possono distinguere due direzioni.<br />

Nella prima è la dimensione informativa ad essere maggiormente discussa.<br />

In tale direzione si collocano le teorie di Alchian e Demsetz (1972), Jensen e<br />

Meckling (1976), Cheung (1983) e Putterman (1995) le quali introducono nuovi<br />

elementi di complessità nel contesto decisionale, tutti riconducibili a problemi<br />

informativi (6.2).<br />

La seconda direzione fa capo a Williamson (1975, 1985). Essa si distingue<br />

qualitativamente dalla prima, in quanto, l’introduzione di nuovi elementi di<br />

complessità viene discussa contestualmente al modo in cui gli agenti si rapportano<br />

alla complessità stessa (6.3). 275<br />

Le due direzioni hanno implicazioni diverse nell’analisi dei rapporti tra<br />

impresa e mercato: mentre la dimensione informativa considerata isolatamente<br />

può essere integrata nello schema neoclassico, l’introduzione contestuale di<br />

razionalità limitata, problemi informativi e problemi legali rende la conciliabilità<br />

con lo schema neoclassico meno immediata. Ciò ha effetti rilevanti sul modo di<br />

caratterizzare l’impresa (6.4): l’integrabilità delle teorie del primo gruppo con lo<br />

schema neoclassico pone infatti un problema nella definizione dell’impresa come<br />

istituzione distinta e alternativa rispetto al mercato; tale problema non si pone<br />

invece per le teorie del secondo gruppo, le quali si basano su una distinzione netta<br />

tra impresa e mercato derivata dall’analisi della relazione di lavoro come<br />

relazione singolare rispetto alle tre dimensioni problematiche introdotte.<br />

Nel paragrafo 6.5 ci concentriamo su un problema di metodo: il tentativo<br />

della teoria neoistituzionalista di spiegare le istituzioni si sviluppa secondo il<br />

metodo statico comparato. La questione che solleviamo è se tale metodo sia<br />

sufficiente a supportare le tesi evolutive avanzate dalla scuola neoistituzionalista.<br />

Il problema dell’integrazione dello Stato come istituzione da porre accanto<br />

a mercato e imprese è discusso nel paragrafo 6.6.<br />

Il paragrafo 6.7 conclude il capitolo.<br />

274 Il problema dei diritti di proprietà, come è noto, viene approfondito da Coase nell’articolo del<br />

1960. Alcuni aspetti del problema sono comunque già presenti in Coase (1937). È a tali aspetti che<br />

ci si riferisce in questo paragrafo.<br />

275 La nostra distinzione tra i due filoni interni alla scuola neoistituzionalista si sovrappone (pur<br />

non coincidendo) alla distinzione tra approccio dei costi di transazione e approccio dei diritti di<br />

proprietà. Cf. Hart (1989), Moore (1992), Currie and Messori (1996).<br />

159


6.1. Il contributo di Coase<br />

L’obiettivo di Coase (1937) è di spiegare la natura dell’impresa nel contesto delle<br />

economie di mercato e di definire i confini di efficienza tra impresa e mercato. A<br />

tal fine Coase analizza i costi di funzionamento del sistema capitalistico (nei<br />

termini di Coase, i costi di utilizzo del meccanismo di prezzo 276 ).<br />

L’introduzione nel contesto decisionale dei costi di funzionamento del<br />

sistema avviene discutendo la dimensione « legale » e la « dimensione<br />

informativa ».<br />

L’individuazione di un contesto decisionale problematico nell’articolo di<br />

Coase è legata all’analisi di una particolare struttura organizzativa, quella delle<br />

economie capitalistiche, in cui il sistema di diritti di proprietà è prevalentemente<br />

(ma non completamente) di tipo privato.<br />

Nell’articolo di Coase si sovrappongono dunque due tipi di spiegazioni<br />

dell’impresa, uno legato ad una particolare immagine del contesto decisionale (in<br />

cui l’attività connessa alla garanzia dei diritti di proprietà è costosa e i problemi<br />

informativi sono non banali), l’altro legato all’analisi di una particolare struttura<br />

organizzativa definita su tale contesto (la struttura capitalistica basata su diritti di<br />

proprietà misti, prevalentemente privati).<br />

Vediamo in breve l’argomentazione di Coase.<br />

La principale ragione per l’istituzione dell’impresa è il costo di utilizzo del<br />

meccanismo di prezzo. 277 Con tale espressione Coase fa riferimento ai costi<br />

(valutati dal punto di vista dell’imprenditore) di utilizzo del sistema capitalistico,<br />

ossia ai costi che l’impresa deve sopportare per il fatto di operare in un’economia<br />

di mercato.<br />

Nelle parole di Coase, tali costi comprendono (1) i costi di trovare i prezzi<br />

rilevanti, (2) i costi di negoziazione e (3) i costi di stipulazione dei contratti. 278<br />

Essi dipendono dalle caratteristiche del contesto decisionale: il primo è legato alla<br />

dimensione informativa, il terzo alla dimensione legale, il secondo ad ambedue le<br />

dimensioni. 279<br />

Coase analizza poi un quarto tipo di costo in grado di spiegare l’impresa;<br />

si tratta di un costo legato alla particolare struttura organizzativa analizzata. Sono<br />

ancora i diritti di proprietà ad essere in gioco, ma questa volta per gli aspetti<br />

riguardanti la struttura organizzativa. L’esempio di Coase riguarda l’esistenza di<br />

276 Coase (1937, p. 390).<br />

277 Coase (1937, p. 390).<br />

278 Coase (1937, pp. 390-2). All’epoca dell’articolo « The Nature of the Firm » Coase aveva anche<br />

presente il problema dei costi dovuti a specificità, problema che verrà poi sviluppato da<br />

Williamson. Cf. Coase (1988a, [1991, pp. 45-6]).<br />

279 Cf. Fransman (1994, pp. 722-3).<br />

160


una regolamentazione che tassi le vendite sul mercato (si assume dunque un<br />

sistema a diritti di proprietà non completamente privati): tale regolamentazione,<br />

nelle parole di Coase, può rappresentare la raison d’être dell’impresa, in quanto<br />

all’interno dell’impresa le transazioni avvengono in modo implicito e non possono<br />

essere soggette a tassazione. 280<br />

L’analisi di Coase intende dunque dimostrare che, nel contesto delle economie di<br />

mercato, l’impresa rappresenta un’istituzione vantaggiosa sul piano contabile e<br />

efficiente sul piano <strong>economico</strong>. Non vi è alcun riferimento allo schema di EEG, né<br />

la visione del sistema <strong>economico</strong> risulta compatibile con tale schema: nell’analisi<br />

di Coase l’insieme delle istituzioni capitalistiche (ad esempio le istituzioni dello<br />

Stato) sono assunte per date e prese così come sono, nonostante il loro carattere<br />

imperfetto se considerate dal punto di vista del modello di EEG.<br />

Il problema che si affronta non è dunque di integrare l’impresa nello<br />

schema di EEG ma di capirne la natura nel quadro delle altre istituzioni<br />

capitalistiche.<br />

La teoria neoistituzionalista (in particolare, la teoria dei costi di transazione) si<br />

sviluppa su presupposti in parte diversi: l’obiettivo che prende forma è quello di<br />

un confronto efficientistico tra diverse strutture organizzative definite su uno<br />

stesso contesto decisionale. La natura dell’impresa deve dunque essere spiegata a<br />

partire dall’analisi di un particolare contesto decisionale nel quale una struttura<br />

organizzativa basata sull’impresa possa emergere e svilupparsi in forza della sua<br />

efficienza.<br />

Per una simile analisi, le argomentazioni di Coase relative ad una<br />

particolare struttura organizzativa non possono essere raccolte, pena la circolarità<br />

del ragionamento: la struttura organizzativa deve essere dedotta (tramite il<br />

principio di efficienza) e non può dunque essere assunta come ipotesi.<br />

Negli sviluppi della teoria neoistituzionalista il mercato acquisisce un significato<br />

astratto come categoria universale. Tale accezione del mercato gioca un ruolo<br />

importante nell’ambito della teoria neoistituzionalista: il disegno che prende<br />

forma nel progetto neoistituzionalista è quello di spiegare le istituzioni a partire da<br />

principi universali: uno di questi è appunto il mercato. 281 In tale ottica, il modello<br />

di EEG viene ad essere identificato con la struttura organizzativa naturale nel<br />

contesto decisionale perfetto e, a partire da tale assunzione viene affrontato il<br />

problema di come debba modificarsi la struttura organizzativa (ottima) quando si<br />

modifichi il contesto decisionale introducendovi delle imperfezioni.<br />

280 « (..) such a regulation would bring into existence firms which otherwise would have no raison<br />

d’être ». Coase (1937, p. 393), enfasi in originale.<br />

281 Il mercato assume dunque il ruolo di assioma e, per questo motivo, esso rappresenta l’unica<br />

istituzione a non dover essere spiegata. Cf. cap 7, par. 7.2.1.<br />

161


In tale processo, anche il problema della natura dell’impresa è venuto<br />

modificandosi: in Coase il problema era di spiegare l’impresa nel contesto delle<br />

economie capitalistiche; in seguito il problema è diventato di spiegare l’impresa in<br />

uno schema derivato dal modello di EEG.<br />

D’altra parte, anche l’esercizio concettuale di Coase non è esente da critiche: egli<br />

assume per data l’esistenza del complesso delle istituzioni del sistema capitalistico<br />

(tutte meno l’impresa) e, a partire da ciò, si propone di spiegare la natura<br />

dell’impresa. 282 Il problema è che un sistema capitalistico senza imprese non è un<br />

concetto molto significativo, né in senso storico, né in senso teorico. 283<br />

Dal punto di vista storico, è improbabile che, nel delinearsi dell’assetto<br />

istituzionale che Coase assume per dato le imprese non abbiano giocato alcun<br />

ruolo. Se dunque le categorie concettuali di Coase (mercato e impresa) sono<br />

categorie storiche, l’analisi di Coase è carente, in quanto non si sviluppa nessun<br />

tipo di considerazione evolutiva dell’interazione tra Stato, mercato e impresa,<br />

bensì si assumono per date le prime due istituzioni (definite in senso storico) per<br />

spiegare deduttivamente la terza. 284<br />

Se invece si tratta di un esercizio logico (ed è questa l’interpretazione che<br />

lo stesso Coase suggerisce) 285 , l’analisi di Coase è tautologica: egli cancella per<br />

un momento l’impresa dal contesto istituzionale e dimostra che un’organizzazione<br />

dalle caratteristiche dell’impresa si adatta bene a riempire tale vuoto istituzionale<br />

(il che non è molto sorprendente!).<br />

Dal nostro punto di vista il contributo di Coase alla teoria dell’impresa<br />

deve essere inteso in senso più modesto: Coase non offre alcuna risposta al<br />

problema della natura dell’impresa (né nel quadro delle altre istituzioni<br />

capitalistiche, né nell’ambito dello schema di EEG); più semplicemente egli<br />

risponde ad un quesito del tipo: preso per dato il sistema istituzionale, in quali<br />

circostanze risulta conveniente (per un imprenditore) fare un’impresa? 286<br />

Non si tratta dell’interrogativo di un economista in cerca di chiavi<br />

esplicative delle istituzioni capitalistiche, ma dell’interrogativo di un imprenditore<br />

in cerca di profitti.<br />

Rispetto all’analisi dei principi di <strong>competizione</strong> e coordinamento la teoria di<br />

Coase rappresenta invece un importante contributo: la caratteristica fondamentale<br />

282<br />

Nell’articolo del 1988, volto a chiarire e sviluppare il famoso articolo del 1937, Coase sviluppa<br />

esplicitamente un esercizio logico di questo tipo: « Let us start by assuming that we have an<br />

economic system without firms, difficult though it may be to conceive of such a thing ». Coase<br />

(1988a, [1991, p. 65]).<br />

283<br />

Da questo punto di vista sembra più coerente l’esercizio logico di partire da un contesto astratto<br />

e a-storico come l’EEG.<br />

284<br />

Coase (1988a, [1991, p. 65]).<br />

285<br />

Coase (1988a, [1991, pp. 65-7]).<br />

286<br />

« The main reason why it is profitable to establish a firm ... ». Coase (1937, p. 390).<br />

162


dell’impresa è quella di allocare le risorse in base a un meccanismo di<br />

coordinamento e comando estraneo rispetto al meccanismo di prezzo.<br />

Coase introduce dunque esplicitamente il principio di coordinamento<br />

accanto al principio competitivo (operante attraverso il meccanismo di prezzo). Il<br />

coordinamento all’interno dell’impresa avviene attraverso l’attività di direzione,<br />

da intendersi in senso simmetrico rispetto all’attività di mercato basata sul<br />

principio competitivo.<br />

L’impresa è dunque un’entità simmetrica rispetto al mercato. La linea di<br />

demarcazione tra impresa e mercato dipende dalla costosità dei due principi di<br />

coordinamento e <strong>competizione</strong> (ex ante): quando il meccanismo di prezzo è<br />

costoso conviene ricorrere al principio di coordinamento, il quale si realizza<br />

nell’attività di direzione svolta dal manager dell’impresa. 287<br />

La realizzazione del principio di coordinamento nella teoria di Coase opera<br />

attraverso un meccanismo autoritario, ossia attraverso l’esercizio del <strong>potere</strong><br />

<strong>economico</strong>. 288<br />

Nella teoria dell’impresa di Coase si individua dunque il principio di<br />

coordinamento come principio teorico alternativo al principio competitivo e si<br />

identifica l’operare di tale principio con l’esercizio del <strong>potere</strong> <strong>economico</strong>.<br />

6.2. La dimensione informativa<br />

I contributi fondamentali alla teoria dell’impresa e all’analisi dei rapporti tra<br />

impresa e mercato in cui si approfondisce la dimensione informativa del contesto<br />

decisionale sono quelli di Alchian e Demsetz, di Jensen e Meckling, di Cheung e<br />

di Putterman. 289<br />

287 « Within firms, these market transactions are eliminated and in place of the complicated market<br />

structure with exchange transactions is substituted the entrepreneur-coordinator who directs<br />

production ». Coase (1937, p. 388).<br />

288 « (..) the operation of a market costs something and by forming an organisation and allowing<br />

some authority (an “entrepreneur”) to direct the resources, certain marketing costs are saved ».<br />

Coase (1937, p. 392).<br />

289 Il fatto che un’importante linea di ricerca originata da Coase (1937) abbia sviluppato in<br />

particolare l’analisi della dimensione informativa è causa di interpretazioni riduttive del contributo<br />

dello stesso Coase. Fransman (1994, p. 723) a proposito di Coase (1937) osserva: « the availability<br />

and cost of information is a major determinant, from Coase point of view, of the existence of<br />

firms ». Al contrario, come abbiamo visto, la raison d’être dell’impresa legata al sistema fiscale<br />

non ha niente a che fare con l’asimmetria informativa, anzi si basa proprio sull’ipotesi che<br />

l’imprenditore goda di perfetta informazione sui costi di funzionamento del sistema capitalista.<br />

Peraltro neanche i costi di stipulazione dei contratti possono essere ricondotti a problemi<br />

informativi. In Coase (1937) è dunque evidente che la dimensione legale e la dimensione<br />

informativa, sono ciascuna singolarmente, sufficienti a fornire una spiegazione dell’impresa.<br />

163


Le teorie di questi autori sono per alcuni versi antagonistiche. Dal nostro<br />

punto di vista è però più interessante osservarne i caratteri di complementarità: in<br />

tal senso notiamo che lo scopo generale è quello di dimostrare l’efficienza delle<br />

istituzioni capitalistiche.<br />

Il contributo di Alchian e Demsetz consiste nel ricondurre tutte le relazioni<br />

del sistema <strong>economico</strong>, comprese le relazioni interne all’impresa, al principio<br />

competitivo. Il principio competitivo, come principio puro, non è inoltre<br />

influenzato da considerazioni circa il <strong>potere</strong> <strong>economico</strong> (6.2.1).<br />

La teoria di Alchian e Demsetz non è però sufficientemente generale agli<br />

occhi di Jensen e Meckling; questi propongono dunque una teoria più generale dei<br />

rapporti interni all’impresa basata sulla relazione principale-agente, la quale<br />

consente di spiegare una più vasta tipologia di imprese, mantenendo il principio<br />

competitivo come principio unico del sistema <strong>economico</strong> (6.2.2) .<br />

Cheung sviluppa ulteriormente l’idea dell’universalità del principio<br />

competitivo. La sola idea che l’impresa possa essere associata al principio di<br />

coordinamento (eventualmente affiancato dal concetto di <strong>potere</strong> <strong>economico</strong>) porta<br />

Cheung a rigettare l’esistenza stessa dell’impresa come categoria analitica<br />

rilevante (6.2.3).<br />

6.2.1. Il licenziamento del droghiere di Alchian e<br />

Demsetz<br />

L’analisi di Alchian e Demsetz (1972) si concentra sulla dimensione informativa<br />

del contesto decisionale. Essi considerano l’attività produttiva dell’impresa come<br />

il risultato della cooperazione tra diversi individui facenti parte di una squadra.<br />

La caratteristica essenziale della produzione di squadra è l’elemento<br />

cooperativo, il quale esclude la possibilità di individuare in modo chiaro il<br />

contributo dei singoli componenti della squadra. Si pone dunque il problema di<br />

stabilire la remunerazione delle varie attività e di impedire negligenze all’interno<br />

della squadra. 290<br />

La presenza di un problema informativo (l’impossibilità di osservare il<br />

contributo individuale alla produzione) dà dunque luogo ad un problema di<br />

monitoraggio. Il monitoraggio e il controllo sulle attività dei vari membri della<br />

squadra possono infatti impedire perdite di produttività derivanti da negligenze o<br />

comportamenti di free riding.<br />

Dall’ipotesi che il beneficio derivante dal monitoraggio sia maggiore dei<br />

costi da pagare per tale attività segue che vi sia un incentivo da parte dei membri<br />

290 Cf. anche Alchian (1987).<br />

164


della squadra per l’istituzione di un controllore. Tale incentivo comune fa sì che<br />

sia possibile stabilire un prezzo per l’attività di monitoraggio e che, per il<br />

principio di efficienza, il controllore sia effettivamente istituito.<br />

In questo modo Alchian e Demsetz riconducono tutte le relazioni interne<br />

all’impresa a relazioni di prezzo (regolate in maniera esclusiva secondo il<br />

principio competitivo). Il principio di coordinamento in tale ottica non è altro che<br />

un caso speciale del principio competitivo: il coordinatore rimane in carica solo<br />

fino a quando nessun altro componente della squadra riesca ad offrire un’attività<br />

di monitoraggio ugualmente efficiente e a minor costo.<br />

Anche le relazioni gerarchiche interne all’impresa sono spiegate attraverso<br />

il solo principio competitivo: chi non è soddisfatto della propria relazione<br />

contrattuale (gerarchica) può ricontrattare i termini del proprio rapporto di lavoro<br />

(sia in qualità di boss, sia in qualità di lavoratore) o altrimenti è libero di<br />

abbandonare l’impresa, esattamente come chi non è soddisfatto dei prodotti del<br />

droghiere è libero di « licenziarlo » e rivolgersi ad un altro:<br />

« It is common to see the firm characterized by the power to settle issues by fiat, by<br />

authority, or by disciplinary action superior to that available in the conventional<br />

market. This is delusion. The firm does not own all its inputs. It has no power of fait,<br />

no authority, no disciplinary action any different in the slightest degree from<br />

ordinary market contracting between any two people. I can “punish” you only by<br />

withholding future business or by seeking redress in the courts for any failure to<br />

honor our exchange agreement. That is exactly all that any employer can do. He can<br />

fire or sue, just as I can fire my grocer by stopping purchases from him or sue him<br />

for delivering faulty products ». 291<br />

Il meccanismo di coordinamento, sia all’interno, sia all’esterno dell’impresa è<br />

dunque sempre lo stesso: il meccanismo di prezzo (basato sul principio<br />

competitivo). La contrapposizione tra mercato e impresa, come luoghi enfatizzanti<br />

rispettivamente il principio di <strong>competizione</strong> ex ante e il principio di<br />

coordinamento (o addirittura l’assenza/presenza di relazioni autoritarie) è perciò,<br />

secondo Alchian e Demsetz, illusoria. Il principio di <strong>competizione</strong> ex ante è<br />

universale e opera tanto fuori quanto dentro l’impresa.<br />

L’universalità del principio di <strong>competizione</strong> ex ante implica che non<br />

esistano veri rapporti gerarchici nel sistema <strong>economico</strong>, né esistono relazioni<br />

autoritarie nei rapporti di lavoro: ognuna delle parti può uscire dal rapporto<br />

contrattuale, se insoddisfatta. 292<br />

291 Alchian and Demsetz (1972, p. 777).<br />

292 In termini marxiani, l’analisi di Alchian e Demsetz può essere formulata come un tentativo di<br />

negazione dell’autorità di comando, la quale, secondo Marx, è in opposizione all’autorità di<br />

concorrenza.<br />

165


Dal punto di vista dell’analisi dei principi di <strong>competizione</strong> e coordinamento, la<br />

teoria di Alchian e Demsetz rappresenta un efficace passo avanti lungo<br />

l’impostazione di Arrow-Debreu.<br />

La teoria di Arrow-Debreu riusciva a ricondurre l’efficienza del sistema di<br />

mercato al solo principio di <strong>competizione</strong> ex ante (da intendersi nel senso<br />

limitativo evidenziato nel capitolo 2); essa tuttavia non riusciva a spiegare le<br />

imprese. L’analisi di Coase permette di spiegare le imprese introducendo il<br />

principio di coordinamento e chiamando in causa l’esistenza di relazioni<br />

autoritarie all’interno dell’impresa. Alchian e Demsetz riescono a spiegare le<br />

imprese senza dover abbandonare l’universalità e l’unicità del principio di<br />

<strong>competizione</strong> ex ante e senza dover fare concessioni in tema di autorità.<br />

Il principio di <strong>competizione</strong> ex ante rappresenta nuovamente l’unico<br />

fondamento <strong>economico</strong> di un sistema efficiente e non autoritario anche in un<br />

mondo con le imprese.<br />

6.2.2. Jensen e Meckling e la teoria principale-agente<br />

Jensen e Meckling (1976) procedono lungo la direzione di Alchian e Demsetz di<br />

approfondimento dell’impresa come risposta ai problemi informativi.<br />

Essi osservano come le tecnologie implicanti produzione di squadra<br />

possono spiegare solo una piccola parte dell’universo delle imprese. 293 La teoria<br />

dell’impresa che propongono si basa sul concetto di costi di agenzia e deriva da<br />

un’analisi delle relazioni contrattuali secondo l’impostazione principale-agente.<br />

La relazione principale agente è un tipo di rapporto molto diffuso, rispetto<br />

al quale la teoria della produzione di squadra di Alchian e Demsetz può<br />

considerarsi un caso particolare. 294 Una relazione di agenzia è un contratto col<br />

quale il principale assume l’agente per svolgere alcuni servizi con un rapporto di<br />

delega. Il problema principale-agente si pone se l’agente, nel massimizzare la<br />

propria utilità, nel rispetto del rapporto di delega, agisce in modo non rispondente<br />

all’ottimizzazione degli obiettivi del principale.<br />

Il principale può ovviare a tale problema istituendo appropriati incentivi e<br />

monitorando l’attività dell’agente. Queste attività tuttavia sono costose (costi<br />

d’agenzia); il problema del principale diviene allora quello di minimizzare i costi<br />

d’agenzia.<br />

293 Jensen and Meckling (1976, [1986, pp. 214-5]).<br />

294 Il framework principale-agente può essere utilizzato non solo per l’analisi dei rapporti tra<br />

datore di lavoro e lavoratore, ma per tutte le relazioni contrattuali in cui è coinvolta l’impresa.<br />

Jensen and Meckling (1976) approfondiscono, in particolare, il problema della separazione tra<br />

proprietà e controllo.<br />

166


Secondo l’impostazione di Jensen e Meckling l’impresa è dunque un<br />

insieme di relazioni contrattuali tra individui. In tal senso non ha alcun significato<br />

distinguere l’impresa dal mercato, ossia distinguere le attività contrattuali che<br />

avvengono all’interno o all’esterno dell’impresa. L’impresa come complesso di<br />

contratti è, come in Alchian e Demsetz, una forma di mercato.<br />

« The “behavior” of the firm is like the behavior of the market; i.e., the outcome of a<br />

complex equilibrium process ». 295<br />

Anche in questo caso quindi l’asimmetria del rapporto tra le parti coinvolte nel<br />

contratto (in questo caso il principale e l’agente) è ricondotta al puro principio<br />

competitivo. 296 Il coordinamento è un caso speciale del principio competitivo che<br />

nasce dalle caratteristiche tecnologiche (informative) 297 : In Alchian e Demsetz la<br />

tecnologia richiedeva produzione di squadra; la generalizzazione di Jensen e<br />

Meckling si basa sull’assunzione che la tecnologia richieda una relazione<br />

d’agenzia. Inutile sottolinearlo, anche in questo caso tecnologia e struttura<br />

informativa sono assunte per date.<br />

6.2.3. La negazione dell’impresa ad opera di Cheung<br />

L’approccio di Alchian, Demsetz, Jensen e Meckling rende vago il concetto di<br />

impresa come istituzione distinta rispetto al mercato.<br />

L’assenza di una chiara distinzione qualitativa tra impresa e mercato è ciò<br />

da cui deriva un rapporto di tipo antagonistico tra le due istituzioni: esiste un certo<br />

ammontare di risorse da allocare ed esiste un principio allocativo universale, il<br />

mercato; tale principio universale può assumere in realtà due forme<br />

(apparentemente) distinte, il mercato vero e proprio e l’impresa-mercato. A<br />

questo punto, la risoluzione del problema allocativo viene ripartita tra i due<br />

meccanismi secondo il principio di efficienza. Trattandosi di una ripartizione di<br />

un ammontare dato, i due meccanismi, mercato vero e proprio e impresa-mercato,<br />

sono in un rapporto antagonistico (lo spazio dell’una è sottratto all’altro); d’altra<br />

parte, essendo l’impresa una forma di mercato, l’antagonismo è solo formale.<br />

Il punto è portato alle estreme conseguenze dall’allievo di Alchian,<br />

Cheung: ciò che generalmente chiamiamo « impresa » è, in effetti, nient’altro che<br />

295 Jensen and Meckling (1976, [1986, p. 216]).<br />

296 La <strong>competizione</strong> nel mercato dei manager assicura infatti che i manager non godano di alcun<br />

tipo di rendita per la loro posizione dirigenziale all’interno dell’impresa. Jensen and Meckling<br />

(1976, [1986, p. 229]).<br />

297 Tecnologia e informazione, in una simile concezione del problema produttivo, sono la stessa<br />

cosa: la tecnologia è l’insieme di informazioni che possono essere combinate per fini produttivi.<br />

167


una complessa rete di contratti (di mercato). Ogni agente è un imprenditore<br />

(almeno della propria forza lavoro), e ogni attività è sub-appaltata e poi sub-subappaltata.<br />

298 La verità è che se tentiamo di definire l’impresa, questa può essere<br />

tanto piccola quanto una relazione contrattuale tra due persone, o tanto grande<br />

quanto l’intera economia. 299 Il concetto stesso di impresa è dunque futile e privo<br />

di utilità analitica. 300 Scrive Cheung sul New Palgrave alla voce « Economic<br />

organization and transaction costs »:<br />

« It is often the case that the entrepreneur who holds employment contracts (and it is<br />

not clear whether it is the entrepreneur who employs the worker or the worker who<br />

employs the entrepreneur) may contract with other firms; a contractor may subcontract;<br />

a sub-contractor may sub-sub-contract further; and a worker may contract<br />

with a number of ‘employers’ or ‘firms’. (..). With this approach the size of the firm<br />

becomes indeterminate and unimportant ». 301<br />

E in « On the New Institutional Economics »:<br />

« (...) if we cannot in any meaningful economic sense identify “firms”, as separate<br />

entities, we do not know what a firm is when we see one in the real world ». 302<br />

Il contributo di Cheung alla teoria dell’impresa è significativo: egli parte<br />

dall’assunzione che il mercato sia una categoria universale; su queste basi<br />

sviluppa, portando (coerentemente) alle estreme conseguenze, l’analisi dei<br />

rapporti tra impresa e mercato e costruisce la propria teoria dell’impresa.<br />

I risultati sono, ovviamente, paradossali: Cheung arriva a rigettare su basi<br />

teoriche l’esistenza della realtà che si propone di spiegare. 303<br />

Vista dal punto di vista dei rapporti tra coordinamento e <strong>competizione</strong> l’analisi di<br />

Cheung evidenzia le implicazioni inevitabili della negazione del principio di<br />

coordinamento. L’assunzione del principio di <strong>competizione</strong> ex ante come il<br />

principio informatore del sistema <strong>economico</strong> implica che il mercato sia una<br />

categoria universale e unica. L’impresa, a questo punto, non esiste!<br />

298<br />

Cheung (1983, p. 18) (1987a, p.57).<br />

299<br />

« The truth is that according to one’s view a firm may be as small as a contractual relationship<br />

between two input owners or, if the chain of contracts is allowed to spread, as big as the whole<br />

economy ». Cheung (1983, p. 17).<br />

300<br />

Cheung (1983, pp. 18-20).<br />

301<br />

Cheung (1987a, p. 57).<br />

302<br />

Cheung (1992, p. 56).<br />

303<br />

Nel commento all’articolo di Cheung (1992) Becker (1992, p. 68) nota « we generally know a<br />

firm when we see one ». Ankarloo (1996a) aggiunge: « It seems that Cheung provides us with an<br />

explanation to the firm which actually makes it invisible to us, without even contemplating, that<br />

perhaps there is something wrong with the theory then ».<br />

168


Il principio di <strong>competizione</strong> ex ante è inteso da Cheung come un principio<br />

assoluto. Ciò crea dei problemi analitici. Egli osserva correttamente che una volta<br />

messo l’accento sulla transazione come unità elementare d’analisi, le questioni<br />

importanti sono di capire perché determinati contratti assumano la forma<br />

osservata in realtà e le implicazioni delle diverse tipologie contrattuali. 304<br />

Tali esigenze potrebbero essere logicamente combinate con il problema di<br />

definire l’impresa. Cheung tuttavia rigetta la possibilità di definire l’impresa in<br />

base alla peculiarità dei contratti che in essa si realizzano. Egli osserva inoltre<br />

come tra i due casi estremi di un puro contratto di lavoro e un contratto di<br />

compravendita di un bene vi siano una quantità di forme contrattuali intermedie.<br />

Ciò non spinge il nostro autore ad approfondire la natura delle diverse forme<br />

contrattuali così da ricavarne suggerimenti per la definizione dell’impresa e<br />

l’analisi delle relazioni tra imprese; al contrario, la complessità contrattuale è il<br />

motivo del rigetto analitico dell’impresa. 305<br />

La distinzione tra le diverse forme contrattuali su cui si basano i rapporti<br />

interpersonali rimane così una pura dichiarazione d’intenti. L’unica distinzione<br />

che si fa è tra contratti sul mercato dei prodotti e contratti sul mercato dei fattori.<br />

Tale distinzione, in sé importante, non gioca tuttavia alcun ruolo nell’analisi di<br />

Cheung dei rapporti tra coordinamento e <strong>competizione</strong>.<br />

In un certo senso, negli sviluppi dell’analisi degli autori del filone informativo le<br />

relazioni gerarchiche non vengono negate, bensì sono considerate come<br />

paritetiche (non autoritarie).<br />

Tutte le relazioni contrattuali sono basate sul principio di <strong>competizione</strong> ex<br />

ante. Ciò che caratterizza l’operare del principio competitivo è (1) la volontarietà<br />

delle relazioni contrattuali (libertà d’entrata) e (2) la possibilità, sotto opportune<br />

condizioni, di rompere la relazione contrattuale (libertà d’uscita).<br />

Il rapporto di autorità esistente nelle relazioni gerarchiche è solo formale,<br />

in quanto è il risultato di un accordo volontario tra le parti, il quale, così come è<br />

stato posto in essere può essere cancellato; inoltre, fin tanto che l’accordo rimane<br />

in essere esso è regolato dal principio di <strong>competizione</strong> ex ante, il quale garantisce<br />

un rapporto paritetico tra le parti, grazie alla reciproca minaccia di uscire dalla<br />

relazione.<br />

Concludendo, la definizione del principio competitivo come principio assoluto e<br />

la sua analisi su basi puramente volontaristiche implicano (1) che non c’è alcuna<br />

differenza sostanziale tra le diverse relazioni contrattuali e (2) che l’impresa non<br />

esiste.<br />

304 Cheung (1983, p. 18).<br />

305 Il fatto che Cheung non sviluppi l’analisi delle diverse relazioni contrattuali rende così vano il<br />

tentativo stesso di comprendere la natura contrattuale dell’impresa (questo è il titolo dell’articolo<br />

del 1983).<br />

169


6.3. Informazione, dimensione legale e razionalità<br />

La discussione contestuale delle tre dimensioni del contesto decisionale<br />

« informazione », « dimensione legale » e « razionalità » è sviluppata da<br />

Williamson. L’analisi di Williamson si distingue, e per alcuni versi si<br />

contrappone, agli sviluppi che si concentrano sulla sola dimensione informativa.<br />

Rispetto al problema della frontiera efficiente impresa-mercato tuttavia i<br />

caratteri originali di Williamson sono più nella maggiore complessità dell’analisi<br />

che nella qualità dei risultati: anche in Williamson è infatti possibile definire lo<br />

spazio di azione dell’impresa come spazio sottratto al mercato (6.3.1).<br />

La derivazione di una frontiera istituzionale efficiente nell’opera di<br />

Williamson si basa sull’assunzione esplicita di un sistema di partenza basato<br />

unicamente sul mercato; l’ipotesi che in origine c’erano i mercati è discussa nel<br />

paragrafo 6.3.2.<br />

Nel paragrafo 6.3.3 analizziamo uno dei tratti di maggiore originalità della<br />

teoria di Williamson rispetto alle teorie degli autori del filone informativo<br />

consistente nell’analisi della relazione di lavoro.<br />

6.3.1. La frontiera istituzionale efficiente nell’analisi<br />

di Williamson<br />

L’analisi di Williamson (1975, 1985) è costruita a partire da tre categorie: (1)<br />

razionalità limitata, (2) opportunismo e (3) specificità degli asset.<br />

Le tre categorie rompono le ipotesi del contesto decisionale perfetto<br />

rispetto alla dimensione di razionalità, alla dimensione legale e alla dimensione<br />

informativa. 306<br />

L’esistenza simultanea di (1), (2) e (3) produce una situazione di second<br />

best: il mercato lasciato a sé stesso fallisce l’allocazione efficiente delle risorse. 307<br />

306 L’ipotesi di opportunismo chiama in causa la dimensione legale in quanto rende problematica<br />

la questione dell’esecuzione dei contratti. Tale problema non era presente nel contesto decisionale<br />

perfetto nel quale l’esecuzione dei contratti poteva essere garantita a costo zero. Nel contesto<br />

decisionale perfetto l’ipotesi di opportunismo (date le ipotesi sull’informazione e sulla dimensione<br />

legale) coincide con l’assunzione di massimizzazione dell’utilità.<br />

307 Se uno dei tre fattori viene meno il mercato può ancora allocare le risorse efficientemente vis-àvis<br />

l’impresa: (1) in assenza di razionalità limitata, tutti i problemi potenziali posso essere risolti in<br />

partenza una volta per tutte e il mercato può quindi gestire i problemi di opportunismo e specificità<br />

170


La sostituzione del mercato con gerarchie (imprese) riduce, sotto determinate<br />

ipotesi, tali fallimenti.<br />

I vantaggi dell’organizzazione gerarchica derivano dalla possibilità di<br />

economizzare sulle tre cause del fallimento del first best: l’organizzazione<br />

gerarchica (1) attenua i problemi derivanti da razionalità limitata (in quanto<br />

facilita processi decisionali sequenziali di tipo adattivo in situazioni in cui<br />

complessi contratti sugli stati di natura contingenti non sono possibili e mercati<br />

spot sequenziali sono rischiosi), (2) attenua l’opportunismo (sia attraverso il<br />

meccanismo autoritario, sia attraverso l’incentivazione di uno spirito<br />

solidaristico); (3) riduce i costi di contrattazione derivanti da specificità degli<br />

asset (sia attraverso il principio autoritario, sia generando aspettative convergenti<br />

tra i contraenti). 308<br />

I vantaggi relativi del mercato sono legati al meccanismo di incentivo<br />

insito nel principio competitivo e alle diseconomie crescenti che si generano<br />

nell’organizzazione gerarchica al crescere delle sue dimensioni. 309<br />

Si profila dunque un trade off, il che porta ad impostare i rapporti tra<br />

impresa e mercato in termini di dimensione ottima dell’impresa.<br />

Sebbene il fallimento del mercato sia il presupposto dell’esistenza dell’impresa, la<br />

linea di demarcazione che rende vantaggiosa l’organizzazione gerarchica<br />

rappresenta una questione problematica.<br />

Vantaggi e svantaggi delle diverse forme organizzative non possono essere<br />

ricondotti ad un’unica dimensione come nel caso in cui si consideravano<br />

esclusivamente problemi informativi. Ogni soluzione organizzativa può essere<br />

associata ad un pacchetto di vantaggi e svantaggi rispetto alle tre dimensioni<br />

rilevanti. 310 La scelta di una soluzione organizzativa si accompagna dunque alla<br />

scelta dell’intero pacchetto di vantaggi e svantaggi. 311<br />

Nonostante la maggiore complessità del confronto istituzionale, due aspetti<br />

rendono l’impostazione di Williamson sostanzialmente conforme all’analisi<br />

sviluppata secondo la sola dimensione informativa: (1) rimane immutata<br />

l’impostazione secondo cui i rapporti tra impresa e mercato debbano essere<br />

impostati in termini di una frontiera istituzionale efficiente; (2) rimane invariata la<br />

degli asset; (2) in assenza di opportunismo, il principio di stewardship può essere usato al posto<br />

della gerarchia (in quanto le parti possono contare reciprocamente sul mantenimento delle<br />

promesse); (3) in assenza di specificità degli asset, possono definirsi mercati contendibili à la<br />

Baumol. Cf. Pitelis (1991, p. 12).<br />

308<br />

Williamson (1975, p. 40).<br />

309<br />

Williamson (1975, cap. 7).<br />

310<br />

Si noti che rispetto all’impostazione di Coase, si ha un passaggio dal continuo al discreto: il<br />

confronto tra i diversi assetti istituzionali cessa di essere un confronto marginale.<br />

311<br />

Williamson (1975, p. 130).<br />

171


configurazione di tale frontiera, la quale si riduce ad un punto (o ad un insieme di<br />

punti).<br />

Nell’approccio informativo tale punto corrisponde all’assetto istituzionaleorganizzativo<br />

che ottimizza la gestione dei problemi informativi.<br />

In Williamson, tale punto corrisponde all’assetto istituzionaleorganizzativo<br />

che minimizza il rapporto costi/benefici lungo le tre dimensioni<br />

problematiche del contesto decisionale (il caso di non unicità corrisponde, in tutti<br />

e due gli approcci, all’ipotesi di diversi assetti ugualmente efficienti). 312<br />

Rispetto ai risultati raggiunti nell’analisi del contesto decisionale perfetto, i<br />

due approcci hanno dunque implicazioni simili: la frontiera efficiente (che nel<br />

contesto decisionale perfetto comprendeva tutti i possibili assetti organizzativi) si<br />

riduce ad un punto.<br />

6.3.2. In the beginning there were markets...<br />

L’idea della frontiera efficiente (che si tratti di un punto o dell’intero set degli<br />

assetti organizzativi possibili) deriva dalla visione antagonistica dei rapporti tra<br />

impresa e mercato.<br />

In Williamson l’assunzione che mercati e organizzazioni siano strumenti<br />

alternativi per uno stesso fine (permettere le transazioni) è esplicitato sin<br />

dall’inizio.<br />

« The general approach to economic organization employed here can be summarized<br />

compactly as follows: (1) Markets and firms are alternative instruments for<br />

completing a related set of transactions; (2) whether a set of transactions ought to be<br />

executed across markets or within a firm depends on the relatively efficiency of each<br />

mode (...) ». 313<br />

Il problema di spiegare l’impresa è così esplicitamente impostato come un<br />

problema di statica comparata: la natura dell’impresa, come quella di tutte le altre<br />

istituzioni e organizzazioni del sistema capitalista, deve essere apprezzata<br />

mediante il metodo statico comparato, confrontando l’efficienza relativa di tutti i<br />

possibili sistemi istituzionali-organizzativi.<br />

Il punto di partenza di Williamson è un sistema senza frizioni. Tale sistema<br />

non riceve una definizione precisa nel lavoro di Williamson; esso gioca comunque<br />

il ruolo analitico di un contesto decisionale di riferimento, tipo il nostro contesto<br />

decisionale perfetto. 314<br />

312 Williamson (1985, p. 42).<br />

313 Williamson (1975, p. 8).<br />

314 In effetti, Williamson non definisce mai rigorosamente i costi di transazione. Citando la<br />

definizione (non molto precisa) di Arrow (1969, p. 48) parla di « costs of running the system »<br />

172


L’espediente narrativo alla base degli esercizi di analisi comparata fa<br />

riferimento a un mondo basato unicamente sul mercato:<br />

«I assume, for expositional convenience, that “in the beginning there were markets”<br />

». 315<br />

L’assunzione di un modello di puri mercati definito su un contesto decisionale<br />

« senza frizioni » porta ad individuare il modello di EEG come il riferimento<br />

implicito dell’analisi di Williamson. Tale modello rappresenta il punto di partenza<br />

logico degli esercizi di statica comparata volti a spiegare le altre istituzioni del<br />

sistema capitalista.<br />

Come sappiamo, sul contesto decisionale senza frizioni si possono<br />

verificare fallimenti; tali fallimenti non costituiscono tuttavia l’oggetto d’interesse<br />

di Williamson; è piuttosto lo studio di costi e benefici dei diversi modi<br />

organizzativi in un mondo con frizioni che costituisce l’oggetto principale di<br />

interesse. 316 In altri termini, Williamson si concentra solo su quei fallimenti che<br />

derivano dalla presenza di frizioni nel contesto decisionale; 317 lo scopo è quello di<br />

mostrare come l’istituzione di determinate forme organizzative permetta di<br />

attenuare tali fallimenti.<br />

Avendo assunto l’espediente narrativo secondo cui in origine c’erano i<br />

mercati, i fallimenti di cui parla Williamson possono definirsi come fallimenti del<br />

mercato.<br />

Trattandosi di esercizi di statica comparata, l’assunzione « in the<br />

beginning there were markets » è, comunque, ininfluente. Di fatti, osserva<br />

Williamson, si potrebbe anche assumere « in the beginning there was central<br />

planning »; semplicemente il fuoco dell’attenzione si sposterebbe dai fallimenti<br />

del mercato ai fallimenti della pianificazione. L’uso del metodo di statica<br />

comparata assicura, in ogni caso, che i risultati siano i medesimi: la<br />

configurazione organizzativa efficiente non dipende dalle condizioni iniziali. 318<br />

L’analisi di Williamson è tuttavia più ambiziosa. Essa si propone di spiegare le<br />

istituzioni del capitalismo. Gli esercizi di statica comparata non costituiscono<br />

dimostrazione di un processo. Williamson ha bisogno di un principio evolutivo.<br />

Tale principio, secondo la metodologia neoistituzionalista, è individuato nel<br />

principio di efficienza: tra le varie configurazioni organizzative possibili, è quella<br />

(Williamson (1985, p. 18)). In seguito propone la definizione basata sul concetto di frizione:<br />

« Transaction costs are the equivalent of friction in physical systems » (Williamson (1985, p. 19)).<br />

315<br />

Williamson (1975, p. 20).<br />

316<br />

Williamson (1975, p. 20).<br />

317<br />

Tali fallimenti vanno in realtà ad aggiungersi a quelli, non oggetto di interesse, presenti anche<br />

nel contesto decisionale perfetto.<br />

318 Williamson (1985, p. 21).<br />

173


efficiente che emerge e che si sviluppa. Il principio di efficienza è quindi la chiave<br />

esplicativa della natura delle istituzioni capitalistiche.<br />

Si pone a questo punto il problema di definire i meccanismi attraverso i<br />

quali il principio di efficienza regoli l’evoluzione istituzionale. In altre parole,<br />

dopo aver definito lo scenario iniziale, Williamson deve ora raccontare una storia<br />

che spieghi come gli assetti istituzionali efficienti emergano effettivamente e si<br />

perpetuino nel tempo.<br />

La storia di Williamson si basa sul principio di intenzionalità dell’azione<br />

umana: l’evoluzione istituzionale procede lungo la direzione dell’efficienza a<br />

patto che le interazioni individuali avvengano spontaneamente, senza coercizioni.<br />

La tesi di Williamson dell’efficienza delle istituzioni capitalistiche passa<br />

dunque sull’assunzione che esse siano emerse e si siano sviluppate senza rapporti<br />

di tipo coercitivo per alcuno.<br />

L’introduzione del principio di efficienza e la storia delle interazioni<br />

spontanee segnano il passaggio dal metodo statico comparato ad un metodo<br />

dinamico-evolutivo: il confronto tra assetti istituzionali-organizzativi può ora<br />

essere letto come un’analisi evolutiva delle istituzioni capitalistiche e la storia<br />

delle interazioni spontanee può, a questo punto, essere presa come una<br />

dimostrazione dell’efficienza delle istituzioni esistenti.<br />

Il passaggio dal metodo comparato all’analisi evolutiva, come vedremo,<br />

nel paragrafo 6.5, pone tuttavia problemi interpretativi e di coerenza interna<br />

all’opera di Williamson.<br />

6.3.3. La relazione di lavoro<br />

Ai fini della nostra indagine, un importante campo in cui Williamson applica il<br />

framework mercati/gerarchie è quello della relazione di lavoro. Tale campo di<br />

applicazione è particolarmente importante in quanto, come osserva Pitelis (1991,<br />

p. 13) è solo la relazione di lavoro che può spiegare l’emergenza di gerarchie a<br />

partire da mercati preesistenti. 319<br />

Sebbene nell’opera di Williamson (1985) sulle istituzioni del capitalismo<br />

non si definisca né l’impresa capitalistica, né il capitalismo stesso, 320 è possibile<br />

individuare nella relazione di lavoro la chiave di svolta per spiegare l’origine della<br />

gerarchia. La natura della contrapposizione tra mercato e gerarchia può infatti<br />

319 Tutte le altre applicazioni del framework di Williamson (integrazione verticale, M-form,<br />

conglomerati) presuppongono l’esistenza dell’impresa e trattano dunque il problema<br />

dell’evoluzione più che dell’origine delle relazioni gerarchiche.<br />

320 Cf. Pitelis (1991, p. 26).<br />

174


essere ricondotta alla nascita dell’impresa come organizzazione basata sulla<br />

relazione di lavoro.<br />

Non interessa qui entrare nel merito della dimostrazione della Pareto<br />

efficienza della nascita di tale relazione. 321 Sta di fatto che la relazione di lavoro,<br />

come relazione gerarchica, rappresenta, nella storia iniziata con « in the beginning<br />

there were markets » la prima soppressione del mercato. Tutte le altre<br />

modificazioni nella struttura interna dell’impresa e nei rapporti tra imprese sono<br />

successive e presuppongono già un certo grado di gerarchia, ossia l’esistenza di<br />

una relazione di lavoro. Se al tempo 0 c’erano solo i mercati, al tempo 1 ci sono<br />

mercati e relazioni di lavoro, ossia imprese. Dal tempo 2 in poi si sviluppano tutti<br />

i tipi più complessi di relazioni gerarchiche nel sistema <strong>economico</strong>.<br />

Dal punto di vista dei rapporti tra impresa e mercato, l’uscita dal contesto<br />

decisionale perfetto rispetto a tre dimensioni conduce dunque a risultati diversi<br />

rispetto a quelli raggiunti nell’analisi della sola dimensione informativa: l’analisi<br />

di Williamson implica (1) una distinzione tra i concetti di impresa e mercato<br />

basata sulla presenza/assenza di relazioni gerarchiche, (2) una distinzione tra la<br />

relazione di lavoro e le altre relazioni interpersonali (tipo la relazione<br />

consumatore-droghiere). 322 Tali distinzioni sono approfondite nel paragrafo che<br />

segue.<br />

6.4. Due definizioni dell’impresa<br />

Di seguito analizziamo le due definizioni dell’impresa discusse da parte degli<br />

autori del filone informativo e da parte di Williamson.<br />

(1) L’IMPRESA COME ORGANIZZAZIONE PRODUTTIVA. La definizione implicita<br />

dell’impresa secondo gli autori del filone informativo è quella di<br />

un’organizzazione per la produzione di beni e servizi.<br />

Tale definizione, assai generale, non presenta problemi di per sé. Essa,<br />

tuttavia, diviene problematica proprio se utilizzata nell’ambito della teoria<br />

neoistituzionalista. Più precisamente, la definizione pone problemi di coerenza<br />

logica nell’ambito di tutte quelle teorie che considerano il processo di produzione<br />

come un fenomeno allocativo.<br />

L’inglobamento del fenomeno produttivo nello scambio si riflette infatti in<br />

una non chiara distinzione tra impresa e mercato: l’idea che l’una sia luogo di<br />

321 La Pareto efficienza dell’origine della relazione di lavoro gerarchica implica assenza di<br />

coercizione. Essa è messa in dubbio in particolare dagli autori della scuola radicale, i quali<br />

argomentano non solo in via analitica, ma anche storica. Marglin (1974, 1975), Edwards (1979),<br />

Bowles (1985).<br />

322 Williamson (1975, p. 68).<br />

175


produzione, l’altro di scambio viene infatti meno. Ciò ha tre implicazioni: (1) si<br />

rende possibile una dimostrazione dell’assenza di autorità sostanziale (intesa<br />

come asimmetria nei rapporti tra le parti) nel sistema <strong>economico</strong>; (2) il principio<br />

di <strong>competizione</strong> risulta l’unico principio <strong>economico</strong> del sistema; (3) si ottengono i<br />

risultati paradossali di Cheung secondo cui l’impresa non esiste.<br />

Tali risultati possono essere precisati, attraverso una presentazione in<br />

forma assiomatica. Si hanno quattro definizioni base (generalmente tenute<br />

implicite) riguardanti i concetti di scambio, mercato, produzione e impresa:<br />

(1) lo scambio è definito come un fatto non gerarchico (regolato dal<br />

principio, non autoritario, di <strong>competizione</strong> ex ante);<br />

(2) il mercato è definito come il luogo dove avviene lo scambio;<br />

(3) la produzione è definita come scambio tra input e output;<br />

(4) l’impresa è definita come il luogo dove avviene la produzione (il<br />

coordinamento degli input).<br />

Da tali definizioni deriva:<br />

(5) nel sistema <strong>economico</strong>, composto di imprese e mercato, non c’è<br />

autorità: non c’è autorità né nel mercato [(1)+(2)], né nell’impresa [(1)+(3)+(4)];<br />

(6) il principio di coordinamento, è un caso particolare del principio di<br />

<strong>competizione</strong> ex ante [(1)+(3)+(4)].<br />

Tuttavia si ha anche:<br />

(7) impresa e mercato non sono distinguibili, in quanto l’impresa è un caso<br />

particolare del mercato 323 , [(1)+(2)+(3)+(4)], il che, annulla il problema di Coase,<br />

della natura dell’impresa, invece di rispondervi.<br />

L’indagine teorica sviluppata dal filone informativo consente di ottenere un<br />

importante risultato politico: il sistema capitalistico è un sistema armonico, in cui<br />

gli individui sono tutti su uno stesso livello e non esistono veri rapporti di autorità.<br />

Tale risultato è però ottenuto a caro prezzo (la sparizione dell’impresa), un prezzo<br />

che il filone di Williamson non è disposto a pagare. Veniamo dunque alla seconda<br />

definizione dell’impresa sviluppata nell’ambito dell’approccio neoistituzionalista.<br />

(2) IL CONTRATTO DI LAVORO COME ELEMENTO DEFINITORIO DELL’IMPRESA.<br />

La definizione di Coase (1937) dell’impresa fa leva sulla relazione di lavoro tra<br />

323 L’unica distinzione tra impresa e mercato che possiamo fare consiste nell’affermare che<br />

esistono mercati che non sono imprese: si tratta dei mercati dei beni finali non utilizzati nella<br />

produzione di alcun altro bene.<br />

176


agenti posti su livelli gerarchici diversi (datore di lavoro e lavoratore) come un<br />

elemento centrale dell’impresa. 324<br />

Tramite il contratto di lavoro (1) si stabilisce una relazione autoritaria e (2)<br />

il coordinamento delle attività produttive avviene in base al principio di direzione.<br />

Tale definizione è sviluppata da Williamson. In Williamson l’esistenza di<br />

gerarchie non è negata, bensì spiegata (dal principio universale di efficienza):<br />

l’impresa è un’organizzazione gerarchica definita dal contratto di lavoro;<br />

l’autorità esistente nell’impresa è una necessità imposta dal principio di<br />

efficienza.<br />

Nell’opera di Williamson il problema della compatibilità tra autorità e<br />

armonia delle relazioni interpersonali nel sistema capitalistico viene così gestito in<br />

modo più elegante rispetto al filone informativo: quest’ultimo fa di tutto per<br />

mostrare che l’autorità non esiste veramente; secondo Williamson, l’autorità<br />

esiste, ma è resa necessaria dal principio di efficienza.<br />

6.5. Evoluzione, efficienza e rapporti con la storia<br />

Sulla questione dell’efficienza delle istituzioni capitalistiche la scuola<br />

neoistituzionalista è compatta: il sistema capitalista è efficiente in quanto i confini<br />

delle sue due istituzioni principali, impresa e mercato, evolvono secondo il<br />

principio di minimizzazione dei costi di transazione.<br />

Per quanto riguarda gli autori del filone informativo l’analisi è sviluppata<br />

in particolare da Cheung e Putterman. Secondo Cheung l’efficienza delle<br />

istituzioni capitalistiche e la loro superiorità rispetto alle istituzioni degli altri<br />

sistemi (in particolare, di quello comunista) derivano dall’analisi dei principi della<br />

libertà d’entrata e della libertà d’uscita; tali principi, secondo Cheung, operano<br />

senza ostacoli nel capitalismo e sono invece impediti nel sistema comunista. Sulla<br />

stessa linea si sviluppa anche l’analisi di Putterman (6.5.1).<br />

L’analisi di Williamson assume toni meno radicali rispetto a quelle di<br />

Cheung e Putterman; il metodo tuttavia non si discosta da quello degli altri due<br />

autori: l’efficienza può essere garantita solo se le interazioni tra gli individui<br />

avvengono senza coercizione. Se gli individui scelgono liberamente se interagire<br />

324 Sul ruolo della relazione di lavoro nell’analisi della natura dell’impresa secondo Coase (1937)<br />

il dibattito è ancora aperto. Lo stesso Coase, nell’interpretazione che darà del suo articolo del<br />

1937, a 50 anni di distanza, tende a ridimensionarne l’importanza: « I consider that one of the<br />

main weaknesses of my article stems from the use of the employer-employee relationship as the<br />

archetype of the firm ». Coase (1988, [1991, p. 64]). L’analisi del ruolo della relazione di lavoro<br />

nella definizione di Coase dell’impresa è sviluppata da Hodgson, (1996a).<br />

177


o meno, secondo Williamson, l’interazione che ne scaturisce è Pareto efficiente<br />

(6.5.2). 325<br />

6.5.1. L’analisi evolutiva di Cheung e Putterman<br />

I concetti di libertà di entrata e di libertà di uscita discussi da Cheung permettono<br />

di valutare l’efficienza delle diverse istituzioni e organizzazioni e rappresentano il<br />

tentativo di sviluppare una vera e propria teoria evolutiva delle istituzioni.<br />

Secondo tale teoria, la gerarchia di per sé non implica né efficienza, né<br />

inefficienza. L’analisi dell’efficienza dipende dal problema della garanzia delle<br />

libertà d’entrata e d’uscita dalla relazione gerarchica.<br />

Secondo tale teoria, l’efficienza delle istituzioni capitalistiche (sia di quelle<br />

gerarchiche, sia di quelle non gerarchiche) è garantita dall’esistenza della doppia<br />

libertà di entrata e di uscita. In un sistema di diritti di proprietà privati, la natura<br />

delle organizzazioni esistenti può essere infatti spiegata secondo il principio di<br />

libera associazione tra gli individui.<br />

Secondo Cheung (1983), l’esistenza della doppia libertà di entrata e di<br />

uscita nelle istituzioni e organizzazioni capitalistiche può essere ricavata dal fatto<br />

che non c’è traccia in esse di rapporti coercitivi nei confronti di alcun individuo.<br />

La stessa relazione gerarchica, sebbene sia un evidente limite alla libertà di scelta<br />

individuale, non dà luogo ad alcuna inefficienza, in quanto risultato di una libera<br />

scelta.<br />

Il problema di Cheung è a questo punto quello di spiegare perché gli<br />

individui liberi abbiano deciso di rinunciare a parte della loro libertà d’azione<br />

sottomettendosi agli ordini di un coordinatore: 326 il motivo non può che essere il<br />

mutuo beneficio. Infatti, dato che nessuno è stato costretto ad entrare<br />

nell’impresa, 327 la spiegazione dell’impresa deve essere ricercata nel fatto che<br />

essa aumenta i guadagni attesi di tutti. Ciò che deve essere spiegato è allora<br />

perché tale guadagno si realizzi effettivamente. Cheung risale così ai motivi di<br />

Coase:<br />

« Could it be that letting someone else make the decision is often more productive?<br />

The answer is no. (...) Could it be that specialization, coordination, and economy of<br />

scale achieved by pooling input resources from many owners will yield higher<br />

incomes for all, so that each chooses to join the firm? Again the answer is no. (...)<br />

Could the firm emerge because people shirk, cheat, or are opportunistic - as some<br />

325 In realtà, Williamson lo ignora, ma potrebbero presentarsi casi tipo dilemma del prigioniero.<br />

326 L’assunto di uno stato preesistente di individui liberi, come vedremo, è simile, dal punto di<br />

vista metodologico, all’ipotesi di Williamson secondo cui in origine c’erano i mercati.<br />

327 L’affermazione secondo cui non ci sono (state) costrizioni all’entrata nell’impresa assume in<br />

Cheung il carattere di un assioma, ossia di una proposizione vera a priori.<br />

178


ecent theories imply? Maybe. (...) Coase’s answer is bold: “The main reason why it<br />

is profitable to establish a firm would seem to be that there is a cost of using the<br />

price mechanism” ». 328<br />

Come abbiamo visto l’analisi di Coase spiega perché sia conveniente (per un<br />

imprenditore) fare un’impresa; Cheung unisce a tale argomentazione il principio<br />

della doppia libertà di entrata e di uscita e dimostra l’efficienza dell’impresa per<br />

tutti: 329 nei casi in cui risulta vantaggioso istituire l’impresa, la libertà d’entrata fa<br />

sì che l’impresa sia effettivamente istituita; la libertà d’uscita garantisce invece<br />

che, se l’impresa è tuttora in vita, essa è tuttora efficiente.<br />

Il principio della doppia libertà consente inoltre un confronto anche con strutture<br />

organizzative diverse da quella capitalistica. Cheung osserva infatti che le<br />

istituzioni comuniste sono inefficienti in quanto non è consentita la libera uscita<br />

dall’organizzazione (lo Stato comunista), il che, inevitabilmente, aumenta i costi<br />

di transazione: 330<br />

« The transaction costs of operating an organization are necessarily higher in a<br />

communist state than in a free enterprise economy, due to the lack of option of not<br />

joining and the lack of competition both to recruit members among organizations<br />

and to induce members to perform well ». 331<br />

L’idea è ulteriormente sviluppata da Putterman (1995): l’origine del comunismo<br />

non è stata la libera associazione tra individui, bensì un atto prevaricatorio<br />

violento; 332 l’impresa capitalistica e lo Stato comunista dunque, pur essendo<br />

ambedue istituzioni gerarchiche, sono differenti sul piano dell’efficienza<br />

economica:<br />

328<br />

Cheung (1983, pp. 5-6).<br />

329<br />

Nei termini di Cheung non si istituisce l’impresa, ma si sostituiscono contratti sui prodotti con<br />

contratti sui fattori di produzione.<br />

330<br />

Si noti che nell’ambito della teoria neoistituzionalista non esiste una definizione unanime dei<br />

costi di transazione. Cheung (1992, p. 51) definisce tali costi come l’insieme dei costi che non si<br />

avrebbero in un’economia di Robinson Crusoe. La definizione di Cheung è rigettata, tra gli altri,<br />

dallo stesso fondatore della teoria dei costi di transazione: secondo Coase (1992) la definizione di<br />

Cheung è eccessivamente ampia e imprecisa; la stessa identificazione tra assenza di costi di<br />

transazione ed economia ad un solo individuo è esplicitamente rifiutata e secondo Coase nasce da<br />

una scorretta interpretazione del suo articolo del 1937: « If I were asked [when I came to be<br />

interested in transaction costs] to imagine an economic system in which transaction costs did not<br />

exist, it would be a completely communist society ». Coase (1992, p. 73).<br />

331<br />

Cheung (1987a, p. 57). Cf. anche Cheung (1987b).<br />

332<br />

Putterman (1995) riconduce esplicitamente l’evoluzione delle organizzazioni centralizzate alla<br />

sola dimensione informativa. La volontarietà dell’associazione tra individui nell’organizzazione<br />

gerarchica è ciò che determina l’efficienza dell’organizzazione, la quale si realizza nella gestione<br />

ottimale del problema informativo.<br />

179


« With the latter [Soviet-type economies] hierarchies being established by fiat rather<br />

than by mutual agreement of the parties concerned, there is no reason to expect them<br />

to be marked by the kinds of conflict-reducing decision-making mechanisms and<br />

incentives to share information which were above said to mark firms in market<br />

economies. (..) The advantage of the incentive structure of the voluntary formed<br />

firm over the imposed hierarchy come into their own again at this point in the<br />

argument ». 333<br />

L’analisi di Cheung e Putterman consente di risolvere il problema della relazione<br />

tra gerarchia e efficienza: la relazione gerarchica implica efficienza nell’impresa e<br />

inefficienza nello Stato comunista, in quanto la prima nasce come associazione<br />

spontanea di individui posti su uno stesso piano, il secondo, come l’imposizione<br />

di un gruppo di individui su di un altro.<br />

Ora, che una rivoluzione popolare sia un atto violento, inefficiente secondo<br />

Pareto, è fuor di dubbio; che il processo di nascita ed evoluzione delle istituzioni<br />

capitalistiche sia basato sull’unanime accordo delle parti coinvolte richiederebbe<br />

invece qualche approfondimento storico in più.<br />

Il problema delle analisi di Cheung e Putterman dell’efficienza delle istituzioni<br />

capitalistiche e dell’inefficienza di quella comuniste non è solo di rapporti con la<br />

storia, ma anche di metodo.<br />

La questione dell’ottica valutativa è, a tal riguardo, cruciale: l’adozione<br />

dell’ottica valutativa a posteriori porta ad affermare (tautologicamente) che<br />

qualsiasi istituzione emerga e sopravviva è efficiente (altrimenti verrebbe abolita).<br />

L’idea che le istituzioni capitalistiche, grazie alla doppia libertà (d’entrata<br />

e d’uscita) di cui sono garanti, evolvano secondo il principio di efficienza è il<br />

risultato dell’adozione di un’ottica a posteriori, la quale costituisce uno dei tratti<br />

fondamentali del metodo di indagine storica della scuola neoistituzionalista. 334<br />

La scelta dell’ottica valutativa a posteriori è espressione di una scelta di<br />

carattere metodologico più generale che rivela l’imparentamento della scuola<br />

neoistituzionalista alla tradizione neoclassica: l’uso del metodo di statica<br />

comparata come metodo universale per l’analisi economica. Tale problema di<br />

metodo è discusso nel paragrafo che segue dedicato all’analisi di Williamson. In<br />

effetti, sebbene gli autori della traiettoria informativa avanzino diverse<br />

argomentazioni di tipo evolutivo sulla base di considerazioni di statica comparata,<br />

è solo con l’analisi di Williamson che si delinea il progetto organico di spiegare<br />

333 Putterman (1995, pp. 387-8).<br />

334 L’idea che nelle istituzioni capitalistiche sia garantita la libertà d’entrata pone problemi non<br />

soltanto rispetto al discorso delle pari opportunità (ossia dell’effettiva libertà d’accesso alle<br />

posizioni più ambite), ma anche rispetto alla reale apertura dei sistemi capitalisti avanzati nei<br />

confronti di quanti, dall’esterno, vorrebbero entrarvi.<br />

180


l’evoluzione delle istituzioni economiche del capitalismo secondo lo strumentario<br />

neoclassico. 335<br />

6.5.2. Statica comparata e analisi storica in<br />

Williamson<br />

Come abbiamo notato, nell’opera di Williamson (1975) si può individuare un<br />

cambiamento di metodo dalla statica comparata all’analisi dei processi storici di<br />

nascita ed evoluzione delle istituzioni capitalistiche. Tale cambiamento pone<br />

problemi interpretativi e di coerenza interna all’opera di Williamson. Esso<br />

peraltro avviene immediatamente dopo la presentazione del framework per<br />

l’analisi di mercati e gerarchie.<br />

Nella costruzione di tale framework (cap. 2) Williamson asserisce che in<br />

origine c’erano i mercati, cautelandosi da eventuali critiche dietro lo scudo<br />

metodologico della statica comparata. A partire dal capitolo 3, e nel corso di tutta<br />

la sua opera, Williamson utilizza poi il suo framework per spiegare una serie di<br />

processi storici.<br />

Il metodo di Williamson di sviluppare l’analisi storica è singolare:<br />

l’affermazione secondo cui le istituzioni capitalistiche abbiano avuto origine in<br />

assenza di coercizioni non è documentata storicamente, ma argomentata per via<br />

deduttiva. La spiegazione dell’origine dei rapporti gerarchici a partire dal sistema<br />

di relazioni completamente orizzontali di soli mercati fa leva sulla superiorità<br />

efficientistica dei primi sulle seconde. Williamson dunque non analizza ciò che è<br />

successo effettivamente, bensì avanza delle ipotesi in base alle quali certi assetti<br />

istituzionali-organizzativi siano più efficienti di altri e, da ciò, deduce l’emergenza<br />

storica di tali assetti istituzionali-organizzativi.<br />

« Suppose that adaptations to changing market circumstances are needed in order to<br />

utilize resources efficiently. While a full group discussion could be held to<br />

determine what adaptation is to be made, this is time consuming and may yield little<br />

gain (...). Authoritative assignment of decision-making responsibility to the<br />

occupant of the center is again indicated ». 336<br />

Inoltre, la divisione del lavoro tra i partecipanti alla gerarchia viene ricondotta, in<br />

via assiomatica, all’eterogeneità della distribuzione iniziale delle capacità<br />

individuali. Di seguito riportiamo alcuni estratti dall’opera di Williamson (1975),<br />

in cui si analizza l’origine storica dei rapporti gerarchici:<br />

335 Come vedremo nel prossimo capitolo la stessa ipotesi di razionalità limitata in Williamson non<br />

rappresenta una vera rottura col metodo ottimizzante neoclassico.<br />

336 Williamson (1975, p. 47), enfasi aggiunta.<br />

181


« Administrative talent is unequally distributed. 337 (...) The transparent inequality of<br />

ability with respect to knowledge and oratorical gifts contributed to the<br />

abandonment of delegate selection by rotation or lot in the early trade union<br />

movement. 338 (...) Information processing and decision-making talents are not<br />

widely distributed. (...) one or few individuals have superior information processing<br />

capacities and exceptional oratorical and decision-making skills ». 339<br />

L’argomentazione di Williamson fa leva unicamente sull’eterogeneità delle<br />

condizioni iniziali tra gli individui; queste ultime, tuttavia, non vengono discusse.<br />

Il fatto che gli individui siano, per natura, diversamente dotati non può<br />

evidentemente essere spiegato nell’ambito dell’individualismo metodologico: esso<br />

rappresenta un assioma non soggetto a discussione. Nonostante ciò, anche<br />

ammesso che l’eterogeneità delle capacità individuali sia un fatto vero e non<br />

discutibile dagli economisti, il fatto che le diverse capacità individuali siano la<br />

causa dei rapporti gerarchici dovrebbe ugualmente essere argomentato<br />

storicamente. E, se poi si potesse dimostrare (tentativo in cui Williamson non si<br />

cimenta) che le diverse capacità individuali siano in grado di causare i rapporti<br />

gerarchici, rimarrebbe ancora da dimostrare che tale causa sia unica, ossia che<br />

nessun altro elemento influisca sul processo di istituzione delle gerarchie (sia nel<br />

senso di favorirlo, sia nel senso di ostacolarlo).<br />

L’analisi di Williamson presenta inoltre delle lacune sul piano strettamente<br />

analitico. In parole povere, Williamson afferma che se vale il principio della<br />

volontarietà dell’azione umana, un’istituzione o un’organizzazione che possa<br />

essere migliorata non sopravviverebbe a lungo in quanto sarebbe effettivamente<br />

migliorata.<br />

Tale posizione è stata lungamente criticata dagli autori della scuola<br />

evolutiva-istituzionalista, i quali rigettano l’equazione evoluzione-ottimalità. 340<br />

Il rifiuto dell’equazione evoluzione-ottimalità non ha peraltro bisogno<br />

dell’uscita dall’individualismo metodologico. Pur mantenendo un approccio<br />

metodologico individualista, si dimostra infatti che l’introduzione del tempo come<br />

variabile storica è sufficiente a invalidare la tesi che l’evoluzione conduca<br />

all’ottimalità. 341 L’esempio tecnologico dell’uso delle tastiere QWERTY nei<br />

computer nonostante la loro inefficienza (una volta abbandonato il metodo di<br />

scrittura meccanico delle vecchie macchine da scrivere) è forse l’esempio più<br />

337<br />

Williamson (1975, p. 47).<br />

338<br />

Citazione di Michelis (1966, p. 66), in Williamson (1975, p. 47).<br />

339<br />

Williamson (1975, p. 52)<br />

340<br />

Per una sintesi delle argomentazioni della scuola evolutiva-istituzionalista contro l’equazione<br />

evoluzione-ottimalità si veda Hodgson (1993a, 1994a).<br />

341<br />

Ullmann-Margalit (1978) mostra che l’efficienza non è né necessaria, né sufficiente alla<br />

sopravvivenza.<br />

182


citato. 342 La path dependency produce, sotto condizioni generali, risultati subottimali.<br />

Sempre rimanendo all’interno dell’individualismo metodologico è poi<br />

curioso notare come Williamson non abbia dedicato attenzione ad un problema<br />

lungamente discusso nella teoria neoclassica, il problema del dilemma del<br />

prigioniero, il quale costituisce un tipico esempio di equilibrio inefficiente<br />

secondo Pareto. Tenendo conto di tale problema, si vede come l’argomentazione<br />

secondo cui l’interazione volontaria conduce a situazioni Pareto efficienti è falsa;<br />

essa tutt’al più, sotto le opportune ipotesi, può produrre situazioni d’equilibrio;<br />

che tali situazioni d’equilibrio siano anche Pareto efficienti deve essere<br />

dimostrato. 343<br />

Il passaggio dalla statica comparata all’analisi storica pone poi il problema delle<br />

condizioni iniziali.<br />

Si ricorderà che l’assunzione metodologica « in the beginning there were<br />

markets » non destava preoccupazioni solo in quanto esplicitamente collocata<br />

all’interno di un approccio di statica comparata. Fuori da tale approccio le<br />

condizioni iniziali contano: non possiamo assumere indifferentemente le une o le<br />

altre; dobbiamo assumere quelle giuste, quelle storicamente vere. 344<br />

Se quindi si vuole ragionare sull’evoluzione delle istituzioni capitalistiche,<br />

si devono fare i conti con la storia. La storia deve essere interpretata, ma non può<br />

essere assunta come se. Che in origine c’erano i mercati semplicemente non è<br />

vero. Lo stesso dicasi per l’assunto di Cheung di uno stato preesistente di<br />

individui liberi: tale stato (se mai è esistito) non può essere identificato con il<br />

modo di produzione precapitalistico (e, se così fosse, è a Cheung l’onere della<br />

prova).<br />

Il tentativo di risolvere il problema storico in via puramente deduttiva pone<br />

problemi di interpretazione nei lavori di Williamson, Cheung e Putterman: nella<br />

342 David (1985).<br />

343 L’analisi della Pareto efficienza degli equilibri istituzionali, in ambito neoistituzionalista, riceve<br />

maggiore attenzione nella letteratura dei diritti di proprietà.<br />

344 Che la storia possa essere diversamente interpretata non toglie che certe interpretazioni siano<br />

più valide di altre e che certe altre siano del tutto false; il metro di giudizio non può che essere<br />

l’argomentazione stessa dei fatti.<br />

183


migliore delle ipotesi gli esempi storici risultano ad hoc; 345 in alcuni casi essi sono<br />

invece semplicemente supposti, senza alcun riferimento contestualizzato. 346<br />

La teoria neoistituzionalista è dunque soggetta a tre linee di critica: una<br />

metodologica, derivata dallo scarso rigore nel passaggio dal metodo di statica<br />

comparata al metodo storico nell’analisi evolutiva; la seconda analitica, dovuta<br />

alla insufficiente accuratezza (la quale dà luogo a risultati inesatti) delle<br />

dimostrazioni della Pareto efficienza dei processi analizzati; la terza di realismo,<br />

basata sulla veridicità storica dei processi ipotizzati da Williamson, Cheung e<br />

Putterman.<br />

6.6. La spiegazione dello Stato<br />

Nell’ambito della teoria neoistituzionalista possiamo individuare due modi diversi<br />

di affrontare l’analisi dello Stato nell’economia.<br />

Un primo approccio si concentra sulle funzioni allocative dello Stato.<br />

Secondo tale approccio il problema dei fallimenti del mercato può essere visto<br />

come un problema di costi di transazione; la spiegazione dello Stato risulta<br />

dunque collegata all’efficienza di un intervento centralizzato nei casi di fallimenti<br />

del meccanismo allocativo decentrato (6.6.1).<br />

Un secondo approccio riconosce invece allo Stato funzioni che vanno al di<br />

là della gestione del problema allocativo; in particolare si considera il ruolo dello<br />

Stato come risolutore dei contenziosi privati. La teoria neoistituzionalista<br />

considera però tale ruolo troppo ampio, sostenendo che i contenziosi possono<br />

essere risolti nella sfera privata a patto che lo Stato si limiti a risolvere un tipo<br />

particolare di contenziosi: quelli sull’appartenenza dei diritti di proprietà. La<br />

teoria neoistituzionalista assume dunque implicitamente che l’unico ruolo di cui lo<br />

Stato non deve essere spogliato è quello della garanzia dei diritti di proprietà<br />

(6.6.2).<br />

345 « My own favourite example is riverboat pulling in China before the communist regime, when<br />

a large group of workers marched along the shore towing a good-sized wooden boat. The unique<br />

interest of this example is that the collaborators agreed to the hiring of a monitor to whip them ».<br />

Cheung (1983, p. 8). Non si può dire che l’esempio favorito da Cheung sia rappresentativo dei<br />

processi sociali originati dall’introduzione dell’impresa capitalistica.<br />

Per un’analisi storica delle trasformazioni sociali ed economiche e della violenza degli<br />

scontri di classe messi in moto dalla rivoluzione industriale, cf. Polanyi (1957).<br />

346 Si pensi all’analis i di Williamson dell’origine dei rapporti gerarchici, o all’analisi di Putterman<br />

dell’origine dell’impresa.<br />

184


I due approcci hanno in comune l’obiettivo di minimizzare il ruolo dello<br />

Stato nell’economia lasciando massimi gradi di libertà all’azione delle istituzioni<br />

capitalistiche private.<br />

6.6.1. I fallimenti del mercato e dell’impresa<br />

A partire dall’analisi di Coase (1937), l’antagonismo mercato/impresa, nelle<br />

parole di Pitelis (1991, p. 10), si sviluppa sotto lo spettro della pianificazione: che<br />

si discuta un’unica dimensione o più dimensioni contemporaneamente il problema<br />

è quello di spiegare perché la soppressione del mercato debba, per motivi<br />

efficientistici, essere parziale piuttosto che totale.<br />

In Williamson il problema della pianificazione centrale è esplicitamente<br />

messo da parte:<br />

« The alternative organizational modes examined here are strictly firms and market;<br />

central planning boards never expressly enter the picture ». 347<br />

L’idea di Williamson è che l’analisi austriaca del problema informativo sia<br />

un’utile fonte di insegnamenti ma che essa vada presa selettivamente in quanto<br />

mirante ad obiettivi diversi (dimostrare l’impossibilità della completa<br />

pianificazione centrale) da quella neoistituzionalista. Ciò non esclude comunque<br />

che nel framework neoistituzionalista ci possa essere spazio anche per lo Stato.<br />

Vediamo come lo Stato può essere integrato nello schema neoistituzionalista.<br />

La corretta impostazione del problema del grado ottimo di centralizzazione<br />

nell’ottica neoistituzionalista consiste nello scomporre il problema allocativo in<br />

una serie di sotto-problemi, la discussione dei quali conduce ad individuare<br />

l’organizzazione efficiente per ognuno di essi.<br />

Come sottolinea Williamson in origine c’erano i mercati (non il mercato<br />

come principio generale); potremmo aggiungere noi, c’era un mercato per ogni<br />

merce. L’esercizio di statica comparata tra i diversi gradi di centralizzazione deve<br />

essere compiuto per ogni merce. Quando l’allocazione ottima della merce può<br />

essere ottenuta senza centralizzazione decisionale essa rimane sul mercato,<br />

altrimenti si procede via via verso livelli maggiori di centralizzazione. In alcuni<br />

casi di fallimento del mercato, nulla esclude che l’organizzazione efficiente sia<br />

quella completamente centralizzata (ossia che anche l’impresa fallisca) e che<br />

dunque vi sia un ruolo (allocativo) anche per lo Stato.<br />

Come sostiene Arrow (1969) i fallimenti del mercato sono un caso<br />

particolare dei costi di transazione in cui questi sono così alti da non rendere<br />

347 Williamson (1975, p. 5).<br />

185


proficua l’esistenza del mercato: i costi di transazione sono la causa generale dei<br />

fallimenti del mercato e sono dunque anche la raison d’être dello Stato.<br />

L’osservazione di Arrow getta dunque un ponte tra l’analisi neoclassica<br />

dei fallimenti del mercato e la teoria dei costi di transazione.<br />

Grazie al contributo di Arrow, lo spettro della pianificazione può essere<br />

allontanato, pur riconoscendo un ruolo allo Stato: la ripartizione dei ruoli tra<br />

Stato, impresa e mercato è determinata dalle caratteristiche tecnologiche dei beni.<br />

In tal modo le funzioni allocative dello Stato risultano definite dai margini<br />

derivanti dal doppio fallimento di mercato e impresa.<br />

6.6.2. La minimizzazione dello Stato nella teoria dei<br />

diritti di proprietà<br />

La minimizzazione del ruolo dello Stato nella teoria neoistituzionalista non si<br />

limita all’analisi del problema allocativo. La branca della teoria neoistituzionalista<br />

che va sotto il nome di teoria dei diritti di proprietà analizza infatti anche il<br />

problema dei meccanismi per risolvere i contenziosi derivanti da imperfezioni<br />

informative, senza ricorrere all’intervento diretto dello Stato.<br />

L’ipotesi di imperfezioni informative implica, com’è noto, l’impossibilità<br />

di realizzare l’allocazione di first best. Dato l’assunto di agenti opportunisti, il<br />

raggiungimento delle condizioni di second best può incontrare il problema della<br />

time consistency: le strategie ottime ex ante non necessariamente sono ottime<br />

anche ex post. In caso di time inconsistency, una volta stipulati i contratti secondo<br />

i criteri di ottimizzazione (ex ante) diviene conveniente, proprio alla luce<br />

dell’ipotesi di comportamenti opportunistici ottimizzanti, violarli.<br />

Esistono diversi modi in cui tale problema può essere risolto. Di certo,<br />

come sottolineano Bowles e Gintis, non è possibile mantenere l’assunto implicito<br />

nel paradigma neoclassico secondo cui « a handshake is a handshake »: 348 il<br />

problema dell’esecuzione dei contratti non può essere affidato ad una stretta di<br />

mano ma deve essere inglobato nell’analisi del processo decisionale.<br />

Nella teoria dei diritti di proprietà si dimostra che il problema<br />

dell’esecuzione dei contratti (o più in generale del mantenimento degli impegni)<br />

può essere risolto, sotto condizioni generali, senza il ricorso al giudice. 349<br />

Lo Stato garantisce solo i diritti di proprietà e il problema dell’esecuzione<br />

dei contratti è inglobato nell’analisi del disegno di contratti ottimi a livello di<br />

impresa.<br />

348 Bowles and Gintis (1993a, p. 83).<br />

349 Grossman and Hart (1986), Hart (1989), Hart and Moore (1990a), Moore (1992).<br />

186


Secondo l’approccio di Hart e Moore, l’impresa è definita come<br />

comprendente tutte le attività (macchinari, edifici, brevetti, attività liquide, ecc.)<br />

meno quelle umane. 350 Le attività fisiche sono per ipotesi di proprietà del<br />

capitalista mentre il capitale umano è proprietà inalienabile del lavoratore. 351<br />

Secondo tale impostazione la proprietà dell’impresa è assunta dalla parte che è<br />

disposta a pagare un prezzo maggiore per assumere il controllo del processo<br />

produttivo. 352 L’impresa è dunque concepita come un insieme di attività fisiche su<br />

cui il proprietario vanta diritti residuali di controllo. 353<br />

La proprietà dell’impresa è un modo efficace per salvaguardare il<br />

proprietario di una risorsa in quanto essa implica che egli avrà <strong>potere</strong> su tutto ciò<br />

che non è contemplato nel contratto. L’assunzione della proprietà dell’impresa<br />

può allora essere vista come lo strumento per risolvere il problema delle dispute<br />

tra le parti: nei casi estremi, la parte che ha assunto la proprietà dell’impresa può<br />

negare all’altra parte l’accesso alle risorse fisiche. 354<br />

La proprietà dell’impresa, per il principio di efficienza viene assunta dal<br />

proprietario del fattore più difficile da monitorare e/o più specifico. Egli,<br />

diventando proprietario dell’impresa, sopporta minori 355 costi di monitoraggio (in<br />

quanto l’altro fattore è, per ipotesi, quello più facile da monitorare).<br />

In tale ottica il contratto incompleto (da mettersi in atto mediante l’attività<br />

di monitoraggio) è lo strumento efficiente per fronteggiare i problemi informativi.<br />

L’impresa è dunque un’organizzazione efficiente di disciplina atta a gestire<br />

privatamente il problema delle dispute tra le parti. Lo strumento di disciplina è<br />

l’assunzione della proprietà dell’impresa.<br />

Una seconda argomentazione dalla quale si può desumere che il ruolo dello Stato<br />

debba essere confinato alla garanzia dei diritti di proprietà è rappresentato dagli<br />

studi di teoria dei giochi sull’emergenza di soluzioni cooperative Pareto efficienti.<br />

350 Hart (1989, p. 1766).<br />

351 La teoria dei diritti di proprietà oltre che i rapporti tra datore di lavoro e lavoratore discute i<br />

problemi della separazione tra proprietà e controllo e del finanziamento ottimo dell’impresa. Cf.<br />

Hart and Moore (1990b, 1991).<br />

352 Le caratteristiche del contesto decisionale della teoria dei diritti di proprietà permettono quindi<br />

di risolvere il problema di quale sia il fattore (capitale o lavoro) ad impiegare l’altro. Tale<br />

problema, come osservato da Samuelson, non è invece risolvibile nel contesto decisionale perfetto:<br />

« in a perfectly competitive market it doesn’t really matter who hires whom ». Samuelson (1957,<br />

p. 894).<br />

353 Moore (1992, p. 496).<br />

354 La definizione di Hart e Moore dell’impresa, nonostante la compatibilità con le ipotesi delle<br />

teorie dei costi di transazione del filone informativo (agenti massimizzanti, informazione<br />

imperfetta, trattazione del problema degli incentivi secondo lo schema principale-agente) è<br />

sufficiente a superare il paradosso del licenziamento del droghiere di Alchian e Demsetz: quando il<br />

consumatore licenzia il droghiere non può negare a quest’ultimo l’accesso alla drogheria, mentre<br />

al lavoratore licenziato è vietato l’accesso fisico all’impresa. Cf. Moore (1992, p. 497).<br />

355 « Minori » rispetto all’ipotesi in cui fosse l’altro fattore ad assumere la proprietà dell’impresa.<br />

187


Kreps (1990), facendo leva sul concetto di reputazione, deduce che<br />

l’impresa è un’organizzazione privata in grado di risolvere efficientemente il<br />

problema del conflitto tra le parti.<br />

Il ragionamento di Kreps utilizza il risultato della teoria dei giochi secondo<br />

cui è possibile ottenere una soluzione cooperativa per un gioco la cui soluzione<br />

statica d’equilibrio non è Pareto efficiente, a patto che il gioco sia ripetuto in un<br />

orizzonte temporale non specificato ex ante.<br />

La reputazione entra allora in gioco per spiegare perché la parte più forte<br />

trovi vantaggioso non abusare del proprio <strong>potere</strong>: è vero che nel breve periodo<br />

risulterebbe vantaggioso non cooperare, ma è anche vero che ciò annullerebbe i<br />

vantaggi di medio-lungo periodo della cooperazione. La questione della<br />

reputazione conduce perciò le parti a risolvere i propri conflitti di interesse<br />

privatamente attraverso la collaborazione reciproca.<br />

« If employees or students are to grant such authority to a firm or university, they<br />

must believe that it will be used fairly. What is the source of this faith? it is that the<br />

firm and university are characterized by their reputations. (...) Those in the<br />

organization who have decision-making authority, will have an interest in preserving<br />

or even promoting a good reputation ». 356<br />

Sebbene vi sia un’asimmetria tra le parti, l’analisi dell’impresa nel framework dei<br />

giochi ripetuti dimostra che lo Stato, come ente di risoluzione dei contenziosi, non<br />

è necessario: la parte debole non ha bisogno di una difesa istituzionale in quanto è<br />

interesse della parte forte evitare prevaricazioni (o gesti che potrebbero essere<br />

intesi come tali). 357<br />

Il ruolo dello Stato è invece necessario a proteggere la parte forte della<br />

relazione contrattuale privata: la teoria assume infatti che i diritti di proprietà (che<br />

rappresentano ciò che definisce una parte come forte e l’altra come debole) non<br />

siano violabili (ossia siano garantiti dallo Stato).<br />

356 Kreps (1990, pp. 92-3).<br />

357 L’introduzione del concetto di reputazione può essere vista anche come un modo per risolvere<br />

formalmente il tentativo avviato da Alchian e Demsetz di spiegare l’autorità senza introdurre il<br />

<strong>potere</strong>.<br />

Coloro che accettano il <strong>potere</strong> come descrizione fattuale delle relazioni sociali non<br />

mancheranno di notare che se lo studente che entra all’università (o il lavoratore che entra<br />

nell’impresa) accetta le relazioni autoritarie, non è generalmente per ragioni di reputazione, ma per<br />

gli scarsi mezzi a sua disposizione qualora volesse modificare i termini della relazione di studio (o<br />

di lavoro).<br />

188


6.7. Conclusioni<br />

La teoria neoistituzionalista afferma che mercato e imprese sono istituzioni che<br />

svolgono funzioni allocative. I rapporti tra tali due istituzioni sono analizzati<br />

nell’ottica di antagonismo. Tale ottica assume due forme distinte a seconda che si<br />

esca dal contesto decisionale perfetto solo lungo la dimensione informativa o<br />

anche lungo la dimensione di razionalità e la dimensione legale.<br />

Nel primo caso, l’ottica antagonistica è derivata da una visione del principio di<br />

<strong>competizione</strong> ex ante come unico e universale. Ciò porta a trattare l’impresa come<br />

una forma particolare di mercato e a negare l’esistenza del principio di<br />

coordinamento (se non come forma particolare del principio di <strong>competizione</strong> ex<br />

ante) e del <strong>potere</strong> <strong>economico</strong>. L’antagonismo tra impresa e mercato è dunque più<br />

apparente che sostanziale: l’analisi rigorosa lungo tale direzione porta a<br />

concludere che (1) non esistono relazioni veramente autoritarie e (2) l’impresa<br />

non esiste.<br />

Nel secondo caso, l’antagonismo è sostanziale: L’analisi di Williamson riconosce<br />

l’esistenza del principio di coordinamento e identifica l’impresa con il luogo dove<br />

tale principio opera; il mercato è invece identificato con il luogo per l’esercizio<br />

del principio di <strong>competizione</strong> ex ante. La distinzione tra mercato e impresa può<br />

essere ricondotta alla peculiarità del contratto di lavoro: il contratto di lavoro<br />

implica asimmetria tra le parti e autorità.<br />

L’analisi della scuola neoistituzionalista si concentra principalmente sulle<br />

istituzioni e le organizzazioni private. Lo Stato non è tuttavia incompatibile con il<br />

framework neoistituzionalista. La spiegazione dei fallimenti del mercato come<br />

caso particolare dei costi di transazione offre una spiegazione dell’esistenza dello<br />

Stato come meccanismo allocativo da affiancare a impresa e mercato.<br />

Lo Stato oltre ad avere funzioni allocative assume il ruolo di risolutore dei<br />

contenziosi privati. La teoria dei diritti di proprietà mostra come molti tipi di<br />

contenzioso possono essere risolti efficientemente dalle imprese. L’unico tipo di<br />

contenzioso che (implicitamente) si assume che non possa essere delegato alle<br />

imprese è quello relativo alla garanzia dei diritti di proprietà. Accanto alla<br />

funzione allocativa (nei casi di fallimento del mercato e dell’impresa) si delinea<br />

così una seconda funzione dello Stato: la protezione della proprietà privata.<br />

L’introduzione di imperfezioni nel contesto decisionale, nell’ambito della teoria<br />

neoistituzionalista, offre così una spiegazione della contemporanea esistenza di<br />

istituzioni allocative diverse (Stato, impresa e mercato) basata sul principio di<br />

189


efficienza: il mercato è un’entità preesistente, l’impresa e lo Stato emergono per<br />

ragioni (tecnologiche) connesse al fallimento del mercato.<br />

Il principio di efficienza oltre a rappresentare la spiegazione dell’emergenza delle<br />

istituzioni, è anche il principio che ne regola i meccanismi evolutivi: l’evoluzione<br />

di un sistema basato su un particolare mix di mercato, impresa e Stato è il risultato<br />

di un continuo processo di minimizzazione dei costi di transazione.<br />

L’argomentazione si basa su quattro passaggi: (1) centralizzazione e<br />

decentralizzazione presentano costi e benefici; (2) i vari modi di integrare<br />

centralizzazione e decentralizzazione in un sistema <strong>economico</strong> conducono a<br />

diversi risultati dal punto di vista del rapporto costi/benefici; (3) esiste un<br />

meccanismo (principio di efficienza) che garantisce la selezione e la riproduzione<br />

del sistema che minimizza il rapporto costi/benefici; (4) tale meccanismo opera se<br />

e solo se l’interazione tra individui è di tipo volontario (non coercitivo).<br />

Da questi quattro passaggi si desume che il sistema misto è il prodotto di<br />

un processo (evolutivo) di ottimizzazione, dunque è efficiente. I punti (1) e (2)<br />

assicurano l’esistenza (potenziale) di una varietà istituzionale con diversi gradi di<br />

efficienza. I punti (3) e (4) derivano l’efficienza dello status quo facendo leva<br />

sulla libertà d’azione dell’individuo e sull’assenza di coercizioni nel sistema<br />

<strong>economico</strong>.<br />

I passaggi (3) e (4) costituiscono due punti deboli dell’argomentazione.<br />

L’affermazione (3) non può essere sostenuta in quanto l’efficienza non è né<br />

necessaria, né sufficiente alla sopravvivenza. L’affermazione (4) riposa sulla<br />

dicotomia volontario/non volontario. La possibilità di definire una simile<br />

dicotomia richiede un’indagine sui criteri che definiscono un’azione come<br />

volontaria o coatta. Tale indagine non è tuttavia sviluppata in ambito<br />

neoistituzionalista (essa sarà discussa nel prossimo capitolo, attingendo da scuole<br />

di pensiero diverse).<br />

L’analisi neoistituzionalista modifica sostanzialmente l’immagine della frontiera<br />

efficiente Stato-impresa-mercato rispetto ai risultati raggiunti nel contesto<br />

decisionale perfetto.<br />

Nel contesto decisionale perfetto la frontiera efficiente Stato-impresamercato<br />

è costituita da tutti gli infiniti modi possibili di combinare i tre<br />

meccanismi allocativi nell’ambito del sistema <strong>economico</strong>.<br />

Nel contesto decisionale della teoria neoistituzionalista, la frontiera<br />

efficiente Stato-impresa-mercato si riduce a un punto (a meno di casi di non<br />

unicità del minimo della funzione costi/benefici). 358<br />

358 Nel contesto decisionale con soli problemi informativi, come si è visto, l’impresa non esiste<br />

come organizzazione degna di una definizione distinta dal mercato. Questo tuttavia non significa<br />

che il problema della frontiera efficiente non si ponga. Al contrario, esso si pone e, come<br />

190


nell’approccio di Williamson, porta all’individuazione di un particolare punto nello spettro<br />

compreso tra completa centralizzazione e completa decentralizzazione: tale punto viene chiamato<br />

di puro mercato, ma è evidente che esso è diverso dal puro mercato dell’EEG in quanto comprende<br />

organizzazioni con diversi gradi di centralizzazione (le quali tuttavia sono considerate come forme<br />

particolari di mercato).<br />

191


7<br />

I LIMITI TEORICI DELLA TEORIA<br />

NEOISTITUZIONALISTA<br />

The market is simply assumed to exist. It is viewed as a self-generated<br />

phenomenon, a product of immaculate conception and virgin birth.<br />

Dugger (1992a)<br />

La discussione della teoria neoistituzionalista dell’impresa sviluppata nel capitolo<br />

6 ha evidenziato alcuni aspetti problematici. Quattro di questi, in particolare,<br />

richiedono, a nostro giudizio, un approfondimento: (1) nell’analisi dei rapporti tra<br />

Stato, impresa e mercato si insiste solo sul rapporto di sostituzione tra le tre<br />

istituzioni; ciò (2) rende problematica la definizione stessa dell’impresa e il suo<br />

ruolo nel sistema <strong>economico</strong> e (3) impedisce di cogliere il ruolo dello Stato al di<br />

fuori del problema allocativo; (4) la dicotomia volontarietà-coercizione (sulla<br />

quale si basa la tesi dell’efficienza delle istituzioni capitalistiche) non è<br />

sufficientemente discussa.<br />

Allo scopo di approfondire tali problemi proponiamo il seguente percorso.<br />

Nel paragrafo 7.1 analizziamo alcune caratteristiche del contesto<br />

decisionale neoistituzionalista; ciò ci consente di ricompattare i due filoni della<br />

scuola neoistituzionalista e di evidenziare la loro compatibilità col framework<br />

neoclassico.<br />

Una delle manifestazioni della compatibilità col framework neoclassico si<br />

ha nella identificazione dei problemi economici con il problema allocativo. L’idea<br />

neoistituzionalista di derivare tutte le istituzioni capitalistiche da un sistema di soli<br />

mercati deriva infatti dall’ipotesi che l’unico ruolo di Stato, impresa e mercato è<br />

quello di allocare un insieme dato di risorse. La possibilità di spiegare le<br />

istituzioni capitalistiche a partire dal mercato è discussa e rigettata nel paragrafo<br />

7.2.<br />

A partire dai motivi che ci portano a rigettare l’assunzione di un sistema di<br />

soli mercati come sistema internamente coerente, nel paragrafo 7.3, ridiscutiamo i<br />

192


apporti tra Stato, impresa e mercato evidenziando il carattere di complementarità<br />

tra le tre istituzioni oltre che di parziale sostituibilità nei confronti del problema<br />

allocativo. L’analisi utilizza in gran parte la critica della scuola istituzionalista alla<br />

teoria neoistituzionalista. 359<br />

Nel paragrafo 7.4 analizziamo la dicotomia volontarietà-coercizione. Essa,<br />

sosterremo, non ha riscontri reali ed è scarsamente utile analiticamente. La nostra<br />

tesi è che separando le azioni umane in volontarie e coatte la teoria<br />

neoistituzionalista aggiri il problema del <strong>potere</strong> <strong>economico</strong>. Il problema del <strong>potere</strong><br />

<strong>economico</strong> separa le posizioni dei due filoni della scuola neoistituzionalista:<br />

Williamson ne riconosce l’esistenza ma non ne affronta l’analisi; gli autori del<br />

filone informativo ne negano invece esplicitamente l’esistenza.<br />

Il problema del <strong>potere</strong> <strong>economico</strong> è approfondito nel paragrafo 7.5. Il<br />

metodo d’analisi statico-comparato, una scarsa (o nulla) attenzione verso l’analisi<br />

di classe e l’ottica dello scambio anche nell’analisi della produzione sono le<br />

ragioni analitiche che rendono il contesto decisionale neoclassiconeoistituzionalista<br />

non idoneo per l’analisi delle relazioni di <strong>potere</strong> tra gli agenti.<br />

Tali elementi sono ricavati ragionando su alcuni aspetti della teoria marxiana.<br />

Le conclusioni del nostro percorso critico nei confronti della teoria<br />

neoistituzionalista sono raccolte nel paragrafo 7.6.<br />

7.1. Il contesto decisionale della teoria<br />

neoistituzionalista<br />

La teoria neoistituzionalista, per molti versi, può considerarsi complementare<br />

rispetto alla teoria neoclassica. Il problema di spiegare l’impresa, così come le<br />

altre istituzioni capitalistiche, nasce dalla presa di coscienza di una lacuna nel<br />

modello di EEG. Dato che l’origine della lacuna è nei caratteri di perfezione del<br />

contesto decisionale, è su questi che la teoria neoistituzionalista lavora al fine di<br />

supplire alla deficienza neoclassica. 360<br />

L’introduzione di imperfezioni nel contesto decisionale è un processo che<br />

assume come riferimento il contesto decisionale perfetto.<br />

Nel capitolo 6 abbiamo visto che l’introduzione di imperfezioni nel contesto<br />

decisionale perfetto prende due direzioni distinte nel filone informativo e in quello<br />

di Williamson. I rapporti di compatibilità tra il filone informativo e la teoria<br />

neoclassica sono così alti da lasciare irrisolto il problema della definizione<br />

359 Sui rapporti tra istituzionalismo vecchio e nuovo si veda Hodgson (1989, 1994c).<br />

360 Con ciò non si intende negare che, per alcuni versi, le teorie neoclassica e neoistituzionalista<br />

siano teorie rivali.<br />

193


dell’impresa. La problematizzazione contestuale della dimensione legale, della<br />

razionalità e dell’informazione porta invece Williamson a definire l’impresa come<br />

istituzione distinta rispetto al mercato. In qualche modo dunque l’analisi di<br />

Williamson, rompe le ipotesi dello schema neoclassico.<br />

Ciò che intendiamo mostrare ora è che la rottura con lo schema<br />

neoclassico non è radicale e che la teoria di Williamson, come egli stesso<br />

sottolinea, possa conservare i principi base dell’impostazione neoclassica.<br />

Un primo problema riguarda le ipotesi di razionalità limitata e incertezza: la<br />

nostra tesi è che l’analisi di Williamson del problema della razionalità limitata e<br />

dell’incertezza non si discosta qualitativamente dalle ipotesi del contesto<br />

decisionale neoclassico (7.1.1).<br />

Una seconda fonte di ambiguità riguarda l’origine analitica dell’ipotesi di<br />

incompletezza dei contratti; in particolare, nel paragrafo 7.1.2, discutiamo<br />

l’ipotesi di incompletezza del contratto di lavoro, sulla quale, come abbiamo visto,<br />

si regge la distinzione tra mercato e impresa nell’approccio di Williamson. La<br />

nostra idea è che anche rispetto all’ipotesi di incompletezza dei contratti si<br />

mantenga la compatibilità con il contesto decisionale neoclassico.<br />

7.1.1. Razionalità limitata e incertezza<br />

Nell’approccio di Williamson l’introduzione di razionalità limitata è dettata dalla<br />

complessità dell’ambiente la quale rende praticamente insolubili i problemi<br />

decisionali e economicamente non conveniente ricercare la soluzione ottima. La<br />

nostra tesi è che ciò che viene discusso è la complessità pratica della procedura di<br />

risoluzione del problema decisionale, non la possibilità teorica della sua<br />

risoluzione.<br />

Il problema della possibilità teorica di risolvere il problema decisionale è<br />

legato alla concezione dell’incertezza. Ciò che intendiamo mostrare è che il<br />

contesto decisionale di Williamson sia di rischio e complessità, ma non di<br />

incertezza radicale e che nella teoria di Williamson si mantenga il riferimento<br />

all’ottimizzazione.<br />

Scrive Williamson:<br />

« Le 3 dimensioni che definiscono l’economia dei costi di transazione sono la<br />

frequenza, l’incertezza e la condizione di specificità delle risorse. Nessuna di queste<br />

dimensioni è facile da misurare, anche se i ricercatori empirici hanno trovato delle<br />

misure rudimentali o approssimative per ciascuna di esse ». 361<br />

361 Williamson (1985, [1987, p. 568]).<br />

194


La misurabilità dell’incertezza non è solo un problema pratico per i ricercatori<br />

empirici. Essa è un’ipotesi necessaria al metodo dell’ottimizzazione: in un<br />

contesto decisionale di incertezza radicale (non solo di rischio), il metodo<br />

dell’ottimizzazione non può invece essere applicato. In condizioni di incertezza,<br />

osserva Loasby, il calcolo ottimizzante è impossibile.<br />

« No optimum can be defined for an incomplete choice set ». 362<br />

Se la nostra interpretazione del contesto decisionale di Williamson come contesto<br />

incompatibile con l’incertezza (radicale) è corretta, possiamo procedere a<br />

precisare anche il significato che il concetto di razionalità limitata assume in<br />

Williamson.<br />

Come nota Hodgson (1993b, p. 86) le due assunzioni di Williamson<br />

secondo cui (1) la minimizzazione dei costi di transazione è operata da<br />

comportamenti intenzionali e (2) gli agenti sono dotati di razionalità limitata,<br />

sono incompatibili: se per razionalità limitata si intende l’adozione di<br />

comportamenti di routine e criteri di scelta satisficing, la minimizzazione dei costi<br />

di transazione non può essere garantita. 363<br />

La nostra interpretazione è allora che nella teoria di Williamson l’ipotesi di<br />

comportamenti guidati da razionalità limitata non alteri il carattere ottimizzante<br />

dei processi decisionali: il motivo per cui la razionalità è limitata è legato<br />

all’esistenza di vincoli (esogeni) di tipo computazionale-previsivo, i quali<br />

complicano la procedura di individuazione dell’ottimo; l’esistenza di quest’ultimo<br />

non è comunque messa in discussione (come invece sarebbe il caso in presenza di<br />

incertezza radicale). Osserva infatti Williamson:<br />

« Given unbounded rationality, contingent claims contracting goes through,<br />

whatever the degree of complexity to be dealt with ». 364<br />

L’introduzione della razionalità limitata come problema pratico di complessità<br />

consente di mantenere un’impostazione ottimizzante: il motivo per cui non si<br />

ricerca l’ottimo assoluto, non è l’impossibilità di trovarlo (ad esempio perché non<br />

esiste, o non è definibile), bensì la non convenienza a cercarlo o l’incapacità di<br />

trovarlo. La scelta stessa di non ricercare l’ottimo assoluto, ma di accontentarsi di<br />

un ottimo relativo è quindi una scelta ottima, dato il sistema di vincoli imposti<br />

dalla complessità del problema decisionale.<br />

Il fatto che la razionalità sia limitata dalle capacità (o dalla costosità) di<br />

calcolo, aggiunge nuovi vincoli al processo decisionale. Quest’ultimo rimane un<br />

processo di ottimizzazione, ma ora, oltre ai vincoli esterni (vincoli tecnologici,<br />

362 Loasby (1976, p. 217).<br />

363 Cf. anche Dugger (1994b, p. 379).<br />

364 Williamson (1975, p. 22).<br />

195


vincoli di bilancio), si aggiunge il vincolo interno della capacità-costosità<br />

computazionale. 365<br />

In definitiva, l’ipotesi di intenzionalità del comportamento umano spinge<br />

in direzione della ricerca dell’ottimo; i limiti alla razionalità (nei casi in cui siano<br />

operanti) ne impediscono il raggiungimento.<br />

Il mantenimento dell’impostazione ottimizzante ha implicazioni importanti<br />

sull’analisi di Pareto efficienza: se gli individui non fossero ottimizzanti non si<br />

potrebbe neanche parlare della Pareto efficienza delle istituzioni scaturenti dalle<br />

loro interazioni. Sotto questo punto di vista, dunque, l’analisi di Williamson è<br />

coerente con quella sviluppata dagli economisti del filone informativo in cui<br />

l’ottimo assoluto è raggiungibile grazie all’ipotesi che il contesto decisionale sia<br />

meno complesso.<br />

In tutti e due i casi l’ipotesi di comportamenti ottimizzanti (con o senza<br />

vincoli computazionali) garantisce che le istituzioni e organizzazioni che si<br />

delineano sono il risultato di comportamenti volontari, più che volontari:<br />

ottimizzanti.<br />

7.1.2. L’incompletezza del contratto di lavoro<br />

Il contratto di lavoro gioca un ruolo centrale nella teoria di Williamson in quanto è<br />

su di esso che poggia l’origine dei rapporti gerarchici nel sistema. Il contratto di<br />

lavoro è, per definizione, incompleto, in quanto per definizione contrattuale una<br />

delle parti mette volontariamente a disposizione dell’altra la propria forza lavoro,<br />

l’utilizzazione della quale non è specificata dettagliatamente ex ante, ma viene<br />

precisata solo ex post, in base alle esigenze-preferenze del datore di lavoro. 366<br />

365 Simon (1991, pp. 26-7) individua nell’ipotesi di esogenità dei limiti alla razionalità l’elemento<br />

chiave che permette di mantenere la compatibilità tra la teoria della razionalità limitata di<br />

Williamson e il metodo neoclassico dell’ottimizzazione: grazie a tale ipotesi il risultato di un<br />

processo decisionale con limiti di razionalità risulta ancora un risultato ottimo, dati i vincoli.<br />

Simon (1991, p. 27) nota inoltre come nell’introdurre l’ipotesi di razionalità limitata la<br />

scuola neoistituzionalista non abbia tratto ispirazione dai lavori empirici nel campo della teoria<br />

dell’organizzazione e delle decisioni (sviluppati in particolare da Cyert, March e Simon stesso). In<br />

assenza di lavori empirici attraverso i quali testare empiricamente la validità dell’ipotesi di<br />

Williamson, conclude Simon, la teoria neoistituzionalista non può che considerarsi un atto di fede<br />

o di devozione.<br />

366 Mentre i contratti di scambio di beni o servizi possono in linea di principio essere definiti in<br />

senso completo (sebbene non sempre), l’incompletezza del contratto di lavoro fa parte della sua<br />

stessa definizione. Un contratto di lavoro completo ex ante non è possibile in quanto la relazione<br />

di lavoro è una relazione tra uomini, e l’azione umana, come risultato di processi decisionali, è, per<br />

196


L’incompletezza del contratto di lavoro potrebbe apparire come un caso<br />

singolare nell’ambito dell’approccio neoistituzionalista: il fatto che non si<br />

definiscano ex ante tutte le possibili clausole del contratto in base a tutte le<br />

possibili situazioni future potrebbe far pensare che il contratto di lavoro sia<br />

l’unico caso in cui si introduca una forma di incertezza radicale nel contesto<br />

decisionale neoistituzionalista. Ciò (1) costituirebbe una contraddizione<br />

nell’ambito della visione generale del contesto decisionale neoistituzionalista e (2)<br />

cozzerebbe con la centralità del concetto di efficienza negli sviluppi del<br />

framework di Williamson.<br />

Si tratta in realtà di un falso allarme: non è l’impossibilità di prevedere<br />

tutti i possibili stati futuri del mondo (e le relative probabilità) che impedisce di<br />

scrivere un contratto completo includente tutte le clausole possibili, bensì (1)<br />

l’ipotesi che contrattare e scrivere i contratti (e farli rispettare) sia un’attività<br />

costosa e (2) l’ipotesi che le facoltà di calcolo siano limitate, il che impedisce<br />

l’esplorazione completa del problema decisionale. 367<br />

La decisione di lasciare dei gradi di libertà al datore di lavoro nella sua<br />

relazione col lavoratore è perciò essa stessa il risultato di un processo di<br />

ottimizzazione condotto da ambo le parti.<br />

Come si ricorderà, nell’ambito dell’approccio informativo, la relazione di lavoro è<br />

considerata una tipica relazione di agenzia.<br />

La relazione d’agenzia origina per il mutuo beneficio delle parti.<br />

Il motivo per cui l’agente accetta di agire secondo la guida del principale è<br />

che in tal modo si riducono i costi complessivi di ricontrattazione continua e si<br />

genera un surplus alla spartizione del quale egli stesso parteciperà.<br />

Le ragioni per cui il principale accetta l’incombenza di dirigere il lavoro<br />

dell’agente, godendo di maggiori gradi di libertà rispetto all’ipotesi di un contratto<br />

completo, è che egli crede (o, in alcuni casi, sa) di poter ricavare un surplus<br />

dall’esercizio della sua attività dirigenziale e sa di potersene appropriare.<br />

In tali circostanze, non vale la pena di scrivere un contratto completo (che<br />

richiederebbe tempo e danaro); piuttosto si può fare un accordo ex ante<br />

incompleto, l’efficienza del quale è garantita dalla disciplina imposta dal principio<br />

di <strong>competizione</strong>, il quale assicura la possibilità di rottura del contratto in caso di<br />

insoddisfazione ex post di una delle parti o, quanto meno, la possibilità di non<br />

rinnovo del contratto.<br />

definizione, indeterminata (altrimenti non ci sarebbe scelta nel senso di Shackle e Loasby). Cf.<br />

Hodgson (1994-95, p. 9).<br />

367 Come notano Williams and Findlay III (1986, p. 37), c’è una differenza qualitativa tra l’ipotesi<br />

di incertezza radicale e le ipotesi sulla dimensione legale e sulla razionalità come causa di<br />

incompletezza dei contratti: nel primo caso scrivere un contratto completo è impossibile, nel<br />

secondo caso è costoso.<br />

197


L’analisi della relazione di lavoro, come abbiamo visto nel capitolo 6, porta<br />

l’approccio informativo e l’approccio di Williamson a conclusioni diverse rispetto<br />

ai problemi dell’asimmetria tra le parti e dell’autorità; i due approcci si<br />

ricompattano però nell’analisi dell’efficienza della relazione di lavoro: che<br />

l’autorità sia formale o sostanziale, il contratto di lavoro incompleto è il risultato<br />

di un processo di ottimizzazione operato da ambo le parti. La differenza tra i due<br />

filoni sta nell’introduzione da parte di Williamson di ulteriori ragioni (l’ipotesi di<br />

limiti alla razionalità) per l’ottimalità del contratto incompleto. L’incompletezza<br />

del contratto di lavoro rappresenta comunque la soluzione istituzionale efficiente<br />

alla complessità del contesto decisionale: il contratto di lavoro è un contratto<br />

ottimo tra agenti ottimizzanti.<br />

La nostra conclusione è allora che l’analisi di Williamson si allontana dallo<br />

schema neoclassico, ma non ne rompe la logica. La teoria di Williamson consente<br />

di superare il limite della teoria neoclassica e della teoria del filone informativo<br />

rispetto al problema della definizione dell’impresa, senza dover abbandonare il<br />

riferimento agli strumenti concettuali neoclassici (in particolare, l’equilibrio e la<br />

Pareto efficienza).<br />

7.2. I rapporti logico-cronologici tra Stato, impresa e<br />

mercato<br />

L’assunzione di Williamson del mercato come punto di partenza per l’analisi<br />

istituzionale suggerisce l’idea che il mercato sia una categoria concettuale<br />

preesistente e naturale dalla quale derivare deduttivamente tutte le altre<br />

istituzioni.<br />

Una simile interpretazione solleva problemi storici e concettuali. Abbiamo<br />

già notato che dal punto di vista storico l’assunzione che inizialmente c’erano i<br />

mercati è falsa. Abbiamo poi visto come dal punto di vista analitico l’assunzione a<br />

piacere delle condizioni iniziali è metodologicamente corretta solo nell’ambito di<br />

un approccio statico-comparato, il quale non è adatto all’analisi del processo.<br />

Concentriamoci ora sulle ragioni concettuali che portano la teoria<br />

neoistituzionalista ad assumere come condizioni iniziali proprio quelle di un<br />

sistema di mercati perfetti e completi e/o quello di un sistema di individui liberi da<br />

costrizioni. La posizione che svilupperemo nei prossimi paragrafi è la seguente.<br />

L’assunzione di un sistema iniziale di puri mercati rappresenta una<br />

contraddizione con l’obiettivo della scuola neoistituzionalista di spiegare le<br />

istituzioni. Il mercato infatti, se è un’ipotesi non può essere spiegato. La teoria<br />

neoistituzionalista non può dunque realizzare l’obiettivo di spiegare tutte le<br />

198


istituzioni capitalistiche col metodo statico-comparato: per poter utilizzare il<br />

metodo statico-comparato si deve assumere un assetto istituzionale di partenza del<br />

quale si rinuncia a cercare una spiegazione (7.2.1).<br />

Inoltre, ammesso che abbia senso parlare di contesti istituzionali di<br />

partenza, il contesto di soli mercati risulta problematico in quanto porta a negare<br />

l’esistenza di un problema produttivo nel sistema <strong>economico</strong>: se si accetta l’idea<br />

che nel sistema <strong>economico</strong> avvengano anche attività produttive, il sistema di soli<br />

mercati non può essere definito se non si assume l’esistenza di unità produttive<br />

(tipo le imprese) (7.2.2).<br />

Infine la teoria neoistituzionalista trascura il fatto che un sistema di<br />

mercati completi e perfetti richiederebbe in ogni caso la presenza dello Stato come<br />

garante di ultima istanza dell’esecuzione dei contratti e del rispetto degli impegni<br />

(7.2.3).<br />

L’analisi dei rapporti tra impresa e mercato da una parte e tra Stato e mercato<br />

dall’altra porta così a ribaltare l’ipotesi neoistituzionalista del mercato come<br />

istituzione primordiale in quanto la definizione di un sistema di mercato<br />

presuppone l’esistenza di imprese (o, più in generale, unità produttive) e Stato.<br />

Prima di entrare nei dettagli delle critiche, precisiamo in che modo<br />

intendiamo utilizzare le argomentazioni che svilupperemo.<br />

A nostro avviso, il problema dei rapporti tra Stato, impresa e mercato non<br />

può risolversi definendo una priorità logico-cronologica tra le istituzioni, non solo<br />

per l’ovvio motivo che esse sono il prodotto di un’evoluzione storica congiunta,<br />

ma anche perché, dal punto di vista del sistema nel suo complesso, esse non<br />

possono essere comprese, né definite, le une senza le altre. Le critiche che si<br />

sollevano possono dunque essere viste come la specificazione di una critica<br />

metodologica generale secondo la quale le funzioni delle varie parti del sistema<br />

vanno svelate dialetticamente analizzando ogni parte, tanto al suo interno, quanto<br />

al suo esterno, nelle relazioni con le altre parti.<br />

In questo senso, il ribaltamento dell’ordine logico-cronologico tra mercato,<br />

impresa e Stato ha senso in quanto critica all’ipotesi della primordialità del<br />

mercato; tale critica non deve però considerarsi come una proposta alternativa per<br />

l’analisi dei rapporti tra le tre istituzioni: Stato, impresa e mercato nascono,<br />

evolvono e hanno significato solo in quanto in relazione tra loro; così, se è vero<br />

che un mercato senza impresa e senza Stato risulta contraddittorio, è anche vero<br />

che l’impresa assume significato nel sistema capitalista solo se posta accanto al<br />

mercato (e allo Stato), così come le funzioni dello Stato capitalista non possono<br />

essere comprese se non si considerano la sue relazioni col mercato e con<br />

l’impresa.<br />

L’analisi critica dei rapporti tra Stato, impresa e mercato non si risolve<br />

dunque col ribaltamento logico delle tre istituzioni. Al contrario, la proposta che<br />

ne scaturisce è quella di un superamento dialettico delle contraddizioni, necessario<br />

199


sia a precisare il ruolo delle parti rispetto al tutto, sia ad analizzare come la<br />

coevoluzione storica delle tre istituzioni dia luogo a cambiamenti qualitativi, oltre<br />

che quantitativi, del sistema. 368<br />

Il ribaltamento (rispetto alla teoria neoistituzionalista) dei rapporti tra<br />

Stato, impresa e mercato che sviluppiamo nei tre paragrafi che seguono (7.2.1,<br />

7.2.2 e 7.2.3) è dunque puramente strumentale. Una proposta vera e propria verso<br />

una più corretta definizione delle tre istituzioni e dei rapporti tra esse sarà invece<br />

sviluppata nel capitolo 9.<br />

7.2.1. Il mercato come istituzione originale<br />

Nella teoria neoistituzionalista il mercato è l’unica istituzione rispetto alla quale<br />

non ci si pone il problema di dover fornire una spiegazione. 369 Esso viene inteso<br />

come una categoria naturale preesistente da cui derivare, deduttivamente, le altre<br />

istituzioni, in particolare l’impresa.<br />

Questa posizione metodologica della teoria neoistituzionalista è criticata<br />

dalla scuola istituzionalista. Hodgson (1988), in particolare, mette in evidenza<br />

come accanto alla domanda sollevata da Coase (1937) del perché esiste l’impresa,<br />

la teoria neoistituzionalista non abbia sollevato anche la questione del perché<br />

esiste il mercato. 370<br />

In effetti, nell’approccio neoclassico-neoistituzionalista il mercato, così<br />

come l’individuo, è un concetto primordiale che non ha bisogno di spiegazioni.<br />

L’impresa, viceversa, non è considerata naturale e va dunque spiegata. Osserva<br />

Dugger, istituzionalista radicale:<br />

« The neoclassical market is an act of God, not an act of man. It is natural rather<br />

than artificial. (...) The natural market is beyond the will of humans. It is a product<br />

of nature existing outside of history. (...) But the spontaneous market, the natural<br />

market, is an assumption. It is not a unit of enquiry, something to be investigated.<br />

Instead it is something to be assumed, taken for granted ». 371<br />

Il tentativo di analizzare il processo di cambiamento istituzionale (o l’emergenza<br />

di determinate istituzioni) avviene introducendo il mercato accanto agli assiomi<br />

dell’individualismo metodologico: l’individuo da solo non può spiegare le<br />

368 Il che ci consentirà di superare l’impostazione puramente quantitativa dei rapporti tra le<br />

istituzioni come rapporti di sostituzione, in cui la spazio occupato da un’istituzione è<br />

necessariamente sottratto alle altre.<br />

369 Ammesso e non concesso che gli esercizi di statica comparata possano fornire spiegazioni<br />

dell’emergenza, dell’esistenza o dell’evoluzione istituzionale.<br />

370 Hodgson (1988, pp. 177-82).<br />

371 Dugger (1992a, p. 89).<br />

200


elazioni sociali; si deve assumere almeno una forma di interazione tra individui.<br />

Il punto di partenza dell’analisi neoistituzionalista è dunque la coppia individuomercato.<br />

L’assunzione del mercato come categoria primordiale non è comunque<br />

implicata dall’individualismo metodologico. Quello che serve per costruire una<br />

teoria che spieghi le relazioni economiche a partire da un approccio individualista<br />

è un qualsiasi meccanismo di interazione tra gli individui.<br />

Dugger utilizza in proposito, il concetto di processo di circolazione.<br />

Un processo di circolazione muove i beni e i servizi tra i gruppi sociali<br />

dalla produzione al consumo e alla riproduzione. 372 Si possono individuare diversi<br />

tipi di processi di circolazione. 373 Dugger ne discute tre tipi generali: il saccheggio<br />

(raid), il commercio (trade) e l’assistenza (aid). Il passaggio dal raid al trade e<br />

poi all’aid si accompagna ad una riduzione della violenza ma non<br />

necessariamente dei costi di transazione (in particolare Dugger nota come il<br />

passaggio all’aid possa comportare un aumento dei costi di transazione).<br />

I diversi tipi di processi di circolazione possono essere ulteriormente<br />

approfonditi: procedendo dai livelli inferiori di organizzazione verso livelli di<br />

maggiore organizzazione, il raid comprende il furto (individuale), il brigantaggio<br />

(ad opera di gruppi o bande) e la guerra (tra Stati); il trade comprende la<br />

contrattazione isolata, il mercato organizzato e il mercato amministrato; l’aid<br />

comprende il dono, la carità e il welfare state. 374<br />

In una prospettiva istituzionalista si vede allora come il mercato sia solo<br />

uno dei possibili meccanismi di circolazione. Esso, al pari delle altre istituzioni<br />

merita una spiegazione.<br />

« [In neoclassical economics] the market is taken as the only real circulation process<br />

and the market is simply assumed to exist. It is viewed as a self-generated<br />

phenomenon, a product of immaculate conception and virgin birth ». 375<br />

Sebbene come metodo generale la scuola istituzionalista (in particolare nella sua<br />

corrente radicale) rifiuti le assunzioni dell’individualismo metodologico, l’analisi<br />

di Dugger dimostra che indipendentemente dall’ipotesi metodologica<br />

individualista le istituzioni hanno tutte la stessa dignità teorica di fronte al<br />

problema della loro spiegazione. L’analisi di Dugger dei processi di circolazione<br />

non è infatti incompatibile con l’individualismo metodologico 376 ma è<br />

372<br />

Dugger (1992a, p. 102).<br />

373<br />

La definizione istituzionalista di Dugger del processo di circolazione non deve essere confusa<br />

con la definizione di Marx utilizzata nel Capitale. Quest’ultima si riferisce alla circolazione<br />

capitalistica.<br />

374<br />

Dugger (1992a, pp. 102-12).<br />

375<br />

Dugger (1992a, p. 89).<br />

376<br />

Anche se Dugger non utilizza le ipotesi dell’individualismo metodologico se non nell’analisi<br />

delle contraddizioni interne della scuola neoistituzionalista.<br />

201


incompatibile con l’idea di istituzioni naturali preesistenti (in particolare Dugger<br />

contesta che il mercato possa considerarsi un’istituzione preesistente).<br />

Il problema dei costi di transazione come strumento di economia<br />

comparata e di analisi evolutiva rimane centrale ma si rigetta il metodo staticocomparato<br />

come metodo d’analisi storica. Il rifiuto della statica comparata come<br />

metodo d’analisi storica porta così gli economisti istituzionalisti a storicizzare il<br />

mercato e a negare ad esso un ruolo di priorità concettuale rispetto alle altre<br />

istituzioni. 377<br />

Se invece si accetta la prospettiva a-storica come metodo di spiegazione della<br />

realtà istituzionale, non si vede perché si debba accettare l’espediente narrativo di<br />

Williamson circa un mondo di soli mercati. Potremmo proporre di partire da<br />

un’affermazione del tipo « in the beginning there was central planning » o, anche,<br />

« in the beginning there were firms ». 378<br />

Come si è visto nel capitolo 2 mercato, impresa e Stato nel contesto<br />

decisionale perfetto sono tutti economicamente equivalenti; ciò implica che essi<br />

possano essere assunti ma non spiegati. Attraverso l’introduzione di imperfezioni<br />

nel contesto decisionale la teoria neoistituzionalista permette di dedurre due delle<br />

istituzioni in questione, assumendo per data l’esistenza della terza. Essa fallisce<br />

perciò l’obiettivo di spiegare le istituzioni del capitalismo: può spiegarle tutte<br />

meno una.<br />

Spiegare l’impresa e lo Stato partendo dal mercato non fa che rimandare il<br />

problema della loro esistenza al problema dell’esistenza del mercato.<br />

Inoltre, quale che sia l’assetto istituzionale primordiale, gli assetti<br />

istituzionali misti che si ricavano per il principio di minimizzazione dei costi di<br />

transazione sono pure costruzioni teoriche volte a spiegare uno stato di fatto<br />

piuttosto che un processo <strong>economico</strong>. Un’analisi evolutiva che spieghi l’assetto<br />

istituzionale misto mercato-impresa-Stato non può prescindere dalle forme<br />

storiche di interazione tra le tre istituzioni. In una prospettiva storica, l’origine<br />

dello Stato, l’origine dell’impresa e l’origine del mercato devono essere studiati<br />

congiuntamente, essendo i tre fenomeni storicamente interrelati.<br />

377 A tal proposito, il lavoro di Polanyi (1957), riccamente documentato dal punto di vista storico,<br />

mostra la centralità del ruolo dello Stato nel processo di creazione del mercato.<br />

378 Dosi (1995) nota come, se si accetta il metodo statico-comparato come metodo per la<br />

spiegazione dei rapporti tra comp ortamenti individuali e realtà istituzionale le assunzioni<br />

neoistituzionaliste non sono affatto necessarie: accanto alla teoria neoistituzionalista secondo cui a<br />

partire da un sistema composto di individui con preferenze ben strutturate e procedure decisionali<br />

ben definite si deduce il sistema organizzativo-istituzionale efficiente, è possibile costruire una<br />

teoria in cui a partire da un sistema istituzionale definito dai rapporti di <strong>potere</strong> tra gli agenti si<br />

derivano le forme di adattamento degli individui al sistema organizzativo-istituzionale.<br />

202


Non c’è peraltro alcun motivo per cui il mercato debba essere elevato a regime<br />

naturale del processo di circolazione. 379<br />

È comunque evidente che ricavare asserzioni normative sulla desiderabilità<br />

del mercato o di qualsiasi altro assetto istituzionale sulla base di un’analisi che<br />

assume invece che provare la desiderabilità di tale assetto istituzionale è quanto<br />

meno rischioso. È in questo senso che, secondo Dugger, l’interpretazione del<br />

mercato come rete naturale di scambi è essenzialmente apologetica:<br />

« The “new institutionalism” is ideological defense of the status quo masquerading<br />

as economic science ». 380<br />

Per di più essa contiene al suo interno gli estremi per la sua contraddizione: un<br />

apologeta della pianificazione centrale fedele al metodo neoistituzionalista, a<br />

partire dall’espediente narrativo « in the beginning there was central planning »,<br />

potrebbe efficacemente sostenere che la pianificazione centrale rappresenti lo<br />

stato naturale delle relazioni sociali e che il decentramento debba essere attuato<br />

solo a patto che non danneggi nessuno.<br />

7.2.2. L’impresa come istituzione precedente al<br />

mercato<br />

L’assunzione di un sistema di mercati preesistenti (senza imprese) è contestata, su<br />

un piano metodologico, da Fourie. 381<br />

Fourie, a partire dalla distinzione tra scambio e produzione, sostiene che<br />

l’analisi neoistituzionalista dei rapporti tra impresa e mercato sia contraddittoria:<br />

concettualmente, lo scambio presuppone la produzione e a produrre sono le<br />

imprese, non i mercati. Da un punto di vista logico, dunque, l’impresa precede il<br />

mercato, non il contrario. 382<br />

379<br />

Peraltro, a nostro giudizio, l’ipotesi stessa che i rapporti competitivi rappresentino i rapporti<br />

naturali tra gli individui può ben considerarsi un’utile ipotesi di lavoro, ma non dovrebbe<br />

assumere il carattere di un assioma inviolabile: la cooperazione non nasce necessariamente come<br />

risultato dell’interazione ripetuta tra agenti individualistici nei casi di fallimento della Pareto<br />

efficienza dell’equilibrio competitivo; essa può semplicemente originarsi da una diversa indole<br />

umana ispirata ad esempio (magari solo in alcuni casi) al solidarismo piuttosto che<br />

all’individualismo. Cf. Sen (1982), Simon (1993).<br />

380<br />

Dugger (1989a, p. 1).<br />

381<br />

Fourie (1989, 1991, 1993).<br />

382<br />

Porre la questione di quale sia l’istituzione originaria è comunque fuorviante per Fourie (1991)<br />

in quanto mette in ombra le necessarie interrelazioni tra le diverse istituzioni dal punto di vista<br />

dell’evoluzione storica.<br />

203


Gli scambi di mercato non sono altro che scambi interni al sistema delle<br />

imprese o scambi tra le imprese e i consumatori. Immaginare un sistema di soli<br />

mercati è dunque un nonsenso in quanto in assenza di unità produttive<br />

(tipicamente « imprese ») non ci sarebbe niente da scambiare.<br />

« Firms can exist without markets, i.e. without barter or trade. However, a market,<br />

unlike a firm, cannot produce. Therefore market relations can only link firms<br />

(producing units). (...) Markets and firms are not alternative modes of production,<br />

but are inherently and essentially dissimilar. (...) Therefore, although some firms<br />

may in practice be formed or adapted in order to eliminate or avoid market<br />

(exchange) transactions, the emergence and existence of the firm as such -of all<br />

firms- cannot be explained by transaction cost considerations ». 383<br />

Al di là dei problemi dei rapporti con la storia, vi è dunque un problema di<br />

coerenza interna dell’esercizio logico sviluppato da Williamson. In tale esercizio<br />

non si esplicita l’origine della produzione.<br />

L’idea che il mercato sia l’istituzione di partenza, universale e naturale,<br />

non può allora essere sostenuta: il mercato non può esistere senza altre istituzioni<br />

che risolvano il problema produttivo.<br />

La critica di Fourie suscita alcuni problemi in quanto si basa su una diversa<br />

definizione dell’impresa rispetto alla definizione di Williamson.<br />

Hodgson (1993b, pp. 81-2) nota in proposito che nell’analisi di Fourie la<br />

produzione avviene per definizione nell’impresa (ad esempio, un produttore<br />

autonomo è considerato come un’impresa individuale), mentre la definizione di<br />

impresa assunta da Coase e Williamson esclude le produzioni individuali. Il<br />

sistema di soli mercati di Williamson è allora, in effetti, un sistema di unità<br />

produttive individuali (le quali però nella terminologia di Williamson non<br />

prendono il nome di imprese in quanto non esistono contratti di lavoro con sé<br />

stessi).<br />

Nel mondo di Williamson dunque non si può dire che non sia definito un<br />

problema produttivo; esso esiste, ma non è discusso.<br />

Allora, il motivo per cui riteniamo che la teoria di Williamson non sia<br />

soddisfacente non è che un sistema di soli mercati sia contraddittorio perché i<br />

mercati non producono, ma che essa presuppone l’esistenza di unità produttive,<br />

senza mai affrontarne l’analisi. 384<br />

383 Fourie (1993, p. 44).<br />

384 Williamson dunque non risolve il problema di spiegare le imprese, lo sposta un passo indietro:<br />

l’impresa (definita secondo i principi di Williamson) è spiegata come il risultato evolutivo di unità<br />

produttive individuali, le quali sono assunte ma non spiegate.<br />

204


Il problema non è se l’impresa preceda il mercato o viceversa. Il problema<br />

è che l’analisi dello scambio non può esaurire l’indagine delle istituzioni<br />

capitalistiche. 385<br />

L’attività di mercato dipende dall’esistenza di attività produttive non di<br />

mercato e quindi le unità produttive, si chiamino imprese o con altro nome,<br />

essendo elementi indispensabili del sistema capitalista, devono essere analizzate.<br />

7.2.3. Lo Stato come istituzione precedente al mercato<br />

Concettualmente si può sostenere che lo Stato precede il mercato. L’esistenza del<br />

mercato presuppone l’esistenza di un ente in grado di stabilire e garantire il<br />

rispetto dei diritti (in particolare, dei diritti di proprietà) e degli impegni<br />

contrattuali privati. L’ipotesi di un ente in grado di risolvere i conflitti privati<br />

implica che tale ente disponga dei mezzi necessari ad imporre il rispetto delle<br />

proprie risoluzioni, ossia goda del diritto monopolistico all’esercizio della<br />

violenza (o, in forma meno forte, sia l’istituzione con maggiori capacità di<br />

esercitare la violenza).<br />

Si ha dunque la seguente catena logica: (1) le attività di mercato si fondano<br />

sul concetto di proprietà; 386 (2) il concetto di proprietà assume significato solo in<br />

presenza di un ente (che convenzionalmente chiamiamo Stato) in grado di<br />

garantire il rispetto dei diritti. Come osserva Samuels:<br />

« Property is not protected by government because it is property; it is property<br />

because it is protected by government ». 387<br />

Nella visione di Williamson si assume che un sistema di scambio e di contratti sia<br />

sostenibile anche senza lo Stato. In realtà, anche nel mondo primordiale di mercati<br />

completi e perfetti immaginato da Williamson, lo Stato non è assente; al contrario,<br />

si ipotizza uno Stato perfetto in grado di risolvere ogni possibile contenzioso a<br />

costo zero. 388<br />

385<br />

L’analisi dei processi di produzione e di scambio è sviluppata da Marx rispettando i canoni del<br />

metodo dialettico. Nel Capitale, Marx indaga (ed espone) i processi del sistema capitalista<br />

affrontando, prima il processo di produzione del capitale (1° libro), poi il suo processo di<br />

circolazione (2° libro) e, infine, il processo complessivo della produzione capitalistica (3° libro).<br />

Sull’esposizione dialettica del Capitale, cf. Grassi (1976).<br />

386<br />

«To own an economic resource or civil right is to have decision power. Markets begin after<br />

decision power is distributed ». Schmid (1994, p. 186).<br />

387<br />

Samuels (1994, p. 181).<br />

388<br />

In assenza di un’istituzione insindacabile che risolve i contenziosi, è probabile che i conflitti<br />

privati sarebbero regolati dai rapporti di forza tra le parti: il contenzioso tra due agenti opportunisti<br />

sarebbe aggiudicato al più forte fisicamente, al più abile nella lotta o al più preparato militarmente.<br />

205


Fuori dal contesto decisionale perfetto il ruolo dello Stato diventa ancora<br />

più importante in quanto diviene problematica anche l’ipotesi stessa che lo Stato<br />

possa garantire un’attività giuridica impeccabile: in un sistema in cui si<br />

individuano dei limiti all’amministrazione della giustizia da parte dello Stato,<br />

l’ipotesi di agenti opportunisti suggerisce che la violazione delle norme vigenti<br />

possa diventare una variabile strategica nelle interazioni sociali.<br />

Possiamo dunque individuare due ragioni che fanno dello Stato un’istituzione<br />

necessaria al funzionamento del sistema <strong>economico</strong>: (1) come garante dei diritti di<br />

proprietà; (2) come risolutore insindacabile dei contenziosi.<br />

Per molti versi, la prima funzione costituisce un caso particolare della<br />

seconda: l’attività di garanzia dei diritti di proprietà può essere vista come un atto<br />

di risoluzione del contenzioso circa l’appartenenza del diritto di proprietà stesso.<br />

Se è conveniente separare le due raison d’être dello Stato è perché la<br />

teoria neoistituzionalista le affronta in modo diverso. Nella letteratura<br />

neoistituzionalista non si discutono infatti i metodi privati di istituzione e<br />

protezione della proprietà; si assume invece che i diritti di proprietà siano protetti<br />

senza il bisogno di meccanismi di salvaguardia (tipo un sistema di polizie<br />

private). Rispetto agli altri casi di contenzioso la teoria neoistituzionalista (in<br />

particolare, la teoria dei diritti di proprietà) analizza invece le condizioni affinché<br />

essi possano essere risolti senza l’intervento dello Stato. Dunque, anche se lo<br />

Stato è un’istituzione necessaria al funzionamento del sistema, la teoria<br />

neoistituzionalista analizza le condizioni affinché il suo ruolo sia minimo.<br />

Nell’analisi dei rapporti tra Stato e mercato, come abbiamo notato nel<br />

capitolo 6, oltre alle due ragioni dell’esistenza dello Stato (risoluzione dei<br />

contenziosi e garanzia dei diritti di proprietà) si aggiunge la funzione allocativa<br />

dello Stato (la quale è giustificata, nell’ambito della teoria neoclassicaneoistituzionalista,<br />

nei casi di fallimenti del mercato).<br />

Ora, mentre la funzione allocativa e la risoluzione dei contenziosi possono<br />

considerarsi ruoli successivi al mercato (nel senso che possono essere visti come<br />

soluzioni di problemi posti dall’esistenza del mercato), la garanzia dei diritti di<br />

proprietà è invece una condizione necessaria alla definizione stessa del mercato.<br />

In quest’ultimo senso, lo Stato precede logicamente il mercato.<br />

Il metodo della scuola neoistituzionalista di derivare le istituzioni<br />

capitalistiche dal mercato entra dunque in contraddizione con l’ipotesi implicita<br />

che il mercato sia un’istituzione successiva rispetto allo Stato.<br />

206


7.3. Sostituzione e complementarità tra Stato, impresa<br />

e mercato<br />

L’insieme di esercizi sviluppati dagli economisti neoistituzionalisti volti a<br />

spiegare le istituzioni capitalistiche (in particolare, l’impresa e lo Stato) si basa<br />

sull’assunzione che tali istituzioni siano strutture allocative alternative. Esse<br />

adempiono allo stesso scopo.<br />

Nel contesto decisionale neoclassico-neoistituzionalista si hanno dunque<br />

un obiettivo (l’allocazione delle risorse) e più strumenti (le diverse istituzioni).<br />

La necessità di ricorrere a più strumenti allocativi è fatta dipendere<br />

dall’ipotesi che essi (a volte) falliscono. Il rapporto tra Stato, impresa e mercato<br />

può allora essere definito come un rapporto di sostituzione: lo spazio riservato ad<br />

un’istituzione non può che essere sottratto alle altre.<br />

La coesistenza delle tre istituzioni viene così impostata come un problema<br />

di balance tra i tre strumenti. Se eliminassimo le ragioni di fallimento potremmo<br />

disegnare un sistema (efficiente) basato su un solo strumento allocativo. 389<br />

Qualora si assuma che la funzione allocativa non possa essere svolta se<br />

non sono assolte anche altre funzioni, l’idea stessa di un sistema basato su una<br />

sola istituzione con sole funzioni allocative diviene contraddittoria. In tal caso è<br />

necessario ipotizzare l’esistenza di un insieme di istituzioni sufficienti ad<br />

assolvere i diversi compiti richiesti per il funzionamento del sistema <strong>economico</strong>.<br />

Le diverse istituzioni stanno dunque in un rapporto di complementarità in quanto<br />

le une senza le altre non sarebbero in grado di assicurare il funzionamento del<br />

sistema (anche se, per certi veri, le loro funzioni possono sovrapporsi, dando<br />

luogo anche ad una relazione di sostituzione).<br />

L’analisi dei rapporti logico-cronologici tra Stato, impresa e mercato ci ha<br />

portato a rigettare l’impostazione del problema nell’ottica della pura sostituzione<br />

tra le tre istituzioni. Vediamo ora perché tra Stato, impresa e mercato intercorra<br />

necessariamente un rapporto di complementarità.<br />

Consideriamo i rapporti tra impresa e mercato. 390<br />

Egidi e Messori (1995), utilizzando la parabola del marziano presentata da<br />

Simon (1991), notano che impresa e mercato sono complementari, oltre che<br />

sostituti.<br />

389 Ad esempio, nel contesto decisionale perfetto gli strumenti allocativi non falliscono ed è ciò<br />

che consente di definire i modelli di EEG e di pianificazione perfetta come sistemi decisionali<br />

efficienti. Si ricorderà inoltre che per dimostrare l’efficienza dei due modelli ad un unico<br />

strumento si devono eliminare per ipotesi esattamente quei casi in cui lo strumento adottato<br />

fallisce: i fallimenti del mercato e l’impossibilità del voto rispettivamente.<br />

390 Pur volendo mantenere l’impostazione neoistituzionalista, la dicotomia impresa-mercato non è<br />

precisa; più correttamente si dovrebbe considerare la dicotomia impresa-scambio, in quanto non<br />

tutti gli scambi avvengono sul mercato. Hodgson (1996a, p. 17).<br />

207


Un marziano osserva la terra con un telescopio che rivela le strutture<br />

sociali. 391 Le imprese appaiono come compatte aree verdi, unite da (una rete di)<br />

linee rosse rappresentanti le transazioni di mercato; inoltre all’interno delle<br />

imprese (e forse anche tra le imprese) si individuano pallide linee blu<br />

rappresentanti relazioni di tipo gerarchico.<br />

Come osservano Egidi e Messori (1995, p. 360), la descrizione del<br />

marziano dovrebbe evidenziare il carattere di complementarità tra impresa e<br />

mercato: le aree verdi possono operare solo in quanto sono collegate mediante<br />

linee rosse, e queste ultime hanno una funzione solo in quanto collegano le aree<br />

verdi. 392 Fuor di metafore, la complementarità tra impresa e mercato deriva<br />

dall’ipotesi che nel sistema <strong>economico</strong> debbano essere risolti sia problemi di<br />

produzione, sia problemi di scambio.<br />

Passiamo ora all’analisi dei rapporti tra Stato e mercato.<br />

La complementarità deriva in questo caso, dal problema dei contenziosi.<br />

Qualora insorgano dispute nei rapporti contrattuali di mercato è necessario<br />

ricorrere ad un’istituzione che deliberi il torto e la ragione. Lo Stato può senz’altro<br />

svolgere tale compito; esso però non è l’unica istituzione ad essere in grado di<br />

risolvere la disputa. Come abbiamo visto, l’impresa stessa (caratterizzata dal<br />

contratto di lavoro incompleto) può, sotto certi aspetti, considerarsi un’istituzione<br />

di disciplina dei rapporti conflittuali privati. In questo senso, se da un lato si<br />

delinea un rapporto di mutua complementarità tra Stato, impresa e mercato,<br />

dall’altro, si può individuare un diverso tipo di relazione di sostituzione tra Stato e<br />

impresa relativo non più alla funzione allocativa, ma alla funzione di risoluzione<br />

dei contenziosi.<br />

Esiste tuttavia un particolare tipo di contenzioso, quello riguardante i diritti<br />

di proprietà (la loro definizione e garanzia), il quale, come abbiamo notato nel<br />

capitolo 6, deve essere necessariamente risolto dallo Stato. Per questo i rapporti<br />

tra Stato e mercato sono rapporti necessariamente complementari. 393<br />

391 Simon (1991, pp. 27-8).<br />

392 Simon, per la verità, non sviluppa l’idea della complementarità: il problema che si pone è<br />

ancora quello dei confini (di equilibrio) tra mercato e impresa, ossia dei rapporti di sostituzione tra<br />

le due istituzioni. Simon (1991, pp. 26, 41).<br />

Che tuttavia l’intuizione di Egidi e Messori sia corretta, sebbene attribuisca a Simon un<br />

pensiero non presente nell’articolo del 1991, può essere espresso utilizzando lo stesso telescopio<br />

sociale di Simon (sviluppando probabilmente l’espediente narrativo oltre le intenzioni dell’autore).<br />

Linee rosse e aree verdi sono concetti dimensionalmente e qualitativamente differenti: (1) un gran<br />

numero di linee non fa una superficie e (2) il rosso non diventerà mai verde.<br />

393 La garanzia dei diritti di proprietà, secondo Dugger (1992a), deve essere considerata come uno<br />

degli elementi definitori dello Stato.<br />

208


7.4. La dicotomia volontarietà-coercizione e il<br />

problema del <strong>potere</strong> <strong>economico</strong><br />

L’apparato analitico neoistituzionalista, tutto incentrato sul principio di efficienza<br />

(valutato in ottica a posteriori) presenta un limite interno: l’operare del principio<br />

di efficienza si basa su una dicotomia volontarietà/coercizione (o<br />

presenza/assenza della doppia libertà d’entrata e d’uscita), di scarsa utilità<br />

analitica e difficilmente riscontrabile in realtà.<br />

Nella realtà il contesto in cui avvengono i processi decisionali pone dei<br />

vincoli, all’interno dei quali si sceglie. Ogni scelta è vincolata, dunque coatta;<br />

d’altra parte, in quanto risultato di un processo decisionale, ogni scelta è<br />

volontaria, dunque libera. La dicotomia non esiste. Il problema è ben colto da<br />

Ankarloo:<br />

« Even a robber who offers me to exchange my life for my money gives me a choice<br />

and I would “voluntarily” engage in such exchange, even though the conditions for<br />

this exchange are “coercive” indeed ». 394<br />

Scambi volontari e rapporti di coercizione sono compatibili e rappresentano le due<br />

facce di una stessa medaglia. Il problema andrebbe allora più correttamente<br />

impostato in termini di analisi dei tipi di vincoli operanti nei processi decisionali e<br />

degli spazi di effettiva scelta. 395<br />

L’analisi dei tipi di restringimenti che agiscono sulla libera scelta chiama<br />

in causa il problema del <strong>potere</strong> <strong>economico</strong>, ossia del <strong>potere</strong> di porre vincoli agli<br />

altri e/o di superare i propri. Il concetto di <strong>potere</strong> <strong>economico</strong>, però, è rigettato<br />

dagli autori della traiettoria informativa e, come vedremo in breve, è considerato<br />

da Williamson, impreciso e privo di utilità analitica.<br />

L’impostazione secondo cui le interazioni umane possono essere<br />

dicotomizzate in volontarie/coatte permette invece di rimuovere il problema<br />

analitico del <strong>potere</strong> <strong>economico</strong>, riducendolo ad una variabile binaria. Ciò, d’altra<br />

parte, data l’inutilità analitica della dicotomia volontario/coatto (oltre che<br />

l’impossibilità di sostenerne la validità teorica), impedisce uno sviluppo non<br />

banale dell’analisi neoistituzionalista in direzione evolutiva.<br />

Come abbiamo detto il problema del <strong>potere</strong> <strong>economico</strong> è gestito differentemente<br />

nell’ambito dei due filoni neoistituzionalisti.<br />

394 Ankarloo (1996b, p. 16).<br />

395 Così, ad esempio, discutere l’efficienza dello scambio (volontario) senza analizzare i vincoli<br />

istituzionali che lo regolano risulta tautologico: ogni scambio, se avviene, è perché nel contesto dei<br />

vincoli esistenti, è conveniente per ambo le parti e, dunque, è un miglioramento paretiano. Lo<br />

stesso scambio dell’esempio di Ankarloo costituisce, nonostante il paradosso, un miglioramento di<br />

Pareto.<br />

209


Secondo gli autori del filone informativo, il <strong>potere</strong> <strong>economico</strong> non esiste e<br />

qualsiasi relazione apparentemente autoritaria è in realtà una relazione tra pari in<br />

quando la minaccia del principio di <strong>competizione</strong> ex ante è sempre all’opera su<br />

tutti e due i fronti.<br />

Una simile posizione è superficiale in quanto trascura sia le conseguenze<br />

sulle due parti della decisione di una delle parti di uscire dalla relazione, sia la<br />

capacità di far valere i propri interessi pur senza utilizzare la minaccia di<br />

abbandonare la relazione. 396<br />

Nonostante ciò, il fatto di sostenere che l’autorità non esiste e che il<br />

principio d’uscita sia universale dà coerenza alla posizione degli economisti del<br />

filone informativo: essi (a nostro giudizio, a torto) sostengono che il <strong>potere</strong><br />

<strong>economico</strong> non esiste e che esistano solo i due casi limite di libertà e coercizione;<br />

a partire da tale posizione, essi sviluppano una teoria evolutiva in cui le<br />

interazioni sono tutte ricondotte ai due casi limite. Tale teoria non consente<br />

un’analisi ragionata dell’efficienza delle diverse forma istituzionali, in quanto,<br />

non essendo operata alcuna distinzione sui tipi di vincoli operanti sulle scelte,<br />

risulta possibile ottenere conclusioni opposte, facendo leva, ora sui caratteri<br />

coercitivi imposti sulla scelta, ora sui suoi aspetti di atto volontario e libero. 397<br />

In altre parole, se fosse possibile stabilire, per ogni scelta, il suo carattere<br />

libero o coercitivo, la teoria potrebbe essere ragionevolmente applicata. Il<br />

problema è che non è possibile operare una simile dicotomizzazione delle scelte<br />

senza entrare nella discussione dei criteri da utilizzare in tale operazione.<br />

Il metodo d’analisi evolutiva degli economisti del filone informativo deve<br />

perciò essere criticato per l’insostenibilità delle sue ipotesi (la dicotomia<br />

volontarietà/coercizione); esso tuttavia, una volta accettate tali ipotesi, risulta<br />

internamente coerente. 398<br />

La posizione di Williamson è invece incoerente: Williamson, come si ricorderà,<br />

riconosce l’esistenza dei rapporti di autorità ma ne sostiene la necessità su basi<br />

efficientistiche.<br />

L’esistenza dei rapporti di autorità deriva dalla peculiarità della relazione<br />

di lavoro rispetto alla altre relazioni di mercato: la relazione di lavoro, sebbene<br />

libera da ambo i lati (dal lato del lavoratore e del datore di lavoro), in quanto<br />

gerarchica, implica un’asimmetria di <strong>potere</strong> tra le parti.<br />

396 Nei termini di Hirschman (1970), si considera solo exit e non anche voice.<br />

397 Ad esempio si può sostenere che la disoccupazione involontaria non esiste: chi non ha lavoro è<br />

perché sceglie di non lavorare alle condizioni richieste dai datori di lavoro; se offrisse la sua merce<br />

lavoro ad un prezzo sufficientemente basso e alle altre condizioni richieste dal datore di lavoro,<br />

sarebbe assunto. La scelta di non lavorare è dunque una scelta volontaria.<br />

398 Anche se, come abbiamo visto, la dimostrazione della Pareto efficienza non è sviluppata<br />

correttamente, in quanto la volontarietà dell’azione individuale è necessaria ma non sufficiente alla<br />

Pareto efficienza dell’interazione tra individui.<br />

210


Una volta definita l’impresa sulla base della relazione di lavoro, <strong>potere</strong> e<br />

principio di coordinamento risultano intrinsecamente legati: 399 la necessità del<br />

coordinamento (per ragioni efficientistiche) implica l’instaurarsi di relazioni di<br />

lavoro gerarchiche, le quali si realizzano attraverso l’esercizio del <strong>potere</strong>. In altri<br />

termini la relazione di lavoro gerarchica è basata su un contratto che circoscrive la<br />

sfera dell’esercizio del <strong>potere</strong>, un <strong>potere</strong>, quindi, derivato da una sfera consensuale<br />

e che cessa con lo scadere del contratto, ovvero con il venir meno del consenso<br />

che lo regge e che lo giustifica. 400<br />

Nello schema di Williamson è possibile allora individuare un punto debole<br />

consistente nel fatto che egli individua la categoria analitica del <strong>potere</strong> <strong>economico</strong><br />

come categoria rilevante, ma non ne analizza le sue implicazioni.<br />

La difesa di Williamson è debole.<br />

Il <strong>potere</strong>, secondo Williamson, è un concetto vago. Esso perciò non può<br />

essere assunto come base per un’analisi rigorosa (quale la sua intende essere).<br />

Williamson, in altri termini, riconosce il fatto che l’evoluzione delle istituzioni e<br />

delle organizzazioni capitalistiche sia influenzata da scontri di <strong>potere</strong> dai quali<br />

possono scaturire forme organizzative ispirate al perseguimento di interessi<br />

particolari, piuttosto che all’efficienza organizzativa. Egli tuttavia si rifiuta di<br />

impostare la propria analisi su tale concetto per motivi di precisione analitica. 401<br />

« Inasmuch as power is very vague and has resisted successive efforts to make it<br />

operational, whereas efficiency is much more clearly specified and the possibility of<br />

an efficiency hypothesis is buttressed by ecological survival tests, we urge that<br />

efficiency analysis be made the centrepiece of the study of organizational design (...)<br />

power explains results when the organizational sacrifices efficiency to serve special<br />

interests. We concede that this occurs. But we do not believe that major<br />

organizational changes in the commercial sector are explained in these terms ». 402<br />

Solo il concetto di efficienza è considerato sufficientemente rigoroso. Su di esso,<br />

in ultima analisi, si basa, secondo Williamson il test di sopravvivenza delle<br />

diverse forme istituzionali-organizzative: tale test implica che se vale il principio<br />

della volontarietà dell’azione umana, le istituzioni e le organizzazioni assumono<br />

forme Pareto efficienti.<br />

Al di là dell’erroneità di tale tesi in un contesto di tempo storico (per i<br />

motivi che abbiamo già notato nel capitolo 6), vogliamo sottolineare<br />

399 Al contrario, l’esistenza del <strong>potere</strong> <strong>economico</strong> nelle relazioni competitive continua ad essere<br />

negata tanto in Williamson quanto negli economisti del filone informativo.<br />

400 In ciò può notarsi qualche analogia con le così dette « teorie volontaristiche » della finanza<br />

pubblica (Lindahl (1919), De Viti De Marco (1934), Samuelson (1954)).<br />

401 Hodgson (1988, p. 200) osserva come il problema della precisione analitica non spinga<br />

Williamson a tentare una definizione meno vaga del concetto di costi di transazione. Ankarloo<br />

(1996b, p. 15) nota inoltre come anche il concetto di volontarietà non riceva un’adeguata<br />

definizione analitica.<br />

402 Williamson and Ouchi (1983, p. 30).<br />

211


l’insostenibilità della posizione di Williamson rispetto al concetto di <strong>potere</strong><br />

<strong>economico</strong>, e mostrare come essa porti a negare validità normativa alle analisi<br />

sviluppate sul framework di Williamson.<br />

Williamson riconosce che il principio di efficienza sia, a volte, sacrificato<br />

in nome di interessi personali (di agenti con <strong>potere</strong> <strong>economico</strong>) ma, essendo il<br />

concetto di <strong>potere</strong> intrinsecamente impreciso, è sul concetto di efficienza che deve<br />

impostarsi l’analisi della natura delle istituzioni capitalistiche.<br />

Nella tesi di Williamson si individuano dunque due ragioni per rigettare<br />

l’analisi del <strong>potere</strong> <strong>economico</strong>: (1) nella maggior parte dei casi il <strong>potere</strong><br />

<strong>economico</strong> non influenza le relazioni interpersonali; (2) il concetto è<br />

analiticamente impreciso.<br />

Analizziamo la prima argomentazione: affinché l’impostazione di<br />

Williamson sia metodologicamente valida si deve assumere (1) che il <strong>potere</strong><br />

<strong>economico</strong> sia una variabile della quale sia possibile stabilire la presenza/assenza<br />

e (2) che essa sia nella maggior parte dei casi assente. Se così fosse, pur<br />

riconoscendo i limiti di applicabilità dello schema di Williamson, si potrebbe<br />

pensare che le analisi di quest’ultimo possano essere mantenute in tutti quei casi<br />

in cui il <strong>potere</strong> <strong>economico</strong> sia assente (ossia in cui l’intenzionalità umana sia<br />

libera da ogni restrizione).<br />

Tuttavia, come abbiamo visto, il concetto di intenzionalità umana priva di<br />

vincoli non ha alcun riscontro reale, in quanto la dicotomia volontarietà/non<br />

volontarietà non può essere sostenuta.<br />

Se allora il <strong>potere</strong> <strong>economico</strong> è un elemento pervasivo presente, in diversi<br />

gradi, in tutte le relazioni economiche, il framework di Williamson deve essere<br />

rigettato in quanto analiticamente inadeguato. In tal caso, infatti, lo stesso<br />

concetto di efficienza risulta impreciso e, soprattutto, insufficiente a sostenere<br />

qualsiasi affermazione normativa.<br />

Il concetto di efficienza per potersi candidare a sostenere posizioni<br />

normative deve essere un concetto pieno, del quale sia possibile stabilire la<br />

presenza/assenza. Se una situazione non è interamente efficiente nel senso di<br />

Pareto, essa non può rappresentare una guida normativa a meno di essere<br />

argomentata attraverso giudizi di valore. 403 L’introduzione di giudizi di valore,<br />

d’altra parte, fa venir meno la corrispondenza biunivoca tra efficienza e<br />

desiderabilità.<br />

Ciò ci porta a considerare la seconda argomentazione di Williamson.<br />

Riconoscere l’esistenza di un fattore analitico importante che nel framework di<br />

Williamson non riesce ad essere sufficientemente precisato equivale a riconoscere<br />

i limiti stessi del framework mercati/gerarchie da parte dello stesso Williamson.<br />

403 Peraltro, si può sostenere che anche l’economista che decide di pronunciarsi solo in tema di<br />

efficienza utilizzi, in realtà, anch’egli giudizi di valore. Come nota Graaff (1957) il perseguimento<br />

della Pareto efficienza (prescindendo dalla distribuzione) costituisce in sé un giudizio di valore.<br />

Cf. Bruno (1995, pp. 5-6, 9, 17).<br />

212


Ciò deve, a nostro giudizio, considerarsi un atto di grande umiltà; esso implica<br />

che l’analisi di Williamson, per quanto possa apparire rigorosa, nasconde, in<br />

effetti, un certo grado (non misurabile) di imprecisione derivante da<br />

un’insufficiente impalcatura analitica, la quale non consente di apprezzare uno dei<br />

fattori che lo stesso Williamson ritiene influente sui processi di evoluzione<br />

istituzionale. Tale atto di umiltà non deve essere dimenticato in sede di analisi<br />

delle implicazioni della teoria di Williamson: il framework di Williamson può<br />

gettar luce su alcuni aspetti dei costi e benefici di diverse sistemazioni<br />

istituzionali, ma non è atto a sostenere alcun tipo di prescrizione normativa.<br />

7.5. Il <strong>potere</strong> <strong>economico</strong><br />

L’analisi del <strong>potere</strong> <strong>economico</strong> richiede, a nostro avviso, un quadro analitico<br />

dinamico in cui ci sia posto per l’analisi di classe e la produzione. Nei tre<br />

paragrafi che seguono ne discutiamo le ragioni.<br />

Nel paragrafo 7.5.1, prendendo spunto dall’analisi marxiana del rapporto<br />

di lavoro, analizziamo la dimensione sociale e dinamica del <strong>potere</strong> <strong>economico</strong> e<br />

discutiamo le ipotesi che permettono alla teoria neoistituzionalista di eluderne la<br />

discussione; tali ipotesi, come si può intuire, sono legate all’approccio statico e<br />

individualista della scuola neoistituzionalista.<br />

Nel paragrafo 7.5.2 discutiamo gli effetti dell’introduzione del <strong>potere</strong><br />

<strong>economico</strong> nel quadro analitico in merito al problema dell’efficienza del sistema<br />

capitalista e delle singole istituzioni di cui esso si compone.<br />

Il problema del <strong>potere</strong> <strong>economico</strong> può essere ulteriormente precisato<br />

esplicitando le implicazioni del passaggio dall’analisi dello scambio all’analisi<br />

della produzione. Tale passaggio è sviluppato nel paragrafo 7.5.3. Esso non<br />

aggiunge nuovi elementi analitici all’analisi del <strong>potere</strong>: i motivi per cui<br />

nell’analisi della produzione affiorano i problemi relativi al <strong>potere</strong> <strong>economico</strong><br />

rimasti latenti nell’analisi dello scambio è che la produzione è un processo nel<br />

tempo e la posizione materiale dell’individuo nel processo produttivo definisce la<br />

classe sociale di appartenenza. Il passaggio dall’analisi dello scambio all’analisi<br />

della produzione non fa perciò che riproporre il ruolo del <strong>potere</strong> <strong>economico</strong> in un<br />

contesto dinamico e di classe e rappresenta, in tal senso, semplicemente un altro<br />

modo per evidenziare le caratteristiche analitiche che fanno del <strong>potere</strong> <strong>economico</strong><br />

una variabile chiave nell’analisi del sistema capitalista.<br />

213


7.5.1. La dimensione sociale e dinamica del <strong>potere</strong><br />

<strong>economico</strong><br />

Nel sistema di mercato, osserva Marx, il lavoratore non è obbligato a scambiare la<br />

propria forza lavoro per il salario di un particolare capitalista; egli però è<br />

obbligato a scambiare la propria forza lavoro per il salario di un capitalista.<br />

Volontarietà e coercizione non sono allora in un rapporto di antagonismo:<br />

esse esprimono un punto di vista individuale e uno sociale, contemporaneamente<br />

validi. L’individuo sceglie nei limiti istituzionali che gli vengono imposti a livello<br />

sociale. Ciò vale non solo per il lavoratore (i cui gradi di libertà decisionale sono<br />

ridotti dal fatto stesso di veder dipendere la propria sussistenza dalla relazione col<br />

capitalista), ma anche per il capitalista:<br />

« La concorrenza impone a ogni capitalista individuale le leggi immanenti del modo<br />

di produzione capitalistico come leggi coercitive esterne ». 404<br />

Il fatto che i meccanismi di funzionamento del sistema siano imposti ai singoli<br />

individui come leggi coercitive esterne implica che ciascun individuo nell’atto di<br />

scegliere, abbia ragione di considerare la distribuzione del <strong>potere</strong> <strong>economico</strong><br />

come un dato. D’altro canto, dal punto di vista individuale, il rapportarsi del<br />

capitalista a quelle che gli appaiono leggi coercitive esterne, si realizza mediante<br />

decisioni volte a ridurre i costi, espandere il capitale ed entrare in nuovi mercati;<br />

in una parola, mediante strategie volte ad aumentare nel tempo il proprio <strong>potere</strong><br />

<strong>economico</strong>. In una visione dinamica, il <strong>potere</strong> <strong>economico</strong>, che in un istante del<br />

tempo è un dato, risulta essere una variabile strategica delle decisioni individuali<br />

e, dunque, una variabile endogena del modo di produzione capitalistico. La<br />

distribuzione del <strong>potere</strong> <strong>economico</strong> (la quale comprende il sistema di vincoli<br />

individuali e sociali e la forza contrattuale delle parti) evolve infatti nel tempo per<br />

effetto dell’interazione stessa tra gli individui.<br />

Nell’analisi marxiana, il modificarsi del <strong>potere</strong> <strong>economico</strong> non è però un<br />

processo riducibile al solo gioco strategico tra gli individui. La componente<br />

sociale e gli aspetti materiali che distinguono gli individui in classi costituiscono<br />

anch’essi elementi necessari all’investigazione del <strong>potere</strong> <strong>economico</strong> nel modo di<br />

produzione capitalistico, se non altro perché la definizione stessa del capitalismo<br />

implica una distinzione in classi sociali sulla base del tipo di mezzi di produzione<br />

di cui ciascun individuo è proprietario. Oltre alla discussione del problema di<br />

come le strategie individuali, di gruppo o di classe modificano nel tempo la<br />

distribuzione del <strong>potere</strong> <strong>economico</strong>, Marx evidenzia quindi come l’essenza stessa<br />

delle relazioni sociali capitalistiche si fondi su relazioni di <strong>potere</strong> <strong>economico</strong>: la<br />

proprietà privata dei mezzi di produzione, come fondamento delle relazioni<br />

404 Marx (1867, [1956, libro 1, vol. 3, p. 37]), enfasi in originale.<br />

214


capitalistiche, implica l’esistenza di relazioni di <strong>potere</strong> <strong>economico</strong> e la sua<br />

distribuzione tra i membri della società produce l’instaurarsi di relazioni di <strong>potere</strong><br />

tra le classi sociali (definite appunto in base al rapporto di proprietà con i mezzi di<br />

produzione).<br />

Dall’analisi di Marx ricaviamo quindi due risultati.<br />

Primo, il passaggio da una prospettiva statica ad una dinamica permette di<br />

endogenizzare il <strong>potere</strong> <strong>economico</strong>. Il <strong>potere</strong> <strong>economico</strong> per un singolo individuo,<br />

gruppo o classe è dato in un istante del tempo, ma è una variabile strategica nella<br />

definizione dei piani su un arco di tempo.<br />

Secondo, l’indagine sulle relazioni tra classi sociali costituisce uno<br />

strumento che permette di approfondire i meccanismi attraverso i quali le leggi<br />

coercitive esterne determinano la distribuzione del <strong>potere</strong> <strong>economico</strong> e la sua<br />

evoluzione nel tempo. 405<br />

Esaminiamo ora la relazione tra l’impostazione marxiana all’analisi del <strong>potere</strong><br />

<strong>economico</strong> e l’impostazione neoistituzionalista.<br />

La necessità di un’analisi dinamica e di classe del <strong>potere</strong> <strong>economico</strong> nella<br />

teoria marxiana comprende due elementi: (1) il <strong>potere</strong> <strong>economico</strong> è un elemento<br />

per sua natura pervasivo delle relazioni sociali capitalistiche (in quanto il processo<br />

stesso di istituzione del capitalismo produce una divisione in classi e<br />

l’instaurazione di relazioni di <strong>potere</strong> tra queste); (2) la dinamica sociale del <strong>potere</strong><br />

<strong>economico</strong> costituisce la chiave esplicativa dei processi evolutivi delle relazioni<br />

interpersonali che si realizzano nel sistema capitalista.<br />

La teoria neoistituzionalista si basa invece sul principio della piena<br />

volontarietà dell’azione umana nelle interazioni sociali di tipo capitalistico. Tale<br />

principio si realizza attraverso l’analisi delle possibili alternative di<br />

comportamento disponibili all’individuo e, in tale ottica, l’opzione d’uscita da una<br />

relazione interpersonale viene esaminata considerando, per ciascuna delle parti in<br />

campo, la migliore alternativa disponibile. Quest’ultima, tuttavia, nella teoria<br />

neoistituzionalista, per ragioni di metodo, è presa per data e l’evoluzione delle sue<br />

determinanti non è quindi analizzata. Essa può invece essere discussa<br />

nell’impostazione marxiana: in ottica marxiana risulta evidente che l’analisi della<br />

migliore alternativa accessibile a ciascun individuo deve essere affrontata<br />

investigando la sfera delle relazioni tra classi sociali ed è l’evoluzione di queste<br />

405 L’analisi di classe non deve considerarsi in sé incompatibile con l’impostazione<br />

neoistituzionalista: come nota Ankarloo (1996a) sebbene la teoria neoistituzionalista non sviluppi<br />

un’analisi di classe, le categorie analitiche di lavoratore, imprenditore, ecc. sono concetti di classe.<br />

Ankarloo nota anche che l’ottica neoistituzionalista sviluppa il punto di vista dell’imprenditore<br />

piuttosto che quello del lavoratore: « In NIE [New Institutional Economics] work is viewed not<br />

from the aspects and problems of the workers who perform the work, but from the viewpoint of<br />

the monitors who watch ». Ankarloo (1996a, p. 13, nota 22).<br />

215


ultime a determinare nel tempo le alternative di scelta disponibili ai singoli<br />

individui ed il loro <strong>potere</strong> relativo nella definizione dei liberi rapporti contrattuali.<br />

Un tipico esempio di come la componente sociale (su cui sono determinanti gli<br />

aspetti materiali) modifica nel tempo il <strong>potere</strong> relativo delle parti (e dunque il<br />

sistema di dati sulla base del quale avvengono le scelte volontarie individuali) è<br />

rappresentato dall’analisi di Marx dell’esercito industriale di riserva:<br />

« L’esercito industriale di riserva preme durante i periodi di stagnazione e di<br />

prosperità media sull’esercito operaio attivo e ne frena durante il periodo della<br />

sovrapproduzione e del parossismo le rivendicazioni ». 406<br />

Indipendentemente dal problema dell’effettivo operare nelle società moderne del<br />

meccanismo dell’esercito industriale di riserva, 407 ciò che a noi interessa far<br />

notare è che l’elaborazione di meccanismi di questo tipo richiede un’analisi delle<br />

strategie mediante le quali i diversi gruppi sociali perseguono nel tempo i propri<br />

obiettivi.<br />

L’esplicitazione del carattere dinamico e sociale del <strong>potere</strong> <strong>economico</strong><br />

palesa così i motivi che rendono possibile eluderne la discussione<br />

nell’impostazione neoistituzionalista: essa è statica e, per via dell’individualismo<br />

metodologico, poco incline a sviluppare un’analisi di classe.<br />

Da una parte, il fatto di non considerare gli effetti sociali delle interazioni<br />

tra individui permette di lasciare in ombra le conseguenze determinate dalle scelte<br />

volontarie individuali sui sistemi di vincoli che gli individui stessi fronteggiano in<br />

quanto appartenenti a un determinato gruppo (o classe); dall’altra, l’assunzione di<br />

un contesto statico impedisce di endogenizzare la distribuzione del <strong>potere</strong> la quale<br />

perciò non può che rappresentare un dato esogeno. La negazione dell’analisi dei<br />

presupposti sociali delle interazioni volontarie e degli aspetti dinamici mediante i<br />

quali singoli individui e gruppi sociali affrontano strategicamente il problema del<br />

raggiungimento di posizioni di maggior <strong>potere</strong> sono le assunzioni della teoria<br />

neoistituzionalista che permettono di eludere il problema del <strong>potere</strong> <strong>economico</strong>.<br />

406 Marx (1867, [1956, libro 1, vol. 3, p. 90]).<br />

407 Ovviamente una trasposizione automatica delle categorie concettuali marxiane nell’analisi dei<br />

fenomeni economici dei nostri tempi è, a dir poco, rischiosa (oltre che in contraddizione col<br />

metodo storico di Marx). Per una valutazione del <strong>potere</strong> esplicativo del concetto di esercito<br />

industriale di riserva relativamente all’economia italiana durante gli anni ‘60, si veda Bruno<br />

(1979).<br />

216


7.5.2. Potere <strong>economico</strong> ed efficienza<br />

Sebbene i due filoni neoistituzionalisti si distinguano rispetto al problema del<br />

<strong>potere</strong> <strong>economico</strong> (nel filone informativo l’esistenza di relazioni di <strong>potere</strong> viene<br />

negata, nell’analisi di Williamson viene riconosciuta ma non approfondita), la<br />

distinzione è più formale che sostanziale: in realtà, in tutti e due i casi la<br />

distribuzione del <strong>potere</strong> <strong>economico</strong> è assunta come un dato dell’analisi (dati i<br />

vincoli di ciascun individuo, l’interazione tra gli individui è volontaria).<br />

Una volta stabilita la volontarietà dell’azione umana (lasciando in secondo<br />

piano la necessaria precisazione, dati i vincoli istituzionali), la teoria<br />

neoistituzionalista argomenta la desiderabilità dell’interazione ricavandone la tesi<br />

che il sistema istituzionale capitalistico è efficiente.<br />

Le considerazioni svolte sul <strong>potere</strong> <strong>economico</strong> ci permettono di mostrare il<br />

carattere di falsa dimostrazione dell’efficienza del sistema capitalista. Il<br />

ragionamento neoistituzionalista si basa unicamente sulla constatazione che ogni<br />

transazione giova alle parti che la realizzano; la conclusione che se ne trae non è<br />

dunque che il capitalismo costituisce un sistema di istituzioni efficiente, bensì che,<br />

dati i vincoli, è desiderabile che sia consentito operare transazioni.<br />

Dato che il sistema istituzionale è un sistema di vincoli, una corretta<br />

dimostrazione dell’efficienza di un sistema istituzionale, secondo il metodo<br />

comparato, dovrebbe permettere di affermare che tra tutti i possibili sistemi di<br />

vincoli immaginabili (o realizzabili) quello in questione è il migliore. L’efficienza<br />

del sistema capitalista dovrebbe dunque passare per un confronto con altri tipi di<br />

vincoli istituzionali. Nella teoria neoistituzionalista invece il modo di produzione<br />

capitalistico è un’ipotesi (la proprietà privata dei mezzi di produzione); la sua<br />

efficienza non può dunque essere dimostrata.<br />

L’argomentazione neoistituzionalista non risponde perciò al problema<br />

dell’individuazione del sistema istituzionale efficiente, bensì al problema<br />

dell’efficienza delle specifiche istituzioni e organizzazioni capitalistiche, una<br />

volta che il sistema capitalista sia stato assunto per dato.<br />

Ma anche il tentativo di mostrare l’efficienza delle singole istituzioni<br />

capitalistiche risulta fallimentare. Nel capitolo 6 abbiamo notato che, se è vero che<br />

la realizzazione di transazioni produce miglioramenti paretiani (data la<br />

distribuzione delle risorse e del <strong>potere</strong> <strong>economico</strong>), non è altrettanto vero che il<br />

diritto a transarre sia sufficiente all’ottenimento di un ottimo paretiano; la tesi<br />

neoistituzionalista, abbiamo dunque concluso, si basa semplicemente su<br />

un’imprecisione analitica nella dimostrazione del teorema dell’efficienza delle<br />

istituzioni capitalistiche. A tale problema se ne aggiunge ora uno più profondo:<br />

caduto il concetto di volontarietà in senso pieno ed impostata l’analisi in termini<br />

di rapporti di <strong>potere</strong> <strong>economico</strong>, l’intero discorso sull’efficienza delle istituzioni<br />

capitalistiche perde di significato. Il riferimento stesso al concetto di<br />

miglioramento paretiano, essendo basato sull’assunzione di una posizione di<br />

217


partenza data (la quale implica una determinata distribuzione del <strong>potere</strong><br />

<strong>economico</strong>) non può infatti considerarsi neutrale. Si consideri, a titolo<br />

esemplificativo, la relazione di lavoro.<br />

Nonostante la gerarchia, il carattere mutuamente benefico del contratto<br />

incompleto secondo la teoria neoistituzionalista si basa sulla constatazione che,<br />

data la struttura organizzativa capitalista, ambedue le parti realizzano nel contratto<br />

di lavoro incompleto la migliore tra le opzioni a loro disposizione. Il lavoratore<br />

valuta la scelta di stipulare un contratto incompleto confrontandolo con il miglior<br />

contratto (sempre incompleto) alternativo che gli viene offerto; il capitalista valuta<br />

l’assunzione di un lavoratore mediante contratto incompleto in base alle altre<br />

opportunità di investimento a sua disposizione. Per ognuna delle parti la migliore<br />

alternativa è un dato. I rapporti che si stabiliscono tra lavoratore e capitalista<br />

appaiono così come puri rapporti di scambio di valori equivalenti. Tra lavoratore e<br />

capitalista sembra non esistere alcuna differenza formale: i contratti sono<br />

sottoscritti dalla libera volontà delle parti e lo scambio, se valgono le condizioni di<br />

concorrenza, è necessariamente uno scambio paritetico.<br />

L’apparente uguaglianza formale tra lavoratore e capitalista non modifica<br />

tuttavia l’essenza asimmetrica dei rapporti di <strong>potere</strong> <strong>economico</strong> tra le parti.<br />

L’opera di Marx mostra infatti come le relazioni di <strong>potere</strong> <strong>economico</strong> agiscano ad<br />

un livello profondo delle relazioni sociali. Il problema non è quello degli scambi<br />

ineguali dovuti alla carenza di concorrenza da uno dei lati della contrattazione; ciò<br />

costituisce solo un caso in cui la presenza di relazioni di <strong>potere</strong> <strong>economico</strong> risulta<br />

manifesta (concretizzandosi tipicamente in forme di monopolio da uno dei lati<br />

della relazione). Ma le relazioni di <strong>potere</strong> <strong>economico</strong> esistono anche là dove il<br />

sistema capitalista rispecchia le condizioni di concorrenza perfetta. Nello schema<br />

marxiano, la caratteristica del sistema capitalista di essere un sistema di<br />

sfruttamento non ha infatti niente a che fare con l’ipotesi di carenza di<br />

concorrenza. Al contrario le relazioni di <strong>potere</strong> <strong>economico</strong> derivanti dai<br />

fondamenti stessi dell’interazione capitalista (la proprietà privata dei mezzi di<br />

produzione e la mercificazione della forza lavoro) sono sufficienti a provare la<br />

compatibilità tra sfruttamento e concorrenza.<br />

Evidentemente, una simile analisi delle relazioni di <strong>potere</strong> <strong>economico</strong> ha<br />

senso solo nella misura in cui si ricerchi l’essenza degli specifici rapporti<br />

contrattuali tra le parti nelle relazioni sociali generali che caratterizzano il modo di<br />

produzione capitalistico. Tali rapporti contrattuali, sebbene volontari, si realizzano<br />

all’interno di un sistema di relazioni di <strong>potere</strong>. Il contratto incompleto in cui siano<br />

garantite le libertà di entrata e di uscita delle parti non cancella perciò l’essenza<br />

asimmetrica dei rapporti di <strong>potere</strong> tra le parti. Anzi si basa proprio su di essa. In<br />

assenza delle relazioni di <strong>potere</strong> derivanti dalla proprietà privata dei mezzi di<br />

produzione e dalla trasformazione della forza lavoro in merce da scambiare<br />

liberamente sul mercato non esisterebbe neanche il contratto di lavoro<br />

(incompleto). L’asimmetria non deriva dunque dall’ipotesi che le parti in campo<br />

218


godano di forza contrattuale diversa (per la diversa capacità di coalizzazione<br />

interna e/o di condurre efficacemente lotte contrattuali); essa origina<br />

dall’instaurarsi stesso di relazioni sociali di tipo capitalistico.<br />

7.5.3. Scambio e produzione<br />

Un’analisi esplicita della produzione come fatto distinto dallo scambio,<br />

rappresentando una rottura rispetto alle categorie analitiche neoistituzionaliste,<br />

porta a rimettere in discussione l’idea della simmetria tra le parti coinvolte nel<br />

processo produttivo (la quale deriva appunto da un’analisi della produzione come<br />

forma particolare di scambio). In particolare, si ricorderà, Alchian e Demsetz<br />

derivano una relazione di simmetria tra lavoratore e datore di lavoro, sostenendo<br />

che ognuna delle parti è libera di abbandonare la relazione di lavoro.<br />

A nostro parere, l’argomentazione di Alchian e Demsetz deriva dalla<br />

lettura del fatto produttivo con le lenti dello scambio.<br />

Una volta riconosciuta l’esistenza di un problema produttivo (almeno in<br />

parte) indipendente dal problema dello scambio, e una volta dismesse le lenti<br />

dello scambio nell’analisi della produzione, la simmetria si rompe.<br />

Approfondendo l’analisi degli aspetti che differenziano il processo produttivo<br />

dallo scambio si nota che lavoratore e datore di lavoro non sono più sullo stesso<br />

piano: per il lavoratore, l’unica alternativa ad una relazione di lavoro è un’altra<br />

relazione di lavoro (nella migliore delle ipotesi), ma da realizzarsi sempre in<br />

posizione subordinata a quella del capitalista. Nel processo produttivo dunque la<br />

libertà di scelta del lavoratore è ridotta: egli deve obbedire al capitalista o,<br />

altrimenti, scegliere un altro capitalista a cui obbedire e la libera scelta del<br />

capitalista non intacca in alcun modo il principio di sfruttamento su cui si basa la<br />

relazione tra lavoro e capitale.<br />

« Nel separarci da questa sfera della circolazione semplice ossia dello scambio delle<br />

merci, donde il liberoscambista vulgaris prende a prestito concezioni, concetti e<br />

norme per il suo giudizio sulla società del capitale e del lavoro salariato, la<br />

fisionomia delle nostre dramatis personae sembra già cambiarsi in qualche cosa.<br />

L’antico possessore del denaro va avanti come capitalista, il possessore di forza<br />

lavoro lo segue come suo lavoratore; l’uno sorridente con aria d’importanza e tutto<br />

affaccendato, l’altro timido, restio, come qualcuno che abbia portato al mercato la<br />

propria pelle e non abbia ormai da aspettarsi altro che la... conciatura ». 408<br />

Dunque, nel passaggio dall’analisi della sfera dello scambio a quella della sfera<br />

della produzione, la relazione di <strong>potere</strong> tra capitalista e lavoratore cessa di essere<br />

408 Marx (1867, [1956, libro 1, vol. 1, p. 194]), corsivo in originale.<br />

219


simmetrica. Una delle parti comanda, l’altra obbedisce e la libertà d’uscita in<br />

nessun modo può modificare tale caratteristica generale del rapporto lavorativo. 409<br />

7.6. Conclusioni<br />

L’approccio neoistituzionalista, nonostante le diverse correnti interne (il filone<br />

informativo e quello di Williamson) non viola i principi fondamentali del metodo<br />

neoclassico: individualismo metodologico, ottimizzazione, Pareto efficienza e<br />

statica comparata.<br />

L’istituzione del contratto di lavoro incompleto è vista come la soluzione<br />

efficiente ai problemi derivanti dall’interazione in un contesto decisionale<br />

complesso.<br />

Il tentativo neoistituzionalista di spiegare le istituzioni del capitalismo mediante il<br />

metodo statico-comparato è internamente contraddittorio. L’ipotesi che il mercato<br />

sia una categoria primordiale rispetto a impresa e Stato deve infatti essere<br />

rigettata, non soltanto per la sua falsità storica, ma anche per la sua incoerenza<br />

logica.<br />

Da un punto di vista logico l’istituzione del mercato non può precedere né<br />

l’istituzione dell’impresa, né l’istituzione dello Stato. In ogni caso poi, se il<br />

mercato è un’istituzione necessaria al sistema capitalista, il problema della sua<br />

origine andrebbe affrontato (non può essere risolto assumendone l’esistenza).<br />

L’impossibilità di spiegare le istituzioni capitalistiche come risultato efficiente di<br />

esercizi di statica comparata deriva dall’esistenza di rapporti di complementarità<br />

tra le istituzioni.<br />

Il riconoscimento dei rapporti di complementarità tra impresa e mercato<br />

passa per l’individuazione del processo produttivo come fatto distinto dallo<br />

scambio.<br />

La complementarità tra Stato e mercato nel sistema capitalista deriva<br />

dall’essenzialità della garanzia dei diritti di proprietà svolta dallo Stato<br />

(l’essenzialità del mercato deriva dalla definizione di sistema capitalista).<br />

Se le istituzioni sono complementari la loro evoluzione deve essere<br />

studiata congiuntamente. È perciò necessario un più preciso rapporto con il<br />

metodo storico.<br />

409 Cf. Pitelis (1991, p. 33).<br />

220


L’analisi dell’efficienza delle istituzioni capitalistiche si basa sulla falsa dicotomia<br />

volontarietà-coercizione. Il superamento di tale dicotomia richiede un<br />

approfondimento del problema del <strong>potere</strong> <strong>economico</strong>.<br />

Williamson riconosce che l’operare del principio di coordinamento incorpora<br />

l’esercizio del <strong>potere</strong> <strong>economico</strong>. Il concetto di <strong>potere</strong> <strong>economico</strong> non viene<br />

tuttavia approfondito analiticamente. La giustificazione di tale scelta, non è la<br />

negazione della sua esistenza (come sostenuto nel filone informativo della teoria<br />

neoistituzionalista), ma il suo carattere problematico dal punto di vista analitico.<br />

La teoria di Williamson è dunque soggetta ad una critica di coerenza<br />

consistente nel trascurare il problema del <strong>potere</strong> <strong>economico</strong>, pur riconoscendone<br />

la rilevanza.<br />

Il <strong>potere</strong> <strong>economico</strong> è un concetto dinamico e sociale. La sua analisi richiede<br />

un’indagine nella sfera della produzione, oltre che in quella dello scambio.<br />

Il metodo statico-comparato di analisi dell’efficienza non può essere applicato<br />

all’analisi del capitalismo come sistema decisionale, in quanto l’esistenza del<br />

sistema capitalista è assunta per ipotesi (e non può perciò essere ricavata come<br />

risultato di un processo di minimizzazione dei costi di transazione).<br />

Il tentativo della scuola neoistituzionalista non è allora quello dell’analisi<br />

dell’efficienza del sistema capitalista, bensì quello dell’analisi dell’efficienza<br />

delle singole istituzioni capitalistiche, data l’ipotesi di un sistema capitalista.<br />

Anche questo tentativo non può però essere realizzato nel framework<br />

neoistituzionalista: caduta la dicotomia volontarietà-coercizione cade infatti anche<br />

la tesi dell’efficienza delle singole istituzioni capitalistiche.<br />

221


222


QUARTA PARTE<br />

La sintesi della nuova destra e lo schema di<br />

coordinamento, <strong>competizione</strong> e <strong>potere</strong> <strong>economico</strong><br />

223


8<br />

L’IMPOSSIBILITÀ DELL’ALLEANZA POLITICA<br />

DELLA NUOVA DESTRA<br />

La tesi che sosteniamo in questo capitolo è che, nell’analisi dei rapporti tra Stato,<br />

impresa e mercato, le argomentazioni della teoria austriaca e quelle della teoria<br />

neoclassica-neoistituzionalista sono incompatibili. Ciò suscita il nostro<br />

scetticismo nei confronti di quei tentativi di sintesi, nell’ambito del programma<br />

della nuova destra, che propongono una ricomposizione delle due scuole senza<br />

fare i conti con la distanza metodologica che le separa.<br />

L’incompatibilità delle argomentazioni deriva dall’incompatibilità dei<br />

rispettivi contesti decisionali; in particolare, mentre la teoria neoistituzionalista<br />

può essere vista come un’estensione dell’analisi condotta sul contesto decisionale<br />

perfetto, mantenendo quest’ultimo come punto di riferimento ideale, il contesto<br />

decisionale della teoria austriaca viene definito autonomamente, rifiutando il<br />

contesto decisionale perfetto come base di riferimento. La definizione di contesti<br />

decisionali diversi (e incompatibili) nelle due scuole si riflette nelle definizioni dei<br />

principi di coordinamento e <strong>competizione</strong> e nell’adozione di ottiche valutative<br />

diverse: nella teoria austriaca si considera unicamente il principio di <strong>competizione</strong><br />

ex post e, nell’analisi di desiderabilità delle strutture organizzative, si dà spazio<br />

all’ottica valutativa a priori, nella teoria neoistituzionalista, si considera invece<br />

solo il principio di <strong>competizione</strong> ex ante (e, come suo caso particolare, quello di<br />

coordinamento ex ante) e si adotta l’ottica valutativa a posteriori.<br />

Il capitolo è organizzato in quattro paragrafi: nel paragrafo 8.1 discutiamo alcuni<br />

tentativi di fusione delle argomentazioni austriache e neoistituzionaliste da parte<br />

di economisti che definiamo appartenenti alla nuova destra; nel paragrafo 8.2<br />

analizziamo i motivi di insoddisfazione di tali tentativi di sintesi e avanziamo la<br />

tesi dell’incompatibilità metodologica delle argomentazioni delle due scuole di<br />

pensiero; nel paragrafo 8.3, a conferma della tesi che l’alleanza tra le due scuole si<br />

fondi più su un’affinità politica che non su una reale compatibilità metodologica,<br />

224


discutiamo alcune implicazioni politicamente significative delle due teorie<br />

concentrandoci sul problema degli interventi antitrust; le conclusioni sono<br />

raccolte nel paragrafo 8.4.<br />

8.1. Il progetto politico della nuova destra<br />

Le implicazioni della teoria austriaca e della teoria neoistituzionalista sono<br />

utilizzate, in diversi modi, per fungere da supporto a politiche di destra volte ad<br />

estendere la sfera privata della proprietà e il campo sociale in cui siano le leggi del<br />

mercato a fare giustizia.<br />

L’alleanza politica è spesso solo indiretta. L’opera di Hayek, in<br />

particolare, è abbondantemente citata e utilizzata dagli autori neoistituzionalisti: 410<br />

i richiami alla teoria di Hayek da parte di Williamson (1975, 1985) nella<br />

costruzione del framework per l’analisi di mercati e gerarchie rappresentano forse<br />

l’esempio più noto in tal senso. L’analisi di Hayek viene inoltre utilizzata come<br />

fonte di ispirazione anche da Cheung (1992) e elaborata -accanto a quella di<br />

Coase, Williamson, Alchian e Demsetz- da Putterman (1995).<br />

In altri casi invece si possono individuare dei progetti più organici di<br />

ricompattazione delle due scuole: Langlois (1986a) costituisce un ambizioso<br />

tentativo in tale direzione. Secondo Langlois è possibile individuare una base<br />

comune di ragionamento tra la scuola evoluzionista di Nelson e Winter, la scuola<br />

austriaca moderna di Kirzner (influenzata in modo particolare dall’opera di<br />

Hayek), la scuola dei costi di transazione di Williamson, la scuola dei diritti di<br />

proprietà originata da Coase, e la scuola comportamentista di Simon. 411 Come lo<br />

stesso Langlois chiarisce, ciò che accomuna le teorie menzionate è essenzialmente<br />

l’interesse per determinati temi di discussione: razionalità, dinamica (tempo<br />

storico, processi d’apprendimento, irreversibilità), problemi di coordinamento e<br />

ruolo delle istituzioni. Tali interessi possono agli occhi di Langlois essere<br />

organizzati in modo coerente all’interno di un approccio metodologico comune.<br />

L’idea di costruire una teoria che prenda spunto da contributi diversi da<br />

assemblarsi in modo più o meno organico ha bisogno di una precisazione.<br />

Utilizzare suggerimenti utili ricercandoli a 360 gradi ha il doppio vantaggio di<br />

risparmiare duplicazioni degli sforzi e di porre in maniera diretta il problema del<br />

rapporto con le altre teorie in materia. Altra cosa è però utilizzare le conclusioni<br />

che ciascuna delle teorie raggiunge sul proprio contesto decisionale e col proprio<br />

metodo d’analisi per ricollocarle in un contesto decisionale diverso e per<br />

410 Hodgson (1994c, p. 398), nel criticare il neoistituzionalismo, utilizza una definizione così<br />

ampia da includere in esso lo stesso Hayek.<br />

411 Langlois (1986b, pp. 1-2).<br />

225


svilupparle con metodi diversi: riflettere su un teorema valido in uno spazio<br />

euclideo può fornirci spunti per l’investigazione delle proprietà di spazi non<br />

euclidei, ma la validità del teorema nello spazio non euclideo richiede un’apposita<br />

dimostrazione (che non è detto a priori che esista).<br />

Il tema che a noi interessa è quello del confronto tra strutture organizzative. La<br />

tesi austriaca è quella della superiorità delle strutture organizzative decentrate; la<br />

tesi neoistituzionalista è quella della inefficienza di strutture organizzative<br />

eccessivamente decentrate. Le due tesi sono apparentemente in netto contrasto.<br />

Uno degli obiettivi della nuova destra è quello di risolvere l’apparente contrasto<br />

giungendo ad una sintesi ragionata dei costi e dei benefici della<br />

(de)centralizzazione (ferma restando l’ipotesi di proprietà privata dei mezzi di<br />

produzione).<br />

Suddividiamo l’analisi in due paragrafi, analizzando dapprima i tratti teorici<br />

comuni della teoria austriaca e della teoria neoistituzionalista (8.1.1) e discutendo<br />

poi le implicazioni delle due teorie in merito ad uno dei problemi centrali della<br />

nuova destra, la questione della desiderabilità del capitalismo (8.1.2).<br />

8.1.1. I tratti teorici comuni della nuova destra<br />

Sebbene la nostra critica alla compatibilità interna del progetto politico della<br />

nuova destra sia di tipo metodologico, è opportuno notare che l’alleanza tra la<br />

scuola austriaca e la scuola neoclassica-neoistituzionalista ha proprio un punto<br />

metodologico a suo favore: le due scuole sono infatti ambedue espressione<br />

dell’individualismo metodologico. 412<br />

L’idea che l’individuo (il suo modo di pensare e di decidere, le sue<br />

preferenze e i suoi obiettivi, la forma del suo relazionarsi all’ambiente e agli altri<br />

individui) sia l’unità astratta da prendere per data nell’indagine economica è il<br />

tratto distintivo delle teorie che accettano un simile approccio metodologico.<br />

Nella maggior parte dei casi gli economisti dell’individualismo metodologico<br />

ammettono che le caratteristiche dell’individuo (ad esempio, le preferenze)<br />

possono essere influenzate dalle circostanze istituzionali; l’esigenza di un punto<br />

fermo su cui impostare un’analisi rigorosa dell’interazione umana porta però<br />

412 Per individualismo metodologico intendiamo la dottrina secondo cui tutti i fenomeni sociali<br />

sono, in linea di principio, spiegabili a partire dall’individuo (le cui caratteristiche sono<br />

considerate un dato dell’analisi). Cf. Hodgson (1994e, pp. 63-4).<br />

226


anche gli individualisti metodologici più scettici ad assumere che, per gli scopi<br />

dell’indagine economica, l’individuo vada considerato un dato. 413<br />

Dal punto di vista dell’impostazione metodologica di fondo si riscontra<br />

dunque una coerenza tra le scuole austriaca e neoclassica-neoistituzionalista.<br />

Come vedremo nel paragrafo 8.2, le comuni origini individualistiche delle due<br />

scuole non sono tuttavia sufficienti a garantire un rapporto metodologico coerente<br />

tra loro. Per il momento dobbiamo però notare che, grazie al comune approccio<br />

individualistico, le due scuole possono ambedue affrontare l’analisi delle relazioni<br />

sociali riconducendole alle proprietà (innate e inspiegabili) degli individui.<br />

Ciò ci permette di individuare un nucleo comune alle due teorie costituito<br />

dei seguenti quattro punti: (1) l’ipotesi che le capacità individuali non siano<br />

omogeneamente distribuite tra gli individui, (2) l’ipotesi che nelle società di<br />

mercato l’interazione umana sia volontaria, (3) l’idea che il processo di mercato<br />

dia ragione all’individuo più capace (e, in presenza di incertezza, al più fortunato)<br />

e (4) la tesi della volontarietà dell’azione umana come condizione sufficiente per<br />

l’efficienza istituzionale.<br />

Abbiamo già espresso alcuni dubbi sulla validità delle quattro<br />

affermazioni. In particolare, il punto (1) costituisce un’ipotesi non falsificabile<br />

(nell’ambito dell’approccio individualistico), il punto (2) un’ipotesi priva di un<br />

significato ben definito, i punti (3) e (4) delle tesi che andrebbero dimostrate in<br />

modo più rigoroso. 414<br />

L’inconfutabilità dell’ipotesi (1) conferisce gran forza alle teorie austriaca<br />

e neoistituzionalista: grazie a tale ipotesi la nuova destra riesce a riconciliare<br />

l’efficienza (e da ciò, in base ad un ragionamento discutibile, la desiderabilità) del<br />

sistema capitalista con le ineguaglianze sociali, facendo ricadere queste ultime<br />

413 La posizione austriaca e quella neoclassica-neoistituzionalista richiedono una precisazione:<br />

mentre gli autori neoclassici e neoistituzionalisti accettano senza riserve l’ipotesi che le preferenze<br />

siano date e che i comportamenti individuali possano (debbano) essere determinati a partire<br />

dall’analisi di tali preferenze (e dei vincoli ambientali), la posizione di Hayek è più articolata.<br />

Hayek (1949, p. 67) afferma esplicitamente che la spiegazione dell’azione umana può essere<br />

sviluppata in campo psicologico, ma esce necessariamente dal campo di indagine dell’economia e<br />

delle altre scienze sociali. Tale affermazione è, secondo alcuni studiosi, sufficiente a definire<br />

Hayek come un radicale difensore dell’individualismo metodologico. Alcune controversie nascono<br />

tuttavia in merito agli sviluppi evoluzionisti della teoria hayekiana (in particolare, in merito alla<br />

teoria della selezione di gruppo). Due interpretazioni significative al riguardo sono quelle di<br />

Hodgson e Vanberg i quali notano una tensione tra la teoria hayekiana dell’evoluzione culturale e i<br />

presupposti metodologici individualistici: secondo Vanberg (1986) tale tensione può essere<br />

eliminata abbandonando la teoria hayekiana della selezione di gruppo e sviluppando su basi<br />

metodologiche rigorosamente individualistiche l’analisi dell’evoluzione culturale e istituzionale<br />

(tale linea d’indagine è sviluppata anche da Witt (1993, 1994)); Hodgson (1991) è di parere<br />

diverso e ritiene che la tensione presente in Hayek tra individualismo metodologico ed evoluzione<br />

culturale nasca dall’impossibilità stessa di sviluppare una teoria evolutiva su basi metodologiche<br />

strettamente individualistiche.<br />

414 Come vedremo, le tesi (3) e (4) sono entrambe invalidate dall’introduzione del <strong>potere</strong><br />

<strong>economico</strong> nel quadro analitico.<br />

227


sulle diverse qualità degli individui (le quali non devono e non possono essere<br />

spiegate). Secondo la logica della nuova destra, le diverse posizioni sociali degli<br />

individui sono perciò una necessità tecnica ed esprimono fatti spontanei e naturali<br />

che sarebbe socialmente controproducente contrastare.<br />

Si consideri, in proposito, la spiegazione di Williamson dell’origine delle<br />

gerarchie: le innate capacità oratorie e organizzative di certi individui e la<br />

necessità efficientistica di monitorare gli individui opportunisti, pigri e<br />

imbroglioni sono gli elementi che portano alla definizione sociale di capitalisti e<br />

lavoratori e alle loro posizioni relative nella società capitalista. L’argomentazione<br />

si ricorderà, è basata su una serie di esercizi di statica comparata, attraverso la<br />

quale i processi di cambiamento vengono simulati indipendentemente dalla loro<br />

corrispondenza ai processi storici realmente realizzatisi.<br />

Un metodo esplicativo, per molti versi, simile è quello utilizzato da Hayek.<br />

Secondo Hayek la posizione sociale di ciascun individuo è il risultato di un gioco<br />

di abilità e fortuna:<br />

« It is, as Adam Smith already understood, as if we had agreed to play a game, partly<br />

of skill and partly of chance ». 415<br />

In Hayek, come in Williamson, non ha alcuna importanza se i processi storici<br />

corrispondano a quelli ipotizzati a livello teorico. È ovvio che nessuno di noi ha<br />

scelto di partecipare al gioco del processo di mercato, ma ciò che conta per Hayek<br />

è che è come se l’avessimo fatto.<br />

In effetti, quello che rende gli approcci austriaco e neoistituzionalista<br />

simili sul piano metodologico è che il problema della spiegazione delle istituzioni<br />

del capitalismo è prima di tutto un problema di come se, piuttosto che di come fu:<br />

il sistema di mercato è come se fosse il risultato di un patto unanime tra gli<br />

individui; la stratificazione sociale è come se dipendesse unicamente dalla<br />

distribuzione iniziale delle capacità individuali. Sono questi, a nostro parere, i<br />

tratti metodologici essenziali che accomunano gli economisti che abbiamo<br />

collocato sotto l’etichetta della nuova destra.<br />

La spiegazione del come se, tuttavia, sebbene sia essenziale come analisi<br />

di coerenza e compatibilità tra lo schema teorico e i fatti storici, non dice niente<br />

sulla verosimiglianza di un certo schema interpretativo; ciò che si discute nelle<br />

teorie della nuova destra è dunque soltanto la compatibilità causale, non la<br />

causalità effettiva.<br />

L’assunzione che gli individui (eterogeneamente dotati e fortunati) di comune<br />

accordo abbiano pattuito di partecipare al gioco del processo di mercato solleva<br />

però tre questioni: (1) in cosa consiste effettivamente il patto? (2) fortuna e<br />

capacità rappresentano realmente tutto ciò che conta per riuscire nel gioco del<br />

415 Hayek (1968, [1978, p. 186]).<br />

228


processo di mercato? (3) il patto che è come se avessimo stipulato (e che non<br />

abbiamo mai stipulato) è sufficiente a garantire la desiderabilità del sistema di<br />

mercato?<br />

Alla discussione dei tre interrogativi secondo lo schema teorico della<br />

nuova destra e secondo la nostra interpretazione del processo di mercato sono<br />

dedicati rispettivamente il resto del presente capitolo e il capitolo 9.<br />

8.1.2. Desiderabilità del capitalismo<br />

Nella nuova destra si presenta il seguente paradosso da risolvere: l’impresa è<br />

considerata superiore al mercato rispetto al problema dei costi di transazione ma<br />

inferiore ad esso rispetto ai problemi della manifestazione delle rivalità<br />

individuali, della disciplina competitiva e dei costi di organizzazione (assunti<br />

generalmente pari a zero per quanto riguarda il mercato). 416<br />

Le argomentazioni austriache sono tutte contro la centralizzazione; la<br />

teoria neoistituzionalista è invece impostata in termini di analisi costi-benefici<br />

della centralizzazione. L’idea che permette di tenere insieme le due teorie è quella<br />

di integrare le argomentazioni austriache contro la pianificazione nel framework<br />

neoistituzionalista di analisi dell’ottimo grado di centralizzazione: la risoluzione<br />

del paradosso passa dunque per l’individuazione di un grado ottimo di<br />

centralizzazione che fa da spartiacque tra i vantaggi dell’organizzazione<br />

gerarchica (in termini di costi di transazione) e i vantaggi del meccanismo dei<br />

prezzi (in termini di espressione delle rivalità individuali, di disciplina<br />

competitiva e di costi di organizzazione).<br />

La tesi del grado ottimo di centralizzazione potrebbe apparire in contrasto con la<br />

teoria dell’efficienza dei sistemi capitalisti reali, i quali sono caratterizzati da<br />

gradi diversi di centralizzazione. Non è così; al contrario, essa permette di<br />

sostenere l’efficienza del capitalismo nei suoi molteplici modelli di<br />

realizzazione. 417<br />

416 L’assunzione di costi nulli nell’istituzione e nel funzionamento del mercato è legata alla scelta<br />

metodologica di concentrarsi sul problema del come se. In realtà, dal punto di vista del come fu (e,<br />

in alcuni casi, del come è), l’istituzione del mercato richiede che uno o più soggetti ne sopportino i<br />

costi. Storicamente infatti l’istituzione del mercato rappresenta una risposta a problemi specifici di<br />

coordinamento implicanti costi (e benefici) differenziati da parte dei soggetti coinvolti.<br />

417 La desiderabilità del sistema di mercato assume caratteri diversi nella teoria austriaca e nella<br />

teoria neoistituzionalista. Secondo la scuola austriaca, l’ipotesi che il mercato funzioni è derivata<br />

dall’osservazione della realtà; gli economisti austriaci moderni infatti non si propongono di<br />

confrontare diverse strutture organizzative, bensì di rendere intelligibile il (buon) funzionamento<br />

della struttura organizzativa capitalistica. L’obiettivo della scuola neoclassica-neoistituzionalista è<br />

229


L’efficienza delle diverse strutture organizzative capitalistiche dipende<br />

dalla variabilità dei costi di transazione e dei costi di organizzazione. I costi di<br />

transazione e i costi di organizzazione dipendono a loro volta dalle condizioni<br />

ambientali e dalle caratteristiche degli individui. L’ipotesi di individui<br />

eterogeneamente dotati permette così di interpretare le molteplici forme<br />

organizzative dei moderni sistemi capitalisti tutte come efficienti: i diversi modelli<br />

istituzionali-organizzativi dei paesi capitalisti sono semplicemente il risultato di<br />

processi di selezione delle strutture organizzative efficienti condotti (1) su<br />

ambienti diversi e (2) a partire da condizioni iniziali diverse. 418<br />

Non esiste dunque la struttura organizzativa efficiente; esistono tante<br />

strutture organizzative efficienti operanti su ambienti diversi e costituite da<br />

individui diversamente dotati; ciò che accomuna tali strutture organizzative è solo<br />

il loro carattere capitalistico. È perciò il capitalismo, come modello generale, ad<br />

essere efficiente. Le diverse forme capitalistiche sono solo il risultato dell’operare<br />

del processo di mercato su ambienti diversi.<br />

La differenza di fondo tra le argomentazioni neoistituzionaliste e quelle austriache<br />

è che le prime permettono di sostenere l’efficienza del capitalismo in base alla<br />

valutazione dei risultati del processo di mercato, mentre nelle seconde si fa leva<br />

sulla desiderabilità del processo stesso.<br />

Le due teorie risulterebbero dunque complementari: la teoria austriaca<br />

afferma l’efficienza del processo di mercato valutando il processo in quanto tale;<br />

la teoria neoistituzionalista afferma l’efficienza del sistema di mercato valutando<br />

lo stato d’equilibrio cui tale processo è supposto tendere.<br />

Nel paragrafo che segue sosterremo che tale modo di ricompattare le<br />

argomentazioni austriache e quelle neoistituzionaliste facendo leva sulla loro<br />

complementarità non costituisce un punto di forza nella teoria dell’efficienza del<br />

mercato, bensì un’operazione metodologicamente indifendibile.<br />

8.2. L’incompatibilità metodologica tra le scuole<br />

austriaca e neoistituzionalista<br />

Al di là delle fondamenta metodologiche comuni alla scuola austriaca e alla<br />

scuola neoistituzionalista individuabili nell’assunzione di un approccio<br />

individualistico, le due scuole presentano caratteri analitici ben diversi.<br />

invece quello di dimostrare la desiderabilità del mercato (o, meglio, di individuare le condizioni<br />

per la sua efficienza).<br />

418 Condizioni iniziali e ambiente, si ricorderà, sono esogeni.<br />

230


Un’analisi sistematica dei rapporti metodologici tra le due scuole ci<br />

allontanerebbe dall’obiettivo più modesto di questo capitolo. Il nostro obiettivo<br />

non è infatti di mostrare la generale incompatibilità delle argomentazioni della<br />

scuola austriaca e della scuola neoistituzionalista, bensì quello di evidenziare la<br />

loro incompatibilità relativamente all’analisi dei rapporti tra Stato, impresa e<br />

mercato e al confronto tra strutture organizzative. A questo scopo, delle due<br />

scuole di pensiero, ci basta approfondire il confronto tra i rispettivi contesti<br />

decisionali (8.2.1), evidenziare le loro diverse accezioni dei principi di<br />

coordinamento e <strong>competizione</strong> (8.2.2) e discutere il problema delle diverse ottiche<br />

valutative (8.2.3).<br />

8.2.1. I contesti decisionali<br />

La definizione dei contesti decisionali delle teorie neoistituzionalista e austriaca<br />

avviene secondo due criteri distinti: il contesto decisionale della teoria<br />

neoistituzionalista viene definito introducendo gradualmente imperfezioni nel<br />

contesto decisionale perfetto neoclassico; la teoria austriaca definisce invece il<br />

proprio contesto decisionale ex nihilo, rifiutando il contesto decisionale perfetto<br />

come base di partenza. I due metodi pongono problemi diversi.<br />

Riconsideriamo le dimensioni che abbiamo individuato come cruciali ai<br />

fini della specificazione di un contesto decisionale.<br />

Nel caso della teoria neoistituzionalista, l’assunzione del contesto<br />

decisionale (a) come contesto decisionale di riferimento sul quale introdurre<br />

imperfezioni porta alla definizione di un contesto decisionale di tipo (b) e, allo<br />

stesso tempo, preclude la possibilità di introdurre dimensioni di tipo (c).<br />

Nel caso della teoria austriaca invece l’obiettivo che si delinea è quello<br />

della definizione di un contesto decisionale alternativo e indipendente dal contesto<br />

decisionale perfetto neoclassico; come abbiamo visto nel capitolo 4, il problema<br />

austriaco della definizione di un contesto decisionale coerente è quello dei legami<br />

esistenti in (c) tra le varie dimensioni.<br />

231


Tabella 8.1. LE DIMENSIONI DEL CONTESTO DECISIONALE<br />

(a) (b) (c)<br />

1. INFORMAZIONE Perfetta Imperfetta Conoscenza<br />

2. INCERTEZZA Certezza Rischio Incertezza radicale<br />

3. TEMPO Statica Tempo logico Tempo storico<br />

4. DIMENSIONE<br />

LEGALE<br />

Completa e<br />

gratuita<br />

Completa e costosa Incompleta<br />

5. RAZIONALITÀ Ottimizzante Ottimizzante con vincoli<br />

computazionali<br />

232<br />

Razionalità limitata<br />

(1) IL CONTESTO DECISIONALE NEOISTITUZIONALIS TA. Si consideri il contesto<br />

decisionale perfetto. In esso (i) gli individui decidono risolvendo problemi di<br />

ottimo vincolato e (ii) le interazioni tra gli individui sono interazioni d’equilibrio.<br />

L’uscita dal contesto decisionale perfetto lungo ciascuna dimensione deve essere<br />

resa compatibile con tali due caratteristiche.<br />

La colonna (b) della tabella 8.1, si ricorderà, rappresenta il modo in cui i<br />

cinque aspetti problematici possono essere introdotti nel contesto decisionale<br />

perfetto senza generare problemi di coerenza. I contesti decisionali di tipo (b) non<br />

alterano le caratteristiche generali (i) e (ii) del contesto decisionale perfetto: essi<br />

aggiungono semplicemente nuove dimensioni e/o nuovi vincoli al problema<br />

decisionale. Il passaggio da (a) a (b) può allora essere visto come un’estensione<br />

del modello base verso un modello più generale. In tal modo i modelli definiti su<br />

(a) possono considerarsi come casi limite dei modelli definiti su (b), al tendere a<br />

zero delle imperfezioni.<br />

Il metodo per estensioni successive non consente la definizione di un<br />

contesto decisionale (c); esso costringe alla definizione di un contesto decisionale<br />

(b). Infatti, l’assunzione del contesto decisionale perfetto come base di partenza<br />

implica che l’introduzione di imperfezioni richieda la costruzione di insiemi<br />

coerenti di adattamenti: ogni imperfezione deve essere resa coerente con le altre<br />

caratteristiche del contesto decisionale; ciò porta a definire l’imperfezione<br />

secondo il significato (b).<br />

La generalizzazione del contesto (a) pone quindi una serie di vincoli sul<br />

significato che ciascuno dei cinque aspetti problematici può assumere. Ognuno<br />

dei cinque aspetti deve essere adattato al contesto decisionale (a). I concetti di<br />

informazione, incertezza, tempo, dimensione legale e razionalità, una volta<br />

adattati, assumono le caratteristiche del contesto decisionale perfetto. Non si<br />

modifica dunque solo il contesto teorico di riferimento, ma si modificano anche i


concetti imperfetti (imperfetti per quel contesto decisionale) rendendoli<br />

compatibili con le altre caratteristiche del contesto decisionale. Il problema non è<br />

di definire quali siano i veri significati di tempo, incertezza o di qual si voglia<br />

dimensione; il punto è che esistono diversi modi di trattare le cinque dimensioni,<br />

ma l’assunzione del contesto decisionale perfetto come base di partenza vincola<br />

all’uso di uno particolare di essi.<br />

Questo è ben visibile nel caso della teoria neoclassica rispetto al problema<br />

dell’introduzione nel modello di EEG dei concetti di tempo e incertezza<br />

(estensione già contenuta nelle analisi di Arrow e Debreu). Essa porta infatti ad<br />

utilizzare una particolare accezione di tali due concetti che sia coerente col<br />

metodo dell’equilibrio e il principio di ottimizzazione. Il modello di Arrow-<br />

Debreu in cui si considerano i beni datati e indicizzati rispetto agli stati di natura,<br />

rappresenta sì una generalizzazione del modello base (statico e deterministico)<br />

ma, allo stesso tempo, è anche l’unico modo di integrare tempo e incertezza nel<br />

contesto decisionale perfetto.<br />

Maggiormente articolata è la questione nel caso della teoria<br />

neoistituzionalista; non a caso, visto il loro sforzo di conferire realismo e, al<br />

limite, di tentare di storicizzare l’analisi.<br />

L’informazione è imperfetta, ma definibile come insieme chiuso; i<br />

problemi di conoscenza non sono considerati se non come problemi di<br />

acquisizione di informazione. L’imperfezione dell’informazione implica<br />

l’esistenza di costi di transazione positivi; il fatto che il set informativo sia chiuso<br />

assicura comunque che tali costi siano perfettamente specificabili ex ante.<br />

La dimensione legale è assunta essere completa; secondo il filone di<br />

Williamson essa è costosa, il che aumenta le ragioni dell’assunzione di costi di<br />

transazione positivi; l’ipotesi di completezza della dimensione legale assicura<br />

anche in questo caso che i costi di transazione siano specificabili ex ante.<br />

Solo apparentemente più controvertibile è la questione della razionalità<br />

dei decisori, vista l’assunzione di razionalità limitata di Williamson. Ma, come si<br />

è visto, si tratta fondamentalmente di una mera assunzione nominalistica, che non<br />

intacca il soggiacente metodo dell’ottimizzazione, in quanto la limitazione finisce<br />

per riguardare solo i vincoli computazionali. Non viene invece alterata la<br />

completezza delle alternative (ed infatti, come abbiamo detto, l’informazione è<br />

imperfetta ma definibile come insieme chiuso). Il quadro analitico che ne deriva è<br />

certamente più complesso rispetto all’ipotesi di razionalità ottimizzante piena, in<br />

quanto implica che i processi decisionali siano costosi in termini economici e/o di<br />

tempo necessario all’elaborazione dell’informazione. La presenza/assenza di<br />

vincoli computazionali non altera comunque la nostra valutazione che i decisori<br />

risolvano problemi di ottimizzazione specificati su insiemi chiusi e ben definiti. 419<br />

419 Diverso è il caso della razionalità limitata di Simon secondo il quale l’informazione non è<br />

definibile come insieme chiuso, il che impedisce la definizione stessa dell’insieme delle soluzioni<br />

ottimizzande.<br />

233


L’incertezza, coerentemente al quadro appena tracciato, è probabilizzabile<br />

e il set degli stati di natura è esaustivamente noto ai decisori; i processi decisionali<br />

sono dunque definiti come problemi di decisioni in condizioni di rischio.<br />

Quanto alla dimensione temporale, sebbene l’uso di concetti quali quello<br />

di specificità e di sunk cost possa far pensare al fatto che i neoistituzionalisti diano<br />

un autonomo rilievo al percorso storico e alla possibilità di processi cumulativi,<br />

essa resta ancorata ad una dimensione logica piuttosto che storica. Ciò deriva<br />

dall’uso del metodo analitico, che è quello della statica comparata, utilizzato<br />

nell’analisi delle dinamiche istituzionali. La spiegazione delle situazioni e dei<br />

comportamenti osservati parte dal presupposto dell’efficienza; la ricostruzione<br />

degli elementi causali dei fenomeni avviene mediante l’identificazione dei fattori<br />

che -dato il principio di efficienza- possono determinare i fenomeni sotto il<br />

vincolo analitico di condizioni (sia pur costose) di certezza equivalente e di<br />

ottimizzazione.<br />

Le ipotesi sulle cinque dimensioni del contesto decisionale consentono di<br />

(e sono necessarie a) specificare ex ante in maniera perfetta i costi di transazione e<br />

a definire le interazioni tra gli individui come interazioni d’equilibrio. Il contesto<br />

decisionale della teoria neoistituzionalista non presenta dunque incoerenze: esso è<br />

tutto di tipo (b).<br />

(2) IL CONTESTO DECISIONALE AUSTRIACO. Come si è visto, nel capitolo 3, i<br />

rapporti tra la teoria austriaca e la teoria neoclassica sono venuti modificandosi<br />

nel corso del dibattito sulla pianificazione. Questo non significa che la scuola<br />

austriaca abbia cambiato posizione rispetto alle caratteristiche del proprio contesto<br />

decisionale; piuttosto, si è avuto un processo di esplicitazione nelle differenze<br />

metodologiche tra le due scuole, le quali, secondo diversi storici, erano, in buona<br />

parte, già presenti nei lavori dei fondatori della scuola austriaca e della scuola<br />

neoclassica, rispettivamente Menger e Walras. 420 I rapporti tra le due scuole<br />

hanno giocato un ruolo importante nel processo di esplicitazione delle<br />

caratteristiche del contesto decisionale austriaco. Questi tuttavia, non è il risultato<br />

dell’introduzione di imperfezioni nel contesto decisionale perfetto neoclassico.<br />

I caratteri problematici del contesto decisionale austriaco non sono dunque<br />

vincolati ad essere di tipo (b); anzi, la scuola austriaca può essere considerata<br />

come antagonistica rispetto alla scuola neoclassica proprio perché si propone di<br />

sviluppare l’analisi di alcune dimensioni del contesto decisionale secondo un<br />

significato di tipo (c). 421<br />

Sempre nel capitolo 3 abbiamo notato come la definizione del contesto<br />

decisionale austriaco non passi per la discussione di tutte e cinque le dimensioni<br />

420 Jaffè (1976), Streissler (1972), Vaughn (1990).<br />

421 La posizione della scuola austriaca rispetto alla scuola neoclassica è tuttora argomento di<br />

dibattito all’interno della scuola austriaca moderna: le correnti di Kirzner e Lachmann enfatizzano<br />

rispettivamente i caratteri di comple mentarità e antagonismo nei rapporti con la scuola neoclassica.<br />

234


del contesto decisionale: solo la conoscenza e la dimensione temporale sono<br />

oggetto diretto di discussione. La posizione austriaca rispetto alle altre dimensioni<br />

non è invece individuabile con chiarezza (in particolare, nel capitolo 4 abbiamo<br />

tentato di esplicitare il problema dell’incertezza).<br />

Il tentativo di definire alcune delle dimensioni del contesto decisionale<br />

secondo il significato (c) solleva tuttavia un problema: in (c) le cinque dimensioni<br />

sono interdipendenti, il che rende problematico definire solo alcune di esse<br />

secondo il significato (c) senza un parallelo approfondimento anche delle altre<br />

nella stessa direzione. 422 La definizione coerente di un contesto decisionale (c)<br />

deve comprendere tutte le dimensioni congiuntamente.<br />

Nel caso specifico della teoria austriaca, i problemi derivano dai rapporti<br />

tra tempo, conoscenza e incertezza. Il problema non è tanto che l’analisi austriaca<br />

risulti parziale per via della scarsa attenzione al problema dell’incertezza, quanto<br />

piuttosto che l’interdipendenza tra le dimensioni rende problematica anche<br />

l’interpretazione di tempo e conoscenza: non discutendo l’incertezza, l’analisi di<br />

tempo e conoscenza (la quale è oggetto centrale dei tentativi di sintesi della nuova<br />

destra) risulta problematica e poco chiara. La discussione dell’incertezza è<br />

necessaria a dare supporto teorico alle argomentazioni austriache in materia di<br />

tempo e conoscenza, l’originalità delle quali deriva dalla specificazione delle due<br />

dimensioni secondo il significato (c).<br />

L’interdipendenza tra le dimensioni nel contesto decisionale (c) implica la perdita<br />

di coerenza della teoria austriaca qualora la si interpreti -come si fa da parte di<br />

coloro che propongono la compatibilità con la teoria neoistituzionalista- su di un<br />

contesto decisionale a cavallo tra (a-b) e (c). Ciò significa che il contesto<br />

decisionale austriaco debba essere precisato o come interamente di tipo (c), o<br />

come interamente di tipo (a-b).<br />

Ma allora, se il contesto decisionale austriaco viene precisato secondo il<br />

significato (c), la teoria austriaca risulta incompatibile con quella<br />

neoistituzionalista la quale invece si sviluppa coerentemente su un contesto<br />

decisionale interamente di tipo (b); se, viceversa, il contesto decisionale austriaco<br />

viene forzato in senso (b), le teorie austriaca e neoistituzionalista risultano<br />

compatibili ma, venendo meno l’originalità dell’analisi austriaca dei processi<br />

conoscitivi rispetto all’analisi neoistituzionalista dell’informazione, perde di<br />

significato anche la possibilità di una sintesi tra le due scuole.<br />

Il confronto tra i contesti decisionali neoistituzionalista e austriaco ci porta<br />

dunque alle seguenti conclusioni: (1) il contesto decisionale neoistituzionalista è<br />

internamente coerente e di tipo (b); (2) il contesto decisionale austriaco presenta<br />

delle ambiguità in tema di incertezza; (3) il mantenimento dell’originalità<br />

422 Così non è nei contesti decisionali di tipo (a-b): a partire da (a) è possibile datare le variabili<br />

senza indicizzarle rispetto allo stato di natura (e viceversa) senza che ciò dia luogo ad alcun<br />

problema di coerenza.<br />

235


austriaca nell’analisi di tempo e conoscenza ha bisogno di una precisazione del<br />

contesto decisionale in direzione interamente (c).<br />

8.2.2. <strong>Coordinamento</strong> e <strong>competizione</strong><br />

La sistematizzazione appena operata nei confronti del contesto decisionale e dei<br />

suoi elementi consente di sintetizzare coerentemente ad essa come entrino in<br />

gioco i fattori di coordinamento e <strong>competizione</strong>.<br />

Le diverse concezioni dei principi di coordinamento e <strong>competizione</strong> nella<br />

teoria austriaca e nella teoria neoistituzionalista riflettono visioni diverse del<br />

processo di mercato e diversi metodi d’analisi. Nella teoria austriaca il processo di<br />

mercato è un processo di disequilibrio la cui desiderabilità deriva proprio dalle sue<br />

proprietà fuori dall’equilibrio. Nella teoria neoistituzionalista il mercato è invece<br />

il luogo dove si realizza l’equilibrio e la sua desiderabilità deriva dalle proprietà<br />

delle situazioni d’equilibrio.<br />

Particolareggiando appena di più questo quadro, possiamo aggiungere che la<br />

scuola austriaca rigetta, in generale, l’ipotesi che il processo di <strong>competizione</strong> ex<br />

post conduca ad una situazione finale di equilibrio. La stessa ipotesi che il<br />

processo « piani individuali → interazioni → revisione piani » sia convergente è<br />

fonte di un dibattito interno alla moderna scuola austriaca, che non può dirsi<br />

definitivamente concluso.<br />

Negli autori della scuola austriaca tradizionale (Mises e Hayek) l’ipotesi di<br />

fondo è che il processo sia convergente, sebbene il cambiamento continuo dei dati<br />

impedisca continuamente il raggiungimento effettivo dell’equilibrio. La posizione<br />

di Kirzner è compatibile con quella di Mises e Hayek ma è, in un certo senso, più<br />

forte: Kirzner non solo assume la convergenza del processo di mercato, ma<br />

ammette anche la possibilità teorica del raggiungimento di uno stato finale di<br />

equilibrio stazionario (tale posizione rimane comunque solo teorica, in quanto, in<br />

generale, si considera la possibilità di cambiamenti esogeni dei dati). Lachmann<br />

rifiuta invece posizioni univoche: la convergenza del processo competitivo deve<br />

essere analizzata caso per caso e non può essere stabilita su basi aprioristiche. 423<br />

L’elemento che invece accomuna le teorie degli esponenti tradizionali e<br />

moderni della scuola austriaca è l’unicità del principio di <strong>competizione</strong> ex post<br />

come fondamento razionale del processo di mercato.<br />

423<br />

Le diverse concezioni del processo di mercato di Hayek, Kirzner e Lachmann sono presentate<br />

in forma di diagramma da Gloria (1996b).<br />

236


Quanto alla scuola neoistituzionalista, abbiamo individuato due correnti: la prima<br />

(quella di Alchian, Demsetz, Jensen, Meckling e Cheung) riconduce tutte le<br />

relazioni economiche al principio di <strong>competizione</strong> ex ante; la seconda (quella di<br />

Williamson) analizza il principio di coordinamento ex ante come principio<br />

distinto dal principio di <strong>competizione</strong> (tale distinzione, come vedremo<br />

immediatamente, non è sostanziale). In entrambe i casi comunque i principi di<br />

<strong>competizione</strong> e coordinamento sono considerati in senso ex ante.<br />

L’uso del metodo dell’equilibrio porta a definire il principio di<br />

coordinamento come un principio perfetto operante fuori dal tempo e in grado di<br />

garantire la compatibilità piena tra i piani individuali.<br />

Il principio di <strong>competizione</strong> ex ante opera anch’esso prima (in senso<br />

logico, visto che lo schema è a-temporale) che gli individui interagiscano. Esso<br />

agisce sulla formulazione dei piani conducendo ciascun individuo a revisionare<br />

(virtualmente) i propri piani in modo tale da garantire il mantenimento<br />

dell’equilibrio. La <strong>competizione</strong> ex ante agisce come fattore di disciplina nel<br />

processo di formulazione dei piani: nel formulare i piani gli agenti sono posti in<br />

relazione tra loro sotto la minaccia reciproca dell’uscita della controparte dalla<br />

relazione.<br />

L’ipotesi di equilibrio nell’interazione tra gli individui porta i principi di<br />

coordinamento ex ante e <strong>competizione</strong> ex ante a confondersi e, in un certo senso,<br />

porta a definire il principio di coordinamento ex ante come un caso particolare del<br />

principio di <strong>competizione</strong> ex ante: ciò che regola tutte le relazioni (d’equilibrio) è<br />

la disciplina imposta dalla <strong>competizione</strong> ex ante, sulla quale si fonda anche il<br />

processo (virtuale) di coordinamento ex ante.<br />

La differenza tra i due filoni della teoria neoistituzionalista non è perciò,<br />

da questo punto di vista, sostanziale: Williamson individua il principio di<br />

coordinamento come distinto dal principio di <strong>competizione</strong>, ma il mantenimento<br />

del metodo dell’equilibrio gli impedisce di individuare i caratteri che distinguono<br />

qualitativamente i due principi. In assenza di <strong>potere</strong> <strong>economico</strong> e possibilità che si<br />

realizzino situazioni fuori dall’equilibrio, anche l’analisi di Williamson del<br />

principio di coordinamento risulta impostata attorno al concetto di <strong>competizione</strong><br />

ex ante: il coordinamento nell’ambito di una relazione gerarchica avviene su base<br />

asimmetrica attraverso la definizione di un coordinatore e di un esecutore dei<br />

piani; le due figure rimangono tuttavia su uno stesso piano in quanto il<br />

coordinatore agisce sotto la minaccia costante dell’uscita dell’esecutore dalla<br />

relazione. È dunque il principio di <strong>competizione</strong> ex ante che regola l’attività sia<br />

del coordinatore, sia dell’esecutore.<br />

La <strong>competizione</strong> ex ante è perciò il fattore di disciplina cui possono<br />

ricondursi tutte le interazioni (d’equilibrio) tra gli agenti, comprese quelle<br />

stilizzate nel processo (virtuale) di coordinamento ex ante ed è in tal senso che,<br />

nella teoria neoistituzionalista, il principio di coordinamento ex ante può essere<br />

definito come un caso particolare del principio di <strong>competizione</strong> ex ante.<br />

237


In definitiva l’unicità del principio di <strong>competizione</strong> ex post nella teoria austriaca e<br />

del principio di <strong>competizione</strong> ex ante (eventualmente completato dal<br />

coordinamento ex ante) nella teoria neoistituzionalista rende i due approcci<br />

incompatibili. La <strong>competizione</strong> ex post, in quanto implicante processi fuori<br />

dall’equilibrio, non può infatti essere inserita negli schemi d’equilibrio. Il<br />

principio di <strong>competizione</strong> ex ante, viceversa, potrebbe essere inserito in uno<br />

schema di tempo storico nel quale si realizzino processi fuori dall’equilibrio. In tal<br />

caso, però, la <strong>competizione</strong> ex ante perderebbe il suo carattere perfetto (la capacità<br />

di eliminare ex ante le incompatibilità tra i piani). 424 Come condizione necessaria<br />

all’introduzione della <strong>competizione</strong> ex ante in uno schema di tempo storico si ha<br />

quindi l’impossibilità di utilizzare il metodo dell’equilibrio, il quale costituisce un<br />

fondamento essenziale dell’approccio neoistituzionalista.<br />

Allo scopo di preparare il terreno per il tentativo di costruzione di uno<br />

schema teorico all’interno del quale sia possibile utilizzare in modo coerente i<br />

contributi delle teorie neoclassica, neoistituzionalista e austriaca (tentativo che<br />

proporremo nel prossimo capitolo), concludiamo questa ricognizione sui principi<br />

di coordinamento e <strong>competizione</strong> osservando che, se nell’analisi d’equilibrio non<br />

c’è spazio per il principio di <strong>competizione</strong> ex post, l’analisi del processo fuori<br />

dall’equilibrio consente invece di considerare i principi di coordinamento e<br />

<strong>competizione</strong>, sia in versione ex ante, sia in versione ex post. A tal fine è però<br />

necessario che essi siano considerati in forma imperfetta.<br />

8.2.3. Ottiche valutative « a priori » e « a posteriori »<br />

I diversi contesti decisionali e le diverse concezioni di coordinamento e<br />

<strong>competizione</strong> da parte della teoria austriaca e della teoria neoistituzionalista si<br />

riflettono sul problema dell’equilibrio e della valutazione dei criteri di efficienza<br />

(e/o desiderabilità) delle strutture organizzative. Ciò porta la scuola austriaca e la<br />

scuola neoistituzionalista ad adottare ottiche valutative opposte, rispettivamente a<br />

priori e a posteriori.<br />

La scuola austriaca adotta in modo relativamente compatto l’ottica a<br />

priori, 425 criticando peraltro in maniera dura gli approcci basati sull’ottica a<br />

posteriori (si pensi alla critica di Hayek al metodo dell’equilibrio). Nella teoria<br />

austriaca l’adozione dell’ottica valutativa a priori porta ad affermare la<br />

424 In uno schema di tempo storico, la <strong>competizione</strong> tra gli agenti nella fase di formulazione dei<br />

piani potrebbe essere essa stessa causa dell’incompatibilità tra i piani.<br />

425 Qualche ambiguità nell’adozione dell’ottica a priori o a posteriori, residuo di un’insufficiente<br />

precisione nella definizione del contesto decisionale, è riscontrabile in Kirzner.<br />

238


desiderabilità della struttura organizzativa di mercato per le caratteristiche che<br />

essa manifesta nel corso dei processi di coordinamento dei piani individuali. 426<br />

L’adozione del metodo dell’equilibrio nella teoria neoistituzionalista si<br />

basa invece sull’ipotesi che il problema del coordinamento sia un problema<br />

relativo allo stato d’equilibrio. L’uso del metodo dell’equilibrio non consente di<br />

valutare il processo attraverso il quale lo stato d’equilibrio viene raggiunto;<br />

l’equilibrio definisce soltanto i rapporti di compatibilità tra le variabili senza alcun<br />

riferimento al modo (al processo) in cui la compatibilità si realizza. Nell’analisi<br />

d’equilibrio si assume che il processo (ammesso che si ipotizzi l’esistenza di un<br />

processo verso l’equilibrio) 427 sia stato completato. La valutazione dello stato<br />

finale d’equilibrio avviene dunque necessariamente nell’ottica a posteriori.<br />

L’analisi neoistituzionalista riguarda quindi proprio quello stato in cui il<br />

problema austriaco del coordinamento non esiste e non può essere analizzato. Più<br />

propriamente si può dire che la teoria austriaca e la teoria neoistituzionalista<br />

analizzano in effetti problemi diversi, cui assegnano tuttavia lo stesso nome. Ciò<br />

pone due problemi: (1) il coordinamento nei termini in cui è posto dagli<br />

economisti austriaci (come processo di disequilibrio che, sotto determinate<br />

condizioni, produce l’ordine) non può essere analizzato con gli strumenti della<br />

scuola neoistituzionalista; (2) lo schema teorico austriaco si sviluppa a partire dal<br />

rifiuto del metodo neoclassico dell’equilibrio e, proprio per questo, non è idoneo<br />

all’analisi del problema del coordinamento come si pone nella teoria<br />

neoistituzionalista, ossia come problema relativo allo stato d’equilibrio.<br />

La complementarità delle tesi austriache e neoistituzionaliste circa<br />

l’efficienza del sistema di mercato non può quindi essere sostenuta. L’equilibrio<br />

neoistituzionalista è fondamentalmente lo stesso di quello dell’impostazione<br />

neoclassica; e non è a caso che -tenuto conto degli « adattamenti » al contesto<br />

decisionale (b)- l’efficienza neoistituzionalista (ma in genere di tutti coloro che<br />

privilegiano il realismo dell’ipotesi di informazione imperfetta mantenendo quella<br />

dell’equilibrio, come gli economisti della Nuova <strong>Economia</strong> Keynesiana) è sovente<br />

associata al concetto di frontiera istituzionale efficiente. Nel caso invece degli<br />

economisti austriaci, l’impostazione del problema del coordinamento in termini di<br />

processo, nel quale, secondo la definizione austriaca, c’è disequilibrio, implica<br />

che, secondo l’ottica a priori, lo stato finale del processo possa avere importanza<br />

426 In realtà, le dichiarazioni formali in merito all’importanza del processo piuttosto che dello stato<br />

finale sono più numerose dei reali contributi analitici in tale direzione. In effetti, il riferimento al<br />

concetto di ordine come situazione in cui gli agenti realizzano i propri piani reintroduce lo stato<br />

finale del processo come momento analiticamente rilevante dell’analisi valutativa. Tale problema<br />

può, a nostro parere, essere ricondotto alle indecisioni in sede di definizione del contesto<br />

decisionale; come vedremo nel capitolo 9, è solo col passaggio ad un contesto decisionale<br />

interamente di tipo (c) che diviene effettivamente rilevante solo l’ottica a priori.<br />

427 Nell’analisi d’equilibrio non c’è alcuna ragione per considerare l’equilibrio come lo stato finale<br />

di un processo. Semmai l’equilibrio definisce le condizioni sotto le quali non ha inizio un<br />

processo.<br />

239


solo come riferimento puramente teorico, il quale comunque non viene mai<br />

raggiunto in pratica. Nella teoria austriaca dunque l’ottica a posteriori è<br />

analiticamente secondaria 428 in quanto essa non consente di valutare i processi di<br />

coordinamento, ma soltanto le situazioni coordinate.<br />

L’adozione di ottiche valutative opposte, rispettivamente a priori e a<br />

posteriori, rende il metodo austriaco e il metodo neoistituzionalista incompatibili.<br />

8.3. Antitrust e intervento dello Stato<br />

Come chiarimento del carattere essenzialmente politico più che metodologico<br />

dell’alleanza tra la scuola austriaca e quella neoistituzionalista consideriamo il<br />

problema della funzione antitrust e dell’intervento dello Stato.<br />

Notiamo innanzi tutto che, in merito a tali questioni, ambedue le teorie<br />

prendono le distanze dal modello di EEG.<br />

Le implicazioni del modello di EEG in materia di antitrust sono precise:<br />

ogni deviazione della realtà dalle condizioni d’efficienza definite dal modello (ad<br />

esempio l’ipotesi di imprese atomistiche incapaci di influire sul prezzo) richiede<br />

un intervento correttivo che avvicini il sistema reale alle ipotesi del modello<br />

teorico.<br />

In effetti, la teoria dell’EEG può essere utilizzata come base per<br />

argomentazioni contraddittorie in tema di desiderabilità del libero mercato e<br />

laissez faire: da una parte la dimostrazione di esistenza dell’equilibrio e della sua<br />

Pareto efficienza formano il perno della tesi della desiderabilità del mercato;<br />

dall’altra però la distanza tra ipotesi del modello e realtà apre la via alle teorie<br />

dell’intervento pubblico nell’economia. 429 In altri termini, è vero che il modello di<br />

EEG è efficiente, ma è anche vero che il sistema capitalista non è il modello di<br />

EEG. In particolare, avvicinare la realtà al modello teorico può significare<br />

intervenire contro le grandi concentrazioni, i monopoli e le barriere all’entrata. In<br />

questo modo, il modello di EEG oltre che strumento di ragionamento sulle<br />

condizioni di efficienza del sistema, diviene il punto di riferimento per le teorie<br />

dell’intervento pubblico in economia. 430<br />

428 Secondo le dichiarazioni formali, essa è non solo secondaria, ma totalmente irrilevante.<br />

429 Si tratta degli interventi connessi ai fallimenti del mercato, oltre che alle eventuali correzioni<br />

distributive. Diverso deve invece considerarsi il caso dell’intervento pubblico secondo lo schema<br />

keynesiano (anche per coloro che ritengano tale schema compatibile con quello neoclassico): in tal<br />

caso l’intervento pubblico nasce dall’esistenza di una pluralità di equilibri non ugualmente<br />

soddisfacenti dal punto di vista dell’impiego delle risorse e dalla possibilità di portare il sistema<br />

all’equilibrio di pieno impiego. Cf. Bruno (1994).<br />

430 Una simile impostazione di politica economica è messa in crisi sul piano della coerenza interna<br />

dal teorema del second best, secondo il quale, se esiste un vincolo che impedisce il<br />

240


Le implicazioni normative del modello di EEG non sono però condivise<br />

dagli economisti austriaci e neoistituzionalisti. La tesi austriaca e<br />

neoistituzionalista è che i monopoli privati non vanno necessariamente<br />

combattuti. Anzi, essi costituiscono, in molti casi, una condizione necessaria<br />

all’efficienza e all’interesse sociale. L’atteggiamento critico in merito alla<br />

funzione antitrust derivata dallo schema dell’EEG costituisce quindi una delle<br />

materie che accomuna le conclusioni politiche austriache e neoistituzionaliste. Gli<br />

schemi teorici su cui si basano tali conclusioni sono però diversi.<br />

Consideriamo l’approccio neoistituzionalista. Esso utilizza il metodo e i<br />

risultati del modello di EEG come riferimento generale. Nel modello di EEG si<br />

individuano le condizioni per l’allocazione efficiente delle risorse nel contesto<br />

decisionale perfetto. Dato che nel contesto decisionale neoistituzionalista si<br />

considerano imperfezioni non presenti nel contesto decisionale dell’EEG, le<br />

implicazioni normative delle due teorie differiscono.<br />

L’introduzione di imperfezioni nel contesto decisionale modifica le<br />

condizioni di efficienza ma non modifica il ruolo normativo di tali condizioni: nei<br />

casi in cui il sistema non rispetti automaticamente le condizioni di efficienza è<br />

necessario un intervento esterno in grado di assicurarne il soddisfacimento.<br />

Secondo Williamson le politiche antitrust americane degli anni ‘60 volte a<br />

combattere le situazioni di eccessivo <strong>potere</strong> di mercato da parte di determinate<br />

imprese hanno sottovalutato i benefici sociali dell’efficienza (in termini tecnici e<br />

di costi di transazione) associata ai grandi monopoli. 431 L’ingiusta lotta alle grandi<br />

imprese industriali ha portato queste ultime ad assumere la paradossale linea<br />

difensiva di negare i guadagni di efficienza associati alle dimensioni. Due sono i<br />

motivi per cui la lotta ai trust deve, secondo Williamson, considerarsi ingiusta: (1)<br />

l’esistenza di concentrazioni industriali non implica perdita di benessere se non si<br />

è in grado di individuare una diversa situazione strutturale realizzabile e superiore<br />

in termini di benessere; (2) le concentrazioni industriali comportano, in molti casi,<br />

economie di scala, le quali agiscono nell’interesse sociale.<br />

L’argomentazione di Williamson ribalta dunque i principi normativi basati<br />

sul modello atomistico di concorrenza perfetta: l’intervento pubblico contro le<br />

concentrazioni industriali deve essere rivolto a quei casi specifici in cui la<br />

concentrazione diminuisce l’efficienza; dato che, secondo la teoria di Williamson,<br />

la concentrazione viene realizzata generalmente proprio per scopi efficientistici, la<br />

stessa legislazione antimonopolistica dovrebbe adeguarsi alle esigenze imposte<br />

dalla tecnologia, accettando e tutelando le concentrazioni industriali, come mezzo<br />

necessario attraverso il quale si realizza il benessere della società.<br />

soddisfacimento di una delle condizioni d’efficienza del modello di EEG, le altre condizioni,<br />

benché realizzabili, non sono, in generale, desiderabili. Cf. Bohm (1987).<br />

Un secondo problema fondamentale è quello dell’insufficienza di uno schema statico<br />

quale quello dell’EEG, per supportare interventi da realizzarsi necessariamente nel tempo.<br />

431 Williamson (1985, cap. 14; 1987, parte IV).<br />

241


Nello schema di Williamson il passaggio dall’efficienza (in termini tecnici<br />

e di costi di transazione) al benessere sociale non è discusso a fondo. L’idea<br />

sottostante è quella che i miglioramenti di efficienza liberino risorse per altri scopi<br />

e/o aumentino la produzione, in modo da consentire una maggiore possibilità di<br />

consumo per la collettività. L’efficienza viene dunque considerata come un<br />

obiettivo sociale unico. Tale obiettivo sociale è dedotto a partire dalla separazione<br />

produzione-distribuzione, concentrando l’analisi sulla sola produzione. Gli effetti<br />

distributivi delle concentrazioni industriali non ricevono infatti alcuna attenzione.<br />

La separazione produzione-distribuzione e l’analisi unica della produzione<br />

sono quindi i due passaggi impliciti su cui si fonda la tesi neoistituzionalista<br />

secondo cui l’unica ragione dell’intervento pubblico in materia di antitrust è<br />

collegata all’efficienza. Non è il caso di tornare sui problemi teorici prodotti dalla<br />

separazione produzione-distribuzione e sulla non neutralità dell’analisi esclusiva<br />

della produzione; l’esplicitazione dei due passaggi logici è sufficiente, a nostro<br />

giudizio, ad evidenziare i limiti metodologici generali dell’approccio<br />

neoistituzionalista all’analisi normativa del capitalismo e la forte connotazione<br />

politica su cui si basano le tesi specifiche in tema di antitrust. 432<br />

Consideriamo ora l’approccio austriaco. Nella teoria austriaca la concorrenza non<br />

è un meccanismo che assicura l’allocazione efficiente delle risorse; essa è invece<br />

intesa come un processo che definisce le condizioni di ottimo. Le condizioni per<br />

l’allocazione efficiente delle risorse non possono essere individuate, secondo la<br />

teoria austriaca, a livello pre-istituzionale: in assenza di mercati competitivi, non è<br />

infatti neanche possibile stabilire le condizioni di efficienza, le quali sono definite<br />

dallo stesso processo di mercato.<br />

« In absence of competitive markets, economic theory cannot tell us what is optimal.<br />

(...) no one knows what a competitive market would look like in the absence of<br />

competition ». 433<br />

Due sono gli assunti di fondo su cui si basa la posizione austriaca in merito alle<br />

funzioni antitrust: (1) il processo di mercato non produce situazioni durature di<br />

monopolio, né barriere all’entrata; 434 (2) le situazioni di monopolio e le barriere<br />

all’entrata esistono unicamente come risultato di privilegi concessi dal governo.<br />

Sulla base dei due assunti gli economisti austriaci giudicano inaccettabile che lo<br />

432 La separazione produzione-distribuzione rende le argomentazioni neoistituzionaliste<br />

compatibili (nonostante le diversità analitiche) a quelle degli autori del second best e della Nuova<br />

<strong>Economia</strong> Keynesiana; per questi è infatti possibile costruire rispettivamente la frontiera paretiana<br />

di second best e la Pareto feasible frontier, le quali risultano concettualmente analoghe alla<br />

frontiera istituzionale efficiente degli autori neoistituzionalisti.<br />

433 O’Driscoll and Rizzo (1986, pp. 143, 146).<br />

434 Tale ipotesi vanifica qualsiasi tentativo di integrazione dei contributi della teoria marxiana<br />

all’analisi dei processi di concentrazione e centralizzazione del capitale nel sistema capitalista.<br />

242


Stato, causa unica delle distorsioni del processo competitivo, possa intervenire per<br />

correggere le imperfezioni del mercato. 435<br />

La definizione della concorrenza come processo piuttosto che come stato<br />

implica che nella visione austriaca non abbia senso separare la valutazione del<br />

processo competitivo dalla valutazione dei risultati del processo stesso:<br />

l’approvazione della teoria dell’efficienza del processo di mercato implica che<br />

non si possa nulla obiettare ai suoi effetti distributivi; tentare di modificare gli<br />

effetti distributivi significa mettere in discussione l’efficienza stessa del principio<br />

competitivo. Come notano O’Driscoll e Rizzo:<br />

« One cannot consistently approve of markets as allocational mechanisms, while<br />

objecting to distributional results. In objecting to market outcomes, one is in reality<br />

objecting to market processes. In upholding a different allocational-distributional<br />

outcome, one is implicitly upholding a different social process ». 436<br />

La critica austriaca alle politiche antitrust si fonda quindi sull’idea che la società<br />

non debba creare le condizioni per la concorrenza perfetta, bensì abolire le<br />

barriere che la ostacolano. I tentativi da parte dello Stato di creare le condizioni di<br />

concorrenza perfetta generano un sistema statico (di regole) che ostacola l’operare<br />

dinamico del processo di mercato. L’intervento antitrust presuppone inoltre una<br />

conoscenza da parte dello Stato (inteso come coordinatore-regolatore) proprio di<br />

quelle circostanze di tempo e di spazio che sono note solo agli operatori del<br />

mercato e che, secondo la teoria austriaca, non possono essere centralizzate.<br />

Infine, l’intervento dello Stato contro i profitti monopolistici (di breve periodo)<br />

non fa che corrodere lo spirito imprenditoriale (lo stato kirzneriano di all’erta) su<br />

cui si fonda la teoria della desiderabilità del processo di mercato.<br />

La teoria austriaca dell’antitrust si basa dunque sull’analisi congiunta dei<br />

processi di produzione e distribuzione, con l’assunzione implicita, però, che le<br />

implicazioni distributive del processo di mercato non implichino giudizi di valore.<br />

Tale ipotesi, l’abbiamo notato nel capitolo 5, non è sostenibile.<br />

In breve, gli elementi che individuiamo come comuni alle teorie austriaca e<br />

neoistituzionalista sono due: (1) ambedue le teorie trascurano gli effetti delle<br />

dimensioni dell’impresa sull’operare del principio di <strong>competizione</strong>; (2) ambedue<br />

criticano gli interventi antitrust dando per scontato che le politiche<br />

antimonopolistiche siano argomentabili solo su un piano efficientistico. Questo<br />

implica che ambedue le teorie rifiutano l’ipotesi che l’esigenza di contrastare la<br />

tendenza alla concentrazione e al monopolio possa derivare proprio (1) da<br />

problemi di bilanciamento del <strong>potere</strong> <strong>economico</strong> come condizione necessaria<br />

all’operare del principio competitivo e (2) da questioni distributive.<br />

435 Per un’analisi critica delle diverse posizioni all’interno della scuola austriaca in tema di<br />

antitrust, si veda Ioannides (1992, cap. 4).<br />

436 O’Driscoll and Rizzo (1986, p. 131).<br />

243


Si ha così un paradossale ribaltamento di posizioni: i punti deboli<br />

dell’analisi teorica della nuova destra (l’insufficiente attenzione verso il <strong>potere</strong><br />

<strong>economico</strong> e il problema produzione-distribuzione-giudizi di valore) diventano il<br />

supporto teorico per le tesi più forti in materia di prescrizioni normative e di<br />

politica economica. 437 Grazie al fatto di non affrontare i punti deboli dei propri<br />

schemi teorici, la nuova destra riesce così a replicare, sia ai tentativi (basati, a<br />

volte, su semplice buon senso) di impostare il problema delle politiche antitrust in<br />

termini di bilanciamento di <strong>potere</strong> e effetti distributivi, sia alle proposte di<br />

intervento basate sul modello atomistico di concorrenza le quali implicherebbero<br />

una riduzione dei margini di manovra dei grandi capitali privati.<br />

8.4. Conclusioni<br />

Le argomentazioni della scuola austriaca e della scuola neoistituzionalista sono<br />

utilizzate, nell’ambito di progetti più o meno organici, in cui si sostengono (1)<br />

l’efficienza del sistema di mercato, (2) l’ampliamento dei margini di manovra<br />

delle relazioni private e (3) la minimizzazione dell’intrusione dello Stato<br />

nell’attività economica. I tre punti sono ovviamente legati, in quanto è l’ipotesi<br />

che il mercato costituisca un sistema autoregolantesi a fare da base per la tesi della<br />

sua efficienza e per l’implementazione di politiche che ne agevolino i meccanismi<br />

automatici di regolazione e che diano massimo spazio alle opportunità private di<br />

profitto.<br />

Nell’analisi normativa del problema delle concentrazioni industriali, le due scuole<br />

austriaca e neoistituzionalista prendono entrambe le distanze dal modello di EEG.<br />

Con argomentazioni basate su impalcature analitiche differenti, entrambe<br />

metodologicamente discutibili, la nuova destra riesce così a ristabilire il principio<br />

teorico della massima autonomia dei capitali privati anche in quei casi in cui il<br />

modello neoclassico di concorrenza perfetta indicherebbe un intervento antitrust.<br />

La ricompattazione delle argomentazioni austriache e neoistituzionaliste fa leva su<br />

un’apparente complementarità metodologica tra le due scuole, l’una impegnata<br />

nell’analisi del processo, l’altra nell’analisi dello stato d’equilibrio.<br />

In realtà è proprio sul piano metodologico che le due teorie sono<br />

incompatibili. I diversi contesti decisionali, le diverse definizioni dei principi di<br />

coordinamento e <strong>competizione</strong> e le diverse ottiche valutative sono le<br />

437 Witt (1994, p. 188, nota 1) nota come la teoria hayekiana della concorrenza come procedura di<br />

scoperta (Hayek (1968)) abbia avuto un forte impatto in Germania sui criteri di politica economica<br />

e sulla regolamentazione antitrust.<br />

244


manifestazioni dell’incompatibilità tra le due scuole nell’analisi comparata delle<br />

strutture organizzative.<br />

Nell’analisi d’equilibrio i problemi di coordinamento sono problemi ex ante, la<br />

cui soluzione viene individuata senza che i problemi manifestino i loro effetti.<br />

L’analisi dei processi di coordinamento ha a che fare invece con il realizzarsi (ex<br />

post) di situazioni fuori dall’equilibrio.<br />

Il processo verso l’equilibrio è un processo fuori dall’equilibrio, il che impedisce<br />

l’applicabilità del metodo dell’equilibrio all’analisi dei processi di coordinamento:<br />

i problemi di coordinamento rilevanti in situazioni fuori dall’equilibrio,<br />

scompaiono (o diventano logicamente banali) una volta raggiunto l’equilibrio.<br />

Simmetricamente, l’analisi di processo è inutile di fronte ai problemi valutativi<br />

relativi ad una situazione d’equilibrio.<br />

I tentativi di compattazione delle teorie austriaca e neoistituzionalista nell’ambito<br />

dei progetti della nuova destra sono dunque incoerenti da un punto di vista<br />

metodologico.<br />

245


9<br />

UNO SCHEMA TEORICO PER L’ANALISI<br />

DELL’EVOLUZIONE ISTITUZIONALE<br />

Il lavoro fin qui portato a termine consiste, a ben vedere, di una serie di<br />

comparazioni tra posizioni teoriche di scuole diverse -e, all’interno di esse, tra<br />

singoli significativi autori- condotte costruendo, laddove possibile, condizioni di<br />

coeteris paribus sul piano delle ipotesi, del metodo e delle elaborazioni analitiche,<br />

ovvero argomentando l’impossibilità di tali condizioni. Ciò ci ha consentito di<br />

evidenziare il quadro delle coerenze e delle incoerenze, sia interne che esterne alle<br />

singole posizioni, e quindi delle compatibilità e delle incompatibilità tra di esse.<br />

Argomentata così la piena coerenza del programma scientifico<br />

dell’impostazione neoclassica e di quella neoistituzionalista, ed invece la totale<br />

incompatibilità tra queste e quella austriaca, ci proponiamo ora di definire un<br />

quadro teorico per l’analisi dei rapporti tra le istituzioni economiche capitalistiche<br />

e della loro evoluzione che sfrutti i contributi, in positivo e in negativo, che le<br />

impostazioni considerate hanno fornito. La definizione di tale quadro teorico<br />

demarca il passaggio alla nostra fase propositiva; in tale nuova fase, la discussione<br />

critica del progetto della nuova destra diviene la base per il nostro tentativo di<br />

superamento dei suoi limiti teorici.<br />

I risultati raggiunti evidenziano come l’unico modo per poter utilizzare<br />

argomentazioni estrapolate dalle scuole di pensiero considerate sia quello di<br />

inserirle in uno schema teorico in cui vi sia spazio contemporaneamente per il<br />

principio di coordinamento ex ante e per i principi di <strong>competizione</strong> ex ante e ex<br />

post. Tale schema deve inoltre, a nostro avviso, essere completato mediante<br />

l’introduzione esplicita del <strong>potere</strong> <strong>economico</strong>, il quale ci appare come un elemento<br />

rilevante nella descrizione fattuale dei rapporti sociali capitalistici.<br />

Come sappiamo la possibilità di costruire uno schema coerente di<br />

interazione tra coordinamento e <strong>competizione</strong> (e <strong>potere</strong> <strong>economico</strong>) è legata alle<br />

caratteristiche del contesto decisionale assunto a riferimento. A tal fine, è<br />

necessario operare una serie di scelte circa le dimensioni del contesto decisionale<br />

246


e il metodo d’analisi. In tali scelte sarà, ovviamente, l’analisi di compatibilità e<br />

coerenza delle teorie considerate a farci da guida. Una volta compiute le<br />

necessarie scelte metodologiche, gli insegnamenti delle teorie considerate<br />

potranno essere utilizzati come contributi alla definizione di uno schema teorico<br />

di riferimento per l’analisi dei rapporti tra le istituzioni capitalistiche. Lo schema<br />

generale che costruiremo ci consentirà poi di ridiscutere la questione cruciale al<br />

centro delle analisi teoriche della nuova destra, vale a dire la desiderabilitàefficienza<br />

delle strutture organizzative capitalistiche.<br />

Il nostro piano è dunque il seguente. Nel paragrafo 9.1 discutiamo le scelte di<br />

fondo sulle caratteristiche del contesto decisionale da assumere a riferimento. Nel<br />

paragrafo 9.2 procediamo alla costruzione, su tale contesto decisionale, di uno<br />

schema generale di « coordinamento, <strong>competizione</strong> e <strong>potere</strong> <strong>economico</strong> » (che,<br />

per brevità, indicheremo con « CCPE »); trattandosi della definizione della nostra<br />

visione dei rapporti economici tra le istituzioni del capitalismo e non più di un<br />

problema di critica interna alla nuova destra non esiteremo ad avvalerci anche dei<br />

contributi di scuole di pensiero estranee al programma della nuova destra; in<br />

particolare, faremo riferimento ad alcuni contributi delle analisi marxiana e<br />

istituzionalista. Nel paragrafo 9.3 approfondiamo un particolare aspetto di tale<br />

schema generale rappresentato dal « processo di formulazione dei piani<br />

individuali ». Lo schema teorico generale e il suo approfondimento specifico<br />

vengono poi discussi congiuntamente nel paragrafo 9.4 e, nel paragrafo 9.5,<br />

vengono utilizzati per interpretare la relativa stabilità dei processi evolutivi delle<br />

istituzioni del capitalismo e il relativo ordine dei processi economici che si<br />

realizzano al loro interno. Nel paragrafo 9.6 presentiamo le conclusioni raggiunte.<br />

9.1. La definizione del contesto decisionale<br />

L’analisi dei contesti decisionali considerati fornisce tre contributi teorici<br />

generali: (1) la generale compatibilità tra i contesti decisionali di tipo (a) e (b), (2)<br />

l’incompatibilità tra questi e il contesto decisionale (c) e (3) l’impossibilità di<br />

definire coerentemente un contesto decisionale in cui solo alcune dimensioni<br />

(anziché tutte) assumano il significato (c).<br />

Quest’ultimo risultato implica che qualora si assuma un qualsiasi elemento<br />

del contesto decisionale (c) come dato di realtà, risultano coinvolte anche tutte le<br />

altre dimensioni, il che porta a definire un contesto decisionale interamente di tipo<br />

(c). Inoltre, gli altri risultati implicano che nell’analisi delle strutture organizzative<br />

definite sul contesto decisionale (c) non è possibile sfruttare in maniera diretta i<br />

contributi ricavati dalle analisi sviluppate su contesti decisionali (a-b); tali<br />

247


contributi possono essere utilizzati in modi diversi ma non si ha alcuna garanzia<br />

che i risultati raggiunti in (a-b) siano validi anche in (c).<br />

Sia in (a-b), sia in (c), l’analisi dei meccanismi di funzionamento di una<br />

determinata struttura organizzativa pone un problema di coerenza tra modello<br />

teorico e realtà. In particolare, se si accetta come vera la constatazione empirica<br />

che i processi economici reali siano relativamente stabili e ordinati, il problema di<br />

definire un modello teorico coerente con la realtà osservata consiste<br />

nell’individuazione dei meccanismi teorici che permettano al modello di spiegare<br />

tali stabilità e ordine.<br />

L’impostazione del problema di coerenza tra modello teorico e realtà<br />

osservata dipende dal contesto decisionale. In (a-b) è l’ipotesi di equilibrio (o<br />

coordinamento pieno) a fare da condizione di coerenza tra modello e realtà:<br />

l’osservazione di una realtà relativamente stabile e ordinata viene riprodotta a<br />

livello teorico, assumendo l’ipotesi di uno stato di coordinamento pieno.<br />

Individuato nell’ipotesi di equilibrio l’elemento di coerenza tra modello e realtà, i<br />

contributi significativi che si ricavano dalle analisi svolte in (a-b) riguardano (1)<br />

le ipotesi necessarie alla definizione dell’equilibrio (le ipotesi circa l’ambiente<br />

decisionale e il modo di rapportarsi ad esso dei decisori) e (2) le caratteristiche<br />

delle posizioni d’equilibrio (i rapporti di compatibilità tra le variabili in uno stato<br />

di coordinamento pieno). Una volta definite le condizioni d’equilibrio si palesa<br />

come la spiegazione della relativa stabilità e ordine dei processi reali sia<br />

identificata con l’individuazione delle condizioni teoriche che impediscono il<br />

cambiamento. In altre parole, in (a-b) il problema di coerenza tra teoria e realtà<br />

viene risolto imponendo l’assenza di cambiamenti nel modello teorico, il che<br />

rispecchia l’assunzione implicita che cambiamento e ordine siano elementi<br />

incompatibili.<br />

Tale problema viene ribaltato in (c). Il contesto decisionale (c) implica<br />

sequenzialità nei processi di formulazione dei piani e nei processi di interazione<br />

tra gli individui. Ciò significa che il problema di coerenza tra modello e realtà<br />

deve essere affrontato in (c) come problema di individuazione delle forze che,<br />

intervenendo in tali processi dinamici, producono dinamiche ordinate e stabili.<br />

Tali forze guidano l’azione dei singoli individui e la loro interazione ed è perciò<br />

sui criteri di definizione dell’azione individuale e dell’interazione sociale che si<br />

deve ricercare la causa della relativa stabilità dei processi economici reali. Dato il<br />

carattere sequenziale dei processi di formulazione dei piani e dei processi di<br />

interazione tra gli individui, è allora l’assenza di coordinamento pieno che mette<br />

in moto quei processi che ci appaiono come relativamente stabili e ordinati.<br />

Mentre in (a-b) è la definizione delle condizioni di coordinamento pieno, come<br />

condizioni che impediscono il cambiamento a fare da elemento di coerenza tra<br />

modello teorico e realtà, in (c) la relativa stabilità dei processi economici reali è<br />

ricondotta proprio ai cambiamenti che si producono per effetto dell’assenza di<br />

coordinamento.<br />

248


In uno schema sequenziale definito sul contesto decisionale (c), a<br />

differenza degli schemi simultanei definiti su (a-b), l’esito dei processi di scelta<br />

individuale e interazione sociale è del tutto aperto. Ciò dipende dal fatto che in (c)<br />

non è possibile definire delle condizioni logiche iniziali da cui derivare tutte le<br />

relazioni rilevanti. Lo schema logico unidirezionale delle analisi condotte su (a-b),<br />

« dati iniziali → equilibrio », viene sostituito in (c) da uno schema sequenziale<br />

cumulativo fatto di continui feed back tra le variabili; in tale ottica, la definizione<br />

delle variabili esogene (o delle condizioni iniziali) è solo un momento analitico di<br />

comodo per entrare nella sequenza che lega le variabili di cui si compongono i<br />

processi di formulazione dei piani e i processi di interazione tra gli individui. Una<br />

volta entrati nella sequenza le stesse variabili esogene risultano endogenizzate per<br />

effetto dei feed back delle altre variabili e il punto d’arrivo del processo diventa<br />

analiticamente irrilevante: non è nello stato finale del processo che vanno ricercati<br />

ordine e stabilità, bensì nel processo stesso. Ciò implica che i principi di<br />

coordinamento e <strong>competizione</strong> perdano il loro carattere di principi perfetti tipico<br />

dei contesti decisionali (a-b). L’irrilevanza analitica dello stato finale del processo<br />

impedisce infatti di definire l’operare dei principi di coordinamento e<br />

<strong>competizione</strong> in funzione del raggiungimento di tale stato (o del mantenimento di<br />

tale stato, una volta raggiunto); in (c), i principi di coordinamento e <strong>competizione</strong><br />

devono invece essere analizzati per gli effetti che producono sul processo stesso,<br />

il quale evolve all’infinito, senza un punto d’arrivo, o stato finale.<br />

L’assunzione di un determinato contesto decisionale si ripercuote sui criteri di<br />

valutazione delle strutture organizzative.<br />

In (a-b), una volta impostato il problema della stabilità attraverso la<br />

definizione delle condizioni che impediscono il cambiamento, l’analisi della<br />

desiderabilità di una struttura organizzativa viene a dipendere dalla valutazione a<br />

posteriori dello stato di coordinamento pieno.<br />

In (c) si assume invece che l’ordine osservato nella realtà scaturisca dalle<br />

dinamiche dei processi fuori dall’equilibrio ed è perciò su tali processi che deve<br />

impostarsi l’analisi valutativa: se i processi che si realizzano fuori dall’equilibrio<br />

determinano la relativa stabilità di una struttura organizzativa, è sulla base delle<br />

caratteristiche della struttura organizzativa durante il processo di coordinamento<br />

che si deve valutare la desiderabilità della struttura organizzativa stessa. Ciò<br />

implica l’adozione dell’ottica valutativa a priori, secondo la quale i criteri di<br />

desiderabilità di una struttura organizzativa sono legati ai giudizi di valore inerenti<br />

i modi di gestione dei problemi di coordinamento prima che tali problemi<br />

manifestino (per intero) i loro effetti. 438 La valutazione delle situazioni già<br />

438 Il passaggio dall’ottica a posteriori sullo stato finale del processo di coordinamento all’ottica a<br />

priori sul processo stesso implica che possano divenire rilevanti categorie analitiche nuove quali la<br />

variabilità del processo, il rispetto di determinati vincoli dinamici, il contenimento delle<br />

oscillazioni cicliche o la fattibilità stessa del cambiamento. Cf. Amendola and Gaffard (1988).<br />

249


coordinate (ottica a posteriori) è invece, in tale contesto, del tutto irrilevante in<br />

quanto lo stato finale del processo, per costruzione analitica, non esiste. 439<br />

Nel contesto decisionale (c) peraltro la valutazione a posteriori risulta<br />

necessariamente provvisoria, in quanto in ogni dato momento, accanto a dei<br />

risultati compiuti dei processi esistenti, esistono dei processi in corso il cui esito,<br />

una volta manifesto, può ribaltare la valutazione precedente.<br />

Una delle conseguenze rilevanti dell’uscita dallo schema logico dati iniziali →<br />

equilibrio è che diviene necessario affrontare esplicitamente il problema del<br />

<strong>potere</strong> <strong>economico</strong>. Mentre nei contesti decisionali (a-b) la discussione del <strong>potere</strong><br />

<strong>economico</strong> può essere evitata attraverso l’ipotesi di esogenità, nel contesto<br />

decisionale (c) la discussione esplicita del <strong>potere</strong> <strong>economico</strong> diviene necessaria.<br />

Questo non significa che nei contesti decisionali (a-b) non esistano relazioni di<br />

<strong>potere</strong>: in nessun contesto decisionale è possibile definire una struttura<br />

organizzativa se non si esplicitano le relazioni di <strong>potere</strong> tra gli agenti. In (a-b),<br />

tuttavia, l’ipotesi che la struttura organizzativa sia data e non soggetta ad<br />

evoluzione e che, all’interno della struttura organizzativa data, sia data anche la<br />

distribuzione delle risorse tra gli individui consente di eludere la discussione del<br />

<strong>potere</strong>.<br />

Il passaggio al contesto decisionale (c) implica invece che il <strong>potere</strong>, come<br />

tutte le variabili, divenga endogeno e che, dunque, vada analizzato esplicitamente.<br />

L’endogenizzazione dei rapporti di <strong>potere</strong> implica inoltre che la stessa forma della<br />

struttura organizzativa sia il prodotto evolutivo dei processi di interazione sociale<br />

tra gli agenti: il modificarsi dei rapporti di <strong>potere</strong> modifica infatti la fisionomia<br />

stessa della struttura organizzativa.<br />

La definizione di un contesto decisionale interamente di tipo (c) in cui vi sia posto<br />

per l’analisi dei processi fuori dall’equilibrio, la possibilità che i principi di<br />

coordinamento e <strong>competizione</strong> operino in modo imperfetto (ossia non implichino<br />

necessariamente l’equilibrio, né la necessaria convergenza ad esso),<br />

l’esplicitazione delle relazioni di <strong>potere</strong> <strong>economico</strong> e l’adozione dell’ottica<br />

valutativa a priori sono gli elementi teorici di riferimento su cui si basa la nostra<br />

proposta metodologica per la definizione di uno schema generale in grado di<br />

integrare in modo coerente i contributi delle teorie austriaca e neoclassicaneoistituzionalista.<br />

439 Come abbiamo visto nel capitolo 8 i residui di tipo (a-b) nel contesto decisionale austriaco<br />

implicano che lo stato finale del processo assuma, nel quadro della teoria austriaca, una sua<br />

importanza analitica, anche se solo come riferimento teorico. La definizione di un contesto<br />

decisionale interamente (c) priva invece del tutto lo stato finale di un ruolo analitico.<br />

250


9.2. Lo schema di coordinamento, <strong>competizione</strong> e<br />

<strong>potere</strong> <strong>economico</strong><br />

Si considerino gli schemi di <strong>competizione</strong> e coordinamento rappresentati<br />

rispettivamente nelle figure 3.1 e 3.2 del capitolo 3 che riportiamo per comodità<br />

del lettore (figure 9.1 e 9.2). 440 Essi rappresentano l’operare dei principi di<br />

<strong>competizione</strong> ex post e coordinamento ex ante come principi puri e perfetti in<br />

grado di garantire, singolarmente, il raggiungimento di una situazione<br />

d’equilibrio. 441<br />

Il principio di <strong>competizione</strong> ex ante come principio puro non è stato<br />

analizzato graficamente in quanto non si tratta di un vero e proprio processo; esso<br />

può comunque essere rappresentato come una freccia che va dalla <strong>competizione</strong><br />

ex ante ai piani individuali. 442<br />

Abbiamo a questo punto una rappresentazione formale dei tre principi su<br />

cui si basano le teorie austriaca e neoclassica-neoistituzionalista.<br />

L’analisi dei principi di coordinamento e <strong>competizione</strong> non deve essere limitata al<br />

caso in cui i due principi operino in modo perfetto. La convergenza dei processi<br />

1 - 5.2 e 1 - 4.2 rispettivamente degli schemi di <strong>competizione</strong> ex post e<br />

coordinamento ex ante è infatti un’assunzione supplementare rispetto<br />

all’individuazione dei meccanismi di azione dei principi di coordinamento e<br />

<strong>competizione</strong>. Se infatti si porta l’attenzione sui meccanismi che si ritiene siano in<br />

azione, e non invece sul mero problema del raggiungimento dell’equilibrio, il<br />

problema diviene quello dello studio dei processi dinamici che i principi di<br />

coordinamento e <strong>competizione</strong> innescano e controllano.<br />

L’ipotesi che i due processi rappresentati nelle figure 9.1 e 9.2 (l’uno la<br />

<strong>competizione</strong> reale, l’altro il coordinamento virtuale) possano non convergere<br />

definisce i due principi (<strong>competizione</strong> ex post e coordinamento ex ante) come<br />

« imperfetti » e apre la possibilità di considerarli congiuntamente all’interno di<br />

uno<br />

440<br />

Ricordiamo che gli schemi rappresentano il punto di vista dell’analista, non quello di un<br />

decisore del modello.<br />

441<br />

Definiamo un principio come puro se, all’interno di un determinato schema, esso è il solo<br />

principio in azione; un principio è perfetto se conduce (logicamente o come convergenza nel<br />

tempo storico) ad una situazione d’equilibrio.<br />

442<br />

I principi di coordinamento e <strong>competizione</strong> ex ante agiscono sul processo di formulazione dei<br />

piani; il principio di <strong>competizione</strong> ex post, sul processo di interazione tra gli individui.<br />

251


Figura 9.1. COMPETIZIONE EX POST<br />

1. Piani individui<br />

2.1. Compatibili 2.2. Non compatibili<br />

3. Competizione<br />

Ex post<br />

4.1. Interazione individui 4.2. interazione individui<br />

5.1. Equilibrio 5.2. Revisione piani<br />

(End) (Goto 1)<br />

Figura 9.2. COORDINAMENTO EX ANTE<br />

1. <strong>Coordinamento</strong><br />

Ex ante<br />

2. Piani individui<br />

3.1. Compatibili 3.2. Non compatibili<br />

4.1. Interazione individui 4.2. Goto 1<br />

5. Equilibrio<br />

(End)<br />

1.1. <strong>Coordinamento</strong> 1.2. Competizione<br />

252


schema generale. 443 Lo schema può inoltre essere completato inserendovi anche la<br />

<strong>competizione</strong> ex ante. Lo schema di coordinamento ex ante e <strong>competizione</strong> ex<br />

ante e ex post è presentato in figura 9.3. Esso è una generalizzazione degli schemi<br />

precedenti, i quali possono essere interpretati come suoi casi limite.<br />

Sebbene lo schema di coordinamento ex ante puro rappresenti un processo<br />

solo virtuale, in cui la dimensione temporale è assente (o, se si preferisce, è<br />

specificata in senso logico, piuttosto che storico), il carattere storico-sequenziale<br />

della <strong>competizione</strong> ex post fa assumere allo schema di coordinamento e<br />

<strong>competizione</strong> nel suo complesso una dimensione di tempo storico. 444<br />

Nello schema di coordinamento e <strong>competizione</strong> si possono individuare due<br />

tipi di agenti distinti dal tipo di attività svolte nel processo sociale di decisione: un<br />

agente coordinatore (o, centro di coordinamento) e dei decisori decentrati. Le<br />

attività competitive sono svolte dai decisori decentrati (ad esempio, imprese,<br />

imprenditori, lavoratori, consumatori); l’attività di coordinamento è svolta<br />

dall’agente coordinatore. Quest’ultimo non necessariamente deve intendersi come<br />

un agente distinto rispetto ai protagonisti dell’attività competitiva: in determinati<br />

contesti, tenuto presente degli incentivi e delle convenienze specifiche, alcuni dei<br />

protagonisti dell’attività competitiva possono essi stessi proporsi come agenti<br />

coordinatori; oltre a questi il ruolo di coordinatore può inoltre essere svolto da<br />

soggetti pubblici, istituzionali, politici ecc., i quali assumono responsabilità<br />

collettive nel processo di interazione sociale. La definizione dell’agente<br />

coordinatore e degli agenti decentrati nel quadro dello schema teorico di<br />

coordinamento e <strong>competizione</strong> è dunque legata unicamente al tipo di attività che<br />

gli agenti svolgono. 445<br />

Lo schema mostra come i tre principi (coordinamento ex ante,<br />

<strong>competizione</strong> ex ante e <strong>competizione</strong> ex post) operino in momenti diversi della<br />

sequenza che definisce il processo sociale di decisione. Il principio di<br />

coordinamento rappresenta lo strumento attraverso il quale l’agente coordinatore<br />

tenta di influenzare ex ante i piani degli agenti decentrati in modo da renderli<br />

compatibili; la formulazione dei piani è inoltre influenzata dal principio di<br />

<strong>competizione</strong> ex ante, il quale rispecchia il relazionarsi reciproco degli<br />

agenti<br />

443<br />

Tale possibilità è (coerentemente) considerata priva di senso nell’ambito delle teorie che<br />

assumono uno dei due principi come perfetto.<br />

444<br />

Peraltro lo stesso principio di <strong>competizione</strong> ex post singolarmente considerato, quando si<br />

elimini l’ipotesi della sua perfezione rispetto al problema della compatibilità dei piani, assume i<br />

caratteri di un processo storico-sequenziale, nel quale le interazioni tra gli individui si realizzano<br />

anche fuori dall’equilibrio.<br />

445<br />

Nella caratterizzazione degli agenti si sovrappongono aspetti legati alla dimensione<br />

comunicativa, politica e giuridica delle attività svolte dai vari agenti nell’ambito del processo di<br />

coordinamento.<br />

253


Figura 9.3. COORDINAMENTO E COMPETIZIONE<br />

1.1. <strong>Coordinamento</strong> 1.2. Competizione<br />

Ex ante Ex ante<br />

2. Piani individui<br />

3.1. Compatibili 3.2. Incompatibilità<br />

residua<br />

4. Competizione<br />

Ex post<br />

5.1. Interazione individui 5.2. Interazione individui<br />

6.1. <strong>Coordinamento</strong> 6.2. Competizione<br />

Ex ante Ex ante<br />

7.1. Equilibrio 7.2. Revisione Piani<br />

(End) (Goto 2)<br />

254


decentrati nel processo di formulazione dei piani individuali, processo durante il<br />

quale si emettono segnali strategici e si interpretano i segnali altrui.<br />

Nella misura in cui si conservi un’incompatibilità residua (dovuta al fatto<br />

che i principi di coordinamento e <strong>competizione</strong> ex ante non sono perfe tti e<br />

istantanei), questa si manifesta nell’interazione tra gli individui; su tale<br />

interazione opera il principio di <strong>competizione</strong> ex post, il quale produce un sistema<br />

di segnali a partire dai risultati dell’interazione realizzatasi, sulla base del quale i<br />

decisori prendono atto degli effetti del manifestarsi effettivo delle proprie rivalità.<br />

I risultati dell’interazione tra gli individui vengono reinterpretati (1)<br />

dall’agente coordinatore, il quale propone un nuovo tentativo di coordinamento ex<br />

ante e (2) dagli agenti decentrati, i quali, vedendo i propri piani (parzialmente)<br />

disattesi, modificano i piani stessi per i periodi a venire. Sulla revisione dei piani<br />

agiscono dunque sia il principio di coordinamento, sia il principio di<br />

<strong>competizione</strong>, ma secondo meccanismi diversi: il principio di <strong>competizione</strong> ex<br />

post agisce in modo indiretto, per il tramite dell’interazione degli individui; il<br />

principio di coordinamento e il principio di <strong>competizione</strong> ex ante agiscono invece<br />

in modo diretto. L’operare della <strong>competizione</strong> ex post si realizza infatti solo<br />

attraverso l’interazione tra gli individui, la quale produce quei segnali che<br />

vengono interpretati dagli individui stessi e utilizzati in fase di revisione dei piani;<br />

la <strong>competizione</strong> ex ante e il coordinamento ex ante agiscono invece in modo<br />

diretto sulla formulazione dei piani, nel senso che la loro azione è, in linea di<br />

principio, indipendente dall’osservazione dei risultati delle precedenti interazioni<br />

tra gli individui. Nei fatti, tuttavia, dato il carattere di interrelazione tra i principi<br />

di coordinamento ex ante, <strong>competizione</strong> ex ante e <strong>competizione</strong> ex post nello<br />

schema teorico complessivo, l’interazione tra gli individui (cruciale per l’operare<br />

della <strong>competizione</strong> ex post) risulta indispensabile anche all’operare dei principi di<br />

coordinamento e <strong>competizione</strong> ex ante. L’attività di <strong>competizione</strong> ex ante,<br />

consistente nella produzione di segnali strategici nel corso del processo di<br />

revisione dei piani, è infatti legata all’interazione tra gli individui in quanto sono i<br />

risultati dell’interazione a rappresentare la valutazione dell’efficacia delle attività<br />

di <strong>competizione</strong> ex ante del periodo precedente. Parimenti, nel coordinamento ex<br />

ante, l’interazione tra gli individui risulta in realtà cruciale in quanto è solo<br />

attraverso essa che il coordinatore prende visione dei risultati del precedente<br />

tentativo di coordinamento ex ante e, sulla base di esso, imposta un nuovo<br />

tentativo.<br />

A differenza del caso di coordinamento ex ante puro, nello schema<br />

generale di coordinamento e <strong>competizione</strong>, il coordinatore non può tuttavia<br />

osservare direttamente l’errore del proprio tentativo di coordinamento; può<br />

osservare solo la manifestazione di tale errore, filtrata attraverso l’interazione tra<br />

255


gli individui (sulla quale ha agito anche il principio di <strong>competizione</strong> ex post). 446<br />

Nel caso di coordinamento ex ante puro imperfetto è possibile un fallimento<br />

parziale da parte del coordinatore che si manifesta nella conservazione di un certo<br />

grado di incompatibilità tra i piani degli agenti decentrati; tale incompatibilità può<br />

comunque essere osservata dal coordinatore nell’interazione tra gli individui e può<br />

dunque essere utilizzata come base su cui impostare il successivo tentativo di<br />

coordinamento. 447 L’introduzione del principio di <strong>competizione</strong> (ex ante e ex<br />

post) impedisce invece al coordinatore la corretta interpretazione dei propri<br />

fallimenti nel processo di coordinamento ex ante in quanto l’incompatibilità dei<br />

piani che si manifestata nell’interazione tra gli individui e che il coordinatore<br />

osserva può essere causata dall’imperfezione dei principi di <strong>competizione</strong> ex ante<br />

e ex post: il coordinatore può dunque leggere tale incompatibilità come un errore<br />

di coordinamento, laddove essa sia invece il riflesso dell’operare del principio<br />

competitivo (ex ante e/o ex post). Nello schema generale, perciò, l’interazione tra<br />

coordinamento e <strong>competizione</strong> impedisce la valutazione corretta dell’attività di<br />

coordinamento.<br />

Lo schema generale di coordinamento e <strong>competizione</strong> può essere precisato<br />

esplicitando la forma che i principi di coordinamento e <strong>competizione</strong> assumono a<br />

seconda del tipo di relazioni di <strong>potere</strong> tra gli agenti (figura 9.4). In effetti, sebbene<br />

lo schema di coordinamento e <strong>competizione</strong> permetta di integrare ed ordinare i<br />

contributi di scuole di pensiero diverse, esso non è sufficiente a superare uno dei<br />

limiti della nuova destra consistente nell’assunzione di schemi di interazione<br />

sociale basati su comportamenti interamente deliberativi e volontaristici. La<br />

necessità di discutere il problema dei vincoli esistenti nei processi decisionali<br />

individuali ci porta dunque ad introdurre esplicitamente il <strong>potere</strong> <strong>economico</strong> nello<br />

schema di coordinamento e <strong>competizione</strong>. 448<br />

Analizziamo i modi in cui il <strong>potere</strong> si combina con ciascuno dei tre<br />

principi di coordinamento ex ante, <strong>competizione</strong> ex ante e <strong>competizione</strong> ex post.<br />

Il tentativo di coordinare ex ante i piani individuali può avvenire secondo<br />

diverse relazioni di <strong>potere</strong>: il coordinatore può suggerire ai decisori<br />

decentralizzati<br />

446 Il coordinatore (così come gli agenti decentrati) osserva i risultati dell’incompatibilità dei piani,<br />

ma non può conoscere quali siano le revisioni che l’incompatibilità stessa induce nelle decisioni<br />

degli agenti decentrati (assenza di contemporaneous knowledge).<br />

447 Come si vede, l’eliminazione dell’ipotesi di perfezione del principio di coordinamento ex ante<br />

implica che anche nello schema di solo coordinamento ex ante (senza <strong>competizione</strong>) il processo<br />

verso l’equilibrio assuma i caratteri di un processo storico fuori dall’equilibrio.<br />

448 Peraltro, come vedremo, una volta introdotto il <strong>potere</strong> <strong>economico</strong>, risulta riduttivo limitare<br />

l’analisi al problema dei sistemi di vincoli oggettivi con cui ogni decisore deve fare i conti, in<br />

quanto il <strong>potere</strong> <strong>economico</strong> agisce anche sugli elementi soggettivi della libera scelta<br />

dell’individuo.<br />

256


COORDINAMENTO, COMPETIZIONE<br />

Figura 9.4. E POTERE ECONOMICO<br />

1.1. <strong>Coordinamento</strong> 1.2. Competizione 1.3. Potere<br />

Ex ante Ex ante Economico<br />

2. Piani individui<br />

3.1. Compatibili 3.2. Incompatibilità<br />

residua<br />

4.1. Competizione 4.2. Potere<br />

Ex post Economico<br />

5.1. Interazione individui 5.2. Interazione individui<br />

6.1. <strong>Coordinamento</strong> 6.2. Competizione 6.3. Potere<br />

Ex ante Ex ante Economico<br />

7.1. Equilibrio 7.2. Revisione Piani<br />

(End) (Goto 2)<br />

257


determinati criteri di formulazione dei piani 449 (eventualmente facendo<br />

assegnamento sulla possibilità di utilizzare strumenti di ritorsione in caso i<br />

suggerimenti non siano seguiti), può agire sui sistemi di vincoli all’interno dei<br />

quali i decisori decentralizzati compiono le scelte o, al limite, può ordinare un<br />

particolare criterio di formulazione dei piani. In generale possiamo distinguere<br />

due forme di influenza del <strong>potere</strong> <strong>economico</strong> sul processo di formulazione dei<br />

piani, l’una riguardante gli elementi soggettivi di scelta volontaria, l’altra<br />

riguardante i sistemi di vincoli oggettivi all’interno dei quali si realizzano i<br />

processi di formulazione dei piani. 450<br />

La forma in cui si realizza il principio di coordinamento dipende dunque<br />

dal modo in cui viene specificato il <strong>potere</strong> <strong>economico</strong>: è solo la specificazione<br />

delle relazioni di <strong>potere</strong> tra coordinatore e agenti decentrati che permette di<br />

definire la forma in cui si realizza il principio di coordinamento. [<strong>Coordinamento</strong><br />

Ex ante + Potere Economico → Piani individui].<br />

Il <strong>potere</strong> <strong>economico</strong> interviene inoltre nell’operare del principio di<br />

<strong>competizione</strong> ex ante: se è vero che nel definire i propri piani i decisori tengono<br />

conto dei possibili conflitti competitivi con gli altri agenti è anche vero che, nel<br />

tenerne conto, essi confrontano la propria posizione di <strong>potere</strong> <strong>economico</strong> con<br />

quella dei rivali, nel tentativo di stabilire in che misura la rivalità esistente possa<br />

essere risolta a proprio vantaggio. Al limite, un agente (che si ritiene)<br />

particolarmente dotato sul piano del <strong>potere</strong> <strong>economico</strong> può formulare i propri<br />

piani senza tenere conto dell’incompatibilità con i piani altrui. Anche in questo<br />

caso, come nel caso del coordinamento ex ante, l’azione del <strong>potere</strong> <strong>economico</strong>, si<br />

realizza sia sugli elementi oggettivi che sugli elementi soggettivi del processo di<br />

formulazione dei piani: gli elementi oggettivi sono determinati dai vincoli<br />

oggettivi all’interno dei quali avvengono i processi di formulazione dei piani<br />

individuali, gli elementi soggettivi sono definiti dalle congetture degli individui<br />

circa la propria posizione di <strong>potere</strong> e quella altrui [Competizione ex ante + Potere<br />

Economico → Piani individui].<br />

Il <strong>potere</strong> <strong>economico</strong> agisce infine nelle interazioni competitive (regolate<br />

dal principio di <strong>competizione</strong> ex post) tra gli individui. Ogni volta che vi sono<br />

dispute o interessi conflittuali tra le parti, il conflitto si risolve attraverso<br />

l’esercizio del <strong>potere</strong> <strong>economico</strong>; è infatti il <strong>potere</strong> (<strong>economico</strong>) ciò che determina<br />

i risultati dell’interazione tra gli individui in caso di incompatibilità tra i piani.<br />

[Competizione ex post + Potere Economico → Interazione individui].<br />

449 Negli schemi di indicative planning ad esempio il coordinatore si limita a fornire delle<br />

informazioni ai decisori decentralizzati in modo da incentivare la formulazione di piani<br />

mutuamente compatibili.<br />

450 L’ordine del coordinatore ai decisori decentralizzati può essere visto come un caso limite<br />

dell’influenza del <strong>potere</strong> <strong>economico</strong> sui vincoli oggettivi, in cui i vincoli imposti sono così<br />

stringenti da lasciare un’unica soluzione decisionale ai decisori decentralizzati.<br />

258


Tra <strong>potere</strong> <strong>economico</strong> e interazione tra gli individui esiste un rapporto di<br />

mutua causalità. Il <strong>potere</strong> <strong>economico</strong> infatti oltre ad agire sul processo di<br />

interazione tra gli individui come fattore regolante dell’interazione (nel senso che<br />

definisce la forma in cui l’interazione si realizza), viene modificato per effetto<br />

dell’interazione stessa. Tale rapporto di mutua causalità si realizza in forma<br />

sequenziale: la distribuzione iniziale del <strong>potere</strong> <strong>economico</strong> prima dell’interazione<br />

tra gli individui agisce sull’interazione stessa; l’interazione tra gli individui, a sua<br />

volta, modifica e ridistribuisce il <strong>potere</strong> <strong>economico</strong> tra gli individui. Si ha dunque<br />

un legame sequenziale cumulativo del tipo Potere Economico → Interazione<br />

individui → Potere Economico.<br />

Come esempio, si consideri la proprietà. Essa (più in generale, il diritto)<br />

conferisce <strong>potere</strong> decisionale agli individui; tale <strong>potere</strong> decisionale è per lo più di<br />

tipo <strong>economico</strong>. L’attività di mercato, come interazione tra individui, avviene<br />

dopo che la proprietà sia stata distribuita, ossia dopo la distribuzione del <strong>potere</strong><br />

<strong>economico</strong>; le interazioni tra gli individui sono dunque il risultato di un confronto<br />

in termini di <strong>potere</strong> <strong>economico</strong>. [Potere Economico → Interazione individui].<br />

D’altra parte le interazioni individuali modificano la distribuzione del<br />

<strong>potere</strong> (in quanto, in generale, modificano la distribuzione della proprietà). Il<br />

<strong>potere</strong> <strong>economico</strong> esce dunque trasformato dall’interazione degli individui.<br />

[Interazione individui → Potere Economico].<br />

Lo schema di « coordinamento, <strong>competizione</strong> e <strong>potere</strong> <strong>economico</strong> » (d’ora in<br />

avanti « CCPE ») è sufficientemente generale da poter essere applicato tanto<br />

all’analisi dei rapporti tra lavoratore e capitalista all’interno dell’impresa quanto<br />

all’analisi dei rapporti tra l’impresa e le altre istituzioni capitalistiche (ad esempio<br />

tra impresa e Stato, o tra imprese diverse, o tra impresa e consumatori). Come<br />

abbiamo notato a proposito dello schema di coordinamento e <strong>competizione</strong>, la<br />

definizione dell’agente coordinatore e degli agenti decentrati è infatti puramente<br />

teorica e dipende dal tipo di attività svolta dagli agenti; grazie all’esplicitazione<br />

del <strong>potere</strong> è ora possibile precisare il problema della definizione degli agenti: il<br />

tipo di attività svolta dagli agenti è infatti legato alle rispettive posizioni di <strong>potere</strong>.<br />

È perciò la specificazione del contesto istituzionale e del sistema di <strong>potere</strong> a<br />

definire la figura di agente decentrato o di coordinatore di un determinato<br />

soggetto. Il centro di coordinamento di un’impresa può, ad esempio, divenire<br />

agente decentrato nell’ambito dei processi di coordinamento dell’economia<br />

nazionale. Oppure può darsi che la stessa impresa, grazie al <strong>potere</strong> <strong>economico</strong> di<br />

cui dispone possa proporsi come centro di coordinamento anche nei processi di<br />

interazione con altre imprese e/o con altre organizzazioni economiche. Lo Stato<br />

può svolgere una funzione di coordinamento nell’ambito di determinati processi<br />

economici, ma può costituire un semplice agente decentrato nell’ambito di<br />

processi sovranazionali o nell’ambito di processi economici nazionali gestiti da<br />

potenti organizzazioni private. Ciascun attore può dunque proporsi in determinati<br />

259


contesti come centro di coordinamento o fare da agente decentrato,<br />

semplicemente in funzione del proprio <strong>potere</strong> decisionale e del <strong>potere</strong> che gli altri<br />

agenti gli riconoscono. È solo la specificazione del contesto istituzionale (con le<br />

implicazioni in termini di <strong>potere</strong> che ad essa si accompagnano) a precisare i<br />

rapporti tra i vari attori del sistema decisionale. Ed è in definitiva il <strong>potere</strong><br />

<strong>economico</strong> (effettivo o supposto) a definire in che misura l’attività svolta da un<br />

agente sia da identificarsi maggiormente con quella dell’agente coordinatore o con<br />

quella dell’agente decentrato.<br />

Lo schema di CCPE rappresenta la nostra visione dei rapporti interni alle<br />

organizzazioni capitalistiche e dei rapporti tra le diverse istituzioni del<br />

capitalismo. Esso deve intendersi come un completamento e una precisazione<br />

delle definizioni di CCPE proposte nel capitolo 1. Dal punto di vista applicativo,<br />

la nostra idea è quella di utilizzare lo schema di CCPE come quadro teorico di<br />

riferimento all’interno del quale collocare ordinatamente i contributi di diverse<br />

scuole di pensiero, rispettandone i rapporti di compatibilità metodologica.<br />

In relazione agli schemi della nuova destra, due sono i limiti che lo schema<br />

di CCPE evidenzia: (1) la parzialità derivante dal non discutere congiuntamente<br />

l’operare dei principi di coordinamento e <strong>competizione</strong>; (2) la distorsione<br />

derivante dal tentativo di analizzare l’azione dei principi di coordinamento e<br />

<strong>competizione</strong> come principi il cui operare possa realizzarsi indipendentemente<br />

dalla definizione delle relazioni di <strong>potere</strong> tra gli agenti.<br />

Per questi motivi la possibilità di sfruttare i contributi della nuova destra è<br />

subordinata ad un approfondimento anche lungo linee teoriche di ispirazione<br />

diversa. In particolare, in relazione all’analisi dei rapporti di <strong>potere</strong>, due scuole<br />

apportano contributi significativi, quella istituzionalista e quella marxiana. Prima<br />

di discutere i criteri di compatibilità tra i contributi di tali teorie e la loro<br />

collocazione all’interno dello schema di CCPE dobbiamo però approfondire un<br />

particolare aspetto di tale schema costituito dal processo di formulazione dei piani<br />

individuali.<br />

9.3. Un approfondimento del processo di formulazione<br />

dei piani<br />

Lo schema di CCPE, proprio per la sua generalità, non è suscettibile di<br />

un’immediata utilizzazione. È allora necessario discuterne più a fondo i suoi<br />

dettagli. Un aspetto, in particolare, deve essere approfondito: il processo di<br />

formulazione e revisione dei piani.<br />

260


L’analisi del capitolo 4 del processo di formulazione dei piani nella teoria<br />

austriaca costituisce un primo contributo in tale direzione (cf. figura 9.5). 451<br />

Figura 9.5. PROCESSO AUSTRIACO DI FORMULAZIONE DEI PIANI<br />

A.1. Informazione A.2. Modelli A.3. Immaginazione<br />

interpretativi<br />

B.1. Conoscenza B.2. Aspettative<br />

C. Piani<br />

Nello schema si individuano tre elementi fondamentali -informazione, modelli<br />

interpretativi e immaginazione- a partire dai quali vengono definite le categorie<br />

analitiche della conoscenza e delle aspettative sulla base delle quali vengono<br />

formulati i piani. Lo schema, come abbiamo visto, rappresenta in sé una<br />

generalizzazione delle diverse posizioni austriache, ciascuna delle quali può<br />

essere rappresentata specificando opportunamente il processo di formulazione dei<br />

piani.<br />

A partire dallo schema austriaco di formulazione dei piani proponiamo due<br />

linee di approfondimento riguardanti (1) il problema informativo e (2) il problema<br />

della definizione degli obiettivi. Dal punto di vista dello schema grafico proposto,<br />

il primo approfondimento non introduce cambiamenti in quanto consiste<br />

semplicemente in una discussione più dettagliata della casella relativa<br />

all’informazione; il secondo approfondimento porta invece ad esplicitare accanto<br />

al processo di generazione della conoscenza e al processo di formulazione delle<br />

aspettative, un terzo processo rilevante dal punto di vista degli elementi che<br />

concorrono alla formulazione dei piani, il processo di definizione degli<br />

obiettivi. 452<br />

Le due linee di approfondimento intendono contribuire rispettivamente al<br />

superamento di due limiti teorici generali degli schemi della nuova destra. Un<br />

451 Si tratta dello schema 4.1 del capitolo 4.<br />

452 Cf. più avanti, fig. 9.6.<br />

261


primo problema riguarda infatti l’analisi dell’informazione, la quale, nelle teorie<br />

della nuova destra, viene sviluppata all’interno di schemi interamente<br />

volontaristici in cui non è dato adeguato spazio alla discussione dei vincoli<br />

decisionali che si producono nel corso dell’interazione sociale; tali vincoli<br />

viceversa, essendo parte della definizione stessa degli stessi spazi decisionali degli<br />

individui, costituiscono un elemento essenziale della definizione del set<br />

informativo 453 e devono perciò essere discussi come parte del problema<br />

informativo. Il secondo problema riguarda l’eccessiva semplificazione operata<br />

dalla nuova destra riguardo ai meccanismi di definizione degli obiettivi<br />

individuali: in particolare ciò che intendiamo porre in discussione è l’ipotesi che<br />

la questione della definizione degli obiettivi possa essere risolta attraverso<br />

l’assunzione di preferenze date e ben definite.<br />

Analizziamo il problema dell’informazione. La teoria austriaca del processo di<br />

mercato afferma che nel corso delle interazioni di mercato l’informazione che si<br />

diffonde tra gli agenti è tale da garantire la convergenza dei processi di<br />

formulazione dei piani. Il meccanismo è noto: gli agenti definiscono i propri piani<br />

a partire da un set informativo dato; nell’ipotesi in cui i piani non siano<br />

pienamente compatibili, l’interazione tra gli individui avviene fuori<br />

dall’equilibrio; essa tuttavia modifica il set informativo ed è proprio sulla base del<br />

set informativo modificato che gli agenti rivedono i propri piani. Secondo le<br />

ipotesi della teoria austriaca le modificazioni del set informativo inducono<br />

processi di revisione dei piani che convergono verso la piena compatibilità dei<br />

piani stessi.<br />

Dato che la teoria fa leva sul modificarsi del set informativo per effetto<br />

delle interazioni di mercato, analizziamo più in dettaglio gli elementi del set<br />

informativo che vengono modificati nel corso del processo. Uno di questi è<br />

costituito dallo spazio delle decisioni, il quale definisce i vincoli di ciascun<br />

individuo nel perseguimento dei propri obiettivi. I vincoli possono essere di due<br />

tipi: (1) vincoli imposti da condizioni di informazione imperfetta e/o asimmetrica<br />

per cui lo spazio delle decisioni di un individuo risulta ristretto a causa della<br />

imperfetta e/o incompleta conoscenza da parte dell’individuo delle azioni a lui<br />

accessibili; (2) vincoli di natura materiale i quali, pure in condizione di perfetta<br />

informazione, pongono ciascun individuo nelle condizioni di poter prendere certi<br />

tipi di decisioni e non altri (si pensi ai vincoli di bilancio o, più in generale, ai<br />

vincoli di natura legale).<br />

Nelle teorie della nuova destra il problema dei vincoli materiali non viene<br />

discusso. Ci si concentra invece esclusivamente sui vincoli derivanti da<br />

informazione imperfetta il che pone al centro dell’attenzione il processo di<br />

eliminazione delle imperfezioni informative e di espansione del set informativo<br />

453 Lo spazio delle decisioni è infatti parte del set informativo. Cf. cap. 1, par. 1.3.1.<br />

262


nel suo complesso. Ciò crea problemi logici in quanto i processi di eliminazione<br />

delle imperfezioni informative e di espansione del set informativo avvengono<br />

attraverso l’interazione tra gli individui la quale, tuttavia, se (nei limiti di validità<br />

della teoria austriaca della conoscenza) espande i confini del set informativo ed<br />

assembla in maniera efficiente l’informazione dispersa tra gli agenti, modifica<br />

anche gli aspetti materiali degli spazi delle decisioni degli individui (ad esempio<br />

attraverso redistribuzioni del reddito e della proprietà). La teoria austriaca discute<br />

solo il problema della diffusione della conoscenza delle decisioni materialmente<br />

accessibili all’individuo; l’insieme delle decisioni che le condizioni materiali<br />

rendono accessibili all’individuo, indipendentemente dal fatto che egli ne sia a<br />

conoscenza o meno, è invece considerato esogeno e la sua dinamica nel tempo è<br />

considerata ininfluente rispetto ai meccanismi di diffusione della conoscenza.<br />

L’elusione del problema dell’evoluzione dei vincoli materiali che<br />

definiscono gli spazi delle decisioni degli individui deriva probabilmente dalla<br />

visione stessa della nuova destra dell’interazione sociale come di un processo<br />

interamente volontario; d’altra parte la tesi della convergenza del processo di<br />

mercato si basa proprio sull’analisi degli effetti dell’interazione sociale sul set<br />

informativo. È allora possibile precisare i motivi dell’inadeguatezza della teoria<br />

austriaca del processo di mercato: essa ruota attorno all’analisi degli effetti<br />

dell’interazione sociale sul set informativo, ma non considera gli effetti materiali<br />

prodotti dall’interazione sociale (i quali invece, sono anch’essi parte del set<br />

informativo). Tali effetti materiali peraltro non è escluso che abbiano<br />

ripercussioni anche sui vincoli imposti dalle condizioni di informazione<br />

imperfetta e/o asimmetrica. La nostra conclusione è allora che il problema degli<br />

aspetti materiali su cui si basano i processi di formulazione dei piani individuali<br />

deve essere incluso nell’analisi del problema informativo. Ciò implica l’uscita<br />

dall’ottica volontaristica della nuova destra e il suo superamento attraverso<br />

l’analisi congiunta dell’evoluzione (1) dei criteri di scelta volontaria e (2) dei<br />

vincoli di natura sia strettamente informativa, sia materiale.<br />

Consideriamo ora la seconda linea di approfondimento. Essa porta ad esplicitare<br />

un terzo elemento, accanto a conoscenza e aspettative, che agisce sugli elementi<br />

volontaristici del processo di formulazione dei piani: gli obiettivi (il che ci porta a<br />

considerare un quarto elemento da porre accanto a informazione, modelli<br />

interpretativi e immaginazione: i valori). L’esplicitazione dei valori e degli<br />

obiettivi nel processo di formulazione dei piani ci porta a modificare lo schema<br />

9.5, nel seguente schema (figura 9.6).<br />

263


Figura 9.6. PROCESSO DI FORMULAZIONE DEI PIANI<br />

A.1. Informazione A.2. Modelli A.3. Immaginazione A.4. Sistema di valori<br />

interpretativi (preferenze)<br />

B.1. Conoscenza B.2. Aspettative B.3. Obiettivi<br />

C. Piani<br />

Le preferenze (i sistemi di valori) individuali sono esplicitate come un quarto<br />

elemento del processo di formulazione dei piani. Esse agiscono sul processo di<br />

definizione degli obiettivi; su tale processo agiscono anche l’informazione, i<br />

modelli interpretativi e l’immaginazione: al di là dei desideri astratti degli<br />

individui, la definizione degli obiettivi specifici da perseguire nell’interazione con<br />

gli altri individui dipende infatti dall’informazione disponibile a ciascun agente,<br />

dal modo in cui l’agente la interpreta e dalla capacità di immaginare scenari futuri<br />

in cui gli obiettivi potrebbero essere realizzati.<br />

Per fare un esempio, si può ammettere che l’aeroplano soddisfi il desiderio<br />

(innato e preesistente) di trasporto veloce, 454 ma l’obiettivo di prendere un<br />

aeroplano presuppone quanto meno la conoscenza dell’esistenza di un simile<br />

mezzo di trasporto, la convinzione (derivante dai modelli di interpretazione della<br />

realtà) che tale mezzo di trasporto sia idoneo a realizzare il desiderio di trasporto<br />

veloce e l’idea che una volta preso l’aereo tale desiderio sarà appagato (il che<br />

presuppone una capacità immaginativa sugli scenari che si potranno delineare per<br />

effetto del volo in aereo).<br />

L’esplicitazione di valori e obiettivi nel processo di formulazione dei piani gioca<br />

un ruolo centrale nel passaggio dalla fase di critica interna alle teorie della nuova<br />

destra alla fase propositiva, in quanto pone le basi per l’uscita dalle ipotesi<br />

dell’individualismo metodologico: una volta esplicitato il ruolo dei valori nel<br />

processo di formulazione dei piani diviene infatti possibile interrogarsi sulle<br />

454 Si ricorderà (cf. cap. 4, par. 4.5) che quest’esempio è sviluppato da Littlechild (1979, p. 40) per<br />

confrontare le posizioni di Kirzner e Shackle.<br />

264


determinanti dei valori stessi indagando sugli eventuali feed back dell’interazione<br />

sociale sui sistemi di valori su cui si fondano i processi decisionali individuali.<br />

L’esplicitazione dei valori non costituisce comunque in sé una violazione<br />

dell’individualismo metodologico: le assunzioni individualistiche possono infatti<br />

essere mantenute ipotizzando l’esogenità delle preferenze. Prima di abbandonare<br />

le ipotesi individualistiche, osserviamo come l’esplicitazione dei valori consenta<br />

di precisare maggiormente le ipotesi austriache sui meccanismi del processo di<br />

mercato. La logica dell’analisi austriaca della convergenza del processo di<br />

mercato si basa sull’esame degli effetti del processo di mercato sugli elementi<br />

base del processo di formulazione dei piani. Senza sufficienti giustificazioni gli<br />

economisti austriaci si concentrano tuttavia in maniera pressoché esclusiva sugli<br />

effetti del processo di mercato sull’informazione. 455 Se nella teoria austriaca della<br />

convergenza del processo di formulazione dei piani gli obiettivi sono potuti<br />

rimanere impliciti è allora perché essi sono assunti esogeni: gli obiettivi nella<br />

teoria austriaca sono derivati dalle preferenze, le quali sono, per ipotesi, esogene<br />

(così come in tutte le teorie aderenti all’individualismo metodologico).<br />

L’esplicitazione delle preferenze nello schema di formulazione dei piani<br />

permette così di chiarire le ipotesi su cui si basa la teoria austriaca della<br />

convergenza del processo di mercato. Esse sono: (1) che gli obiettivi siano<br />

interamente determinati dalle preferenze (il che implica che l’informazione, i<br />

modelli interpretativi della realtà e l’immaginazione sono considerati elementi<br />

stabili e non problematici del processo di definizione degli obiettivi) e (2) che le<br />

preferenze siano date. È solo grazie a tali due ipotesi che è possibile escludere che<br />

il processo di mercato abbia effetti sul processo di definizione degli obiettivi (ed è<br />

dunque grazie a tali ipotesi che la scuola austriaca può aggirare la discussione del<br />

processo di definizione degli obiettivi e concentrarsi unicamente sui processi di<br />

diffusione della conoscenza e sul processo di formulazione delle aspettative).<br />

Affrontiamo ora l’analisi del processo di formulazione dei piani ponendoci<br />

espressamente fuori dall’approccio metodologico individualistico. La nostra scelta<br />

di approfondire il problema della convergenza dei piani in un contesto decisionale<br />

di tipo (c) ci porta a considerare la definizione degli obiettivi come un problema<br />

aperto. Tale problema è aperto in quanto sono aperti i problemi dell’origine e<br />

dell’evoluzione (1) dell’insieme informativo, (2) dello spazio dei modelli di<br />

interpretazione della realtà, (3) dello spazio dell’immaginazione e (4) dello spazio<br />

dei valori.<br />

I problemi che, a nostro parere, ricevono, ingiustificatamente, insufficiente<br />

attenzione da parte degli economisti della nuova destra sono quelli relativi ai<br />

modelli interpretativi e ai sistemi di valori. La discussione di tali problemi nelle<br />

teorie aderenti all’individualismo metodologico è aggirata attraverso l’ipotesi che<br />

455 Lachmann, come abbiamo visto, approfondisce anche il ruolo dell’immaginazione, la quale,<br />

però, è considerata esogena e, dunque, non influenzata dal processo di mercato.<br />

265


le preferenze e i modelli interpretativi siano dati. Ciò porta a considerare il<br />

processo di definizione degli obiettivi come un aspetto non problematico del<br />

processo di formulazione dei piani. Viceversa, come osserva Bruno (1986, pp.<br />

142-5), la definizione degli obiettivi è un fenomeno essenzialmente culturale nel<br />

quale valori e modelli interpretativi devono essere trattati come fattori endogeni,<br />

parti di un fenomeno complesso ma unitario.<br />

Bruno (1986) scompone il processo decisionale in un sistema di relazioni<br />

tra tre spazi logici: (1) lo spazio delle azioni (o delle decisioni), (2) lo spazio delle<br />

rappresentazioni delle conseguenze delle azioni (o spazio dei modelli<br />

interpretativi) e (3) lo spazio delle valutazioni delle conseguenze delle azioni. 456<br />

La tesi di Bruno è che nell’approccio tradizionale alla teoria delle decisioni i<br />

problemi decisionali sono formalizzati considerando i tre spazi come chiusi e dati,<br />

laddove in realtà essi sono aperti e problematici. 457<br />

Le osservazioni di Bruno possono essere precisate e generalizzate: la<br />

possibilità di considerare i tre spazi come chiusi e dati riguarda, in effetti, tutte e<br />

sole le teorie sviluppate su contesti decisionali di tipo (a-b). È invece nel contesto<br />

decisionale (c) che tale ipotesi deve essere rigettata: in (c) i tre spazi sono<br />

necessariamente aperti e problematici.<br />

L’ipotesi che gli spazi delle decisioni, dei modelli e degli obiettivi siano<br />

chiusi rende il problema di scelta banale dal punto di vista logico e consente di<br />

separare l’analisi dei tre spazi. 458 Il carattere problematico del contesto decisionale<br />

(c) implica invece che gli spazi delle decisioni, dei modelli e degli obiettivi siano<br />

interdipendenti: nella definizione degli obiettivi non possiamo prescindere dalla<br />

nostra cultura, la quale è prodotta dai nostri modelli di interpretazione<br />

dell’informazione, attraverso i quali ci formiamo la visione stessa dello spazio<br />

delle decisioni. I modelli interpretativi inoltre, sebbene soggettivamente variabili<br />

sono anch’essi un prodotto sociale, quanto meno perché è nell’interazione sociale<br />

che essi vengono trasmessi e adattati (soggettivamente) dai decisori coinvolti<br />

nell’interazione.<br />

Oltre al problema dell’evoluzione dei modelli interpretativi deve<br />

considerarsi aperto e, dunque, oggetto di indagine, anche il problema dell’origine<br />

dei valori. Il contesto storico-istituzionale anche in questo caso è determinante.<br />

L’individuo stesso deve perciò considerarsi, secondo la nostra interpretazione,<br />

almeno in parte il prodotto della struttura organizzativa in cui opera. In<br />

456 Al fine di precisare i rapporti tra la nostra schematizzazione del processo di formulazione dei<br />

piani e la schematizzazione del processo decisionale proposta da Bruno (1986) si noti che: (1) lo<br />

spazio delle decisioni di cui parla Bruno è un sottoinsieme dell’insieme informativo che compare<br />

nel nostro schema (Cf. cap. 1, par. 1.2.1); (2) i modelli interpretativi e lo spazio degli obiettivi<br />

sono i medesimi nei due schemi; (3) l’immaginazione compare esplicitamente nel nostro schema<br />

ed è invece tenuta implicita nello schema di Bruno.<br />

457 Bruno (1986, pp. 134-6). Cf. anche Loasby (1976, p. 217).<br />

458 Ed è proprio tale ipotesi, come osserva Bruno (1986, pp. 139-40), che consente di concentrarsi<br />

unicamente sui problemi tecnici dell’individuazione matematica delle soluzioni.<br />

266


particolare, il tipo di interazioni sociali che si realizzano nel sistema di mercato<br />

influisce sulla concezione stessa dei valori (e, con ciò, sulla definizione degli<br />

obiettivi). In tale ottica, la riduzione della sfera dei valori all’insieme di merci<br />

scambiate sul mercato deve essa stessa considerarsi un prodotto della struttura<br />

organizzativa capitalistica. Il problema è ben colto da Bruno:<br />

« L’abitudine a considerare rilevanti al fine del “valore” le sole variazioni nella<br />

disponibilità di “risorse” risulta dal fatto, storicamente circoscritto, che il mercato è,<br />

nelle nostre società, la sede principale in cui si forma la nostra cultura del<br />

valore ». 459<br />

Nell’approccio tradizionale alla teoria delle decisioni di impostazione<br />

individualistica, i piani degli individui sono il risultato di un processo lineare<br />

univocamente determinato dai due elementi base informazione e preferenze. 460<br />

Secondo tale approccio il problema della definizione dei piani viene logicamente<br />

scomposto in tre sottoproblemi: (1) definizione degli obiettivi (a partire dalle<br />

preferenze e l’informazione), (2) determinazione della conoscenza (a partire<br />

dall’informazione) e (3) formulazione delle aspettative (in funzione degli errori<br />

passati di previsione o in modo esogeno); grazie all’ipotesi che i tre sottoproblemi<br />

siano indipendenti è così possibile derivare in modo univoco i piani individuali.<br />

La possibilità di scomporre il processo di formulazione dei piani in<br />

sottoproblemi da analizzare separatamente deriva dall’assunzione di un contesto<br />

decisionale di tipo (a-b). Nel contesto decisionale (c), i processi di definizione<br />

degli obiettivi, di formulazione delle aspettative e di generazione della conoscenza<br />

sono invece processi interrelati sui quali agiscono fattori comuni quali la cultura,<br />

le regole di comportamento, le forme di conformismo (e anticonformismo) sociale<br />

e fattori di natura materiale. I tre processi si realizzano in forma sequenziale nel<br />

tempo, ma con continue relazioni tra un processo e l’altro, attraverso le quali il<br />

processo di formulazione dei piani individuali assume la forma di un processo<br />

unitario di apprendimento sugli obiettivi, la conoscenza e le aspettative.<br />

La discussione del problema della formulazione dei piani, nel contesto<br />

decisionale (c), non può dunque esaurirsi con l’analisi dei nessi unidirezionali che<br />

vanno dai quattro elementi base -informazione, modelli interpretativi,<br />

immaginazione e valori- al risultato finale -il piano-, bensì deve comprendere<br />

un’analisi congiunta dei processi di definizione degli obiettivi, di formulazione<br />

delle aspettative e di generazione della conoscenza e l’endogenizzazione degli<br />

stessi elementi base del processo di formulazione dei piani. I due aspetti<br />

problematici che richiedono un’apertura verso linee di indagine diverse da quelle<br />

459 Bruno (1986, p. 146).<br />

460 Il problema dei modelli interpretativi viene aggirato attraverso l’ipotesi che i decisori<br />

dispongano di un modello di interpretazione della realtà completo e corretto e il problema<br />

dell’immaginazione viene eluso definendo lo spazio dell’immaginazione come un sottoinsieme<br />

dello spazio dell’informazione.<br />

267


definite dalla nuova destra sono costituiti: (1) dalla questione dell’evoluzione dei<br />

vincoli (in particolare di quelli di natura materiale) nell’analisi del problema<br />

informativo; (2) dal problema della formazione dei valori e dei modelli di<br />

interpretazione della realtà.<br />

Nell’individualismo metodologico, l’ipotesi che lo spazio delle decisioni<br />

sia dato e l’assunzione di preferenze date (affiancata spesso dalla definizione<br />

assiomatica di modelli interpretativi corretti e completi), cancellano il problema<br />

invece di affrontarlo. Il nostro problema è invece quello di approfondire le sfere in<br />

cui si formano i valori, i modelli interpretativi e l’informazione 461 il che ci porta<br />

ad allargare il nostro angolo visuale inserendo l’analisi del processo di<br />

formulazione dei piani individuali nell’ambito dello schema generale di CCPE.<br />

9.4. L’integrazione dei due schemi<br />

Lo schema del processo di formulazione dei piani può essere inteso come un<br />

approfondimento delle relazioni che si realizzano all’interno della casella « piani<br />

individui » dello schema di CCPE (cf. figura 9.7). 462 In tal modo, i problemi<br />

sollevati nel paragrafo precedente riguardanti la necessità di endogenizzare gli<br />

elementi base del processo di formulazione dei piani possono essere affrontati<br />

all’interno dello stesso schema di CCPE.<br />

Secondo l’interpretazione proposta dallo schema integrato di CCPE e di<br />

formulazione dei piani (d’ora in poi, semplicemente, « schema di CCPE ») i<br />

quattro elementi base del processo di formulazione dei piani (informazione,<br />

modelli interpretativi, immaginazione e valori) sono non soltanto i punti di<br />

partenza del processo di interazione sociale, ma anche gli effetti di quest’ultimo:<br />

una volta formulati i piani, l’interazione tra gli individui retroagisce infatti sul<br />

processo di<br />

461 L’immaginazione, per quanto centrale nel processo di formulazione dei piani, rappresenta una<br />

variabile difficile, se non addirittura logicamente impossibile, da modellare.<br />

462 Lo schema è ottenuto inserendo lo schema del processo di formulazione dei piani (figura 9.6)<br />

nello schema di CCPE (figura 9.4); per non appesantire ulteriormente la grafica, nell’ambito dello<br />

schema di CCPE, si considera solo l’ipotesi di incompatibilità ex ante dei piani.<br />

268


COORDINAMENTO, COMPETIZIONE E POTERE ECONOMICO<br />

Figura 9.7. E PROCESSO DI FORMULAZIONE DEI PIANI<br />

<strong>Coordinamento</strong> Competizione Potere<br />

Ex ante Ex ante Economico<br />

A.1. Informazione A.2. Modelli A.3. Immaginazione A.4. Sistema di valori<br />

interpretativi (preferenze)<br />

B.1. Conoscenza B.2. Aspettative B.3. Obiettivi<br />

C. Piani<br />

Competizione Potere<br />

Ex post Economico<br />

Interazione individui<br />

<strong>Coordinamento</strong> Competizione Potere<br />

Ex ante Ex ante Economico<br />

269


formulazione dei piani modificando i quattro elementi su cui esso si basa.<br />

L’individuazione dei meccanismi di causazione mutua e sequenziale tra<br />

(1) gli elementi base della formulazione dei piani individuali e (2) l’interazione tra<br />

gli individui richiede una serie di approfondimenti in diverse direzioni. Ciò che a<br />

noi interessa notare è che tali meccanismi sono regolati dai principi di CCPE: in<br />

particolare, (1) gli elementi base del processo di formulazione dei piani sono<br />

regolati dai principi di coordinamento, <strong>competizione</strong> ex ante e <strong>potere</strong> <strong>economico</strong> e<br />

(2) l’interazione tra gli individui è regolata dai principi di <strong>competizione</strong> ex post e<br />

<strong>potere</strong> <strong>economico</strong>. 463<br />

Non è nei nostri obiettivi sviluppare una teoria originale dei meccanismi<br />

attraverso i quali i principi di CCPE influenzano il processo di formulazione dei<br />

piani e il processo di interazione tra gli individui. Ci interessa invece individuare<br />

le linee di approfondimento necessarie alla discussione dei rapporti tra scelte<br />

individuali e interazione sociale e la funzione che la loro discussione può svolgere<br />

nell’ambito dello schema di CCPE. Nelle pagine che seguono indichiamo dunque,<br />

in forma schematica, le linee di approfondimento, a nostro parere necessarie alla<br />

discussione degli aspetti problematici dello schema di CCPE. Si tratta<br />

essenzialmente di un’agenda e di una guida organizzativa per l’utilizzazione dei<br />

contributi teorici sviluppati da scuole di pensiero diverse che ci sembrano<br />

pertinenti e per la definizione delle linee di indagine in attesa di ulteriori<br />

approfondimenti.<br />

Nell’ambito dei quattro elementi base del processo di formulazione dei piani,<br />

l’attenzione della nuova destra si concentra sul problema informativo<br />

discutendone, in particolare, gli effetti derivanti dal principio di <strong>competizione</strong> (e<br />

in alcuni casi del principio di coordinamento). Rispetto allo schema proposto,<br />

l’analisi della nuova destra presenta quindi due tipi di lacune: (1) non<br />

approfondisce sufficientemente il ruolo del <strong>potere</strong> <strong>economico</strong> sul problema<br />

informativo; (2) lascia inesplorato (per ragioni legate a scelte epistemologiche) il<br />

problema degli effetti dei principi di CCPE sui sistemi di valori e sui modelli<br />

interpretativi. Un terzo tipo problema riguarda il processo di interazione tra gli<br />

individui, in quanto esso assume la forma o di un processo d’equilibrio (come<br />

nell’approccio neoclassico-neoistituzionalista) o di un processo fuori<br />

dall’equilibrio influenzato dal solo principio di <strong>competizione</strong> ex post (come<br />

nell’approccio austriaco). Accanto alle due lacune menzionate poniamo allora la<br />

seguente: (3) la nuova destra non analizza il ruolo del <strong>potere</strong> <strong>economico</strong> nel<br />

processo di interazione tra gli individui.<br />

Di seguito sviluppiamo alcune considerazioni a carattere esplorativo in<br />

merito ai tre problemi sollevati.<br />

463 Cf. figura 9.7.<br />

270


(1) INFORMAZIONE. Possiamo utilizzare la suddivisione dei vincoli informativi in<br />

vincoli derivanti da condizioni di informazione imperfetta e vincoli di natura<br />

materiale per distinguere due tipi di effetti del <strong>potere</strong> <strong>economico</strong>: il <strong>potere</strong><br />

<strong>economico</strong> influenza sia la creazione (e l’eliminazione) di asimmetrie informative,<br />

sia l’evoluzione delle condizioni materiali che definiscono gli spazi delle decisioni<br />

degli individui.<br />

L’analisi degli effetti del <strong>potere</strong> <strong>economico</strong> sui vincoli derivanti da<br />

imperfezioni informative sono approfonditi dalla scuola istituzionalista e, per<br />

alcuni aspetti, dalla scuola neoclassica. 464 Gli effetti del <strong>potere</strong> <strong>economico</strong> sui<br />

vincoli materiali sono invece analizzati, in particolare, dalla scuola marxiana.<br />

Nell’approccio neoclassico l’analisi del <strong>potere</strong> <strong>economico</strong> è sviluppata in<br />

riferimento alle sue manifestazioni sulle posizioni d’equilibrio. Il concetto di<br />

<strong>potere</strong> <strong>economico</strong> viene inteso in senso stretto facendolo coincidere col concetto<br />

di <strong>potere</strong> di mercato: nel modello walrasiano si suppone che gli agenti considerino<br />

il prezzo come un parametro e che la concorrenza imponga l’uguaglianza tra costo<br />

marginale e prezzo; in ipotesi di informazione imperfetta tuttavia il prezzo<br />

d’equilibrio non necessariamente uguaglia il costo marginale; 465 Il prezzo cessa<br />

così di essere un parametro del processo decisionale per divenire una variabile<br />

strategica nelle mani dei venditori il cui <strong>potere</strong> <strong>economico</strong> viene identificato<br />

proprio nella capacità di fissare un prezzo superiore al costo marginale. 466<br />

Un’analisi esplicita delle relazioni di <strong>potere</strong> su cui si fondano gli sviluppi del<br />

modello walrasiano in ipotesi di informazione imperfetta è sviluppata da Bowles e<br />

Gintis (1993b, 1994). Essi dimostrano come la microeconomia walrasiana<br />

dell’informazione, la teoria dei costi di transazione e la teoria principale agente<br />

implichino che l’economia capitalistica, anche in ipotesi di equilibrio competitivo,<br />

si regga implicitamente su relazioni di <strong>potere</strong>. 467<br />

L’analisi delle manifestazioni del <strong>potere</strong> <strong>economico</strong> sulle posizioni<br />

d’equilibrio può essere utilizzata come riferimento teorico nell’ambito dello<br />

schema di CCPE. I processi che si realizzano all’interno dello schema proposto<br />

tuttavia, a meno di casi particolari e fortuiti, si realizzano fuori dall’equilibrio. In<br />

tal senso i contributi della scuola neoclassica e post-walrasiana devono intendersi<br />

come un’utile pietra di paragone teorica, ma non esauriscono la discussione del<br />

problema informativo.<br />

464<br />

Nell’ambito della nuova destra, la scuola neoclassica, più di quelle neoistituzionalista e<br />

austriaca, ha approfondito l’analisi del <strong>potere</strong> <strong>economico</strong>. Data l’impostazione metodologica<br />

individualistica, il <strong>potere</strong> viene comunque derivato unicamente dall’ipotesi di asimmetrie<br />

informative e la sua analisi si concentra sul problema del controllo di mercati specifici come fonte<br />

di <strong>potere</strong>. Cf. Dugger (1994a).<br />

465<br />

Il che implica il fallimento delle condizioni di Pareto efficienza e una produzione sub-ottimale.<br />

466<br />

Cf. Stevenson (1994).<br />

467<br />

Bowles e Gintis (1993b, 1994) definiscono il <strong>potere</strong> come la capacità di influenzare il<br />

comportamento degli individui attraverso la minaccia di sanzioni.<br />

271


Nella teoria istituzionalista il problema informativo è invece discusso in<br />

ambito dinamico fuori dal contesto analitico dell’equilibrio. Nella tradizione<br />

istituzionalista si evidenzia il carattere autorinforzantesi del <strong>potere</strong>: il <strong>potere</strong> e la<br />

sua distribuzione originano dalle caratteristiche del sistema <strong>economico</strong>istituzionale<br />

il quale definisce i campi d’azione di ciascun agente; il <strong>potere</strong> nelle<br />

mani di un agente nel presente determina la capacità di influenzare le dinamiche<br />

evolutive future del sistema <strong>economico</strong>-istituzionale; il rapporto di<br />

interdipendenza tra sistema <strong>economico</strong> e sistema istituzionale è dunque alla base<br />

dell’evoluzione cumulativa del <strong>potere</strong>. La mancata realizzazione delle condizioni<br />

del modello di concorrenza perfetta è solo una manifestazione del processo<br />

cumulativo di evoluzione del sistema di <strong>potere</strong>. L’accesso a canali privilegiati di<br />

informazione è invece il risultato di un complesso processo politico, oltre che<br />

<strong>economico</strong>, per la definizione di un sistema di regole che determini una<br />

particolare struttura informativa. Gli effetti delle posizioni di <strong>potere</strong> derivanti<br />

dalla struttura informativa non si esauriscono peraltro, come nella teoria<br />

neoclassica, nella capacità di imporre un prezzo superiore al costo marginale<br />

come soluzione di un problema di ottimizzazione statica. Piuttosto i caratteri<br />

maggiormente rilevanti nell’analisi istituzionalista della struttura di <strong>potere</strong><br />

derivante da particolari assetti informativi riguardano la capacità di influenzare<br />

tali assetti per rinforzare determinate posizioni di <strong>potere</strong>. Ciò che è in gioco non è<br />

solo la capacità di rinforzare i vantaggi competitivi derivanti da asimmetrie<br />

informative, bensì la possibilità di incidere sull’evoluzione stessa del sistema<br />

informativo, ad esempio attraverso la scelta di determinate traiettorie di sviluppo<br />

tecnologico, l’influenza sui rapporti tra sistema industriale e istituzioni di ricerca e<br />

così via. Il <strong>potere</strong> <strong>economico</strong> derivante dalla configurazione del sistema<br />

informativo si ripercuote quindi, secondo gli studi della scuola istituzionalista,<br />

sulle dinamiche del sistema di relazioni industriali, sul sistema politico e, in<br />

generale, sul sistema istituzionale.<br />

La teoria marxiana approfondisce il ruolo degli aspetti materiali nella<br />

definizione delle possibilità decisionali degli individui. I fattori materiali<br />

definiscono la suddivisione in classi sociali e i sistemi di vincoli (oggettivi) cui gli<br />

individui delle varie classi sono soggetti. Nell’ambito dei fattori materiali<br />

l’attenzione si concentra sulla proprietà (in particolare, sulla proprietà dei mezzi di<br />

produzione). La proprietà definisce la forma di partecipazione dell’individuo al<br />

processo sociale di decisione; essa è una forma di <strong>potere</strong> in quanto consente ai<br />

suoi detentori di ottenere determinati risultati nell’interazione con gli altri<br />

individui. Dal punto di vista dell’origine del <strong>potere</strong> conferito dalla proprietà esso<br />

deve individuarsi, secondo la teoria marxiana, nel sistema legale. 468 La proprietà<br />

come diritto conferisce <strong>potere</strong> in quanto essa è legalmente protetta e tale<br />

468 Il ruolo della proprietà come fonte di <strong>potere</strong> e le relazioni tra sistema <strong>economico</strong> e sistema<br />

legale sono temi rispetto ai quali le indagini marxiane e istituzionaliste sono assai vicine. Cf.<br />

Samuels (1994).<br />

272


protezione è socialmente riconosciuta. Il <strong>potere</strong> derivante dalla proprietà è dunque<br />

solo un caso particolare del <strong>potere</strong> più generale istituito dal diritto. La<br />

distribuzione dei diritti (in particolare quelli di proprietà) è perciò parte integrante<br />

della definizione stessa degli spazi decisionali degli individui e la sua evoluzione<br />

implica una modificazione nel tempo dei vincoli cui sono soggetti gli individui nel<br />

corso dei processi di formulazione dei piani.<br />

Secondo la teoria marxiana il <strong>potere</strong> derivante dalla proprietà dei mezzi di<br />

produzione ha carattere autorafforzante per via dei processi di concentrazione e<br />

centralizzazione del capitale che si realizzano nel sistema capitalista. Tali processi<br />

si realizzano sotto la spinta di forze oggettive operanti sui processi di produzione<br />

e distribuzione. Indipendentemente dai fattori che determinano la libera scelta<br />

degli individui, i vincoli oggettivi imposti dalla distribuzione della proprietà (o,<br />

più in generale, dal sistema legale) delimitano lo spazio dei piani realizzabili e<br />

definiscono le caratteristiche generali delle dinamiche sociali che possono<br />

determinarsi dall’interazione tra gli individui. La teoria marxiana a partire<br />

dall’analisi dei rapporti materiali di produzione stabilisce così una serie di<br />

caratteristiche generali dell’evoluzione del sistema di produzione e distribuzione<br />

del reddito e del sistema istituzionale.<br />

L’individuazione da parte di Marx dei principi generali dell’evoluzione dei<br />

rapporti economici capitalistici e dell’evoluzione complessiva del modo di<br />

produzione capitalistico ha sollevato storicamente una polemica circa il carattere<br />

meccanicistico e deterministico della teoria marxiana. Secondo una critica diffusa<br />

(in ambito marxista e non) la teoria marxiana intenderebbe infatti l’evoluzione<br />

storica in senso predeterminato (o predeterminabile), presentando determinate<br />

forme evolutive come inevitabili. 469<br />

Al di là della questione del grado di determinismo della teoria di Marx,<br />

l’idea che ci sembra integrabile nello schema di CCPE è quella che l’analisi delle<br />

caratteristiche oggettive e materiali del set informativo consenta di definire alcuni<br />

tratti generali dell’evoluzione del sistema <strong>economico</strong>-istituzionale. Dal nostro<br />

punto di vista, il problema non è se l’analisi dei rapporti materiali di produzione<br />

sia in sé sufficiente a definire i caratteri generali dell’evoluzione capitalistica<br />

come alcuni interpreti dell’opera di Marx suggeriscono; a noi interessa invece<br />

notare come la componente materiale sia parte integrante del problema<br />

dell’evoluzione del rapporto tra scelta individuale e sistema istituzionale ed è in<br />

tal senso che riteniamo che la teoria marxiana rappresenti un contributo<br />

fondamentale allo schema di CCPE. Il problema del peso delle varie componenti,<br />

oggettive e soggettive, materiali e non, all’interno dello schema di CCPE è invece<br />

469 Secondo alcuni autori della sinistra marxista, l’interpretazione meccanicistica della teoria<br />

marxiana dell’evoluzione dei modi di produzione entra peraltro in contraddizione con l’importanza<br />

accordata da Marx all’iniziativa di classe come fondamentale elemento del processo<br />

rivoluzionario. Per una presentazione concisa della teoria marxiana dei modi di produzione e delle<br />

interpretazioni critiche sviluppatesi attorno ad essa, si veda Catephores (1994).<br />

273


una questione per noi aperta, nella quale, dato l’obiettivo dello schema, non ci<br />

addentriamo.<br />

(2) MODELLI INTERPRETATIV I E SISTEMI DI VALORI. Il problema di<br />

endogenizzare i modelli interpretativi e i valori implica l’uscita dalle ipotesi<br />

dell’individualismo metodologico. Al fine di individuare le direzioni di indagine<br />

da sviluppare all’interno dello schema di CCPE è comunque necessario un breve<br />

richiamo sui motivi di insoddisfazione nei confronti delle impostazioni<br />

neoclassica e austriaca al problema della scelta individuale.<br />

Nella teoria neoclassica le caratteristiche rilevanti dell’individuo dal punto<br />

di vista dei processi decisionali sono racchiuse nella sua relazione di preferenze.<br />

Una volta date le preferenze, la scelta dell’individuo risulta interamente<br />

determinata dalle condizioni dell’ambiente esterno. Sulla scia delle critiche di<br />

Shackle e Loasby a tale visione dei processi decisionali, la scuola austriaca pone<br />

l’accento sugli elementi interni all’individuo che concorrono alla determinazione<br />

della scelta soggettiva. Secondo gli economisti istituzionalisti, 470 tuttavia, in<br />

questo modo la teoria austriaca si spinge troppo oltre, lasciando che l’analisi dei<br />

fattori soggettivi interni all’individuo prenda completamente il posto dell’analisi<br />

dell’influenza dei fattori oggettivi esterni. 471 Il problema è allora quello di<br />

individuare i rapporti tra elementi interni ed esterni all’individuo nell’analisi dei<br />

processi decisionali.<br />

Tale problema è approfondito dalle scuole istituzionalista e marxiana le<br />

quali si sviluppano al di fuori dell’impostazione metodologica individualista e<br />

individuano rispettivamente nell’analisi dell’evoluzione del sistema istituzionale e<br />

nell’analisi dell’evoluzione dei rapporti materiali di produzione la chiave per<br />

risolvere la questione del rapporto tra scelta soggettiva e ambiente esterno.<br />

L’endogenizzazione dei modelli interpretativi e dei sistemi di valori nell’ambito<br />

degli approcci marxiano e istituzionalista avviene secondo meccanismi diversi che<br />

fanno leva su aspetti diversi delle relazioni di <strong>potere</strong>: la scuola istituzionalista si<br />

concentra sugli effetti del sistema istituzionale sui processi di evoluzione dei<br />

modelli interpretativi e dei valori evidenziando il ruolo del <strong>potere</strong> <strong>economico</strong> su<br />

tali processi; la scuola marxiana approfondisce invece i meccanismi di azione del<br />

<strong>potere</strong> derivanti dalla proprietà dei mezzi di produzione e tramite la teoria<br />

struttura-sovrastruttura stabilisce una relazione tra la dinamica dei rapporti<br />

materiali di produzione e l’evoluzione dei modelli interpretativi e dei valori.<br />

470 Cf. Hodgson (1994g, pp. 135-6).<br />

471 Dal punto di vista del contributo austriaco, il problema fondamentale è che gli economisti<br />

austriaci negano la legittimità dell’indagine economica delle preferenze e degli obiettivi degli<br />

individui, il che significa che essi, mentre creano uno spazio analitico per la libera scelta nel senso<br />

di Shackle negano, allo stesso tempo, la possibilità di investigare i fattori che agiscono all’interno<br />

di tale spazio.<br />

274


Analizziamo dunque i contributi istituzionalisti e marxiani al problema<br />

dell’endogenizzazione dei modelli interpretativi e dei sistemi di valori.<br />

Secondo la teoria istituzionalista i processi cognitivi e decisionali dell’individuo<br />

sono influenzati, sebbene non interamente determinati, dal contesto istituzionale,<br />

dalla cultura, dai modelli comportamentali affermati convenzionalmente e da altre<br />

caratteristiche dell’ambiente decisionale esterno all’individuo. Tali fattori<br />

ambientali incidono sia sui sistemi di valori che l’individuo percepisce come<br />

propri, sia sui modelli interpretativi attraverso i quali si forma la conoscenza<br />

stessa del mondo esterno. La conoscenza del mondo non emerge infatti<br />

automaticamente dal set informativo, bensì deriva dall’elaborazione soggettiva di<br />

modelli interpretativi mediante i quali i dati contenuti nel set informativo vengono<br />

concettualizzati, ordinati ed elaborati. I diversi modelli interpretativi soggettivi<br />

degli individui, a loro volta, vengono a confronto nell’ambiente esterno<br />

diffondendosi e affermandosi a livello sociale e culturale in base alle loro capacità<br />

esplicative, alla loro forza attrattiva, a fattori abitudinari, di routine, di inerzia e a<br />

fattori di altra natura. I modelli interpretativi e i valori culturalmente affermati<br />

risultano quindi, da una parte, il prodotto dell’azione umana e, dall’altra, il<br />

riferimento all’interno del quale i processi cognitivi individuali prendono forma e<br />

si realizzano. 472 La teoria istituzionalista stabilisce così una relazione cumulativa<br />

tra elementi interni ed esterni all’individuo, lasciando spazio all’analisi della<br />

libera scelta soggettiva e individuando, allo stesso tempo, i presupposti per<br />

l’analisi dei fattori oggettivi che influenzano gli elementi soggettivi della scelta. I<br />

capitoli di indagine che si aprono a partire da una simile impostazione al problema<br />

della scelta sono diversi ed è in direzione dell’interdisciplinarità che si muovono<br />

le ricerche istituzionaliste. 473 A scopo puramente esemplificativo e senza alcuna<br />

pretesa di completezza esaminiamo alcuni dei contributi che la scuola<br />

istituzionalista trae dagli approfondimenti in direzione interdisciplinare.<br />

Hodgson (1988) propone un « manifesto per una moderna teoria<br />

economica istituzionalista » basato proprio sull’approfondimento dei rapporti tra<br />

le scienze economiche e la psicologia, la sociologia, l’antropologia, le scienze<br />

politiche e le scienze cognitive. A proposito della concezione razionalista<br />

dell’azione umana egli nota come le conoscenze teoriche e sperimentali acquisite<br />

in campo psicologico permettano di superare l’assunzione che l’azione umana sia<br />

ispirata interamente al calcolo razionale e alla conscia deliberazione 474 e individua<br />

472 Hodgson (1994f).<br />

473 Cf. Hodgson (1988, capp. 3, 5 e 6).<br />

474 L’analisi freudiana dei rapporti tra conscio e inconscio è, secondo Hodgson (1988, 1994f),<br />

sufficiente a rigettare l’ipotesi di piena deliberazione; nel definire la propria proposta di<br />

approfondimento delle componenti psicologiche dei comportamenti individuali Hodgson (1988,<br />

pp. 109-10) tuttavia non sviluppa l’analisi di Freud e della scuola post-freudiana bensì preferisce<br />

ispirarsi al lavoro (influenzato dagli studi di teoria dei sistemi) di Koestler (1967), il quale rifiuta<br />

la distinzione netta tra conscio e inconscio e imposta il problema in termini di grado di coscienza.<br />

275


nei criteri di scelta soggettiva fattori di conformismo e obbedienza incompatibili<br />

con l’ipotesi che la decisione sia il risultato di un processo pienamente razionale<br />

realizzantesi a partire da un ben definito sistema di valori. 475 Attraverso i legami<br />

con le analisi sociologiche e antropologiche Hodgson stabilisce inoltre una<br />

relazione tra sistema sociale-istituzionale e ambiente culturale da una parte, e<br />

processo di formazione dell’individuo e di definizione delle regole che l’individuo<br />

utilizza nel processare l’informazione, dall’altra. 476 L’analisi del problema<br />

dell’evoluzione dei modelli interpretativi e dei sistemi di valori può così essere<br />

ricondotta all’individuazione dei meccanismi di evoluzione dell’ambiente<br />

culturale e del sistema istituzionale nell’ambito dei quali si sviluppano le scelte<br />

individuali.<br />

Secondo Dugger (1994), l’evoluzione del sistema culturale deve essere<br />

messa in relazione ai rapporti tra le istituzioni del sistema socio-<strong>economico</strong> (lo<br />

Stato, l’impresa, il mercato, la famiglia, la chiesa, la scuola, il partito, il sindacato,<br />

ecc.). Dugger delinea due direzioni di sviluppo dei rapporti tra le istituzioni socioeconomiche,<br />

una verso un modello di rapporti pluralistici, l’altra verso un modello<br />

egemonico. In un sistema pluralista nessuna delle istituzioni è in grado di<br />

dominare culturalmente le altre; un sistema egemonico è invece un sistema in cui<br />

la cultura e i valori caratteristici di un’istituzione si impongono anche sulla cultura<br />

e i valori delle altre istituzioni. 477 La tesi di Dugger è che nelle società occidentali<br />

Secondo Koestler la mente umana deve essere concepita come una struttura gerarchica strutturata<br />

su più livelli di coscienza, il che porta a rigettare la dicotomia razionalità-irrazionalità dei<br />

comportamenti umani: ogni comportamento è allo stesso tempo razionale e irrazionale, in quanto<br />

prodotto dall’interazione di gradi diversi di coscienza. Come ulteriori linee di approfondimento in<br />

merito alla compresenza di gradi diversi di coscienza e di deliberazione nella determinazione<br />

dell’azione umana Hodgson (1988, capp. 5-6) indica i contributi di Searle, Giddens, Oakeshott e<br />

M. Polanyi.<br />

475 Come argomentazioni empiriche Hodgson utilizza i risultati di alcuni esperimenti di psicologia<br />

sociale. Due risultati significativi in tale direzione sono ottenuti da Asch (1952) e Milgram (1974)<br />

i quali dimostrano rispettivamente che esistono fenomeni (1) di omologazione da parte<br />

dell’individuo alle decisioni prese da una larga maggioranza di individui anche nei casi in cui tali<br />

decisioni riflettano opinioni manifestamente errate e (2) di rispetto dell’autorità e della legge anche<br />

in casi in cui venga meno l’ottimalità dei comportamenti leciti da un punto di vista puramente<br />

utilitaristico.<br />

476 Gli studi sociologici e antropologici dimostrano che anche se la realtà esterna all’individuo<br />

esiste indipendentemente dalla cognizione che l’individuo ha di essa, l’immagine che l’individuo<br />

si forma del mondo esterno è necessariamente il risultato di una costruzione sociale. I contributi<br />

sociologici a cui si ispira Hodgson (1988) sono quelli sviluppati da Lloyd, Luckmann, Douglas,<br />

McLeod, Chaffee e Spradley. Per quanto riguarda i contributi derivanti dalle relazioni tra<br />

economia e antropologia Hodgson ricorda ad esempio l’analisi di Steedman (1980) in cui si<br />

discute l’importanza economica del linguaggio: il linguaggio, come gli altri aspetti simbolici dei<br />

processi cognitivi, è un fenomeno di natura sociale che influenza i risultati stessi dei processi<br />

decisionali individuali.<br />

477 Secondo Dugger (1994a) l’analisi dei rapporti di <strong>potere</strong> tra le varie istituzioni non solo permette<br />

di approfondire i meccanismi evolutivi del sistema <strong>economico</strong> ma ha anche implicazioni sul fronte<br />

dell’analisi valutativa delle strutture organizzative: in un sistema pluralista, quando i valori su cui<br />

276


(in particolare, negli Stati Uniti) vi sia una tendenza all’egemonia culturale<br />

dell’impresa. Il problema dell’evoluzione dei modelli interpretativi e dei sistemi<br />

di valori è quindi, per Dugger, quello di individuare i fenomeni da cui dipende il<br />

processo di convergenza verso un modello culturale egemonico (e, in particolare, i<br />

fenomeni che producono la convergenza verso i valori dell’impresa). 478 L’analisi<br />

di Dugger dei meccanismi evolutivi del sistema culturale, come egli stesso<br />

riconosce, non intende risolvere il problema dei rapporti tra istituzioni, cultura e<br />

valori; l’obiettivo è piuttosto quello di dare sviluppo sistematico ai diversi<br />

contributi apportati dai fondatori della scuola istituzionalista all’analisi delle<br />

relazioni tra evoluzione culturale e comportamenti individuali.<br />

Un punto di riferimento nell’ambito dell’indagine istituzionalista sul ruolo<br />

della cultura nella determinazione dei comportamenti individuali è costituito<br />

dall’analisi di Veblen delle motivazioni sociali del consumo. Secondo Veblen<br />

(1899) le motivazioni del consumo nelle società capitalistiche non devono essere<br />

ricercate nella lotta per la sopravvivenza o nella ricerca di alti livelli di utilità<br />

soggettiva; il consumo è invece un fenomeno sociale attraverso il quale gli<br />

individui sfoggiano la propria ricchezza e rivelano il proprio status. I consumatori<br />

adottano, secondo Veblen, comportamenti emulativi volti non solo alla<br />

soddisfazione dei propri bisogni ma anche a soddisfare quei bisogni che essi<br />

vedono soddisfatti negli individui con determinati tipi di consumo. Veblen rigetta<br />

dunque l’analisi del consumo come fenomeno puramente individuale spiegabile a<br />

si basano le varie istituzioni entrano in contrasto fra loro, l’individuo viene posto di fronte ad un<br />

problema profondo di scelta attraverso il quale egli matura e sviluppa le proprie capacità di<br />

pensiero autonomo. Nei sistemi egemonici viceversa l’intero sistema istituzionale rinforza valori<br />

emanati da un’unica istituzione dominante; in tali condizioni l’individuo è posto solo raramente di<br />

fronte a conflitti profondi in grado di porre in discussione il proprio modo di interpretare la realtà e<br />

il proprio sistema di valori. In un sistema egemonico dunque, secondo Dugger, venendo meno le<br />

occasioni per l’individuo di porre in discussione se stesso e le istituzioni del sistema socio<strong>economico</strong>,<br />

i processi di maturazione dell’individuo risultano ostacolati se non, per certi aspetti,<br />

impediti, il che costituisce un fatto negativo rispetto ai giudizi di valore di Dugger.<br />

478 Dugger (1994a, pp. 93-5) individua quattro fenomeni a fondamento del processo di<br />

convergenza verso i valori dell’impresa: l’emulazione, la contaminazione, la subordinazione e la<br />

mistificazione. L’emulazione rappresenta il continuo perseguimento di uno status superiore alle<br />

proprie possibilità. Essa si compone di imitazione ed invidia ed è, secondo Dugger, un fenomeno<br />

emanato dai valori della moderna impresa le cui regole interne si basano proprio sull’affermazione<br />

anche simbolica dello status. La contaminazione è definita dall’estensione di valori tipici di<br />

un’istituzione a istituzioni che, per natura e ruolo sociale, dovrebbero averne altri (un tipico<br />

esempio è la supremazia del principio aziendale di efficienza come mis ura del valore in istituzioni<br />

dei settori della sanità, dell’istruzione e dell’assistenza sociale). La subordinazione è costituita<br />

dall’assoggettamento di determinate istituzioni ai valori imposti dall’istituzione egemonica (la<br />

tendenza a subordinare il problema degli insegnamenti scolastici alle esigenze industriali è,<br />

secondo Dugger, un esempio in questo senso). La mistificazione è invece costituita da una<br />

confusione simbolica operata intenzionalmente per esportare i valori caratteristici di un’istituzione<br />

in istituzioni con sistemi di valori diversi (ad esempio, l’assegnazione di simboli con valenza<br />

morale positiva -la pace, l’amore, ecc.- ad iniziative che di fatto vanno in direzione opposta).<br />

277


partire dall’ipotesi di preferenze date e l’analizza invece come fenomeno sociale<br />

determinato da fattori culturali e istituzionali.<br />

Nell’ambito del progetto interdisciplinare della scuola istituzionalista<br />

un’importante linea di indagine è sviluppata dagli studi della scuola<br />

comportamentale. 479 Fondamentali in tal senso sono i contributi di Simon. Uno<br />

dei contributi rilevanti dal punto di vista dello schema di CCPE è costituito dal<br />

modello comportamentale a soglie di soddisfazione dinamiche. 480 Secondo tale<br />

modello il comportamento del decisore piuttosto che basarsi su una funzione<br />

d’utilità ad un solo valore, come nel caso neoclassico, si basa su un vettore di payoff<br />

le cui componenti variano all’interno di insiemi ristretti (ad esempio<br />

nell’insieme dicotomico soddisfacente-insoddisfacente); il decisore simoniano<br />

non analizza i trade-off tra le variabili rilevanti, bensì esamina differenti soluzioni<br />

decisionali finché un’azione non produce risultati soddisfacenti dal punto di vista<br />

del vettore di pay-off utilizzato. Gli stessi insiemi che definiscono i risultati come<br />

soddisfacenti o insoddisfacenti variano inoltre nel tempo per effetto<br />

dell’apprendimento del decisore circa la realizzabilità degli obiettivi di volta in<br />

volta fissati. Nello schema di Simon dunque il processo di definizione degli<br />

obiettivi risulta endogenizzato nell’ambito dello schema decisione individuale -<br />

interazione sociale: la definizione degli obiettivi è influenzata dal processo di<br />

interazione sociale (o di interazione con l’ambiente esterno) nel quale l’individuo<br />

apprende le condizioni di realizzabilità dei piani e, quindi, i principi stessi di<br />

definizione degli obiettivi. 481<br />

Un importante contributo della scuola comportamentale riguarda l’analisi<br />

dei comportamenti abitudinari e di routine che si sviluppano per effetto<br />

dell’influenza delle istituzioni sui processi cognitivi individuali e sulle procedure<br />

479 Earl (1988a) individua quattro scuole nell’ambito dell’economia comportamentale: (1) la scuola<br />

di Carnegie i cui autori più significativi sono Cyert, March e Simon e la cui attenzione si concentra<br />

sulla razionalità limitata, il principio di soddisfazione e le simulazioni al computer dei<br />

comportamenti degli individui e delle organizzazioni (al di fuori dell’università di Carnegie, gli<br />

sviluppi più importanti di tale approccio sono quelli di Nelson e Winter a Yale); (2) la scuola del<br />

Michigan, il cui esponente più significativo è Katona, il quale sviluppa maggiormente i legami con<br />

le indagini psicologiche; (3) la scuola di Oxford, cui appartengono Richardson, Shackle e<br />

Andrews, che sviluppa gli aspetti problematici relativi all’incertezza nella definizione delle<br />

strategie comportamentali individuali e delle organizzazioni; (4) la scuola di Stirling, di cui fanno<br />

parte Earl, Kay e Loasby, caratterizzata da un atteggiamento eclettico nei confronti delle altre<br />

scuole comportamentali. Per una raccolta di contributi significativi per lo sviluppo dell’approccio<br />

comportamentale all’economia si veda Earl (1988b).<br />

480 Simon (1957).<br />

481 La teoria di Simon si basa su uno stretto rapporto tra psicologia ed economia e fa tesoro di una<br />

serie di esperimenti di psicologia sociale. I benefici reciproci per le scienze economiche e<br />

psicologiche derivanti dalle indagini nel territorio di confine tra le due discipline sono discussi in<br />

Simon (1959).<br />

278


decisionali delle organizzazioni. 482 I modi in cui le abitudini e le routine vengono<br />

acquisite possono essere diversi. Nel caso dell’individuo, si tratta spesso di<br />

fenomeni di imitazione che non si realizzano necessariamente a livello cosciente;<br />

l’imitazione è infatti un fenomeno interiorizzato dall’individuo ed è perciò, in<br />

parte, sottratta alla sfera pienamente cosciente dei processi decisionali. Inoltre,<br />

indipendentemente dalla loro misura deliberativa, il fatto stesso che gli atti ripetuti<br />

tendano ad essere routinizzati diminuisce la sfera del calcolo razionale<br />

ottimizzante. 483 Secondo la teoria comportamentale, la diffusione di<br />

comportamenti routinari sia a livello individuale, sia a livello delle organizzazioni,<br />

dipende anzi proprio dall’automatismo decisionale che essi producono e dal fatto<br />

che essi riducono il grado di deliberazione nei processi decisionali. I<br />

comportamenti routinari hanno peraltro importanti implicazioni dal punto di vista<br />

sociale in quanto rappresentano un fattore di coordinamento nel processo di<br />

interazione tra gli individui: il comportamento routinario di un agente diminuisce<br />

infatti l’incertezza nel processo di formulazione dei piani degli altri agenti e<br />

riduce così il grado di indeterminatezza del processo di interazione sociale.<br />

Un ultimo aspetto dell’apertura interdisciplinare della scuola<br />

istituzionalista sul quale ci soffermiamo è costituito dalla distinzione operata<br />

all’interno dell’analisi dei sistemi di valori, tra preferenze e bisogni. 484 Oltre alle<br />

componenti soggettive espresse nelle relazioni di preferenze dell’individuo, i<br />

valori guida dell’azione umana dipendono, secondo gli economisti istituzionalisti,<br />

dai bisogni oggettivi. Nella nuova destra, le assunzioni soggettiviste tendono a far<br />

coincidere il problema dei valori col problema delle preferenze. Secondo Hodgson<br />

(1988), al contrario, i bisogni devono essere tenuti distinti dalle preferenze in<br />

quanto essi, a differenza delle preferenze, costituiscono un dato oggettivo e<br />

universalizzabile (nel senso che essi sono validi per qualsiasi individuo posto in<br />

determinate condizioni). Esistono diverse definizioni del concetto di bisogno e<br />

diverse teorie che ne studiano le implicazioni sul comportamento umano. 485 In<br />

campo <strong>economico</strong> sono le analisi degli autori classici, di Marx e di Menger a<br />

sviluppare il problema dei bisogni. Oltre a tali teorie Hodgson individua nelle<br />

482<br />

Cyert and March (1963), Nelson and Winter (1982). Per una rassegna introduttiva si veda<br />

Nelson (1994).<br />

483<br />

In alcuni casi, osserva Hodgson (1988, p. 127), i comportamenti di routine possono generarsi<br />

tramite fenomeni di inerzia successivi ad un atto deliberativo di scelta cosciente.<br />

484<br />

La distinzione tra bisogni e preferenze evoca il diverso approccio della scuola classica e delle<br />

scuole originate dalla svolta marginalista. La doppia associazione teoria marginalista-analisi delle<br />

preferenze e teoria classica-analisi dei bisogni è tuttavia imprecisa. Ad esempio, l’analisi<br />

marginale di Menger (1871) si sviluppa proprio a partire da una classificazione gerarchica dei<br />

bisogni. Hodgson (1988, p. 247) nota al riguardo come sia singolare che nonostante Menger sia<br />

unanimemente riconosciuto come il fondatore della teoria austriaca, la sua analisi dei bisogni non<br />

abbia trovato sviluppi tra gli economisti della scuola moderna.<br />

485<br />

Una rassegna dei contributi alla teoria dei bisogni è presentata da Gough (1994).<br />

279


indagini antropologiche e psicologiche utili apporti analitici. 486 In particolare,<br />

Hodgson utilizza i contributi di Doyal e Gough (1991) dai quali deriva il principio<br />

dell’universalità di alcuni bisogni fondamentali e la necessità di costruire una<br />

teoria dei bisogni di tipo oggettivo. L’idea è quella che esistano dei bisogni<br />

universali (essenzialmente quelli che definiscono le condizioni per la<br />

sopravvivenza e la salute psico-fisica), la soddisfazione dei quali fa da<br />

precondizione per il soddisfacimento di tutti gli altri bisogni (compresi quelli<br />

culturalmente e istituzionalmente connotati). A giudizio di Hodgson (1988, p.<br />

249) i contributi interdisciplinari alla teoria dei bisogni generano un certo<br />

ottimismo sugli sviluppi futuri di tale campo di indagine. Ciò ha interessanti<br />

implicazioni dal punto di vista dello schema di CCPE, in quanto l’analisi dei<br />

bisogni (delle loro determinanti e dei loro effetti sul processo di formulazione dei<br />

piani) entra, insieme all’analisi delle preferenze, nella discussione del processo di<br />

formulazione dei piani e occupa perciò un posto di rilievo nell’ambito dei rapporti<br />

tra l’evoluzione dei sistemi di valori e le caratteristiche del processo di interazione<br />

sociale.<br />

Analizziamo ora l’impostazione marxiana del problema dei modelli interpretativi<br />

e dei valori.<br />

In Marx i rapporti tra il <strong>potere</strong> <strong>economico</strong> e i quattro elementi base del<br />

processo di formulazione dei piani (informazione, modelli interpretativi,<br />

immaginazione e valori) sono analizzati in modo organico e unitario. Nella teoria<br />

marxiana il <strong>potere</strong> <strong>economico</strong> è legato a fattori materiali. È la proprietà dei mezzi<br />

di produzione l’elemento che definisce la distinzione in classi e i ruoli sociali di<br />

queste nel processo di produzione e distribuzione. L’appartenenza ad una classe<br />

sociale, oltre a determinare i sistemi di vincoli oggettivi nell’ambito dei quali<br />

prendono forma le scelte individuali (di cui si è già detto a proposito del problema<br />

informativo), influenza gli aspetti soggettivi dei processi decisionali individuali.<br />

Dato il carattere unitario dell’analisi marxiana dei rapporti tra il <strong>potere</strong> <strong>economico</strong><br />

e gli elementi base del processo di formulazione dei piani, la separazione degli<br />

aspetti oggettivi e soggettivi nella discussione del contributo marxiano all’analisi<br />

del processo di formulazione dei piani ha scopo solo espositivo.<br />

486 Un contributo in tal senso è quello sviluppato da Maslow (1970), il quale costruisce una teoria<br />

dei bisogni basata su una classificazione gerarchica degli stessi: partendo dai livelli più bassi della<br />

gerarchia si incontrano prima i bisogni fisiologici (aria, acqua, cibo, ecc.), poi quelli materiali<br />

(sicurezza, tranquillità, stabilità, ecc.) e sociali (amore, affetto, stima, ecc.) e, infine quelli di<br />

realizzazione dell’individuo (la verità, il senso della vita). La teoria di Maslow afferma che il<br />

comportamento dell’individuo è motivato dalle pulsioni derivanti dai bisogni essenziali e poi via<br />

via da quelli superiori e che le preferenze assumono rilevanza solo all’interno di un dato livello<br />

gerarchico dei bisogni. Nonostante il contributo alla teoria dei bisogni, l’analisi di Maslow offre il<br />

fianco alla critica di Gough (1994) secondo cui la derivazione dei comportamenti umani dai<br />

bisogni (anche se gerarchicamente ordinati) banalizza il problema della scelta individuale<br />

rendendola funzionalmente dipendente dai bisogni.<br />

280


L’endogenizzazione dei modelli interpretativi e dei sistemi di valori è<br />

sviluppata da Marx nella teoria dei rapporti tra struttura e sovrastrutture. 487<br />

L’ossatura dell’argomentazione marxiana consiste nell’individuare nella struttura<br />

dei rapporti materiali di produzione -la quale definisce gli spazi delle decisioni<br />

degli individui ed è perciò parte della definizione del set informativo- la<br />

determinante fondamentale (sebbene non per questo la sola) delle sovrastrutture<br />

politiche, culturali e ideologiche le quali influiscono sui valori e i modelli<br />

interpretativi degli individui. Nella teoria marxiana non si nega la libera volontà<br />

dell’individuo nei processi decisionali; tuttavia si afferma che le scelte individuali<br />

sono influenzate da un insieme di fattori quali il sistema istituzionale,<br />

l’educazione, la cultura e i valori socialmente dominanti, che dipendono, a loro<br />

volta, dai rapporti di produzione. L’azione individuale è dunque cosciente, ma la<br />

coscienza umana è ricondotta alla funzione sociale degli individui, ossia ai<br />

rapporti materiali di produzione, i quali sono economicamente necessari e<br />

indipendenti dalla volontà dell’individuo.<br />

« Il modo di produzione della vita materiale condiziona, in generale, il processo<br />

sociale, politico e spirituale della vita. Non è la coscienza degli uomini che<br />

determina il loro essere, ma è, al contrario, il loro essere sociale che determina la<br />

loro coscienza ». 488<br />

Anche se l’individuo definisce i propri obiettivi e formula i propri i piani in modo<br />

autonomo e deliberativo secondo la propria coscienza individuale, il processo di<br />

formulazione dei piani risulta quindi condizionato dalla natura sociale dei rapporti<br />

interpersonali necessari alla riproduzione economica del sistema, i quali<br />

determinano la sovrastruttura giuridica, politica e ideologica nell’ambito della<br />

quale si forma la coscienza stessa dell’individuo.<br />

L’ideologia prevalente, secondo l’analisi marxiana, è quella della classe<br />

dominante. Oltre all’ideologia prevalente, in ogni modo di produzione, convivono<br />

ideologie minori: ogni classe sociale ha la propria ideologia e il proprio sistema di<br />

valori che si intrecciano con quelli egemonici della classe dominante, pur senza<br />

essere completamente annullati da questi ultimi. L’evoluzione dell’ideologia oltre<br />

che dai rapporti di classe è influenzata da fattori diversi quali l’inerzia sociale e<br />

l’iniziativa politica. Tali fattori, combinandosi con l’evoluzione dei rapporti<br />

materiali di produzione, definiscono i sistemi di valori sulla base dei quali, nei<br />

diversi periodi storici, prendono forma i processi decisionali individuali.<br />

Dal punto di vista dello schema di CCPE, l’analisi marxiana tocca diversi<br />

aspetti del processo sequenziale « formulazione dei piani individuali - interazione<br />

tra gli individui ». Una volta formulati i piani individuali, nell’ambito di una data<br />

struttura di rapporti di produzione, sono i principi di <strong>competizione</strong> ex post e <strong>potere</strong><br />

<strong>economico</strong> che definiscono le forme dell’interazione economica tra gli individui;<br />

487 Marx (1859, [1971, prefazione]).<br />

488 Marx (1859, [1971, p. 5]).<br />

281


l’interazione economica, a sua volta, primo, modifica i rapporti di <strong>potere</strong> tra gli<br />

agenti nell’ambito della struttura e, secondo, determina le sovrastrutture politiche,<br />

ideologiche e giuridiche (le quali, a loro volta, definiscono il contesto all’interno<br />

del quale prendono forma i processi decisionali individuali). Nel processo di<br />

definizione dei piani individuali dunque i principi di coordinamento, <strong>competizione</strong><br />

ex ante e <strong>potere</strong> <strong>economico</strong> intervengono sia attraverso le relazioni all’interno<br />

della struttura, sia attraverso gli effetti sulle sovrastrutture: gli effetti<br />

dell’interazione sociale sulla struttura modificano i rapporti materiali di<br />

produzione e, dunque, i vincoli oggettivi dei processi decisionali individuali<br />

(definiti nel set informativo); gli effetti sulla sovrastruttura modificano invece i<br />

sistemi di valori e i modelli interpretativi su cui si basano le libere scelte degli<br />

individui, generando, a livello sociale, modelli culturali ed ideologici dominanti e<br />

minoritari, e forme diverse di conformismo culturale e comportamentale.<br />

Sebbene la questione della compatibilità tra gli approcci marxiano e<br />

istituzionalista sia complessa e articolata, riteniamo che il problema dei rapporti<br />

tra elementi oggettivi e soggettivi del processo di formulazione dei piani possa<br />

essere coerentemente affrontato utilizzando i contributi all’indagine sull’origine<br />

dei modelli interpretativi e dei valori sviluppati lungo le linee definite da entrambe<br />

le scuole. Enfatizzando aspetti diversi dei meccanismi di evoluzione giuridica,<br />

culturale e ideologica, sia la scuola marxiana che la scuola istituzionalista<br />

stabiliscono infatti un legame tra processi cognitivi individuali e ambiente<br />

istituzionale. Ed è proprio tale legame che rende coerenti il carattere soggettivo<br />

della libera scelta individuale e il carattere oggettivo delle sue determinanti<br />

sociali.<br />

L’apertura verso discipline che gli esponenti dell’individualismo<br />

metodologico definiscono estranee alla sfera d’indagine economica è perciò, a<br />

nostro avviso, necessaria al superamento del problema dei rapporti tra elementi<br />

oggettivi e soggettivi dei processi decisionali individuali. L’interdipendenza tra i<br />

fattori da cui dipendono l’evoluzione dei modelli interpretativi e dei valori<br />

suggerisce infatti di allargare i confini delle singole discipline e soprattutto di<br />

approfondire le loro relazioni reciproche. Ciò dovrebbe, secondo noi, portare a<br />

rimettere in discussione la stessa compartimentalizzazione delle scienze sociali<br />

definita dagli economisti dell’individualismo metodologico. 489<br />

489 Una posizione emblematica al riguardo è quella di Hayek (1949) secondo il quale il problema<br />

di spiegare l’azione umana non può essere affrontato nell’ambito dell’economia o delle scienze<br />

sociali in genere, ma deve essere discusso, nei limiti in cui ciò sia possibile, solo in campo<br />

psicologico. Hodgson (1988, pp. 60-1) nota in proposito come sia curioso che lo stesso Hayek<br />

fornisca in altri scritti contributi importanti proprio allo studio della neuropsicologia ma rifiuti di<br />

stabilire un ponte con i suoi studi in materia economica.<br />

282


(3) L’INTERAZIONE TRA GLI INDIVIDUI. Nelle teorie della nuova destra l’analisi<br />

dell’interazione tra gli individui è trattata in forma estremamente semplificata,<br />

chiamando in causa il carattere naturale e universale dei rapporti competitivi tra<br />

gli individui. Le caratteristiche stesse della <strong>competizione</strong> non sono peraltro<br />

approfondite lasciando intendere, pur senza esplicitarlo, un discorso di pari<br />

opportunità nello svolgimento della <strong>competizione</strong>. Nello schema di CCPE<br />

viceversa, il <strong>potere</strong> <strong>economico</strong> viene individuato come un fattore che influenza lo<br />

svolgimento della <strong>competizione</strong> (e l’interazione sociale in genere) e i risultati che<br />

da essa scaturiscono.<br />

Diversi aspetti problematici del ruolo del <strong>potere</strong> <strong>economico</strong> sul processo di<br />

interazione tra gli individui sono stati già ricordati a proposito dell’analisi dei<br />

fattori che intervengono nel processo di formulazione dei piani (sull’evoluzione<br />

del set informativo, dei modelli interpretativi e dei sistemi di valori): la relazione<br />

che le teorie istituzionalista e marxiana stabiliscono tra i contenuti sociali delle<br />

scelte individuali e i risultati economici di tali scelte passa infatti per l’analisi<br />

delle forme di interazione sociale tra gli individui nel sistema capitalista.<br />

Soffermiamoci dunque solo sugli aspetti rilevanti del problema del <strong>potere</strong><br />

<strong>economico</strong> specifici del processo di interazione tra gli individui.<br />

Il problema centrale può essere individuato nei rapporti tra sistema legale e<br />

sistema <strong>economico</strong>. 490 Il sistema legale definisce le regole di svolgimento della<br />

<strong>competizione</strong> e, in generale, dell’interazione tra gli individui e stabilisce quindi il<br />

tipo di relazioni (di <strong>potere</strong>) tra gli agenti economici. Diversi sistemi di regole<br />

definiscono diverse relazioni di <strong>potere</strong> nel sistema <strong>economico</strong> e producono effetti<br />

diversi sui risultati economici dell’interazione sociale. Il sistema legale a sua volta<br />

risulta influenzato dai risultati dell’interazione economica in quanto questa<br />

modifica la struttura del <strong>potere</strong> <strong>economico</strong> e, con ciò, il tipo di pressioni che il<br />

sistema <strong>economico</strong> esercita sul sistema legale. 491<br />

Un aspetto del sistema legale rilevante dal punto di vista <strong>economico</strong> è<br />

rappresentato, secondo le scuole marxiana e istituzionalista, dalla struttura dei<br />

diritti di proprietà. I diritti di proprietà costituiscono una forma di <strong>potere</strong> in quanto<br />

conferiscono agli agenti la capacità di intraprendere determinate azioni, in<br />

determinate condizioni e circostanze. 492 Essi, a loro volta sono creati ed evolvono<br />

attraverso l’esercizio del <strong>potere</strong>. L’analisi del ruolo del <strong>potere</strong> nell’interazione tra<br />

gli individui evidenzia quindi meccanismi cumulativi che conferiscono al <strong>potere</strong><br />

stesso un carattere autorinforzante. Da una parte la proprietà conferisce <strong>potere</strong><br />

<strong>economico</strong>; dall’altra, il <strong>potere</strong> <strong>economico</strong> influenza la capacità di generare<br />

reddito, modificando così la distribuzione dei diritti di proprietà nel corso del<br />

490 Per una selezione dei contributi della scuola istituzionalista allo studio dei rapporti tra legge ed<br />

economia si veda Samuels and Schmid (Ed.) (1981).<br />

491 Cf. Samuels (1988a, 1994).<br />

492 Bartlett (1994, p. 171).<br />

283


processo di interazione sociale. 493 L’istituzione della proprietà privata, quindi,<br />

oltre che condizione necessaria al funzionamento del mercato, condiziona i<br />

risultati distributivi del processo di interazione capitalistica. Il fatto che il sistema<br />

capitalista non possa operare senza la definizione dei diritti (privati) di proprietà<br />

(o, meglio, senza la definizione di un sistema di regole riconosciuto come valido)<br />

implica che il problema -centrale nell’analisi dell’interazione tra gli individui-<br />

dell’intervento o del non intervento dello Stato nell’economia risulti mal posto.<br />

L’esistenza di diritti di proprietà è di per sé un intervento, il quale implica una<br />

certa distribuzione tra gli individui dei costi e dei benefici dell’interazione sociale;<br />

il problema del cambiamento della struttura dei diritti di proprietà riguarda<br />

dunque solo la scelta tra continuare ad utilizzare una certa struttura distributiva dei<br />

costi e benefici sociali o cambiare la struttura della stessa. 494<br />

Un’analisi sistematica degli effetti del <strong>potere</strong> <strong>economico</strong> nel processo di<br />

interazione tra gli individui deve allora passare per l’approfondimento degli effetti<br />

della proprietà (più in generale, del sistema legale) sul <strong>potere</strong> <strong>economico</strong> e degli<br />

effetti del <strong>potere</strong> <strong>economico</strong> sulla distribuzione della proprietà. Ma il <strong>potere</strong><br />

<strong>economico</strong> oltre a modificare la proprietà, dato il sistema di regole, può essere<br />

esercitato per modificare le regole stesse dell’interazione sociale. L’analisi<br />

separata del sistema <strong>economico</strong> e del sistema legale in cui non si tiene conto delle<br />

loro interrelazioni nell’ambito del processo di interazione tra gli individui non è<br />

allora granché utile. Il problema è invece quello di analizzare il sistema<br />

<strong>economico</strong> come un sistema di <strong>potere</strong> che interagisce col sistema legale.<br />

Il sistema legale definisce i vincoli nel rispetto dei quali si realizzano le<br />

scelte economiche (volontarie) e i processi di interazione sociale; i processi legali,<br />

a loro volta sono influenzati dai processi economici (in particolare sono posti sotto<br />

pressione dagli interessi privati dei gruppi di <strong>potere</strong> <strong>economico</strong>). 495 Nelle<br />

tradizioni marxiana e istituzionalista lo studio delle relazioni tra sistema legale e<br />

sistema <strong>economico</strong> è sviluppato analizzando le istituzioni giuridiche sia come<br />

centri di <strong>potere</strong> che definiscono le regole del sistema <strong>economico</strong>, sia come attori<br />

del sistema <strong>economico</strong>. Le istituzioni giuridiche a loro volta rappresentano l’arena<br />

nell’ambito della quale i centri di <strong>potere</strong> <strong>economico</strong> (e non solo) si confrontano<br />

portando a ridefinire continuamente la struttura stessa del sistema legale.<br />

L’introduzione esplicita del <strong>potere</strong> <strong>economico</strong> nel processo di interazione<br />

tra gli individui e l’analisi esplicita dei legami tra sistema <strong>economico</strong> e sistema<br />

legale oltre a modificare il quadro analitico proposto dagli economisti della nuova<br />

493 Per un’analisi degli effetti della proprietà sulla distribuzione del reddito, cf. Preiser (1952).<br />

494 Samuels (1971, p. 441) nota come il problema della continuità o del cambiamento oltre che<br />

riguardare le caratteristiche astratte del processo di interazione tra gli individui, riguardi la<br />

struttura dei privilegi tra precisi gruppi di individui distinti in base al loro diverso <strong>potere</strong><br />

<strong>economico</strong> e alle loro diverse vie d’accesso al processo di definizione delle regole.<br />

495 Un’interessante case study per l’analisi delle relazioni di dipendenza cumulativa tra sistema<br />

<strong>economico</strong> e sistema legale è discusso da Samuels (1971).<br />

284


destra evidenzia la non neutralità dei loro criteri normativi. Il criterio neoclassico<br />

di Pareto, assumendo per dato il sistema legale, implica il diritto di veto da parte<br />

di ciascun individuo rispetto alle ipotesi di cambiamento. 496 Esso afferma dunque<br />

il diritto al mantenimento dei privilegi istituiti su basi legali, il che, se si assume<br />

che gli agenti siano opportunisti, implica l’impossibilità di una ridiscussione della<br />

struttura legale dei privilegi e dei diritti e doveri acquisiti. 497 Il criterio normativo<br />

austriaco di ordine non è meno di parte: qualsiasi intervento giuridico che ostacoli<br />

il diritto degli individui di perseguire liberamente i propri interessi economici è<br />

considerato inaccettabile. Anche in questo caso l’assunzione di un sistema legale<br />

dato esclude la possibilità di analizzare le vie per modificare, su basi di diritto, le<br />

ineguaglianze economiche, il che implica che queste ultime non possano essere<br />

oggetto di analisi normativa.<br />

Il divieto metodologico di analisi delle interrelazioni tra processo<br />

<strong>economico</strong> e processo legale nell’analisi normativa della nuova destra conduce<br />

quindi all’ovvio risultato di apologia dello status quo e di difesa degli interessi dei<br />

gruppi di <strong>potere</strong> economicamente e legalmente più forti. Come abbiamo notato,<br />

inoltre, l’ipotesi che il sistema legale sia dato impedisce anche di investigare, sul<br />

fronte dell’analisi positiva, i processi cumulativi di evoluzione delle strutture di<br />

<strong>potere</strong>. La nostra conclusione è quindi che l’economista che assume per dato il<br />

sistema legale non solo si priva della possibilità di comprendere e valutare<br />

l’origine e l’evoluzione della struttura dei privilegi, ma ha anche scarse possibilità<br />

di rendere intelligibili i processi economici.<br />

9.5. Convergenza, stabilità e desiderabilità del<br />

processo di mercato<br />

Come esempio applicativo dello schema di CCPE esaminiamo i problemi della<br />

stabilità istituzionale e della desiderabilità-efficienza del sistema di mercato.<br />

Rispetto all’impostazione della nuova destra, lo schema di CCPE risulta<br />

sufficiente a modificare l’impostazione stessa (1) del problema di spiegazione<br />

della relativa stabilità delle dinamiche sociali e dell’evoluzione istituzionale e (2)<br />

del problema di valutazione delle strutture organizzative.<br />

La nostra scelta di lavorare sul contesto decisionale (c) impedisce un<br />

confronto diretto con le tesi neoclassiche e neoistituzionaliste le quali derivano<br />

dall’assunzione di contesti decisionali (a-b). Viceversa gli elementi di tipo (c)<br />

496 Pagano (1995) osserva come all’interno dell’approccio neoclassico, l’ipotesi che il sistema<br />

legale sia dato e perfetto, impedisca lo studio delle necessarie complementarità tra scienze<br />

economiche e scienze giuridiche e porti inevitabilmente a tessere le lodi del mercato.<br />

497 Proudhon (1840, [1967, cap. 2]) in proposito notava criticamente come la natura stessa del<br />

diritto di proprietà sia in sé incompatibile con i diritti di libertà, uguaglianza e sicurezza.<br />

285


introdotti dagli economisti austriaci, per quanto insufficienti ai fini della<br />

definizione di un contesto decisionale internamente coerente, consentono un<br />

confronto tra la visione austriaca del processo di mercato e la visione derivata<br />

dallo schema proposto basato sull’assunzione di un contesto decisionale<br />

interamente di tipo (c). Al fine di precisare le modificazioni che si introducono nel<br />

passaggio da un contesto decisionale a cavallo tra (a-b) e (c) ad un contesto<br />

decisionale interamente (c) assumiamo l’analisi austriaca del processo di mercato<br />

come base di partenza.<br />

Nella teoria austriaca (eccezion fatta per Lachmann) la convergenza del<br />

mercato assume i caratteri di una constatazione fattuale. Come si deve<br />

interpretare, allora, l’osservazione empirica, ad esempio di Kirzner (1992, p. 60),<br />

secondo cui « il mercato funziona »?<br />

Suggeriamo due risposte: (1) l’osservazione della realtà suggerisce agli<br />

economisti austriaci che il sistema di mercato offra a ciascun individuo<br />

l’opportunità di soddisfare sufficientemente bene i propri bisogni e rispettare le<br />

proprie preferenze; (2) l’osservazione della realtà mostra un’alta capacità di<br />

sopravvivenza del sistema capitalista, il quale, attraverso il processo di mercato,<br />

evolve pur mantenendo intatti i presupposti capitalistici delle relazioni sociali.<br />

Il primo tipo di risposta susciterebbe probabilmente l’immediata reazione<br />

di economisti di aree diverse (e di persone non necessariamente esperte di<br />

economia) secondo cui l’osservazione della realtà mostra l’esatto contrario, ossia<br />

che nel sistema di mercato tanti e tanti individui sono privati delle condizioni<br />

oggettive necessarie a soddisfare i loro bisogni, anche quelli primari. D’altra parte<br />

se è in tal senso che si intende il significato dell’espressione « il mercato<br />

funziona » è ovvio che il fatto stesso che per alcuni funzioni e per altri non<br />

funzioni, significa che il mercato non funziona. 498<br />

Il secondo tipo di risposta fa venir meno ogni riferimento alla<br />

desiderabilità: il fatto che il mercato funziona significa semplicemente che il<br />

sistema di mercato, a differenza di altre strutture organizzative, finora non si è<br />

estinto e, anzi, appare in continua espansione. È in questo secondo senso (secondo<br />

il quale la convergenza del processo di mercato non ha niente a che fare con la<br />

desiderabilità del capitalismo) che il progetto austriaco di rendere intelligibili i<br />

meccanismi del mercato è particolarmente interessante. Ci proponiamo allora di<br />

utilizzare lo schema di CCPE per approfondire il problema della convergenza del<br />

processo di mercato e per precisare gli elementi analitici che ci allontanano<br />

dall’interpretazione austriaca.<br />

498 Se vale l’interpretazione secondo cui il mercato permette la soddisfazione dei bisogni e delle<br />

preferenze degli individui, l’individuazione di due schiere di individui divisi dalla loro opinione<br />

sul funzionamento del mercato è sufficiente a dimostrare che il mercato non soddisfa i bisogni e le<br />

preferenze di tutti gli individui. Ciò potrebbe inoltre suggerire l’interpretazione che i sostenitori<br />

del mercato siano giusto coloro che hanno il privilegio di vedere realizzate le proprie preferenze<br />

grazie al sistema di mercato.<br />

286


Consideriamo lo schema austriaco del processo di mercato rappresentato<br />

nella figura 9.8.<br />

Figura 9.8. PROCESSO DI MERCATO AUSTRIACO<br />

A.1. Informazione A.2. Modelli A.3. Immaginazione<br />

interpretativi<br />

Competizione<br />

Ex post<br />

B.1. Conoscenza B.2. Aspettative<br />

C. Piani<br />

Interazione individui<br />

A.1. Informazione A.2. Modelli A.3. Immaginazione<br />

interpretativi<br />

In esso si fondono lo schema di <strong>competizione</strong> ex post (figura 9.1, in ipotesi di<br />

incompatibilità ex ante dei piani) e lo schema austriaco 499 di formulazione dei<br />

piani (figura 9.5).<br />

L’analisi austriaca dell’interazione tra gli individui si concentra unicamente sul<br />

principio di <strong>competizione</strong> ex post. L’interazione competitiva retroagisce sugli<br />

elementi base che entrano nel processo di formulazione dei piani; nell’ambito di<br />

tale processo di retroazione, l’analisi austriaca considera i meccanismi di feed<br />

back sull’informazione, lasciando i modelli interpretativi e l’immaginazione per lo<br />

più esogeni. Un terzo elemento (non esplicitato in figura) di natura esogena è<br />

rappresentato dalle preferenze. 500 L’ipotesi che i modelli interpretativi,<br />

499 Ricordiamo che si tratta, in realtà della nostra interpretazione della teoria austriaca.<br />

500 Nello schema grafico le preferenze non sono esplicitate in quanto esse oltre ad essere ipotizzate<br />

esogene non influiscono sulle due variabili su cui si concentra l’analisi austriaca (conoscenza e<br />

287


l’immaginazione e le preferenze siano esogeni implica che la teoria austriaca della<br />

convergenza del processo di mercato si riduca ad una teoria della convergenza<br />

dell’informazione (eventualmente completata, come nel caso di Lachmann,<br />

dall’analisi degli effetti dell’immaginazione sui processi decisionali individuali).<br />

Sebbene i modelli interpretativi, l’immaginazione e le preferenze siano<br />

assunti variare continuamente nel corso del processo di mercato, il problema<br />

teorico della convergenza viene posto astraendo da tali variazioni: il termine<br />

stesso « convergenza » fa riferimento all’ipotesi di un sistema che, a partire da<br />

condizioni iniziali date, si avvicini progressivamente allo stato di coordinamento<br />

pieno; se tale stato finale, in ipotesi di convergenza, non viene raggiunto, può<br />

essere perciò solo per via del cambiamento esogeno dei dati.<br />

Come rappresentazione grafica della nostra interpretazione del processo di<br />

mercato possiamo invece utilizzare lo schema di CCPE rappresentato in figura 9.7<br />

(cf. par. 9.4). 501 Secondo tale schema, l’interazione tra gli individui è regolata<br />

oltre che dal principio di <strong>competizione</strong> ex post, dal <strong>potere</strong> <strong>economico</strong>;<br />

l’interazione tra gli individui, a sua volta, influenza il processo individuale di<br />

formulazione dei piani tramite i principi di coordinamento ex ante, <strong>competizione</strong><br />

ex ante e <strong>potere</strong> <strong>economico</strong>. Secondo l’interpretazione suggerita dallo schema di<br />

CCPE, se il mercato funziona (ossia non si estingue) è grazie agli effetti<br />

cumulativi che si stabiliscono tra il processo di interazione tra gli individui e il<br />

processo di formulazione dei piani individuali. Nell’analisi degli effetti<br />

dell’interazione tra gli individui sul processo di formulazione dei piani<br />

individuali, l’attenzione si concentra su tutti e quattro gli elementi base del<br />

processo -informazione, modelli interpretativi, immaginazione e sistemi di valori-<br />

i quali risultano, quindi, tutti endogeni.<br />

L’introduzione del <strong>potere</strong> <strong>economico</strong> (oltre che dei principi di<br />

coordinamento e <strong>competizione</strong> ex ante) modifica nella sostanza la visione<br />

austriaca del processo di mercato. A differenza della visione hayekiana del<br />

processo di mercato come di un gioco di abilità e fortuna, 502 l’immagine che<br />

proponiamo è di un gioco di <strong>potere</strong>, abilità e fortuna.<br />

L’enfasi posta dagli economisti austriaci sulle categorie analitiche abilità e<br />

fortuna genera un’ambiguità rispetto all’interpretazione dell’affermazione che il<br />

mercato funziona. Essa reintroduce surrettiziamente l’idea della desiderabilità del<br />

mercato lasciando intendere che questa possa essere derivata dalla neutralità delle<br />

due categorie analitiche chiamate in causa: tutti possono essere fortunati e tutti<br />

aspettative). Le preferenze possono comunque essere esplicitate come un terzo elemento (esogeno)<br />

del processo di formulazione dei piani da porre accanto a tali due variabili.<br />

501 La generalizzazione rispetto allo schema austriaco del processo di mercato è doppia: lo schema<br />

di CCPE nel suo complesso generalizza lo schema di <strong>competizione</strong> ex post (attraverso<br />

l’introduzione di coordinamento ex ante, <strong>competizione</strong> ex ante e <strong>potere</strong> <strong>economico</strong>), e lo schema<br />

di formulazione dei piani generalizza lo schema austriaco di formulazione dei piani (attraverso<br />

l’introduzione di valori e obiettivi).<br />

502 Hayek (1968, [1978, p. 186]). Cf. cap. 8, par. 8.1.1.<br />

288


possono diventare abili. 503 Tale ambiguità in realtà non dovrebbe porsi in quanto<br />

abbiamo già escluso la possibilità di interpretare in senso normativo la<br />

constatazione empirica che il mercato funziona. Inserendo il <strong>potere</strong> <strong>economico</strong>,<br />

accanto ai concetti di abilità e fortuna, allontaniamo ulteriormente il pericolo di<br />

una simile ambiguità. Il fatto che la formulazione dei piani e l’interazione tra gli<br />

individui siano processi regolati (anche) dal <strong>potere</strong> <strong>economico</strong> suggerisce infatti<br />

una diversa interpretazione del perché il mercato funziona: se il mercato funziona<br />

è proprio in forza della sua ingiustizia, o meglio, per il fatto che a fare giustizia è<br />

la legge del più forte. 504<br />

Il <strong>potere</strong> <strong>economico</strong> interviene nel processo di formulazione e revisione<br />

dei piani attraverso diversi canali: esso (1) costituisce un fattore di coercizione per<br />

via dei vincoli materiali che impone sulle opzioni decisionali delle varie classi<br />

sociali e (2) influenza la percezione stessa del sistema <strong>economico</strong> da parte degli<br />

individui.<br />

Per quanto riguarda l’evoluzione dei vincoli materiali nel corso del<br />

processo di mercato, la presenza di un profitto positivo come remunerazione della<br />

proprietà dei mezzi di produzione costituisce un fattore di rinforzo cumulativo del<br />

<strong>potere</strong> <strong>economico</strong>: se infatti il reddito conferisce <strong>potere</strong> <strong>economico</strong>, la capacità di<br />

generare reddito per via della proprietà dei mezzi di produzione, oltre che per via<br />

della capacità di lavorare, conferisce ai proprietari dei mezzi di produzione la<br />

facoltà di incrementare il differenziale di <strong>potere</strong> <strong>economico</strong> rispetto ai non<br />

proprietari (la cui capacità di generare reddito deriva unicamente dalla capacità di<br />

lavorare). 505<br />

503 Quest’ultima affermazione è in realtà falsa per ragioni sia biologiche, sia sociali. Abbiamo già<br />

notato inoltre (capitolo 5) come le due affermazioni non siano neutrali dal punto di vista dei<br />

giudizi di valore qualora se ne vogliano trarre implicazioni normative.<br />

504 Nelle teorie della nuova destra l’elusione dell’analisi del <strong>potere</strong> <strong>economico</strong> è alla base (1) delle<br />

conclusioni conservatrici che si raggiungono sul piano normativo e (2) della loro infondatezza<br />

scientifica. Assumiamo infatti, accettando per un momento la tesi della nuova destra, che il<br />

processo di mercato abbia effetti benefici (secondo il criterio normativo austriaco di ordine e<br />

secondo il criterio neoclassico-neoistituzionalista di Pareto) sulla collettività. Per poter godere di<br />

tali effetti è necessaria l’istituzione della proprietà privata. Ma l’istituzione della proprietà privata<br />

implica una sua distribuzione. La tesi secondo cui la distribuzione della proprietà non influisce sul<br />

processo di mercato non può però essere ipotizzata (come fa Hayek assumendo che è come se<br />

avessimo deciso di partecipare ad un gioco di abilità e fortuna), bensì deve essere dimostrata.<br />

L’unico tipo di dimostrazione possibile dovrebbe passare per l’argomentazione della neutralità del<br />

<strong>potere</strong> <strong>economico</strong> sulla capacità di generare reddito e redistribuire proprietà (dimostrazione che<br />

risulterebbe ardua in quanto le analisi di cui disponiamo vanno invece in direzione opposta). La<br />

tesi della nuova destra dell’indesiderabilità di un intervento attivo volto a modificare i meccanismi<br />

automatici del processo di mercato (e a modificare per vie legali l’assetto distributivo del reddito e<br />

della proprietà) assume perciò toni politici privi di un sostegno scientifico. Rifiutando la<br />

discussione del <strong>potere</strong> <strong>economico</strong>, gli economisti della nuova destra si privano quindi della<br />

possibilità di dimostrare la neutralità ideologica delle proprie analisi.<br />

505 Le analisi di area marxiana dei processi di concentrazione e centralizzazione del capitale e delle<br />

diverse funzioni che il capitale svolge nelle diverse forme di evoluzione del sistema capitalista<br />

289


Per quanto riguarda invece la percezione del sistema <strong>economico</strong> da parte<br />

degli individui, l’evoluzione della struttura del <strong>potere</strong> <strong>economico</strong> si manifesta sui<br />

modelli interpretativi e sui sistemi di valori. A tal riguardo, uno dei contributi<br />

rilevanti di area istituzionalista riguarda il processo di definizione e revisione<br />

degli obiettivi: la definizione degli obiettivi che gli individui si pongono dipende<br />

infatti da quella che gli individui ritengono essere la propria posizione di <strong>potere</strong>.<br />

Secondo la nostra interpretazione è la posizione di <strong>potere</strong> <strong>economico</strong>, più che<br />

l’abilità o la fortuna, che definisce gli obiettivi come realizzabili o irrealizzabili: 506<br />

attraverso l’interazione sul mercato, gli individui apprendono infatti i criteri per la<br />

compatibilità dei loro piani, aggiustando i propri obiettivi (e, se immaginiamo uno<br />

schema à la Simon (1957), le proprie soglie di soddisfazione rispetto ai vari<br />

obiettivi) secondo i vincoli imposti dal <strong>potere</strong> <strong>economico</strong> e imparando a non<br />

inserire nelle proprie strategie obiettivi che -per ragioni connesse al <strong>potere</strong>- non<br />

possono essere realizzati. Il fatto che i piani convergano verso la compatibilità<br />

non implica dunque che gli agenti soddisfino in misura crescente i propri bisogni<br />

o realizzino le proprie preferenze; significa semplicemente che gli individui,<br />

prendendo atto, in fase di definizione degli obiettivi, dei vincoli imposti dal <strong>potere</strong><br />

<strong>economico</strong>, formulano dei piani che, ex post, risultano (per lo più) compatibili.<br />

Gli stessi sistemi di valori, a differenza della visione austriaca del processo<br />

di mercato, devono, secondo lo schema di CCPE, essere interpretati in senso<br />

dinamico. Nello schema di CCPE i sistemi di valori su cui si basano i processi<br />

decisionali individuali sono essi stessi variabili endogene del processo di mercato,<br />

essendo determinati a livello sociale, nell’interazione tra gli individui. Senza<br />

alcuna pretesa di completezza analizziamo in che modo i contributi marxiani e<br />

istituzionalisti alla questione dell’origine dei valori possano essere utilizzati per<br />

rendere intelligibile la constatazione che il mercato funziona.<br />

Nell’analisi marxiana e istituzionalista l’individuo è considerato come il<br />

prodotto (almeno in parte) della struttura organizzativa: la struttura organizzativa<br />

vanno, evidentemente, ben al di là dell’ovvietà della nostra proposizione. È comunque sempre<br />

all’esistenza del diritto ad una remunerazione della proprietà (invece che della sola forza lavoro)<br />

che devono essere ricondotti i meccanismi cumulativi del <strong>potere</strong> <strong>economico</strong>.<br />

506 Con ciò non intendiamo istituire un confronto sis tematico sull’importanza relativa delle tre<br />

categorie analitiche, <strong>potere</strong> <strong>economico</strong>, fortuna e abilità. L’idea di misurare l’importanza delle tre<br />

categorie analitiche si scontra peraltro col problema di quantificare i tre concetti. Come abbiamo<br />

visto una delle difese degli economisti della nuova destra rispetto alla critica di ignorare il <strong>potere</strong><br />

<strong>economico</strong> si basa sull’idea che esso non è un concetto analiticamente preciso. La stessa critica<br />

potrebbe essere mossa contro i concetti di fortuna e abilità: come è possibile misurare la fortuna e<br />

l’abilità? e come è possibile distinguere tra le due? Se il gioco è di abilità e fortuna, come è<br />

possibile stabilire in che misura il vincitore debba la sua vittoria alla sua fortuna o alla sua abilità?<br />

Si noti peraltro che tra i tre concetti -abilità, fortuna e <strong>potere</strong> <strong>economico</strong>- è proprio<br />

quest’ultimo ad essere stato reso analiticamente più preciso e meglio quantificabile e trattabile<br />

formalmente. In proposito, cf. gli scritti raccolti da Rothschild (Ed.) (1962) (in particolare: Albert,<br />

Galbraith, Harsanyi, Lynch, Pen, Perroux, Preiser, Reagan, Ronald Walker) e quelli raccolti da<br />

Peterson (Ed.) (1988) (in particolare: Dugger, Greer, Munkirs, Peterson, Petr).<br />

290


agisce sulla formulazione dei piani influenzando i modelli interpretativi e il<br />

sistema di valori degli individui e, tramite essi, gli obiettivi stessi dei piani. Nel<br />

modo di produzione capitalistico, è proprio la centralità del mercato come mezzo<br />

di interazione sociale e base delle relazioni interpersonali che determina e<br />

diffonde determinati modelli culturali. 507 La cultura del mercato si ripercuote sui<br />

modelli interpretativi e sui valori che portano alla definizione degli obiettivi<br />

individuali. Il processo di mercato costituisce così esso stesso un fattore di<br />

rinforzo dell’ideologia capitalistica, favorendo l’affermazione di quest’ultima<br />

come ideologia socialmente dominante. Nonostante l’espansione del mercato e<br />

della sua ideologia sarebbe tuttavia riduttivo considerare gli effetti culturali del<br />

processo di mercato come necessariamente indirizzati verso l’egemonia<br />

dell’ideologia capitalistica. Il processo di mercato, secondo gli autori marxisti e<br />

istituzionalisti, così come diffonde e rinforza l’ideologia della classe dominante,<br />

diffonde anche le ideologie minori delle classi socialmente necessarie e, entro<br />

certi margini, consente la sopravvivenza di sistemi di valori di istituzioni con un<br />

ruolo proprio anche al di fuori del sistema capitalista. 508<br />

Come evidenziato dagli autori istituzionalisti, i sistemi istituzionali,<br />

giuridici e ideologici e i valori connessi al sistema di mercato fanno da riferimento<br />

stabile per i processi decisionali individuali e sono percepiti, a livello individuale,<br />

come dati; l’interazione tra gli individui a sua volta influisce su tali fattori,<br />

rendendoli nel tempo variabili e dipendenti dalle dinamiche delle forze sociali.<br />

Nell’ambito dei rapporti tra individuo e sistema istituzionale si determina dunque<br />

una relazione causale sequenziale e cumulativa tra fattori di stabilità e di<br />

cambiamento.<br />

Su tali processi di causazione sequenziale e cumulativa agiscono inoltre le<br />

forze oggettive dei rapporti materiali di produzione, le quali, secondo la teoria<br />

marxiana, influiscono sulle sovrastrutture giuridiche, politiche e istituzionali. La<br />

relativa stabilità dei rapporti materiali di produzione nell’ambito del sistema<br />

capitalista concorre così a determinare la stabilità del quadro istituzionale<br />

nell’ambito del quale si realizzano i processi decisionali individuali e collettivi.<br />

D’altra parte, gli stessi rapporti di produzione variano nel tempo per effetto dei<br />

cambiamenti tecnologici, della dinamica dei rapporti di <strong>potere</strong> tra le forze sociali e<br />

dell’azione politica delle parti. Così, sebbene la struttura dei rapporti di<br />

produzione conferisca stabilità alle sovrastrutture istituzionali capitalistiche, essa<br />

influisce pure sul loro continuo modificarsi nel tempo. E il modificarsi delle<br />

sovrastrutture istituzionali, modificando il modo stesso di interpretare la realtà da<br />

507<br />

Tra i contributi più importanti, ricordiamo Marx (1867, 1885, 1894), Veblen (1899) e Polanyi<br />

(1957).<br />

508<br />

Secondo Hodgson (1988, pp. 167-71, 254-62), la coesistenza di istituzioni ispirate a principi<br />

diversi è non solo un fenomeno generale derivabile dall’osservazione storica, ma anche una<br />

condizione necessaria al funzionamento di qualsiasi sistema. Tale teoria prende il nome di<br />

principio di impurità.<br />

291


parte degli individui, rende variabili anche i modelli interpretativi e i sistemi di<br />

valori, i quali costituiscono invece un dato dal punto di vista dei processi<br />

decisionali individuali.<br />

L’evoluzione delle strutture organizzative capitalistiche -caratterizzata dal<br />

continuo modificarsi dei rapporti quantitativi e qualitativi tra le varie istituzioni e,<br />

allo stesso tempo, da una forte componente di stabilità dal punto di vista<br />

complessivo della forma capitalistica dei rapporti istituzionali- può allora essere<br />

interpretata in termini dell’evoluzione delle relazioni tra gli elementi dati e gli<br />

elementi variabili nell’ambito della sequenza cumulativa tra processi decisionali<br />

individuali e processi di interazione sociale.<br />

L’impostazione del problema dell’intelligibilità del processo di mercato<br />

secondo lo schema di CCPE porta a ridefinire il problema stesso della<br />

convergenza in termini di stabilità della struttura organizzativa di mercato. Infatti,<br />

secondo lo schema di CCPE non esiste una bipartizione assoluta degli elementi<br />

base del processo di formulazione dei piani individuali in elementi dati ed<br />

elementi variabili: ciascuno degli elementi base risulta dato o variabile a seconda<br />

della fase che si prende in esame nell’ambito della sequenza definita dallo schema<br />

di CCPE. 509 Il problema non è dunque quello di analizzare come a partire dai dati<br />

iniziali il processo di mercato porti i piani a convergere verso la piena<br />

compatibilità, bensì quello di individuare i meccanismi attraverso i quali la<br />

dinamica degli elementi base del processo di formulazione dei piani conferisca<br />

stabilità alla struttura organizzativa nel suo complesso e ai processi economici che<br />

si realizzano al suo interno.<br />

Il passaggio dalla problematica della convergenza a quella della stabilità<br />

non è una questione solo terminologica. Il problema della convergenza risente<br />

infatti di un approccio ancora legato al metodo statico utilizzato nei contesti<br />

decisionali (a-b): se si mantengono fisse le condizioni iniziali esogene<br />

(preferenze, immaginazione, modelli interpretativi) l’analisi della convergenza<br />

consiste nell’individuazione del punto d’arrivo del processo messo in moto dai<br />

cambiamenti di informazione nel corso delle interazioni di mercato. L’attenzione<br />

rimane dunque fissata sul punto d’arrivo del processo. D’altra parte, l’assunzione<br />

che i dati del problema (in particolare, le preferenze e l’immaginazione) cambino<br />

continuamente non modifica il problema sostanziale (che è quello del punto<br />

d’arrivo del processo), in quanto viene negata la possibilità di investigare le cause<br />

di tali cambiamenti di dati. L’individuazione dei fattori che producono la stabilità,<br />

secondo lo schema di CCPE passa invece per l’analisi dei fattori stessi che<br />

regolano la dinamica degli elementi base del processo di formulazione dei piani. Il<br />

problema della stabilità della struttura organizzativa non è dunque legato al<br />

raggiungimento di un ipotetico punto d’arrivo del processo di mercato, bensì alle<br />

509 Al contrario, secondo la teoria austriaca solo l’informazione è considerata endogena<br />

nell’ambito del processo di mercato; la dinamica dei modelli interpretativi, dell’immaginazione e<br />

delle preferenze è invece considerata completamente esogena.<br />

292


caratteristiche del processo stesso. È in termini delle caratteristiche di regolarità<br />

dei processi economici che si realizzano all’interno di una struttura organizzativa<br />

che si pone il problema di spiegare il relativo ordine del sistema di mercato e, al<br />

tempo stesso, i continui cambiamenti qualitativi delle strutture organizzative<br />

capitalistiche. Il problema dell’ordine non ha perciò niente a che fare con l’ipotesi<br />

di coordinamento pieno (o di eliminazione progressiva degli scoordinamenti);<br />

l’ordine che si osserva nella realtà e che si intende spiegare riguarda invece le<br />

dinamiche evolutive della struttura organizzativa di mercato e dei processi<br />

economici che si svolgono al suo interno.<br />

La ridefinizione del problema della convergenza in termini di stabilità<br />

elimina inoltre l’ambiguità austriaca in merito agli aspetti positivi e normativi<br />

dell’analisi del processo di mercato. La concezione austriaca del processo di<br />

mercato come di un processo nel corso del quale i piani individuali convergono<br />

verso la piena compatibilità non consente di separare completamente gli aspetti<br />

positivi (intesi a rendere intelligibili i meccanismi del sistema di mercato) e quelli<br />

normativi (di valutazione della desiderabilità-efficienza del sistema di mercato<br />

nelle sue diverse forme): l’analisi positiva di individuazione dei meccanismi che<br />

garantiscono la convergenza dei piani si traduce infatti immediatamente in<br />

prescrizione normativa non appena si rifletta sul fatto che la convergenza dei piani<br />

significa la realizzazione delle preferenze degli individui, ossia la desiderabilità<br />

sociale secondo il criterio normativo austriaco di ordine.<br />

L’analisi della stabilità di una struttura organizzativa secondo lo schema di<br />

CCPE non ha invece in sé alcun contenuto normativo. Nell’analisi della stabilità,<br />

le preferenze (più in generale, i sistemi di valori) sono poste sullo stesso piano<br />

degli altri elementi base del processo di formulazione dei piani e le condizioni di<br />

stabilità non hanno perciò nessuna implicazione diretta in termini normativi.<br />

Se quindi il problema è di tipo positivo, la questione della stabilità del<br />

sistema di mercato deve essere affrontata analizzando le ragioni della capacità di<br />

riproduzione ed evoluzione delle istituzioni economiche capitalistiche e di<br />

sopravvivenza complessiva del modo di produzione capitalistico. 510<br />

Se, viceversa, il problema posto è di tipo normativo, l’analisi dei<br />

meccanismi del sistema capitalista deve essere completata da un’apposita analisi<br />

valutativa; in particolare, la dimostrazione della desiderabilità-indesiderabilità di<br />

una particolare struttura organizzativa o la definizione di strategie volte a<br />

modificare la struttura organizzativa esistente sono questioni che richiedono<br />

l’esplicitazione (1) del soggetto valutatore e (2) dei sistemi di valori di<br />

riferimento.<br />

510 Ciò porta a ridefinire il problema stesso delle preferenze rispetto all’impostazione austriaca.<br />

Dal punto di vista dell’analisi positiva, il problema delle preferenze non è quello di stabilire se gli<br />

agenti nel corso del processo di mercato realizzino livelli d’utilità via via superiori come si assume<br />

nell’approccio austriaco, quanto piuttosto quello di stabilire come le preferenze stesse (e i bisogni)<br />

evolvano per effetto del processo di mercato conferendo stabilità o instabilità al processo stesso.<br />

293


Per fare un esempio, una delle tesi della nuova destra, come abbiamo visto<br />

nel capitolo 8, è che le concentrazioni industriali possono, sotto certe condizioni,<br />

essere necessarie all’efficienza economica. Tale affermazione, sebbene possa<br />

essere valida su un piano positivo, non dovrebbe avere alcuna implicazione di tipo<br />

normativo. L’obiettivo stesso dell’efficienza economica (intesa come produzione<br />

di un bene dato alle condizioni di minimo costo) è infatti solo uno dei possibili<br />

criteri valutativi ed è, comunque, esso stesso, derivato da un preciso sistema di<br />

valori. Le tesi della nuova destra in materia di politica economica, antitrust e<br />

desiderabilità del capitalismo non devono dunque necessariamente essere<br />

rigettate; è la pretesa neutralità di tali analisi a dover essere rigettata. All’interno<br />

di un particolare sistema di valori l’obiettivo efficientistico può infatti essere<br />

considerato a pieno titolo; quello che è inammissibile è il rifiuto della nuova<br />

destra di prendere in considerazione sistemi di valori diversi da quello puramente<br />

efficientistico.<br />

9.6. Conclusioni<br />

La nostra proposta di superamento dei limiti teorici della nuova destra passa per la<br />

definizione di un contesto decisionale interamente di tipo (c). In tale contesto<br />

decisionale il problema del coordinamento si pone in termini di processo<br />

sequenziale fuori dall’equilibrio. Alla logica unidirezionale e simultanea dei<br />

contesti decisionali (a-b) « dati iniziali → equilibrio » si sostituisce la logica di<br />

causazione cumulativa e sequenziale « scelte individuali → contesto istituzionale<br />

→ scelte individuali ». Ciò porta a porre al centro dell’analisi dell’evoluzione<br />

istituzionale il processo in quanto tale, non l’eventuale suo stato finale, il quale,<br />

infatti, da un punto di vista analitico, non esiste. Dal punto di vista dell’analisi<br />

valutativa, questo implica l’adozione dell’ottica a priori, secondo la quale la<br />

valutazione deve essere espressa in relazione alle caratteristiche del processo<br />

stesso, non in relazione al suo punto d’arrivo come nelle analisi sviluppate in (ab).<br />

Nell’analisi esplicativa del relativo ordine dei processi economici reali la<br />

definizione del contesto decisionale (c) porta a ridefinire le problematiche<br />

discusse dalla nuova destra incentrate sui concetti di « equilibrio » e/o<br />

« convergenza » in termini di « stabilità » dei processi economici che si realizzano<br />

all’interno di una data struttura organizzativa e delle dinamiche evolutive che tali<br />

processi producono sulla struttura organizzativa stessa:<br />

294


-nel contesto decisionale neoclassico-neoistituzionalista (a-b), il problema<br />

di coerenza tra realtà osservata e modello teorico viene impostato come problema<br />

di individuazione delle condizioni che garantiscono l’equilibrio;<br />

-nel contesto decisionale austriaco, a cavallo tra (a-b) e (c), esso è<br />

affrontato in termini di convergenza del processo di mercato, ossia di<br />

individuazione delle condizioni che garantiscono la tendenza verso il<br />

coordinamento pieno;<br />

-nel contesto decisionale interamente (c) esso è affrontato invece<br />

analizzando la stabilità delle dinamiche prodotte dalla sequenza cumulativa<br />

« scelte individuali → contesto istituzionale → scelte individuali ».<br />

Due sono i contributi teorici sviluppati sul contesto decisionale (c): (1) lo schema<br />

di CCPE e (2) lo schema di formulazione dei piani.<br />

Lo schema di CCPE generalizza e sintetizza i contributi delle teorie<br />

neoclassica, neoistituzionalista e austriaca, ridefinendo gli schemi teorici di tali<br />

scuole di pensiero all’interno del contesto decisionale (c). Il carattere sequenziale<br />

e cumulativo dei processi che si realizzano in (c) introduce tuttavia due elementi<br />

di rottura rispetto alle analisi della nuova destra: esso implica (1) la generale<br />

impossibilità per i principi di coordinamento e <strong>competizione</strong> di operare in modo<br />

perfetto e (2) l’endogenizzazione del <strong>potere</strong> <strong>economico</strong> (e la conseguente<br />

necessità di una sua analisi esplicita).<br />

Lo schema del processo di formulazione dei piani completa e generalizza<br />

l’interpretazione del processo austriaco di formulazione dei piani proposta nel<br />

capitolo 4. Rispetto al contributo sviluppato nel capitolo 4, gli elementi di novità<br />

sono due: (1) si esplicitano gli aspetti materiali che entrano nella definizione del<br />

set informativo; (2) si introducono esplicitamente valori e obiettivi. Il processo di<br />

formulazione dei piani assume inoltre una sequenzialità storica oltre che logica il<br />

che implica, in generale, l’impossibilità di realizzare forme di coordinamento<br />

pieno nell’interazione tra gli individui. Il carattere sequenziale e non lineare del<br />

processo di formulazione dei piani porta peraltro a rigettare la tradizionale<br />

scomposizione del problema della formulazione dei piani nei tre sottoproblemi<br />

separati (1) di generazione della conoscenza, (2) di formazione delle aspettative e<br />

(3) di definizione degli obiettivi. I processi di generazione della conoscenza, di<br />

formazione delle aspettative e di definizione degli obiettivi sono invece processi<br />

interrelati, la cui analisi deve essere sviluppata congiuntamente.<br />

L’integrazione degli schemi di CCPE e di formulazione dei piani costituisce la<br />

nostra proposta di definizione di un quadro teorico per l’analisi dell’evoluzione<br />

delle istituzioni economiche capitalistiche. Lo schema integrato che ne risulta<br />

deve intendersi come un riferimento generale all’interno del quale collocare i<br />

contributi di scuole di pensiero diverse rispettando i rapporti di compatibilità<br />

metodologica tra esse.<br />

295


Il tentativo di riempire di contenuti concreti lo schema di CCPE implica<br />

un’apertura verso linee di indagine interdisciplinari e il rifiuto della<br />

compartimentalizzazione delle discipline sociali imposta dagli economisti<br />

dell’individualismo metodologico.<br />

Attraverso l’integrazione nello schema di CCPE dei contributi<br />

istituzionalisti e marxiani all’analisi dei rapporti tra scelta individuale e<br />

interazione sociale è possibile analizzare i rapporti tra elementi soggettivi interni<br />

all’individuo ed elementi oggettivi dell’ambiente istituzionale, individuando i<br />

contenuti sociali della libera scelta individuale e rendendo coerente la concezione<br />

soggettivista della scelta e l’analisi delle sue determinanti sociali. Nell’ambito dei<br />

meccanismi sociali che influenzano i processi decisionali individuali è possibile<br />

distinguere due tipi di fattori: (1) fattori di coercizione costituiti dai vincoli<br />

oggettivi (materiali e informativi) che definiscono gli spazi decisionali di ciascun<br />

individuo; (2) fattori di influenza sugli elementi soggettivi (modelli interpretativi e<br />

sistemi di valori) che guidano la scelta volontaria dell’individuo.<br />

Come esempio applicativo centrale dal punto di vista delle questioni discusse<br />

dalla nuova destra, lo schema di CCPE può essere utilizzato per discutere il<br />

problema della stabilità-desiderabilità del processo di mercato. La definizione del<br />

problema di coerenza tra realtà osservata e modello teorico in termini di stabilità<br />

permette di separare il problema positivo da quello normativo.<br />

Per quanto riguarda l’analisi positiva, l’andamento non caotico e<br />

relativamente ordinato dei sistemi economici reali può essere spiegato<br />

analizzando il processo cumulativo tra scelte individuali e sistema istituzionale<br />

definito nello schema di CCPE. Tale processo cumulativo non converge<br />

necessariamente verso uno stato finale di quiete; esso tuttavia produce regolarità<br />

sufficienti alla riproducibilità del sistema e alla sua evoluzione secondo dinamiche<br />

relativamente stabili.<br />

Lo schema non contiene invece alcuna implicazione normativa. Il<br />

passaggio alla discussione di questioni normative richiede infatti la specificazione<br />

del soggetto valutatore e del sistema di valori utilizzato.<br />

La definizione del problema positivo in termini di stabilità delle dinamiche<br />

evolutive delle strutture organizzative capitalistiche permette di precisare e<br />

correggere alcune posizioni normative della nuova destra. Una delle variabili che<br />

opera in direzione della stabilità è proprio il <strong>potere</strong> <strong>economico</strong>, variabile trascurata<br />

sia nell’analisi austriaca della convergenza, sia nell’analisi neoclassica e<br />

neoistituzionalista dell’equilibrio. Il ruolo del <strong>potere</strong> come fattore di stabilità della<br />

struttura organizzativa capitalistica impedisce però la derivazione della<br />

desiderabilità del sistema di mercato, facendo venir meno la tesi politica<br />

fondamentale della nuova destra. Il fatto che il sistema si regga su relazioni di<br />

<strong>potere</strong> tra gli agenti impedisce infatti l’individuazione di criteri normativi neutrali.<br />

296


297


CONCLUSIONI<br />

La visione ideologica e l’assunzione di giudizi di valore sono inevitabili nella fase<br />

prescientifica di definizione del problema da analizzare e della domanda da porre.<br />

Una volta accettata la domanda della nuova destra circa la desiderabilità delle<br />

strutture organizzative il problema dei giudizi di valore si presenta tuttavia in<br />

forma nuova e più forte: i risultati del confronto tra strutture organizzative<br />

dimostrano infatti la necessità di introdurre i giudizi di valore come condizione<br />

necessaria per dare risposta alla domanda della nuova destra.<br />

Se l’introduzione dei giudizi di valore è inevitabile nella scelta della<br />

domanda, l’uso dei giudizi di valore nella risposta viola i principi epistemologici<br />

che la nuova destra stessa si è data. La contraddizione è tanto evidente quanto<br />

taciuta e il motivo di ciò è che i valori della nuova destra permeano la cultura del<br />

sistema di mercato a tal punto da cessare di essere percepiti come valori. Ma è<br />

proprio in questo che, a nostro giudizio, riposa la vittoria della nuova destra (e non<br />

ci riferiamo qui tanto alle specifiche teorie austriache e neoistituzionaliste, quanto<br />

piuttosto all’affermarsi di una cultura economica generale incentrata sul mercato):<br />

essa ha imposto, a livello culturale, i propri valori come valori universali,<br />

riuscendo così a far apparire neutrali delle tesi che, in realtà, sono cariche di<br />

giudizi di valore.<br />

Il sistema di valori utilizzato dalla nuova destra è, a nostro parere, esso<br />

stesso un prodotto dei processi economici che si realizzano all’interno del sistema<br />

di mercato ed è proprio per questo che risulta così difficile percepire la non<br />

neutralità di tali valori dall’interno del sistema di mercato. In altri termini, se gli<br />

economisti della nuova destra ritengono di mantenersi neutrali sul piano dei valori<br />

è perché essi sviluppano il confronto tra strutture organizzative adottando l’ottica<br />

valutativa di un particolare tipo di struttura organizzativa, quello capitalistico.<br />

Questo, che a nostro giudizio rappresenta un punto debole dell’impianto teorico<br />

della nuova destra, costituisce in realtà il coronamento dell’impresa di<br />

oggettivazione dei valori del mercato, impresa tramite la quale la nuova destra si è<br />

affermata a livello politico. Grazie a tale successo politico, la fonte teorica di tutta<br />

298


la contraddizione -il divieto di utilizzare giudizi di valore- si trasforma così in<br />

un’ulteriore arma di difesa nelle mani della nuova destra contro gli attacchi<br />

fondati su ideologie diverse. Tali attacchi, in quanto esplicitamente basati su<br />

giudizi di valore (o meglio, in quanto basati su sistemi di valori evidentemente<br />

diversi dall’unico sistema riconosciuto come legittimo), violano infatti il codice<br />

epistemologico (imposto anch’esso dalla nuova destra) e possono essere così<br />

respinti tramite la più potente delle argomentazioni critiche, quella della carenza<br />

di rigore scientifico.<br />

Ma se diamo (giustamente) tutta questa importanza al rigore scientifico, le<br />

implicazioni dell’impossibilità di rispondere alla domanda posta dalla nuova<br />

destra, con i metodi proposti dalla nuova destra stessa, devono essere sviluppate<br />

fino in fondo. Ciò significa accettare almeno una delle due seguenti proposizioni:<br />

(1) il programma di ricerca della nuova destra di un confronto tra strutture<br />

organizzative neutrale sul piano dei valori deve essere abbandonato; (2) i giudizi<br />

di valore devono essere introdotti esplicitamente nell’analisi comparata delle<br />

strutture organizzative. Nei cinque paragrafi che seguono sviluppiamo alcune<br />

considerazioni in merito a tali due proposizioni.<br />

1. Visione ideologica e <strong>potere</strong> <strong>economico</strong><br />

Gli schemi della nuova destra di pura <strong>competizione</strong> e i tentativi di integrazione in<br />

tali schemi del principio di coordinamento riflettono una visione comune dei<br />

rapporti economici che possiamo definire « armonica ». Secondo tale visione<br />

coordinamento e <strong>competizione</strong> sono strumenti attraverso i quali si realizza<br />

l’interesse sociale (in qualche modo definito). L’idea che sia possibile parlare di<br />

un interesse sociale si fonda, a sua volta, sull’assunzione che gli interessi degli<br />

individui siano, in linea di principio, riconciliabili, ed è proprio la riconciliabilità<br />

degli interessi particolari degli individui che ci porta a definire una simile visione<br />

dei rapporti sociali come armonica.<br />

L’introduzione esplicita del <strong>potere</strong> <strong>economico</strong> rompe la visione armonica.<br />

Se i rapporti sociali dipendono (in qualche misura) dalle relazioni di <strong>potere</strong> tra gli<br />

individui (o tra le classi sociali), viene meno il concetto stesso di interesse sociale<br />

sia nelle forme incentrate sul principio di Pareto, sia nelle forme incentrate sul<br />

principio austriaco di ordine: l’interesse dell’individuo con maggiore <strong>potere</strong><br />

<strong>economico</strong> si impone (o, almeno, prevale) sull’interesse dell’individuo con<br />

minore <strong>potere</strong> <strong>economico</strong>, senza che quest’ultimo tragga necessariamente<br />

beneficio dalla realizzazione degli interessi del primo. Scrive Myrdal:<br />

« L’idea che si possa valutare la politica sociale da un “punto di vista puramente<br />

<strong>economico</strong>” è del tutto metafisica, in quanto assume implicitamente l’esistenza di un<br />

299


interesse della società nel suo insieme e che interessi particolari, sebbene<br />

superficialmente in contrasto fra loro, siano in fondo riconciliabili ». 511<br />

Secondo l’impostazione della nuova destra, l’efficacia dei principi di<br />

coordinamento e <strong>competizione</strong> si misura sulle rispettive potenzialità nel processo<br />

di riconciliazione degli interessi conflittuali degli individui. Il fatto che tale<br />

riconciliazione sia ipotizzata come possibile implica che gli interessi degli<br />

individui siano, secondo la terminologia di Myrdal, di tipo solo superficialmente<br />

conflittuale. È dunque l’ipotesi di interessi solo superficialmente conflittuali a fare<br />

da supporto alla visione della nuova destra di una società armonica o, quanto<br />

meno, armonizzabile.<br />

Gli schemi teorici di Ricardo e Marx, per fare due esempi tra i più noti,<br />

non possono certo essere ricondotti ad una visione armonica della società: il<br />

messaggio di Ricardo (così come noi lo interpretiamo) è quello del conflitto<br />

insanabile di interessi di classe nella spartizione del prodotto sociale; tale<br />

messaggio acquista valenza storica, oltre che teorica, nelle analisi di Marx ed<br />

Engels secondo i quali « la storia di ogni società sinora esistita è storia di lotte di<br />

classi » 512 . Nell’opera di Marx la centralità dell’analisi di classe deriva dall’ipotesi<br />

che l’individuazione della posizione sociale dell’individuo nei rapporti materiali<br />

di produzione permetta di individuare gli interessi economici dell’individuo<br />

stesso, i quali, in generale, risultano distinti (e contrapposti) nelle diverse classi<br />

sociali. Questo non significa che l’appartenenza ad una classe sociale determini le<br />

preferenze soggettive degli individui e gli obiettivi economici che questi<br />

perseguono; significa però che l’appartenenza ad una determinata classe definisce<br />

gli interessi economici oggettivi che gli individui hanno per il fatto stesso di avere<br />

una certa posizione nei rapporti sociali di produzione. L’ipotesi che gli interessi<br />

economici delle classi sociali siano conflittuali implica che l’unico modo di<br />

risolvere le conflittualità oggettive di interessi sia tramite rapporti sociali di <strong>potere</strong><br />

tra le classi. Il <strong>potere</strong> diventa così una variabile non trascurabile nell’analisi del<br />

processo di interazione sociale.<br />

Nella misura in cui si ritenga il conflitto di interessi come un fatto non solo<br />

superficiale (nel senso di Myrdal) dei rapporti economici, i principi di<br />

coordinamento e <strong>competizione</strong> risultano strumenti analitici insufficienti e distorti<br />

di analisi dei processi di interazione sociale. Infatti, gli schemi di coordinamento e<br />

<strong>competizione</strong> (o, ancora peggio, di solo coordinamento o sola <strong>competizione</strong>) non<br />

sono atti ad analizzare gli interessi (anche solo in parte) contrapposti degli<br />

individui (o delle classi sociali), in quanto si fondano sull’ipotesi che non esistano<br />

conflittualità insanabili. In tali schemi vi è dunque spazio solo per l’analisi degli<br />

interessi superficialmente contrapposti, ma riconciliabili, di cui parla Myrdal. Dal<br />

punto di vista di chi vede la realtà sociale come un processo di confronto-scontro<br />

511 Myrdal (1981, p. 239).<br />

512 Marx und Engels (1848, [1955, p. 26]).<br />

300


tra interessi conflittuali in senso profondo (non superficiale), la visione armonica<br />

della nuova destra può quindi essere letta come un atto di negazione di tutti quegli<br />

elementi della realtà che non si conformano all’interpretazione armonica dei<br />

rapporti sociali: nella visione conflittuale, gli schemi teorici della nuova destra si<br />

basano proprio sull’eliminazione, per ipotesi, degli elementi non armonici.<br />

In presenza di interessi conflittuali non riconciliabili sono i rapporti di<br />

<strong>potere</strong> a determinare gli interessi di parte che prevalgono. L’analisi dei rapporti di<br />

<strong>potere</strong> assume dunque un ruolo essenziale nel tentativo di riconciliare l’ipotesi di<br />

conflittualità profonde con l’osservazione empirica di un sistema non caotico (ma,<br />

non per questo, necessariamente armonico). D’altra parte -e non è una novità-<br />

l’ordine sociale può ben essere realizzato attraverso rapporti di <strong>potere</strong>, piuttosto<br />

che attraverso l’armonizzazione interamente volontaria. 513<br />

Einstein avvertiva delle difficoltà delle creature che vivano vite a due dimensioni<br />

sulla superficie di una sfera di immaginare l’esistenza di una terza dimensione.<br />

Nell’analisi dei fenomeni puramente bidimensionali i loro schemi, in qualche<br />

misura, funzionano. Sono i fenomeni che dipendono (almeno in parte) dalla terza<br />

dimensione a creare problemi interpretativi e a suscitare, dunque, stupore.<br />

Kirzner ha perciò ragione quando sostiene che la nostra curiosità deve<br />

essere risvegliata quando un sistema di interessi conflittuali dà luogo ad<br />

interazioni ordinate. 514 Ma non è definendo la realtà in modo conforme allo<br />

schema teorico che si può riconciliare la discrasia tra schema teorico e realtà. 515<br />

Caso mai è lo schema teorico che deve essere modificato per tener conto degli<br />

elementi del reale da cui originano quei fenomeni che, con gli schemi disponibili,<br />

generano problemi di interpretazione.<br />

La scelta di Kirzner e della nuova destra è quella di negare l’esistenza<br />

nella realtà di interessi conflittuali profondi. La nostra scelta è invece quella di<br />

lavorare sullo schema concettuale tentando di renderlo idoneo all’interpretazione<br />

dei processi originati da interessi conflittuali che, nella nostra visione, possono<br />

essere sia superficiali, sia profondi.<br />

Dal nostro punto di vista, è l’introduzione di una variabile analitica -il<br />

<strong>potere</strong> <strong>economico</strong>- a far tornare i conti e a ridare intuitività al fenomeno<br />

dell’interazione nel mercato: nell’ottica del <strong>potere</strong> <strong>economico</strong>, non c’è niente di<br />

strano nel fatto che il mercato risolva le conflittualità tra gli agenti e generi, sotto<br />

513<br />

Ammesso e non concesso che il concetto di interazione volontaria sia un concetto<br />

analiticamente sensato.<br />

514<br />

« Markets do work. They work so obviously well that our scientific curiosity is aroused to seek<br />

understanding of the counter-intuitive phenomenon of this success ». Kirzner (1992, p. 60). Cf.<br />

cap. 5, par. 5.3.<br />

515<br />

In questo riscontriamo un tratto comune del metodo di indagine della nuova destra: lo stupore<br />

di Kirzner ricorda da vicino il metodo di Cheung (1992) per cui quando uno schema concettuale<br />

risulta inadeguato ad interpretare la realtà, non si mette in discussione lo schema concettuale, ma si<br />

rigetta l’esistenza della realtà che si intendeva spiegare (cf. cap. 6, par. 6.2.3).<br />

301


condizioni piuttosto generali, l’ordine. 516 Tutti i sistemi di <strong>potere</strong> generano<br />

l’ordine. E il sistema è tanto più ordinato, quanto più chi comanda è forte.<br />

Lo stupore di Kirzner per il fatto che nel processo di mercato si realizzino<br />

fenomeni controintuitivi è allora riconducibile, semplicemente, alla parzialità<br />

dello schema interpretativo austriaco e di tutta la nuova destra. Avrebbe ragione di<br />

stupirsi Kirzner se, in un mondo in cui non esistesse <strong>potere</strong> e gli individui<br />

avessero interessi conflittuali in senso profondo, si realizzasse l’ordine sociale.<br />

Ma, se Kirzner riesce a placare la sua curiosità e a trovare una spiegazione a tale<br />

fenomeno controintuitivo è perché egli rimuove l’ipotesi che gli interessi degli<br />

agenti siano realmente conflittuali. Gli unici interessi conflittuali che si<br />

considerano sono quelli che Myrdal definisce conflittuali solo in superficie. È solo<br />

grazie a tale espediente che la nuova destra riesce a riproporre un’immagine<br />

intuitiva del sistema di mercato, come sistema ordinato, senza dover chiamare in<br />

causa il <strong>potere</strong>.<br />

I fenomeni controintuitivi che gli economisti della nuova destra non<br />

possono sperare di spiegare sono invece quelli che riguardano le conflittualità di<br />

interessi profonde. In tal caso l’ordine sociale non può essere spiegato come<br />

prodotto dell’interazione interamente volontaria tra individui; è invece l’analisi<br />

delle relazioni di <strong>potere</strong> lo strumento per rendere intelligibili i processi di<br />

interazione sociale, come processi ordinati.<br />

Facciamo un esempio. Se l’individuo i esige (o ha interesse ad appropriarsi<br />

di) tutto il prodotto del suo lavoro e l’individuo j pretende (o ha interesse ad<br />

appropriarsi di) una parte del prodotto del lavoro di i, ci sarebbe veramente da<br />

stupirsi se i e j trovassero un accordo completamente volontario (senza<br />

l’intervento di alcuna relazione di <strong>potere</strong>) sulla spartizione del prodotto. Ma il<br />

fatto che tra i e j esista un conflitto di interessi profondo sulla spartizione del<br />

prodotto non è incompatibile con l’osservazione empirica di un sistema tutto<br />

sommato ordinato, né implica una produzione nulla o l’impossibilità di definire<br />

una relazione stabile tra i e j. Se infatti analizziamo le relazioni di <strong>potere</strong> tra i e j,<br />

non c’è ragione per escludere che il sistema possa produrre e riprodursi definendo<br />

criteri di spartizione del prodotto tra i e j variabili ma, entro certi margini,<br />

determinabili. Certo invece che se partiamo dal rifiuto dell’analisi delle relazioni<br />

di <strong>potere</strong>, i risultati dell’interazione tra i e j non possono che rimanere<br />

indeterminati e indeterminabili.<br />

Se dunque lo scopo è quello di riconquistare un’immagine intuitiva<br />

dell’interazione ordinata tra processo produttivo e processo distributivo in un<br />

contesto in cui i conflitti di interessi non siano necessariamente di tipo<br />

superficiale, la nostra idea è che all’analisi dei principi di coordinamento e<br />

516 Lo stesso problema del disordine, negli schemi teorici basati sul <strong>potere</strong>, va ricondotto ai<br />

rapporti di <strong>potere</strong> tra agenti con interessi conflittuali. Nell’ottica del <strong>potere</strong> inoltre, la dicotomia tra<br />

interessi conflittuali in superficie o in profondità perde di importanza in quanto i rapporti di <strong>potere</strong><br />

risolvono qualsiasi tipo di conflittualità.<br />

302


<strong>competizione</strong> debba essere affiancata un’analisi dei rapporti di <strong>potere</strong> tra le classi<br />

con interessi in conflitto.<br />

Il riconoscimento dell’esistenza di relazioni di <strong>potere</strong> nel sistema <strong>economico</strong> ha<br />

effetti critici incisivi sul programma di ricerca della nuova destra volto a definire<br />

le condizioni di desiderabilità delle istituzioni capitalistiche senza l’introduzione<br />

di giudizi di valore. Esprimere valutazioni sulla desiderabilità di un sistema di<br />

<strong>potere</strong> senza la definizione di un particolare soggetto valutatore e di criteri<br />

valutativi espliciti non è infatti possibile. Nell’ottica del <strong>potere</strong> il concetto di<br />

desiderabilità sociale non ha alcun significato; la domanda « qual è la struttura<br />

organizzativa desiderabile? » risulta inammissibile, non certo perché la nuova<br />

destra non abbia il diritto ideologico di porre le domande che crede, ma<br />

semplicemente in quanto tale domanda non ammette risposte.<br />

Il concetto di desiderabilità di una struttura organizzativa assume invece<br />

significato soltanto se si specifica il soggetto (la classe sociale) valutatore (oltre,<br />

ovviamente, ai criteri valutativi); le domande ammissibili, in tale ottica (ossia le<br />

domande cui è possibile cercare coerentemente risposta) sono del tipo: « qual è la<br />

struttura organizzativa (o il programma di politica economica) desiderabile per il<br />

lavoratore? » « e quale per il capitalista? » « e quali per il consumatore, il<br />

risparmiatore, il debitore, il creditore, ecc.? ». La diversa legittimità di tali<br />

domande rispetto alla domanda della nuova destra non deriva da una pretesa<br />

superiorità ex ante della visione conflittuale dei rapporti sociali rispetto alla<br />

visione armonica, quanto piuttosto dai risultati analitici raggiunti che dimostrano<br />

la possibilità di individuare, per tali domande, risposte fondate su schemi teorici<br />

coerenti, cosa invece impossibile nel caso della domanda posta dalla nuova destra.<br />

2. Etica ed economia<br />

L’esistenza di sistemi di preferenze conflittuali è alla base dei problemi di<br />

definizione degli obiettivi sociali a partire dalle preferenze individuali, che si<br />

manifestano nel teorema di impossibilità del voto, ben noto agli studiosi di teoria<br />

delle scelte collettive. Il problema del voto analizzato nel contesto decisionale<br />

perfetto è in realtà un problema generale indipendente dal contesto decisionale.<br />

Esso si presenta inevitabilmente non appena si pongano esplicitamente dei criteri<br />

etici minimali sui criteri di aggregazione delle preferenze individuali nel processo<br />

politico di definizione degli obiettivi sociali. 517<br />

517 Il risultato di impossibilità di un confronto tra strutture organizzative neutrale sul piano dei<br />

valori ottenuto su tutti i contesti decisionali considerati può in tal senso interpretarsi come una<br />

303


Il semplice passaggio, nell’analisi del problema di aggregazione delle<br />

preferenze, dalla sede politica alla sede economica (con la conseguente rimozione<br />

dei vincoli etici posti nella teoria delle scelte collettive) permette, invece, di<br />

risolvere i problemi legati all’aggregazione delle preferenze. Secondo i principi<br />

della scienza economica infatti i giudizi di valore e, dunque, i criteri etici<br />

minimali che vengono imposti al processo di voto, devono essere rigettati in<br />

quanto incompatibili con la neutralità della scienza.<br />

L’estraneità rispetto ai giudizi di valore è però cosa diversa dalla<br />

neutralità scientifica. Dato che sia la politica, sia l’economia sono terreni in cui le<br />

preferenze individuali (sia quelle riconciliabili, sia quelle non riconciliabili) si<br />

compongono in scelte collettive, l’eliminazione dei problemi del voto nel<br />

passaggio dalla sfera politica a quella economica non può che accompagnarsi con<br />

la violazione di almeno uno dei vincoli etici imposti nell’analisi dei sistemi di<br />

voto.<br />

Se il problema politico del voto sparisce in economia (o, meglio, nelle<br />

teorie economiche che ambiscono alla neutralità sul piano dei valori) è perché<br />

l’economista, a differenza del politico, crede di non dover (o, addirittura, di non<br />

poter) imporre alcun principio etico minimale sui criteri normativi di<br />

aggregazione delle preferenze nella definizione delle scelte sociali. L’estraneità<br />

dell’economista ai giudizi di valore si traduce quindi nella violazione cosciente<br />

dei criteri etici minimali che creano tanti problemi agli studiosi dei sistemi politici<br />

di voto.<br />

Al di là dei problemi specifici dei singoli contesti decisionali, è la regola<br />

etica « una testa, un voto » ad essere violata ogni volta che le risorse economiche<br />

non siano egualmente distribuite. Il fatto che ciò avvenga sistematicamente nel<br />

sistema <strong>economico</strong> è però un problema che non riguarda l’economista. Egli non si<br />

occupa di etica, risolve problemi tecnici.<br />

Per l’economista la distribuzione dei diritti di voto è esogena, dunque il<br />

problema della sua giustezza non si pone. 518 Detto questo, non dovrebbe destar<br />

meraviglia il fatto che risulti tanto difficile risolvere i contenziosi in sede etica<br />

rispettando (entro certi limiti) gli interessi di tutte le parti, mentre sia così facile la<br />

risoluzione del problema in sede economica (attraverso l’imposizione degli<br />

interessi del più forte): è semplicemente la violazione dei criteri etici che permette<br />

all’economista (della nuova destra) di trarre conclusioni sull’efficienza evitando<br />

una discussione aperta del problema dei giudizi di valore.<br />

generalizzazione del teorema di impossibilità del voto dimostrato da Arrow (1951c) nel contesto<br />

decisionale perfetto.<br />

518 Anche se tale problema sembra peculia re degli approcci incentrati sul criterio di Pareto esso<br />

riguarda in realtà pure l’approccio austriaco: il fatto che nella teoria austriaca l’efficienza del<br />

processo di mercato si fondi sull’analisi congiunta del processo produttivo e di quello distributivo<br />

implica che la distribuzione dei diritti di voto debba essere presa per data e non possa perciò essere<br />

oggetto di discussione etica.<br />

304


Scegliendo di rimanere estraneo al problema dei valori, l’economista della<br />

nuova destra non afferma dunque la propria neutralità, bensì il proprio<br />

disinteresse nei confronti dei presupposti etici e delle implicazioni politiche delle<br />

proprie teorie.<br />

3. La vittoria culturale della nuova destra<br />

Nonostante il divieto esplicito alla discussione dei valori che gli economisti della<br />

nuova destra si autoimpongono, è proprio sul discorso dei valori che la nuova<br />

destra afferma il proprio trionfo. Non essendo possibile un confronto aperto sul<br />

tema dei valori è sul terreno dell’analisi di coordinamento e <strong>competizione</strong> che si<br />

svolge il dibattito sulla desiderabilità delle strutture organizzative. L’impostazione<br />

del confronto tra strutture organizzative in termini di coordinamento e<br />

<strong>competizione</strong> permette solo apparentemente di evitare il discorso dei valori; in<br />

realtà essa porta ad affermare il sistema di valori individualistici su cui si basa la<br />

filosofia della nuova destra, come unico sistema di valori ammissibile. Vediamo<br />

come.<br />

<strong>Coordinamento</strong> e <strong>competizione</strong> non sono valori, sono principi economici.<br />

Essi però, in alcuni casi, tendono, sebbene erroneamente, ad apparire come valori,<br />

nella misura in cui garantiscano l’efficienza economica: nei casi in cui il principio<br />

di coordinamento conduce ad allocazioni superiori, dal punto di vista<br />

dell’efficienza, alle soluzioni ottenibili tramite il principio di <strong>competizione</strong> si ha<br />

l’impressione di poter giustificare economicamente la solidarietà rispetto<br />

all’individualismo; nei casi contrari si ritiene invece di poter giustificare<br />

l’individualismo. Questi, in fondo, sono i messaggi rispettivamente dei teoremi<br />

della « mano visibile » e della « mano invisibile »: nelle condizioni in cui valga il<br />

teorema della mano invisibile, l’individualismo si trasforma in virtù sociale e il<br />

principio di <strong>competizione</strong> assume il ruolo di strumento efficiente (e, dunque,<br />

positivo sotto il profilo del valore) per la realizzazione di tale prodigio; nelle<br />

condizioni in cui valga il teorema della mano visibile è invece la solidarietà ad<br />

acquistare valore ed è il principio di coordinamento a fare da strumento efficiente.<br />

Ma solidarietà ed individualismo sono atteggiamenti sociali di derivazione<br />

etica e non devono (e non possono) essere discussi e giustificati in base ai loro<br />

effetti sull’efficienza economica. Anche perché, così facendo, lo stesso discorso<br />

dei valori viene sottoposto al vaglio efficientistico del mercato, dando vita ad un<br />

ragionamento circolare, in quanto il sistema di mercato è esso stesso basato su un<br />

ben determinato sistema di valori. In altre parole, facendo dipendere la<br />

giustificazione dei comportamenti solidaristici dagli effetti economici che tali<br />

comportamenti producono (nel sistema di mercato), si dimentica che come metro<br />

di giudizio si sta usando proprio il metro individualista del mercato. In questo<br />

305


modo, il solidarismo cessa di essere un sistema di valori alternativo (e, a nostro<br />

avviso, superiore su un piano etico) al sistema di valori individualistici per<br />

divenire solo un sottoprodotto efficientistico dell’individualismo stesso.<br />

Tutto ciò avviene, ovviamente, implicitamente, in quanto, come si è detto,<br />

all’economista è fatto divieto di parlare di valori. Attraverso la discussione dei<br />

principi di coordinamento e <strong>competizione</strong> l’economista si prende così la sua<br />

rivincita affrontando col massimo rigore scientifico proprio quei temi che<br />

suscitano le reazioni emotive più prossime al discorso dei valori. In questo<br />

(contraddittorio) tentativo di discussione scientifica dei valori la nuova destra non<br />

è sola. Anche la sinistra vi partecipa rendendo così sempre più arduo il compito<br />

dell’analista di caratterizzare ideologicamente i diversi schemi teorici di<br />

interpretazione della realtà. E questo aggrava la crisi di identità della sinistra. Per<br />

porre un argine al dilagare del mercato gli economisti di sinistra lavorano ad<br />

evidenziare tutti quei casi in cui il mercato fallisce, il prigioniero dilemmatico<br />

tradisce (senza per questo ricevere alcuno sconto di pena), le condizioni<br />

d’equilibrio mancano il soddisfacimento della Pareto efficienza e così via; in<br />

breve, essi sottolineano l’insufficienza (rispetto agli obiettivi efficientistici) del<br />

puro principio di <strong>competizione</strong> e la possibilità che il principio di coordinamento<br />

possa risultare più efficace.<br />

Come strategia minimale tali tentativi funzionano in quanto mostrano i<br />

limiti di un sistema basato unicamente sulla <strong>competizione</strong> e sulla logica del più<br />

forte. Essi non pongono tuttavia in discussione la logica del più forte in quanto<br />

tale, semmai la legittimano. Il risultato è che mentre si argina il dilagare del<br />

mercato, si infligge, allo stesso tempo, il colpo finale a quei tentativi di riproporre<br />

i valori come tema di discussione economica e, con ciò, si dà validità ad<br />

un’operazione logica internamente contraddittoria (l’oggettivazione dei valori del<br />

mercato) che sancisce la vittoria culturale della nuova destra.<br />

4. Il confronto tra strutture organizzative<br />

Prima di concludere questa nostra indagine sui rapporti tra Stato, impresa e<br />

mercato ripercorriamo in forma sintetica l’itinerario metodologico attraverso il<br />

quale siamo arrivati al risultato di impossibilità nel confronto efficientistico (ossia<br />

indipendente dai giudizi di valore) tra strutture organizzative.<br />

L’analisi è stata divisa in due fasi distinte considerando dapprima il<br />

rapporto tra contesto decisionale e struttura organizzativa come un rapporto di<br />

indipendenza e, in seguito, come un rapporto di interdipendenza.<br />

La logica della prima fase (essenzialmente di critica interna alle teorie<br />

della nuova destra) ha consistito nell’assumere per dato il contesto decisionale,<br />

306


confrontando le possibili strutture organizzative definibili su di esso e discutendo i<br />

risultati del confronto, ipotizzando contesti decisionali via via più complessi.<br />

In particolare, l’esogenità del contesto decisionale è assunta dagli autori<br />

dell’approccio neoclassico; le scuole austriaca e neoistituzionalista assumono<br />

invece una parziale interdipendenza tra contesto decisionale e struttura<br />

organizzativa; la caratteristica fondamentale di tale interdipendenza solo parziale è<br />

quella di escludere qualsiasi influenza della struttura organizzativa sulle<br />

caratteristiche dei decisori del contesto decisionale. Il fatto di mantenere come<br />

scelta metodologica un punto fermo del contesto decisionale (l’individuo) che<br />

influenza la performance della struttura organizzativa ma non è influenzato da<br />

quest’ultima porta, come abbiamo visto, a sviluppare il confronto tra strutture<br />

organizzative in modo del tutto analogo al caso di completa esogenità del contesto<br />

decisionale.<br />

Nella seconda fase (esplicitamente propositiva) si è rimessa invece in<br />

discussione l’ipotesi stessa di elementi del contesto decisionale completamente<br />

esogeni per concentrarsi sull’evoluzione congiunta di struttura organizzativa e<br />

contesto decisionale.<br />

(1) L’ESOGENITÀ DEL CONTES TO DECISIONALE. Il risultato fondamentale<br />

raggiunto in ipotesi di esogenità (e di endogenità parziale) del contesto<br />

decisionale consiste nell’impossibilità di stabilire una scala di desiderabilità tra le<br />

strutture organizzative su basi puramente tecniche, quale che sia il contesto<br />

decisionale assunto a riferimento. Gli unici criteri che consentono di stabilire la<br />

desiderabilità di una o più strutture organizzative passano per l’introduzione dei<br />

giudizi di valore.<br />

-Nel contesto decisionale perfetto oltre al risultato di equivalenza tra le<br />

strutture organizzative si ha, grazie alla validità dei due teoremi generali del<br />

benessere la possibilità di separare la discussione della desiderabilità produttiva<br />

dalla desiderabilità distributiva.<br />

-Fuori dal contesto decisionale perfetto, venendo meno i due teoremi del<br />

benessere viene meno anche la possibilità di separare la sfera produttiva e la sfera<br />

distributiva nell’analisi delle condizioni di desiderabilità delle strutture<br />

organizzative capitalistiche.<br />

-Nella scuola austriaca produzione e distribuzione sono analizzate<br />

congiuntamente. Tuttavia la critica al socialismo e la tesi della desiderabilità delle<br />

strutture organizzative capitalistiche si basano su precisi giudizi di valore (che<br />

vengono esplicitati nella tesi).<br />

-Nella scuola neoistituzionalista sotto determinate condizioni si riesce a<br />

definire la frontiera istituzionale efficiente Stato-impresa-mercato. Essa si basa<br />

però solo su considerazioni produttive e non anche distributive, il che implica<br />

l’introduzione implicita di giudizi di valore in quanto nel contesto decisionale<br />

neoistituzionalista non valgono i due teoremi generali del benessere<br />

307


(l’introduzione implicita di giudizi di valore supera inoltre in alcuni casi specifici<br />

il problema della separazione tra produzione e distribuzione).<br />

Il fatto che l’introduzione dei giudizi di valore sia un fatto su cui la nuova destra<br />

pone un veto epistemologico impedisce agli economisti della nuova destra di<br />

sviluppare una coerente discussione esplicita sui criteri valutativi. Ciò implica che<br />

tutte le tesi della nuova destra circa la desiderabilità-indesiderabilità di una<br />

struttura organizzativa su un qualsiasi contesto decisionale (esogeno) siano<br />

inevitabilmente puramente apologetiche, oltre che internamente contraddittorie. I<br />

due risultati particolari (rispetto al nostro risultato generale) più interessanti<br />

rispetto ai due grandi dibattiti Stato-mercato e impresa-mercato sono i seguenti:<br />

(1) la sconfitta austriaca nel dibattito sulla pianificazione (sia nei contesti<br />

decisionali neoclassici di Barone, Lange-Lerner e dell’organization theory, sia nei<br />

contesti decisionali austriaci tradizionali e moderni); (2) l’incoerenza interna della<br />

ricerca neoistituzionalista sulla frontiera efficiente Stato-impresa-mercato come<br />

assetto istituzionale desiderabile (sia nel contesto decisionale del filone<br />

informativo, sia nel contesto decisionale di Williamson).<br />

(2) L’ENDOGENITÀ DEL CONTESTO DECISIONALE. L’ipotesi di interdipendenza tra<br />

struttura organizzativa e contesto decisionale porta a reimpostare il problema del<br />

confronto tra strutture organizzative analizzando l’evoluzione complessiva dei<br />

diversi sistemi decisionali (fatta di interazioni tra struttura organizzativa e<br />

contesto decisionale). Il problema di statica comparata tra strutture organizzative<br />

su un dato contesto decisionale viene così sostituito dal problema del confronto<br />

(basato, anche in questo caso, necessariamente su giudizi di valore) tra le possibili<br />

dinamiche evolutive di un sistema decisionale.<br />

5. I giudizi di valore<br />

Il problema dei giudizi di valore nell’analisi della desiderabilità delle strutture<br />

organizzative supera di gran lunga il discorso sulla visione prescientifica e<br />

ideologica di cui parlano, per fare solo alcuni nomi, Schumpeter, Dobb, Myrdal e<br />

Hutchison. 519<br />

Non si tratta qui di analizzare la sfera in cui si forma la domanda da<br />

investigare o la natura, necessariamente ideologica, dell’individuazione del<br />

problema da affrontare. Si è invece di fronte ad un caso generale di specificazione<br />

del problema incompatibile con la sua soluzione.<br />

519 Schumpeter (1954), Dobb (1973, cap. 1), Myrdal (1981, capp. 1, 2, 8), Hutchison (1964).<br />

308


La domanda posta non ammette soluzione: interrogarsi sulla desiderabilità<br />

delle strutture organizzative senza introdurre giudizi di valore è, alla luce dei<br />

risultati che abbiamo raggiunto, una contraddizione in termini.<br />

Ciò non significa cancellare l’ultimo secolo di indagine sul problema del<br />

confronto tra strutture organizzative. I risultati negativi, nei casi in cui se ne tenga<br />

conto, rappresentano, in un’ottica storica, insegnamenti positivi in quanto<br />

permettono di riorganizzare le linee stesse della ricerca teorica. Tale<br />

riorganizzazione può portare (1) ad abbandonare o a riformulare la domanda in<br />

modo da non precludere la possibilità di una sua risposta e/o (2) a ridiscutere,<br />

nelle apposite sedi, i motivi dell’impossibilità della domanda. La nostra proposta è<br />

quella di approfondire le relazioni di <strong>potere</strong> come strumento di analisi dei<br />

meccanismi delle strutture organizzative capitalistiche e di discutere<br />

esplicitamente i giudizi di valore che ne sottendono l’analisi valutativa. Ciò<br />

implica sia la riformulazione della domanda sulla desiderabilità delle strutture<br />

organizzative in termini di conflitto, sia, dunque, l’uscita dal paradigma di ricerca<br />

impostato sulla pretesa neutralità etica dell’economista.<br />

In ogni caso, che si condividano o meno le nostre proposte, quando una<br />

domanda, nei termini in cui è formulata, non ammette risposte è necessario un<br />

ritorno alla domanda. D’altra parte la ricerca teorica è un processo dialettico<br />

domanda-risposta-domanda nel quale parlare di risultati positivi e negativi è un<br />

fatto privo di qualsiasi contenuto in termini di valore: sia gli uni che gli altri sono<br />

momenti essenziali del processo di indagine scientifica. In tale ottica, i risultati<br />

negativi diventano immediatamente positivi, in quanto, nello stesso momento in<br />

cui bloccano le strade impercorribili, segnano anche le direzioni ancora aperte.<br />

Al termine di una strada senza uscita, non si può che tornare indietro e<br />

riconsiderare, ad uno ad uno, i bivi incontrati. Il problema è che nella nostra<br />

retromarcia non incontriamo alcun bivio finché non giungiamo al grande incrocio<br />

sui giudizi di valore. A tale incrocio si dibatte su questioni grandi non riducibili al<br />

problema (pur immenso) del confronto tra strutture organizzative. Qui si<br />

definiscono i codici epistemologici delle varie scuole di pensiero ed è come parte<br />

di tali dibattiti che si discute il problema, a noi caro, dei giudizi di valore.<br />

Dal nostro punto di vista, il problema del confronto tra strutture<br />

organizzative rimane centrale, nonostante il risultato di impossibilità raggiunto.<br />

Per questo, se l’unico modo di confrontare le strutture organizzative è quello<br />

basato sui giudizi di valore, la nostra scelta di porre i giudizi di valore al centro<br />

dell’analisi comparata (dell’evoluzione) delle strutture organizzative è, in effetti,<br />

una scelta obbligata e la ridiscussione del problema epistemologico è, per noi,<br />

inevitabile.<br />

Ma se il risultato di impossibilità raggiunto non ha nulla da offrire al<br />

grande dibattito epistemologico sull’uso dei giudizi di valore, allora sì, il nostro<br />

contributo al processo di indagine scientifica è solo negativo: alle condizioni<br />

epistemologiche date, il problema del confronto tra strutture organizzative non<br />

309


può essere risolto. Allora però -se il codice epistemologico non può essere<br />

riconsiderato- la nostra conclusione è che mentre ancora in molti ricercano una<br />

soluzione al problema della desiderabilità tecnica delle strutture organizzative (e<br />

alcuni credono anche di averla trovata), questo secolo di indagine teorica è, in<br />

realtà, già un pezzo da museo.<br />

310


BIBLIOGRAFIA<br />

ALBERT H. (1960), The Neglect of Sociology in Economic Science; in Rothschild<br />

(Ed.) (1971), pp. 21-35.<br />

ALCHIAN A. (1987), Property Rights; in Eatwell, Millgate and Newman (Ed.)<br />

(1987).<br />

ALCHIAN A. AND H. DEMSETZ (1972), Production, Information Costs and<br />

Economic Organization, American Economic Review, 62, pp. 777-95.<br />

ALT J.E. AND K.A. SHEPSLE (ED.) (1990), Positive Perspectives on Political<br />

Economy, Cambridge, Cambridge University Press.<br />

AMENDOLA M. AND S. BRUNO (1990), The Behaviour of the Innovative Firm:<br />

Relations to the Environment, Research Policy, Vol. 19, N. 5, pp. 419-<br />

33<br />

AMENDOLA M. AND J.L. GAFFARD (1988), The Innovative Choice. An Economic<br />

Analysis of the Dynamics of Technology, Basil Blackwell, Oxford<br />

and New York.<br />

AMENDOLA M. AND J.L. GAFFARD (1994), Markets and Organizations as Coherent<br />

Systems of Innovation, Research Policy, N. 23, pp. 627-635.<br />

ANDREWS JR J.K. (ED.) (1981), Homage to Mises, Hillsdale College Press,<br />

Hillsdale, Michigan.<br />

ANKARLOO D. (1996a), Transaction Costs, the Firm and the Organizations of<br />

Capitalism, University of Lund.<br />

ANKARLOO D. (1996b), The Pitfall of « Voluntary Exchange », University of<br />

Lund.<br />

ARESTIS P. AND M. SAWYER (Ed.) (1994), The Elgar Companion to Radical<br />

Political Economy, Edward Elgar Publishing Limited, England.<br />

ARROW J.K. (1951a), An Extension of the Basic Theorems of Classical Welfare<br />

Economics, University of California.<br />

ARROW J.K. (1951b), Alternative Proof of the Substitution Theorem for Leontief<br />

Models in the General Case; in Koopmans (Ed.) (1951a).<br />

ARROW J.K. (1951c), Social Choice and Individual Values, New York, Wiley.<br />

311


ARROW J.K. (1969), The Organization of Economic Activity: Issues Pertinent to<br />

the Choice of Market Versus Non-market Allocation; in The Analysis<br />

and Evaluation of Public Expenditure: the PPB System, Vol. 1, US<br />

Joint Committee, 91st Congress, 1st Session, Washington DC, US<br />

Government Printing Office, pp. 59-73. Ripubblicato in Haveman and<br />

Margolis (Ed.) (1970).<br />

ARROW J.K. AND G. DEBREU (1954), Existence of an Equilibrium for a<br />

Competitive economy, Econometrica, N. 22, pp. 265-290.<br />

ARROW J.K. AND L. HURWICZ (ED.) (1977), Studies in Resource Allocation<br />

Processes, Cambridge, Cambridge University Press.<br />

ARROW J.K. AND M.D. INTRILIGATOR (ED.) (1982), Handbook of Mathematical<br />

Economics, Voll. I, II, III, North Holland, Amsterdam.<br />

ARROW J.K., KARLIN S. AND P. SUPPES (ED.) (1960), Mathematical Methods in the<br />

Social Sciences, Stanford, Stanford University Press.<br />

ARTHUR W.B. (1989), Competing Technologies, Increasing Returns, and Lock-in<br />

by Historical Events, The Economic Journal, Vol. 99, N. 1, pp. 116-<br />

31.<br />

ASCH, S.E. (1952), Social Psychology, New York, Prentice-Hall.<br />

BARONE E. (1908), Il ministro della Produzione nello Stato Collettivista, Il<br />

Giornale degli Economisti. Ripubblicato (in inglese) in Hayek (Ed.)<br />

(1935), pp. 247-90.<br />

BARTLETT R. (1994), Power (I); in Hodgson, Samuels and Tool (Ed.) (1994), Vol.<br />

II, pp. 169-73.<br />

BAUSOR R. (1994), Time; in Hodgson, Samuels and Tool (Ed.) (1994), Vol. II, pp.<br />

326-30.<br />

BECKER G.S. (1983), A Theory of Competition among Interests Groups for<br />

Political Influence, Quarterly Journal of Economics, N. 48, pp. 371-<br />

400.<br />

BECKER G.S. (1992), Comments to Cheung (1992); in Werin and Wijkander (Ed.)<br />

(1992), pp. 66-71.<br />

BERG M. (1991), On the Origins of Capitalist Hierarchy; in Gustafsson (Ed.)<br />

(1991a), pp. 173-94.<br />

BIRNER J. AND R. VAN ZIJP (ED.) (1994), Hayek, Co-ordination and Evolution,<br />

Routledge, London.<br />

BOEHM S. (1992), Austrian Economics and the Theory of Entrepreneurship: Israel<br />

M. Kirzner interviewed by Stephan Boehm on 2 May 1989, Review of<br />

Political Economy, 4.1, pp. 95-110.<br />

BOETTKE P. (ED.) (1994), The Elgar Companion to Austrian Economics, Edward<br />

Elgar, Aldershot.<br />

BOHM P. (1987), Second Best; in Eatwell, Millgate and Newman (Ed.) (1987).<br />

BOITANI A. E G. RODANO (ED.) (1995), Relazioni Pericolose. L’avventura<br />

dell’economia nella Cultura Contemporanea, Laterza.<br />

312


BOWLES S. (1985), The Production Process in a Competitive Economy:<br />

Walrasian, Neo-Hobbesian, and Marxian Models, American<br />

Economic Review, N. 75, pp. 16-36. Ripubblicato in Putterman (Ed.)<br />

(1986b), pp. 329-35.<br />

BOWLES S. AND R. EDWARDS (ED.) (1990), Radical Political Economy, Voll. I, II,<br />

Edward Elgar, Aldershot, England.<br />

BOWLES S. AND H. GINTIS (1993a), The Revenge of Homo Economicus:<br />

Contested Exchange and the Revival of Political Economy, Journal of<br />

Economic Perspectives, Vol. 7, N. 1, Winter, pp. 83-102.<br />

BOWLES S. AND H. GINTIS (1993b), Post Walrasian Political Economy; in Bowles,<br />

Gintis and Gustafsson (1993).<br />

BOWLES S. AND H. GINTIS (1994), Power in Economic Theory; in Arestis and<br />

Sawyer (Ed.) (1994), pp. 300-5.<br />

BOWLES S., GINTIS H. AND B. GUSTAFSSON (ED.) (1993), Markets and Democracy:<br />

Participation, Accountability and Efficiency, Cambridge, Cambridge<br />

University Press.<br />

BRAVERMAN H. (1974), Labour and Monopoly Capital, New York, Monthly<br />

Review Press.<br />

BRESCIANI-TURRONI C. (1946), Prefazione alla versione italiana di Hayek (Ed.)<br />

(1935a), pp. xi-xxi.<br />

BRUNO S. (1979), The Industrial Reserve Army, Segmentation and the Italian<br />

Labour Market, Cambridge Journal of Economics, N. 3, pp. 131-51.<br />

BRUNO S. (1986), La Scelta del Decisore Come Processo Culturalmente<br />

Connotato; in Sacconi (Ed.) (1986), Cap. 5.<br />

BRUNO S. (1994), The New Conceptual Limits of Laissez Faire, Dispense di<br />

<strong>Economia</strong> Pubblica, Dipartimento di Scienze Economiche, Roma.<br />

BRUNO S. (1995), Una Rivisitazione Critica dell’<strong>Economia</strong> del Benessere,<br />

Dispense di <strong>Economia</strong> Pubblica, Dipartimento di Scienze<br />

Economiche, Roma.<br />

BRUNO S. (1996), The Limits of Laissez Faire, Tempus, Latapses, Nice.<br />

CALDWELL B.J. (1990), Carl Menger and His Legacy in Economics, Annual<br />

Supplement to Vol. 22, History of Political Economy, Duke<br />

University Press, Durham and London.<br />

CALDWELL B.J. (ED.) (1993), The Philosophy and Methodology of Economics,<br />

Voll. I, II, III, Edward Elgar, Aldershot, England.<br />

CALDWELL B.J. AND S. BOEHM (ED.) (1993), Austrian Economics: Tensions and<br />

New Directions, Kluwer Academic Publishers, London.<br />

CARTER M.R. (1985), A Wisconsin Institutionalist Perspective on Microeconomic<br />

Theory of Institutions: The Insufficiency of Pareto Efficiency, Journal<br />

of Economic Issues, Vol. 19, N. 3, pp. 797-813. Ristampato in Tool<br />

and Samuels (Ed.) (1989), pp. 389-405.<br />

313


CATEPHORES G. (1994), Modes of Production; in Arestis and Sawyer (Ed.) (1994),<br />

pp. 269-74.<br />

CHEUNG S.N.S. (1983), The contractual Nature of the Firm, Journal of Law and<br />

Economics, Vol. 26, N. 1, pp. 1-21.<br />

CHEUNG S.N.S. (1987a), Economic Organization and Transaction Costs; in<br />

Eatwell, Millgate and Newman (Ed.) (1987).<br />

CHEUNG S.N.S. (1987b), Common Property Rights; in Eatwell, Millgate and<br />

Newman (Ed.) (1987).<br />

CHEUNG S.N.S. (1992), On the New Institutional Economics; in Werin and<br />

Wijkander (Ed.) (1992), pp. 48-65.<br />

CHICK V. (1994), Speculation; in Arestis and Sawyer (Ed.) (1994).<br />

CLARK C.M.A. (1987-88), Equilibrium, Market Process, and Historical Time,<br />

Journal of Post Keynesian Economics, Winter, Vol. X, No. 2.<br />

COASE R.H. (1937), The Nature of the Firm, Economica, Vol. 4, pp. 386-405.<br />

Ripubblicato in Coase (1988b)<br />

COASE R.H. (1960), The Problem of Social Cost, Journal of Law and Economics,<br />

3, pp. 1-44. Ripubblicato in Coase (1988b).<br />

COASE R.H. (1988a), The Nature of the Firm: Origin, Meaning, Influence, Journal<br />

of Law, Economics and Organization, Vol. 4, N. 1, Spring, pp. 3-47.<br />

Ripubblicato in Williamson and Winter (1991).<br />

COASE R.H. (1988b), The Firm, the Market and the Law, Chicago, The University<br />

of Chicago Press.<br />

COASE R.H. (1992), Comments to Cheung (1992); in Werin and Wijkander (Ed.)<br />

(1992), pp. 72-5.<br />

COLONNA M. AND H. HAGEMANN (ED.) (1994), Money and Business Cycle. The<br />

Economics of F.A. Hayek, Vol. I, II, Edward Elgar, Aldershot,<br />

England.<br />

COWLING K. AND R. SUGDEN (1993), Control, Markets and Firms; in Pitelis (Ed.)<br />

(1993c), pp. 66-76.<br />

CURRIE M. AND M. MESSORI (1996), New Institutional Economics and New<br />

Keynesian Economics, Tempus, Latapses, Nice.<br />

CYERT R. AND J. MARCH (1963), A Behavioral Theory of the Firm, Englewood<br />

Cliffs, Princeton-Hall.<br />

DAHLMAN C.J. (1979), The Problem of Externality, Journal of Law and<br />

Economics, Vol. 22, N. 1, pp. 141-62.<br />

DANTZIG G. (1951), The Programming of Interdependent Activities: Mathematical<br />

Model, 1947; in Koopmans (Ed.) (1951).<br />

DAVID P.A. (1985), Clio and the Economics of QWERTY, American Economic<br />

Review, N. 75, May, pp. 332-7.<br />

DAVIDSON P. (1982-3), Expectations: A Fallacious Foundation for Studying<br />

Crucial Decision-Making Processes, Journal of Post Keynesian<br />

Economics, Winter, N. 5, pp. 182-97.<br />

314


DAVIDSON P. (1991), Is Probability Theory Relevant for Uncertainty? A Post<br />

Keynesian Perspective, Journal of Economic Perspective, Winter, N.<br />

5, pp. 129-43.<br />

DE VITI DE MARCO A. (1934), Principi di <strong>Economia</strong> Finanziaria, Einaudi, Torino.<br />

DEBREU G. (1951), The Coefficient of Resource Utilization, Econometrica.<br />

DOBB M. (1973), Theories of Value and Distribution since Adam Smith. Ideology<br />

and Economic Theory, Cambridge, Cambridge University Press.<br />

DOLAN E.G. (Ed.) (1976), The Foundations of Modern Austrian Economics,<br />

Kansas City: Sheed & Ward Inc.<br />

DONZELLI F. (1988), Introduzione a Hayek (1988).<br />

DORFMAN R., SAMUELSON P. AND R. SOLOW (1958), Linear Programming and<br />

Economic Analysis, McGraw-Hill, Japan.<br />

DOSI G. (1995), Hierarchies, Markets and Power: Some Foundational Issues on<br />

the Nature of Contemporary Economic Organizations, Industrial and<br />

Corporate Change, Vol. 4, N. 1, pp. 1-19.<br />

DOW G.K. (1993), The Appropriability Critique of Transaction Cost Economics;<br />

in Pitelis (Ed.) (1993c), pp. 101-32.<br />

DOYAL L. AND I. GOUGH (1991), A Theory of Human Need, London, Macmillan.<br />

DREWNOWSKI J. (1961), The Economic Theory of Socialism: A Suggestion for<br />

Reconsideration, Journal of Political Economy, N. 69, pp. 341-54.<br />

DUGGER W.M. (1988), Corporate Power and Economic Performance; in Peterson<br />

(Ed.) (1988b), pp. 83-107.<br />

DUGGER W.M. (1989a), Radical Institutionalism: Basic Concepts; in Dugger (Ed.)<br />

(1989b), pp. 1-20.<br />

DUGGER W.M. (ED.) (1989b), Radical Institutionalism: Contemporary Voices,<br />

Westport, Greenwood Press.<br />

DUGGER W.M. (1992a), An Evolutionary Theory of the State and the Market; in<br />

Dugger and Waller (Ed.) (1992), pp. 87-115.<br />

DUGGER W.M. (1992b), Conclusions; in Dugger and Waller (Ed.) (1992), pp.<br />

245-57.<br />

DUGGER W.M. (1993), Transaction Cost Economics and the State; in Pitelis (Ed.)<br />

(1993c), pp. 188-216.<br />

DUGGER W.M. (1994a), Corporate Hegemony; in Hodgson, Samuels and Tool<br />

(Ed.) (1994), Vol. I, pp. 91-95.<br />

DUGGER W.M. (1994b), Williamson, Oliver E.; in Hodgson, Samuels and Tool<br />

(Ed.) (1994), Vol. II, pp. 378-80.<br />

DUGGER W.M. AND W.T. WALLER (ED.) (1992), The Stratified State. Radical<br />

Institutionalist Theories of Participation and Duality, M.E. Sharpe,<br />

London, England.<br />

DYMSKI G.A. (1992), A new View of the Role of Banking Firms in Keynesian<br />

Monetary Theory, Journal of Post Keynesian Economics, Spring, Vol.<br />

14, N. 3, pp. 311-20.<br />

315


DYMSKI G.A. (1993), Keynesian Uncertainty and Asymmetric Information:<br />

Complementary or Contradictory?, Journal of Post Keynesian<br />

Economics, Fall, Vol. 16, N. 1, pp. 49-54.<br />

EARL P.E. (1988a), Introduction; in Earl (Ed.) (1988b), Vol. I, pp. 1-16.<br />

EARL P.E. (ED.) (1988b), Behavioural Economics, Voll. I, II, Edward Elgar,<br />

Aldershot, England.<br />

EATWELL J. (1987), Walras’s Theory of Capital; in Eatwell, Millgate and<br />

Newman (Ed.) (1987).<br />

EATWELL J., MILLGATE M. AND P. NEWMAN (ED.) (1987), The New Palgrave: a<br />

Dictionary of Economics, London, Macmillan.<br />

EDWARDS R. (1979), Contested Terrain, New York, Basic Books Inc.<br />

EGIDI M. E M. MESSORI (1995), <strong>Economia</strong> e Organizzazione; in Boitani e Rodano<br />

(Ed.) (1995), pp. 329-373.<br />

ELLMAN M.J. (1966), Individual Preferences and the Market, Economics of<br />

Planning, Vol. 6, N. 3, pp. 241-50.<br />

FEINSTEIN C. (ED.) (1967), Capitalism, Socialism and Economic Growth,<br />

Cambridge.<br />

FOSS N.J. (1993), Theories of the Firm: Contractual and Competence<br />

Perspectives, Journal of Evolutionary Economics, N. 3, pp. 127-44.<br />

FOSTER J.F. (1981), The Relation Between the Theory of Value and Economic<br />

Analysis, Journal of Economic Issues, Vol. 15, N. 4, pp. 899-905.<br />

Ristampato in Tool and Samuels (Ed.) (1989), pp. 353-9.<br />

FOURIE F.C.V.N. (1989), The Nature of Firms and Markets: Do Transaction<br />

Approaches Help?, South African Journal of Economics, Vol. 157, N.<br />

2, pp. 142-60.<br />

FOURIE F.C.V.N. (1991), The Nature of the Market: A Structural Analysis; in<br />

Hodgson and Screpanti (Ed.) (1991), pp. 40-57.<br />

FOURIE F.C.V.N. (1993), In the Beginning There Were Markets?; in Pitelis (Ed.)<br />

(1993c), pp. 41-65.<br />

FRANCIS A., TURK J. AND P. WILLMAN (ED.) (1983), Power, Efficiency and<br />

Institutions, London, Heinemann.<br />

FRANSMAN M. (1994), Information, Knowledge, Vision and Theories of the Firm,<br />

Industrial and Corporate Change, Vol. 3, N. 3, pp. 713-57.<br />

FULLER L.L. (1969), The Morality of Law, Yale University Press, New Haven.<br />

GALBRAITH J.K. (1967), Capital, Technostructure and Power; in Rothschild (Ed.)<br />

(1971), pp. 192-204.<br />

GAREGNANI P. (1960), Il Capitale nelle Teorie della Distribuzione, Milano,<br />

Giuffè.<br />

GARRISON R.W. AND I.M. KIRZNER (1987), Hayek, Friedrich August von; in<br />

Eatwell, Millgate and Newman (Ed.) (1987).<br />

GEORGESCU-ROEGEN N. (1951), Some Properties of a Generalized Leontief<br />

Model; in Koopmans (Ed.) (1951a).<br />

316


GLORIA S. (1996a), Tradition et Rénovation de l’Approche Autrichienne: une<br />

Perspective Mengerienne, Thèse de Doctorat, Université de Nice.<br />

GLORIA S. (1996b), Discovery versus Creation: Implications on the Austrian View<br />

of the Market Process, European Association for Evolutionary<br />

Political Economy, Conference Paper, Vol. I, Antwerp, Belgium.<br />

GLORIA S. AND G. PALERMO (1996), Bargaining as an Institution: A Theoretical<br />

Investigation, Working Paper, Latapses, Nice.<br />

GLORIA S. ET G. PALERMO (1997), Les Jugements de Valeur dans la Théorie<br />

Autrichienne, Paper presentato al Séminaire Organisés par le CHPE,<br />

26-27 Septembre, Université de Paris I, La Sorbonne.<br />

GOUGH I. (1994), Need, Concept of; in Hodgson, Samuels and Tool (Ed.) (1994),<br />

Vol. II, pp. 118-26.<br />

GRAAFF J. DE V. (1957), Theoretical Welfare Economics, Cambridge, Cambridge<br />

University Press.<br />

GRASSI E. (1976), L’ « Esposizione Dialettica » nel Capitale di Marx, Basilicata<br />

Editrice, Roma.<br />

GRAZIANI A. (1997), I Conti Senza l’Oste: Quindici Anni di <strong>Economia</strong> Italiana,<br />

Torino, Bollati Boringhieri.<br />

GREER D.F. (1988), The Concentration of Economic Power; in Peterson (Ed.)<br />

(1988b), pp. 53-81.<br />

GROSSMAN S.J. AND O.D. HART (1986), The Costs and Benefits of Ownership: A<br />

Theory of Vertical and Lateral Integration, Journal of Political<br />

Economy, Vol. 94, pp. 691-719.<br />

GUSFAFSSON B. (ED.) (1991a), Power and Economic Institutions.<br />

Reinterpretations in Economic History, Edward Elgar, Aldershot,<br />

England.<br />

GUSTAFSSON B. (1991b), Introduction; in Gustafsson (Ed.) (1991a), pp. 1-50.<br />

HAHN F. (1982), Stability; in Arrow and Intriligator (Ed.) (1992), Vol. II, pp. 745-<br />

793.<br />

HARGREAVES HEAP S. (1994), Rationality and Maximization; in Hodgson,<br />

Samuels and Tool (Ed.) (1994), Vol. II, pp. 215-9.<br />

HARSANYI J. (1962), The Dimension and Measurement of Social Power; in<br />

Rothschild (Ed.) (1971), pp. 77-96.<br />

HART O.D. (1987), Incomplete Contracts; in Eatwell, Millgate and Newman (Ed.)<br />

(1987).<br />

HART O.D. (1989), An Economist’s Perspective on the Theory of the Firm,<br />

Columbia Law Review, Vol. 89, pp. 1757-74.<br />

HART O.D. AND J. MOORE (1990a), Property Rights and the Nature of the Firm,<br />

Journal of Political Economy, Vol. 98, pp. 1119-58.<br />

HART O.D. AND J. MOORE (1990b), A Theory of Corporate Financial Structure<br />

Based on the Seniority of Claims, National Bureau of Economic<br />

Research, Working Paper N. 3431.<br />

317


HART O.D. AND J. MOORE (1991), A Theory of Debt Based on the Inalienability of<br />

Human Capital, National Bureau of Economic Research, Working<br />

Paper N. 3906.<br />

HAVEMAN R.H. AND J. MARGOLIS (ED.) (1970), Public Expenditures and Policy<br />

Analysis. Chicago, Markham.<br />

HAYEK F.A. VON (1933), Geldtheorie und Konjunkturtheorie. Traduzione inglese:<br />

Monetary Theory and the Trade Cycle, New York, August M. Kelley,<br />

1966 (prima edizione inglese: 1933).<br />

HAYEK F.A. VON (ED.) (1935a), Collectivist Economic Planning: Critical Studies<br />

on the Possibilities of Socialism, Routledge & Kegan Paul.<br />

Traduzione italiana: Pianificazione Economica Collettivistica. Studi<br />

Critici sulle Possibilità del Socialismo, Einaudi, 1946.<br />

HAYEK F.A. VON (1935b), The Nature and History of the Problem; in Hayek (Ed.)<br />

(1935a). Versione italiana, 1946: pp. 1-39.<br />

HAYEK F.A. VON (1935c), The Present State of the Debate; in Hayek (Ed.)<br />

(1935a). Versione italiana, 1946: pp. 189-231.<br />

HAYEK F.A. VON (1937), Economics and Knowledge, Economica, 4, pp. 33-54.<br />

Traduzione italiana: <strong>Economia</strong> e Conoscenza; in Hayek (1988), pp.<br />

227-52.<br />

HAYEK F. A. VON (1941), The Counter-Revolution of Science, Economica, Vol. 8<br />

(tre articoli): N. 29, pp. 9-36; N. 30, pp. 119-50; N. 31, pp. 281-320.<br />

Raccolti in Hayek (1955).<br />

HAYEK F.A. VON (1945), The Use of Knowledge in Society, American Economic<br />

Review, XXXV(4), September, pp. 519-530. Ripubblicato in Hayek<br />

(1949), pp. 77-91.<br />

HAYEK F.A. VON (1946), The Meaning of Competition; in Hayek (1949), pp. 92-<br />

106.<br />

HAYEK F.A. VON (1949), Individualism and Economic Order, London, Routledge<br />

and Kegan Paul.<br />

HAYEK F.A. VON (1955), The Counter-Revolution of Science, Glencoe, Illinois,<br />

The Free Press.<br />

HAYEK F.A. VON (1968), Competition as a Discovery Procedure; in Hayek (1978),<br />

pp. 179-90.<br />

HAYEK F.A. VON (1973), Law, Legislation and Liberty: a New Statement of the<br />

Liberal Principles of Justice and Political Economy, Vol 1, Rules and<br />

Order, London, Routledge and Kegan Paul.<br />

HAYEK F.A. VON (1974), The Pretence of Knowledge, Nobel Memorial Lecture,<br />

December 11, 1974, The Nobel Foundation. Ripubblicato in American<br />

Economic Review, December 1989, Vol. 79, N. 6, pp. 3-7.<br />

HAYEK F.A. VON (1978), New Studies in Philosophy, Politics, Economics and the<br />

History of Ideas, Routledge and Kegan Paul, London.<br />

318


HAYEK F.A. VON (1988), Conoscenza, Mercato, Pianificazione. Saggi di<br />

<strong>Economia</strong> e di Epistemologia, Bologna, Il Mulino.<br />

HIRSCHMAN A.O. (1970), Exit, Voice, and Loyalty. Responses to Decline in<br />

Firms, Organizations, and States, Harvard University Press.<br />

HODGSON G.M. (1988), Economics and Institutions: A Manifesto for a Modern<br />

Institutional Economics, Cambridge, Polity Press.<br />

HODGSON G.M. (1989), Institutional Economic Theory: the Old Versus the New,<br />

Review of Political Economy, Vol. 1, N. 3, pp. 249-69.<br />

HODGSON G.M. (1991), Hayek’s Theory of Cultural Evolution: An Evaluation in<br />

the Light of Vanberg’s Critique, Economics and Philosophy, Vol. 7,<br />

N. 1.<br />

HODGSON G.M. (1993a), Economics and Evolution: Bringing Life Back into<br />

Economics, Cambridge, Polity Press.<br />

HODGSON G.M. (1993b), Transaction Costs and the Evolution of the Firm; in<br />

Pitelis (Ed.) (1993c), pp. 77-100.<br />

HODGSON G.M. (ED.) (1993c), The Economics of Institutions, Aldershot, Edward<br />

Elgar.<br />

HODGSON G.M. (1994a), Evolution and Optimality; in Hodgson, Samuels and<br />

Tool (Ed.) (1994), Vol. I, pp. 207-12.<br />

HODGSON G.M. (1994b), Evolution, Theories of Economic; in Hodgson, Samuels<br />

and Tool (Ed.) (1994), Vol. I, pp. 218-24.<br />

HODGSON G.M. (1994c), Institutionalism, « Old » and « New »; in Hodgson,<br />

Samuels and Tool (Ed.) (1994), Vol. I, pp. 397-402.<br />

HODGSON G.M. (1994d), Employment Relations and Contracts; in Arestis and<br />

Sawyer (Ed.) (1994), pp. 123-7.<br />

HODGSON G.M. (1994e), Methodological Individualism; in Hodgson, Samuels and<br />

Tool (Ed.) (1994), Vol. II, pp. 63-7.<br />

HODGSON G.M. (1994f), Cognition, Cultural and Institutional Influences on; in<br />

Hodgson, Samuels and Tool (Ed.) (1994), Vol. I, pp. 58-63.<br />

HODGSON G.M. (1994g), Determinism and Free Will; in Hodgson, Samuels and<br />

Tool (Ed.) (1994), Vol. I, pp. 134-8.<br />

HODGSON G.M. (1994-95), Evolutionary and Competence-Based Theories of the<br />

Firm, Research Papers in Management Studies N. 26, The Judge<br />

Institute of Management Studies. Di prossima pubblicazione in Pitelis<br />

(Ed.), The Economics of Industrial and Business Strategy.<br />

HODGSON G.M. (1996a), The Coasean Tangle, European Association for<br />

Evolutionary Political Economy, Conference Paper, Vol. I, Antwerp,<br />

Belgium.<br />

HODGSON G.M. (1996b), Varieties of Capitalism and Varieties of Economic<br />

Theories, Review of International Political Economy, 3:3, Autumn,<br />

pp. 381-434.<br />

319


HODGSON G.M., SAMUELS W.J. AND M.R. TOOL (ED.) (1994), The Elgar<br />

Companion to Institutional and Evolutionary Economics, Voll. I, II,<br />

Edward Elgar, Aldershot, England.<br />

HODGSON G.M. AND E. SCREPANTI (ED.) (1991), Rethinking Economics. Markets,<br />

Technology and Economic Evolution, Edward Elgar, Aldershot,<br />

England.<br />

HURWICZ L. (1960), Optimality and Informational Efficiency in Resource<br />

Allocation Processes; in Arrow, Karlin and Suppes (Ed.) (1960).<br />

HURWICZ L. (1977), On the Dimensional Requirements of Informationally<br />

Decentralised Pareto-Satisfactory Processes; in Arrow and Hurwicz<br />

(Ed.) (1977).<br />

HUTCHISON T.W. (1964), Types and Sources of Value-Judgements and Bias; in<br />

Caldwell (Ed.) (1993), Vol. II, pp. 125-93.<br />

INGRAO B. E G. ISRAEL (1987), La Mano Invisibile: L’equilibrio Economico nella<br />

Storia della Scienza, Roma, Laterza.<br />

IOANNIDES S. (1992), The Market, Competition and Democracy. A Critique of<br />

Neo-Austrian Economics, Edward Elgar.<br />

JAFFÈ W. (1976), Menger, Jevons and Walras De-Homogenized, Economic<br />

Enquiry, Vol. XIV, Dec.<br />

JENSEN M. AND W. MECKLING (1976), Theory of the Firm: Managerial Behaviour,<br />

Agency Costs and Ownership Structure, Journal of Financial<br />

Economics, 3, pp. 305-60. Ripubblicato in forma ridotta in Putterman<br />

(Ed.) (1986b), Cap. 17, pp. 209-29.<br />

KANTOROVICH L.V. (1939), Mathematicheskiye metody organizatsiyii<br />

planirovaniya proizvodstva, Leningrad State University Press.<br />

Traduzione inglese: Mathematical Methods of Organizing and<br />

Planning Production, Management Science 6(4), July 1960, 363-422.<br />

KANTOROVICH L.V. (1959a), Mathematical Formulation of the Problem of<br />

Optimal Planning, Moscow. Estratto da Kantorovich (1959b), pp. 262-<br />

301. Ripubblicato in Nove and Nuti (Ed.) (1972).<br />

KANTOROVICH L.V. (1959b), Ekonomicheskii Raschet Nailuchshego<br />

Isplo’zovaniia Resursov, Moskow, State Publishing House.<br />

Traduzione inglese: The Best Use of Economic Resources, Oxford,<br />

Pergamon Press, 1965.<br />

KANTOROVICH L.V. (1970), Opyt Optimal’noi Zagruzki Prokatnykh stanov,<br />

Material’no-tekhnicheskoe Snabzhenie, N. 4, pp. 87-91. Traduzione<br />

inglese: Optimal Utilization of Rolling Pipe Mills; in Smolinski<br />

(1977), pp. 243-51.<br />

KANTOROVICH L.V. (1974a), Dostidzheniia Ekonomicheskoi Nauki - Praktiku,<br />

Ekonomicheskaia Gazeta, N. 26. Traduzione inglese: Let Us Apply<br />

the Achievements of Economic Science; in Smolinski (1977), pp. 9-<br />

15.<br />

320


KANTOROVICH L.V. (1974b), Ekonomicheskie Problemi Nauchno-<br />

Tekhnicheskogo Progressa, Ekonomika i Matematicheskie Metody,<br />

Vol. 10, N. 3, pp. 432-48. Traduzione inglese: Economic Problems of<br />

Scientific-Technical Progress; in Smolinski (1977), pp. 183-211.<br />

KANTOROVICH L.V. (1975a), Matematicheskie Metody - Economike,<br />

Literaturnaia Gazeta, October 22, N. 43. Traduzione inglese:<br />

Mathematical Method in Economics; in Smolinski (1977), pp. 3-8.<br />

KANTOROVICH L.V. (1975b), Mthematics in Economics: Achievements,<br />

Difficulties, Perspectives, Nobel Memorial Lecture, December 11,<br />

1975, The Nobel Foundation. Ripubblicato in American Economic<br />

Review, December 1989, Vol. 79, N. 6, pp. 18-22.<br />

KANTOROVICH L.V., GOL’SHTEIN E.G., MAKAROV V.L. AND I.V. ROMANOVSKII<br />

(1972), Matematicheskie Problemy Optimal’nogo Planirovaniia i<br />

Upravleniia, Vestnik Akademii Nauk SSSR, N. 10, pp. 70-9.<br />

Traduzione inglese: A Modern Mathematical System of Economic<br />

Management; in Smolinski (1977), pp. 226-242.<br />

KANTOROVICH L.V. AND A.L. VAINSHTEIN (1967), Ob Ischislenii Normy<br />

Effektivnosti Na Osnove Odnoproduktovoi Modeli Razvitiia<br />

Narodnogo Khoziaistva, Ekonomika i Matematicheskie Metody, Vol.<br />

3, N. 5, pp. 697-710. Traduzione inglese: On the Calculation of the<br />

Norm of Effectiveness on the Basis of a One-product Model of the<br />

Development of the Economy; in Smolinski (1977), pp. 68-90.<br />

KASER M. (1970), Soviet Economics, London, World University Library.<br />

KATZNER D.W. (1990), The Firm Under Conditions of Ignorance and Historical<br />

Time, Journal of Post Keynesian Economics, Fall, Vol. 13, N. 1, pp.<br />

125-45.<br />

KATZNER D.W. (1992-93), Operationality in the Shackle-Vickers Approach to<br />

Decision Making in Ignorance, Journal of Post Keynesian Economics,<br />

Winter, Vol. 15, N. 2, pp. 229-54.<br />

KAY N.M. (1993), False Hierarchies and the Role of Asset Specificity; in Pitelis<br />

(Ed.) (1993c), pp. 242-61.<br />

KEYNES J.M. (1936), The General Theory of Employment, Interest and Money,<br />

London, Macmillan. Traduzione italiana: Teoria Generale<br />

dell’interesse e della Moneta, Torino, Utet, 1963.<br />

KIRZNER I.M. (1967), Methodological Individualism, Market Equilibrium and<br />

Market Process, Il Politico, Dicembre, Vol. 37, N. 4, pp. 787-99.<br />

KIRZNER I.M. (1973), Competition and Entrepreneurship, Chicago, University of<br />

Chicago Press.<br />

KIRZNER I.M. (1976a), Equilibrium versus Market Process; in Dolan (Ed.) (1976),<br />

pp. 115-25.<br />

321


KIRZNER I.M. (1976b), On the Method of Austrian Economics; in Dolan (Ed.)<br />

(1976), pp. 40-51. Ristampato in Littlechild (Ed.) (1990), Vol. I, pp.<br />

313-24.<br />

KIRZNER I.M. (1976c), Philosophical and Ethical Implications of Austrian<br />

Economics; in Dolan (Ed.) (1976), pp. 75-88.<br />

KIRZNER I.M. (1978), Economics and Error; in Spadaro (Ed.) (1978), pp. 57-76.<br />

KIRZNER I.M. (1981), Mises and the Renaissance of Austrian Economics; in<br />

Andrews (Ed.) (1981), pp. 14-8. Ristampato in Littlechild (Ed.)<br />

(1990), Vol. I, pp. 113-7.<br />

KIRZNER I.M. (1987), The Economic Calculation Debate: Lessons for Austrians,<br />

Review of Austrian Economics, Vol. 2, pp. 1-18.<br />

KIRZNER I.M. (1992), Subjectivism, Freedom and Economic Law. Ludwig<br />

Lachmann Memorial Lecture, The South African Journal of<br />

Economics, Vol. 60, N. 1, pp. 44-62.<br />

KOESTLER A. (1967), The Ghost in the Machine, London, Hutchinson.<br />

KOOPMANS T.C. (ED.) (1951a), Activity Analysis of Production and Allocation,<br />

New York, John Wiley and Sons.<br />

KOOPMANS T.C. (1951b), Alternative Proof of the Substitution Theorem for<br />

Leontief Models in the Case of Three Industries; in Koopmans (Ed.)<br />

(1951a).<br />

KOOPMANS T.C. (1960), A Note About Kantorovich’s Paper « Mathematic<br />

Methods of Organizing and Planning Production », Management<br />

Science 6(4), July 1960, 363-5.<br />

KORNAI J. (1975), Mathematical Planning of Structural Decisions, North-Holland<br />

Publishing Company. Originariamente pubblicato nel 1965 col titolo:<br />

A Gazdasági Szerkezet Matematikai Tervezése, Közgazdasági és Jogi<br />

Könyvkiadó, Budapest.<br />

KORNAI J. AND T.H. LIPTÁK (1965), Two Level Planning, Econometrica, 33, pp.<br />

141-169.<br />

KREPS D.M. (1990), Corporate Culture and Economic Theory; in Alt and Shepsle<br />

(Ed.) (1990), Cap. 4.<br />

KUHN T.S. (1970), On the Structure of Scientific Revolutions, Second Edition,<br />

Chicago, Chicago University Press.<br />

LACHMANN L.M. (1970), Methodological Individualism and the Market Economy;<br />

in Streissler (Ed.) (1970), pp. 89-103.<br />

LACHMANN L.M. (1976a), From Mises to Shackle: An Essay on Austrian<br />

Economics and the Kaleidic Society, Journal of Economic Literature,<br />

N. 14, pp. 54-61.<br />

LACHMANN L.M. (1976b), On the Central Concept of Austrian Economics:<br />

Market Process; in Dolan (Ed.) (1976), pp. 126-32. Ristampato in<br />

Littlechild (Ed.) (1990), Vol. III, pp. 80-6.<br />

322


LACHMANN L.M. (1978), An Austrian Stocktaking: Unsettled Questions and<br />

Tentative Answers; in Spadaro (Ed.) (1978), pp. 1-18.<br />

LACHMANN L.M. (1982), The Salvage of Ideas: Problems of the Revival of<br />

Austrian Economic Thought, Journal of Institutional and Theoretical<br />

Economics, 138(4), pp. 629-45. Ristampato in Littlechild (Ed.)<br />

(1990), Vol. II, pp. 326-42.<br />

LACHMANN L.M. (1986), The Market as an Economic Process, Oxford, Basil<br />

Blackwell.<br />

LANGE O. (1936), On the Economic Theory of Socialism, Part I, Review of<br />

Economic Studies, 4, October, pp. 53-71.<br />

LANGE O. (1937), On the Economic Theory of Socialism, Part II, Review of<br />

Economic Studies, 4, February, pp. 123-42.<br />

LANGE O. (1967), The Computer and the Market; in Feinstein (Ed.) (1967), pp.<br />

158-61.<br />

LANGE O. AND F.M. TAYLOR (1938), On the Economic Theory of Socialism,<br />

Minneapolis: University of Minnesota Press.<br />

LANGLOIS R.N. (ED.) (1986a), Economics as a Process: Essays on the New<br />

Institutional Economics, Cambridge, Cambridge University Press.<br />

LANGLOIS R.N. (1986b), The New Institutional Economics: an Introductory<br />

Essay; in Langlois (Ed.) (1986a), Cap. 1.<br />

LANGLOIS R.N. (1986c), Rationality, Institutions, and Explanation; in Langlois<br />

(Ed.) (1986a), Cap. 10.<br />

LANGLOIS R.N. (1994), The “New” Institutional Economics; in Boettke (Ed.)<br />

(1994), pp. 535-40.<br />

LAVOIE D. (1985a), Rivalry and Central Planning: The Socialist Calculation<br />

Debate Reconsidered, Cambridge, Cambridge University Press.<br />

LAVOIE D. (1985b), National Economic Planning: What is Left?, Washington<br />

D.C., Cato.<br />

LAWSON T. (1988), Probability and Uncertainty in Economic Analysis, Journal of<br />

Post Keynesian Economics, Fall, N. 11, pp. 38-65.<br />

LAWSON T. (1994), Uncertainty; in Hodgson, Samuels and Tool (Ed.) (1994), Vol.<br />

II, pp. 350-7.<br />

LAZONICK W. (1990), Competitive Advantage on the Shop Floor, Harvard<br />

University Press.<br />

LAZONICK W. (1991), Organizations and Markets in Capitalist Development; in<br />

Gustafsson (Ed.) (1991a), pp. 253-301.<br />

LERNER A.P. (1934), Economic Theory and Socialist Economy, Review of<br />

Economic Studies, 2: 51-61.<br />

LERNER A.P. (1936), A Note on Socialist Economics, Review of Economic<br />

Studies, 4, October, pp. 72-76.<br />

LENIN V.I. (1917), Tesi di Aprile. Ripubblicato in Opere Scelte, Vol. II, Edizioni<br />

in Lingue Estere, 1948.<br />

323


LINDAHL E. (1919), Die Gerichtigkeit der Besteuerung. Eine Analyse der<br />

Steuerprinzipien auf Grundlage der Grenznutzenteorie. Lund,<br />

Gleerup. Tradotto, in estratto, in inglese in Musgrave and Peacock<br />

(Ed.) (1958).<br />

LIPTÁK T.H. (1965), Two Level Programming, Colloquium on Applications of<br />

Mathematics to Economics, Budapest, Akadémiai kiadó, pp. 243-253.<br />

LITTLECHILD S.C. (1979), Comment: Radical Subjectivism or Radical<br />

Subversion?; in Rizzo (Ed.) (1979), pp. 32-49.<br />

LITTTLECHILD S.C. (1986), Three Types of Market Process; in Langlois (Ed.)<br />

(1986), Cap. 2.<br />

LITTLECHILD S.C. (ED.) (1990), Austrian Economics, Voll. I, II, III, Edward Elgar,<br />

Aldershot, England.<br />

LOASBY B.J. (1976), Choice, Complexity and Ignorance: An Enquiry into<br />

Economic Theory and the Practice of Decision Making, Cambridge,<br />

Cambridge University Press.<br />

LYNCH D. (1946), Economic Power and Political Pressure; in Rothschild (Ed.)<br />

(1971), pp. 158-66.<br />

MAKAROV V. (1987), Kantorovich, Leonid Vitalievich; in Eatwell, Millgate and<br />

Newman (Ed.) (1987).<br />

MALINVAUD E. (1987), Decentralization; in Eatwell, Millgate and Newman (Ed.)<br />

(1987).<br />

MARGINSON P. (1993), Power and Efficiency in the Firm: Understanding the<br />

Employment Relationship; in Pitelis (Ed.) (1993c), pp. 133-65.<br />

MARGINSON P. (1994), Firms and Corporations; in Arestis and Sawyer (Ed.)<br />

(1994), pp. 158-62.<br />

MARGLIN S.A. (1974), What Do Bosses Do? The Origins and Functions of<br />

Hierarchy in Capitalist Production, Review of Radical Political<br />

Economics 6(2), Summer, pp. 60-112. Ristampato in Bowles and<br />

Edwards (Ed.) (1990), Vol. I.<br />

MARGLIN S.A. (1975), What Do Bosses Do? The Origins and Functions of<br />

Hierarchy in Capitalist Production, Part II, Review of Radical Political<br />

Economics 7(1), Spring, pp. 20-37. Ristampato in Bowles and<br />

Edwards (Ed.) (1990), Vol. I.<br />

MARGLIN S.A. (1983), Knowledge and Power; in Stephen (Ed.) (1983).<br />

MARGLIN S.A. (1991), Understanding Capitalism: Control versus Efficiency; in<br />

Gustafsson (Ed.) (1991a), pp. 225-52.<br />

MARSCHAK T. (1987), Organization Theory; in Eatwell, Millgate and Newman<br />

(Ed.) (1987).<br />

MARX K. (1859), Zur Kritik der Politischen Ökonomie. Traduzione italiana: Per la<br />

Critica dell’<strong>Economia</strong> Politica, Roma, Editori Riuniti, 1971.<br />

324


MARX K. (1867), Das Kapital. Traduzione italiana: Il Capitale, Critica<br />

dell’<strong>Economia</strong> Politica. Libro Primo: Il Processo di Produzione del<br />

Capitale, Roma, Edizioni Rinascita, 1956, Voll. I, II, III.<br />

MARX K. (1885), Das Kapital. Traduzione italiana: Il Capitale, Critica<br />

dell’<strong>Economia</strong> Politica. Libro Secondo: Il Processo di Circolazione<br />

del Capitale, Roma, Edizioni Rinascita, 1956, Voll. I, II.<br />

MARX K. (1894), Das Kapital. Traduzione italiana: Il Capitale, Critica<br />

dell’<strong>Economia</strong> Politica. Libro Terzo: Il Processo Complessivo della<br />

Produzione Capitalistica, Roma, Edizioni Rinascita, 1956, Voll. I, II,<br />

III.<br />

MARX K. UND F. ENGELS (1848), Manifest der Kommunistischen Partei.<br />

Trauzione italiana (di Togliatti P.): Manifesto del Partito Comunista,<br />

Editori Riuniti, Roma, 1955.<br />

MARX K. UND F. ENGELS (1878), Kritik des Gothaer Programms, Neue Zeit.<br />

Traduzione italiana: Critica al Programma di Gotha.<br />

MASLOW A. (1970), Motivation and Personality, New York, Harper and Row.<br />

MCKENZIE L.W. (1954), On Equilibrium in Graham’s Model of World Trade and<br />

Other Competitive Systems, Econometrica, 22: 147-161.<br />

MENGER C. (1871), Grundsätze der Volkswirtschaftslehre. Traduzione inglese:<br />

Principles of Economics, New York, New York University Press,<br />

1981.<br />

MENGER C. (1883), Untersuchungen über die Methode der Socialwissenschaften<br />

und der Politischen Oekonomie Insbesondere. Traduzione inglese:<br />

Problems of Economics and Sociology, Urbana, University of Illinois<br />

Press, 1963.<br />

MILGRAM S. (1974), Obedience to Authority, London, Tavistock.<br />

MISES L. VON (1920), Economic Calculation in the Socialist Commonwealth; in<br />

Hayek (1935a), pp. 89-130. Pubblicato originariamente in Germania<br />

in Archiv für Sozialwissenschaften nel 1920. Ripubblicato, in estratto,<br />

in Nove and Nuti (Ed.) (1972).<br />

MISES L. VON (1960), Epistemological Problem of Economics. Traduzione di<br />

Reisman G, dall’edizione originaria in tedesco del 1933. Ripubblicato<br />

nel 1981 dalla New York University Press.<br />

MOORE J. (1992), The Firm as a Collection of Assets, European, Economic<br />

Review, pp. 493-507.<br />

MURNKIRS J.R. (1988), Economic power: History and Institutions; in Peterson<br />

(Ed.) (1988b), pp. 27-52.<br />

MUSGRAVE R.A. AND A.T. PEACOCK (ED.) (1958), Classics in the Theory of<br />

Public Finance, London, Macmillan.<br />

MYRDAL G. (1981), L’elemento Politico nello Sviluppo della Teoria Economica,<br />

Sansoni Editore, Firenze.<br />

325


NELSON R.R. (1994), Routines; in Hodgson, Samuels and Tool (Ed.) (1994), Vol.<br />

II, pp. 249-52.<br />

NELSON R.R. AND S. WINTER (1982), An Evolutionary Theory of Economic<br />

Change, Cambridge, Massachusetts, Harvard University Press.<br />

NOVE A. AND D.M. NUTI (ED.) (1972), Socialist Economics, Penguin Education,<br />

Great Britain.<br />

O’DRISCOLL G.P. (1986), Competition as a Process: a Law and Economics<br />

Perspective; in Langlois (Ed.) (1986), Cap. 7.<br />

O’DRISCOLL G.P. AND M.J. RIZZO (1985), The Economics of Time and Ignorance,<br />

Oxford, Basil Blackwell.<br />

PAGANO U. (1991), Property Rights, Asset Specificity, and the Division of Labour<br />

Under Alternative Capitalist Relations, Cambridge Journal of<br />

Economics, Vol. 15, N. 3, pp. 315-42. Ristampato in Hodgson (Ed.)<br />

(1993c).<br />

PAGANO U. (1992a), Authority, Co-ordination and Disequilibrium: An<br />

Explanation of the Co-existence of Markets and Firms, Structural<br />

Change and Economic Dynamics, Vol. 3, N. 1, pp. 53-77.<br />

PAGANO U. (1992b), Imprese, Tecnologia e Diritti di Proprietà, <strong>Economia</strong><br />

Politica, N. 1.<br />

PAGANO U. (1993), Organizational Equilibria and Institutional Stability; in<br />

Bowles, Gintis and Gustafsson (Ed.) (1993), Cap. 6.<br />

PAGANO U. (1995), <strong>Economia</strong> e Diritto; in Egidi e Messori (Ed.) (1995b), pp. 291-<br />

315.<br />

PAGANO U. AND R. ROWTHORN (1993), The Economics of Self-Sustaining<br />

Ownership System, Quaderni del Dipartimento di <strong>Economia</strong> Politica,<br />

N. 106, Università di Siena.<br />

PALERMO G. (1995), The Firm Should Not Be Explained Neither as a<br />

Centralisation of Market Transaction, Nor as a Decentralisation of the<br />

Public Ordering, Paper presentato all’Erasmus Summer School in<br />

Structural Change and Economic Dynamics, Cambridge.<br />

PALERMO G. (1997), The Planning Debate Reconsidered, Paper presentato<br />

all’ « Annual Meeting of the History of Economic Society », 20-23<br />

June, Charleston.<br />

PALLEY T.I. (1993), Uncertainty, Expectations, and the Future: If We Don’t Know<br />

the Answer, What Are the Questions?, Journal of Post Keynesian<br />

Economics, Fall, Vol. 16, N. 1, pp. 3-18.<br />

PEN J. (1959), Bilateral Monopoly, Bargaining and the Concept of Economic<br />

Power; in Rothschild (Ed.) (1971), pp. 97-115.<br />

PERROUX F. (1950), The Domination Effect and Modern Economic Theory; in<br />

Rothschild (Ed.) (1971), pp. 56-73.<br />

PETERSON R. (1988a), Industrial Power: Meaning and Measurement; in Peterson<br />

(Ed.) (1988b), pp. 1-25.<br />

326


PETERSON W.C. (1988b), Concluding Observations; in Peterson (Ed.) (1988b), pp.<br />

157-69.<br />

PETERSON W.C., (ED.) (1988c), Market Power and the Economy. Industrial,<br />

Corporate, Governmental, and Political Aspects, Kluwer Academic<br />

Publishers, USA.<br />

PETR J.L. (1988), Economic Power and Political Process; in Peterson (Ed.)<br />

(1988b), pp. 127-55.<br />

PIERSON N.G. (1935), The Problem of Value in the Socialist Community; in<br />

Hayek (1935a). Versione italiana, 1946: pp. 41-81.<br />

PITELIS C. (1991), Market and Non-Market Hierarchies. Theories of Institutional<br />

Failure, Basil Blackwell, Oxford.<br />

PITELIS C. (1993a), Transaction Costs, Markets and Hierarchies: The Issues; in<br />

Pitelis (Ed.) (1993c), pp. 7-19.<br />

PITELIS C. (1993b), On Transactions (Costs) and Markets and (as) Hierarchies; in<br />

Pitelis (Ed.) (1993c), pp 262-76.<br />

PITELIS C. (ED.) (1993c), Transaction Costs, Markets and Hierarchies, Oxford,<br />

Basil Blackwell.<br />

POLANYI K. (1957), The Great Transformation. The Political and Economic<br />

Origins of Our Time, Beacon Press, Boston.<br />

PREISER E. (1952), Property, Power and the Distribution of Income; in Rothschild<br />

(Ed.) (1971), pp. 119-40.<br />

PROUDHON P.J. (1840), Qu’est-ce que la Propriété? ou Recherches sur le Principe<br />

du Droit et du Gouvernement, Premier Mémoire. Traduzione italiana:<br />

Che Cos’è la Proprietà? o Ricerche sul Principio del Diritto e del<br />

Governo, Prima Memoria, Universale Laterza, Bari, 1967.<br />

PRZEWORSKI A. AND M. WALLERSTEIN (1988), Structural Dependence of the State<br />

on Capital, American Political Science Review, Vol. 82, N. 1, March<br />

1988; Ristampato in Roemer (Ed.) (1994), Vol. II.<br />

PUGGIONI A. (1996), Il Giovane Coase: Socialismo e Accounting, Paper<br />

presentato al III Congresso Nazionale dell’AISPE, 16-18 Maggio,<br />

Pisa.<br />

PUTTERMAN L. (ED.) (1986a), On Some Recent Explanations of Why Capital<br />

Hires Labor; in Putterman (Ed.) (1986b), Cap. 23, pp. 312-28.<br />

PUTTERMAN L. (ED.) (1986b), The Economic Nature of the Firm. A Reader,<br />

Cambridge, Cambridge University Press.<br />

PUTTERMAN L. (1995), Markets, Hierarchies and Information: On a Paradox in the<br />

Economics of Organization, Journal of Economic Behavior and<br />

Organization, Vol. 26, pp. 373-90.<br />

REAGAN M.D. (1963), Business Power and Influence; in Rothschild (Ed.) (1971),<br />

pp. 141-57.<br />

327


RICHARDSON G.B. (1959), Equilibrium, Expectation and Information, Economic<br />

Journal, N. 69, June, pp. 223-37. Ristampato in Earl (Ed.) (1988b),<br />

Vol. II, pp. 19-33.<br />

RICHARDSON G.B. (1990), Information and Investment. A Study in the Working<br />

of the Competitive Economy, Clarendon Press, Oxford. Prima<br />

edizione: 1960.<br />

RIZZO M.J. (ED.) (1979), Time, Uncertainty and Disequilibrium, USA, D.C.<br />

Health and Company.<br />

ROEMER J.E. (ED.) (1994), Foundations of Analytical Marxism, Voll. I, II,<br />

Cambridge, Cambridge University Press.<br />

RONALD WALKER E. (1943), Beyond the Market; in Rothschild (Ed.) (1971), pp.<br />

36-55.<br />

ROTHBARD M.N. (1956), Towards a Reconstruction of Utility and Welfare<br />

Economics; in Sennholz (Ed.) (1956), Cap. 17, pp. 224-62.<br />

ROTHSCHILD K.W. (ED.) (1971), Power in Economics, Great Britain, Penguin<br />

Books.<br />

ROTHSCHILD K.W. (1994), Power (II); in Hodgson, Samuels and Tool (Ed.)<br />

(1994), Vol. II, pp. 173-7.<br />

SACCONI L. (ED.) (1986), La Decisione: Razionalità Collettiva e Strategia<br />

nell’amministrazione e nelle Organizzazioni, Franco Angeli.<br />

SAMUELS W.J. (1971), Interrelations Between Legal and Economic Processes,<br />

Journal of Law and economics, Vol. 14, N. 2, October, pp. 435-50.<br />

Ristampato in Samuels (Ed.) (1988b), Vol. II, pp. 253-68.<br />

SAMUELS W.J. (1988a), Introduction; in Samuels (Ed.) (1988b), Vol. II, pp. 1-4.<br />

SAMUELS W.J. (ED.) (1988b), Institutional Economics, Voll. I, II, III, Edward<br />

Elgar, Aldershot, England.<br />

SAMUELS W.J. (1994), Property; in Hodgson, Samuels and Tool (Ed.) (1994), Vol.<br />

II, pp. 180-4.<br />

SAMUELS W.J. AND A. SCHMID (ED.) (1981), Law and Economics: An Institutional<br />

Perspective, Boston, Martinus Nijhoff.<br />

SAMUELSON P.A (1951), Abstract of a Theorem Concerning Substitutability in<br />

Open Leontief Models; in Koopmans (Ed.) (1951a).<br />

SAMUELSON P.A. (1954), The Pure Theory of Public Expenditure, Review of<br />

Economics and Statistics, 36.<br />

SAMUELSON P.A. (1957), Wage and Interest: A Modern Dissection of Marxian<br />

Economic Models, American Economic Review, Vol. 47, pp. 884-<br />

912.<br />

SAWYER M.C. (1993), The Nature and Role of the Market; in Pitelis (Ed.) (1993c),<br />

pp. 41-65.<br />

SCHMID A.A. (1994), Public choice; in Hodgson, Samuels and Tool (Ed.) (1994),<br />

Vol. II, pp. 184-8.<br />

328


SCHUMPETER J.A. (1954), History of Economic Analysis, Oxford University<br />

Press, New York.<br />

SEN A. (1982), Choice, Welfare and Measurement, Oxford, Blackwell.<br />

SENNHOLZ M. (ED.) (1956), On Freedom and Free Enterprise, Princeton, D. Van<br />

Nostrand.<br />

SHACKLE G.L.S. (1969), Decision, Order and Time in Human Affairs, Second<br />

Edition, Cambridge, Cambridge University Press.<br />

SHACKLE G.L.S. (1979), Imagination and the Nature of Choice, Edimburgh<br />

University Press.<br />

SHACKLE G.L.S. (1983), Professor Kirzner on Entrepreneurship, Austrian<br />

Economics Newsletter, 4(1), Spring, pp. 7-8.<br />

SHAMSAVARI A. (1994), Dialectics; in Arestis and Sawyer (Ed.) (1994), pp. 86-91.<br />

SHAPIRO N. (1991), Firms, Markets and Innovation, Journal of Post Keynesian<br />

Economics, Fall, Vol. 14, N. 1, pp. 49-60.<br />

SHERMAN H. (1972), Radical Political Economy. Capitalism and Socialism from a<br />

Marxist-Humanist Perspective, New York, Basic Books.<br />

SIMON H.A. (1957), Models of Man: Social and Rational, New York, Wiley.<br />

SIMON H.A. (1959), Theories of Decision-Making in Economics and Behavioral<br />

Science, American Economic Review, Vol. 49, June, N. 3, pp. 253-83.<br />

Ristampato in Earl (Ed.) (1988b), Vol. I, pp. 77-107.<br />

SIMON H.A. (1991), Organizations and Markets, Journal of Economic<br />

Perspectives, Vol. 5, N. 2, Spring, pp. 25-44.<br />

SIMON H.A. (1993), Altruism and Economics, American Economic Review,<br />

Papers and Proceedings.<br />

SKOURAS T. (1994), Theory of the State; in Arestis and Sawyer (Ed.) (1994).<br />

SMELSER N.J. AND R. SWEDBERG (ED.) (1994), The Handbook of Economic<br />

Sociology, Princeton, Princeton University Press.<br />

SMOLINSKI L. (1977a), L.V. Kantorovich and Optimal Planning; in Smolinski<br />

(Ed.) (1977b).<br />

SMOLINSKI L. (ED.) (1977b), L.V. Kantorovich: Essays in Optimal Planning,<br />

Selected Works, Oxford, Basil Blackwell.<br />

SOLOW R. (1956), A Contribution to the Theory of Economic Growth, Quarterly<br />

Journal of Economics, LXX, February: pp. 65-94.<br />

SOROS G. (1987), The Alchemy of Finance. Reading the Mind of the Market, John<br />

Wiley & Sons. Traduzione italiana: L’alchimia della Finanza. La<br />

Logica, le Tendenze e i Segreti del Mercato, Ponte alle Grazie,<br />

Firenze, 1995.<br />

SPADARO L.M. (ED.) (1978), New Directions in Austrian Economics, Sheed<br />

Andrews and Mc Meel Inc., Kansas City.<br />

STEEDMAN I. (1980), Economic Theory and Intrinsically Non-Autonomous<br />

Preferences and Beliefs, Quaderni Fondazione Feltrinelli, N. 7-8, pp.<br />

57-73.<br />

329


STEPHEN F.H. (ED.) (1983), Firms, Organisations and Labour: Approaches to the<br />

Economics of Work Organisation. London: Macmillan.<br />

STEVENSON R. (1994), Industrial Structure and Power; in Hodgson, Samuels and<br />

Tool (Ed.) (1994), Vol. I, pp. 351-6.<br />

STIGLER G.J. (1989), Two Notes on the Coase Theorem, Yale, Law Journal,<br />

December.<br />

STIGLITZ J.E. (1989a), <strong>Economia</strong> del Settore Pubblico, Seconda Edizione, Hoepli,<br />

Milano.<br />

STIGLITZ J.E. (1989b), The Economic Role of the State, Oxford, Basil Blackwell.<br />

Traduzione italiana: Il Ruolo Economico dello Stato, Universale<br />

Paperbacks, Il Mulino, Milano, 1992.<br />

STRANGLERS T. (1986), Always the Sun, CBS United Kingdom Ltd, Plumbshaft<br />

Ltd/EMI Songs Ltd.<br />

STREISSLER E. (ED.) (1970), Roads to Freedom: Essays in Honour of Friedrich A.<br />

von Hayek, August M. Kelley Publishers, New York.<br />

STREISSLER E. (1972), To What Extent was the Austrian School Marginalist?,<br />

History of Political Economy, 4(2).<br />

SWEDBERG R. (1994), Markets as Social Structures; in Smelser and Swedberg<br />

(Ed.) (1944).<br />

TAYLOR F.M. (1929), The Guidance of Production in a Socialist State, American<br />

Economic Review, 19, March, pp. 1-8.<br />

TAYLOR F.W. (1903), Shop Management. Ripubblicato in Taylor (1947).<br />

TAYLOR F.W. (1911), The Principles of Scientific Management. Ripubblicato in<br />

Taylor (1947).<br />

TAYLOR F.W. (1947), Scientific Management, New York, Harper and Row.<br />

TOMLINSON J. (1990), Hayek and the Market, London, Pluto Press.<br />

TOOL M.R. (1991), Contributions to an Institutional Theory of Price<br />

Determination; in Hodgson and Screpanti (Ed.) (1991), pp. 19-39.<br />

TOOL M.R. AND W.J. SAMUELS (ED.) (1989), The Methodology of Economic<br />

Thought, Second Edition, Transaction Publishers, New Brunswick.<br />

ULLMANN-MARGA LIT E. (1978), Invisible-Hand Explanations, Synthese, N. 39,<br />

pp. 263-91.<br />

VAINSHTEIN A.L. (1966), Notes on Optimal Planning, dal Sinopsio Ekonomiko-<br />

Matematicheskiye Metody, Moskow. Ripubblicato in Nove and Nuti<br />

(Ed.) (1972).<br />

VAN EES H. AND H. GARRETSEN (1993), Financial Markets and the<br />

Complementarity of Asymmetric Information and Fundamental<br />

Uncertainty, Journal of Post Keynesian Economics, Fall, Vol. 16, N.1,<br />

pp. 37-48.<br />

VANBERG V. (1986), Spontaneous Market Order and Social Rules: A Critical<br />

Examination of F.A. Hayek’s Theory of Cultural Evolution,<br />

Economics and Philosophy, N. 2.<br />

330


VARIAN H.R. (1992), Microeconomic Analysis, Third Edition, W.W. Norton &<br />

Company.<br />

VAUGHN K.I. (1980), Economic Calculation Under Socialism: the Austrian<br />

Contribution, Economic Inquiry, 18, October, pp. 535-54. Ristampato<br />

in Littlechild (Ed.) (1990), Vol. III.<br />

VAUGHN K.I. (1987), Carl Menger; in Eatwell, Millgate and Newmann (Ed.)<br />

(1987).<br />

VAUGHN K.I. (1990), The Mengerian Roots of the Austrian Revival; in Caldwell<br />

(Ed.) (1990).<br />

VAUGHN K.I. (1994), Austrian Economics in America: the Migration of a<br />

Tradition, Cambridge, Cambridge University Press.<br />

VEBLEN T.B. (1899), The Theory of the Leisure Class: An Economic Study of<br />

Institutions, New York, Macmillan.<br />

VICKERS D. (1978), Financial Markets in the Capitalist Process, Philadelphia,<br />

Pennsylvania Press.<br />

VICKERS D. (1986), Time, Ignorance, Surprise, and Economic Decisions: a<br />

Comment on Williams and Findlay’s “Risk and the Role of Failed<br />

Expectations in an Uncertain World”, Journal of Post Keynesian<br />

Economics, Fall, Vol. 9, N. 1, pp. 48-57.<br />

WALD A. (1951), On Some Systems of Equations of Mathematical Economics,<br />

Econometrica, 19: 368-403.<br />

WEITZMAN M.L. (1993), Capitalism and Democracy: a Summing Up of the<br />

Arguments; in Bowles, Gintis and Gustafsson (Ed.) (1993), Cap. 18.<br />

WERIN L. AND H. WIJKANDER (ED.) (1992), Contract Economics, Oxford, Basil<br />

Blackwell.<br />

WILLIAMS E.E. AND M.C. FINDLAY III (1986), Risk and the Role of Failed<br />

Expectations in an Uncertain World, Journal of Post Keynesian<br />

Economics, Fall, Vol. 9, N. 1, pp. 32-47.<br />

WILLIAMSON O.E. (1975), Markets and Hierarchies: Analysis and Anti-trust<br />

Implications. A Study in the Economics of Internal Organization, The<br />

Free Press, New York.<br />

WILLIAMSON O.E. (1979), Transaction-Cost Economics: the Governance of<br />

Contractual Relations, Journal of Law and Economics, Vol. 22, N. 2,<br />

October, pp. 233-61. Ristampato in Williamson (Ed.) (1990), pp. 223-<br />

51.<br />

WILLIAMSON O.E. (1985), The Economic Institutions of Capitalism: Firms,<br />

Markets, Relational Contracting, Macmillan, London. Traduzione<br />

italiana, Le Istituzioni Economiche del Capitalismo. Imprese, Mercati<br />

e Rapporti Contrattuali, Franco Angeli, Milano, 1987.<br />

WILLIAMSON O.E. (1987), Antitrust Economics: Mergers, Contracting, and<br />

Strategic Behavior, Oxford, Basil Blackwell.<br />

331


WILLIAMSON O.E. (ED.) (1990), Industrial Organization, Edward Elgar, Aldershot,<br />

England.<br />

WILLIAMSON O.E. AND W.G. OUCHI (1983), The Market and Hierarchies<br />

Programme of Research. Origins, Implications, Prospects; in Francis,<br />

Turk and Willmand (Ed.) (1983).<br />

WILLIAMSON O.E. AND S.G. WINTER (ED.) (1991), The Nature of the Firm:<br />

Origins, Evolution and Development, Oxford University Press.<br />

WITT U. (1993), Turning Austrian Economics into an Evolutionary Theory; in<br />

Caldwell and Bohem (Ed.) (1993), pp. 215-43.<br />

WITT U. (1994), The Theory of Societal Evolution: Hayek’s Unfinished Legacy;<br />

in Birner and Van Zijp (Ed.) (1994), pp. 178-89.<br />

ZAMAGNI S. (1994), Democrazia Economica e Libertà nella Società di Mercato:<br />

una Prospettiva della Moderna Teoria Economica, Il Politico, Anno<br />

59, N. 3, pp. 389-404.<br />

ZIELINSKI J.G. (1963), Centralisation and Decentralisation in Decision-making,<br />

Economics of Planning, Vol. 3, N. 3, December, pp. 196-208.<br />

332

Hooray! Your file is uploaded and ready to be published.

Saved successfully!

Ooh no, something went wrong!