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NUOVI DATI - Area Download - Scuola Normale Superiore

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<strong>Scuola</strong> <strong>Normale</strong> <strong>Superiore</strong> di Pisa Comune di Gibellina<br />

CESDAE<br />

Centro Studi e Documentazione sull’<strong>Area</strong> Elima<br />

- Gibellina -<br />

TERZE<br />

GIORNATE INTERNAZIONALI DI<br />

STUDI SULL’AREA ELIMA<br />

(Gibellina - Erice - Contessa Entellina, 23-26 ottobre 1997)<br />

ATTI<br />

II<br />

Pisa - Gibellina 2000


ISBN 88-7642-088-6


SOLUNTO: <strong>NUOVI</strong> <strong>DATI</strong><br />

DALLA CAMPAGNA DI SCAVO 1997<br />

CATERINA GRECO<br />

Ringrazio il professore Nenci, infaticabile regista di queste<br />

nostre giornate ‘elime’, per avermi invitato a riferire in questo<br />

convegno dell’ultima campagna di scavo effettuata nei mesi di<br />

maggio e giugno scorsi nell’area del promontorio di Sòlanto,<br />

laddove si riconosce ormai con sicurezza il sito della più antica<br />

fondazione soluntina.<br />

Per me si tratta, fra l’altro, di adempiere ad un doveroso e<br />

gradito obbligo di aggiornamento, dato che proprio qui a Gibellina<br />

avevo presentato i primi risultati delle nuove ricerche intraprese a<br />

partire dal 1992 nell’ambito topografico della Solunto di età<br />

arcaica e classica, di cui avevamo appena iniziato ad esplorare un<br />

lembo della necropoli e una esigua porzione dell’abitato 1 . Già in<br />

quell’occasione avevo sottolineato l’estremo interesse che le<br />

scoperte effettuate rivestivano tanto ai fini della localizzazione del<br />

sito della città arcaica, per la quale i nuovi scavi fornivano una<br />

preziosa testimonianza 2 , quanto per il recupero di una ingente<br />

quantità di reperti, soprattutto ceramici, che costituiva, a fronte<br />

della dispersione e della frammentarietà di notizie riguardanti i<br />

vecchi rinvenimenti, un’opportunità irrinunciabile per tentare di<br />

impostare quello studio sistematico che era sino ad allora mancato.<br />

È con queste intenzioni che si è perciò avviata subito la pubblicazione<br />

dei materiali, a cominciare dal complesso della necropoli da<br />

noi scavata nel 1993, edito nel volume Archeologia e territorio<br />

pubblicato quest’anno dalla Soprintendenza di Palermo 3 .<br />

Se al bilancio dell’attività svolta nell’ultimo triennio vanno<br />

ascritti risultati positivi nella ricerca e nella tutela – è recentissi-


682 C. GRECO<br />

mo il vincolo archeologico finalmente apposto sulla necropoli<br />

soluntina 4 e sono in corso piani di esproprio per le nuove principali<br />

aree dell’abitato nonché per la stessa necropoli – soprattutto<br />

i dati dell’ultima campagna 5 si sono però rivelati particolarmente<br />

fruttuosi, delineando un quadro sorprendente per ricchezza di<br />

informazioni, anche a dispetto della apparente povertà di testimonianze<br />

monumentali, con novità di rilievo riguardanti la città<br />

arcaica. Per non abusare del tempo concessomi accennerò soltanto<br />

agli aspetti più salienti emersi dalle indagini odierne, avvertendo<br />

sin d’ora che esse si sono rivelate piuttosto complesse anche<br />

perché, specie alla punta del promontorio, maggiormente esposto<br />

a fenomeni di dilavamento e di erosione della testata, l’interramento<br />

è minimo e persino in antico le varie fasi di occupazione<br />

comportarono il continuo ‘riuso’ del nudo banco di tenera<br />

calcarenite conchiglifera, sulla cui superficie – come vedremo –<br />

sono tagliate strutture riferibili ad epoche talora fra loro lontanissime<br />

6 .<br />

Cominciamo il nostro resoconto dall’allargamento del saggio<br />

già aperto nel 1992 in proprietà Greco (SAS IV), quasi al centro del<br />

promontorio e in una zona di maggiore consistenza stratigrafica,<br />

dove, come si ricorderà, avevamo rinvenuto una piccola fornace<br />

punica di tipo bilobato (F 2), connessa ai resti di un’officina<br />

ceramica di cui si era individuata parte di un cortile 7 . Benché non<br />

si sia potuto estendere (tav. CXII, 1) lo scavo in modo da delineare<br />

tutta l’estensione delle strutture già messe in luce 8 , come avremmo<br />

voluto, anche quest’anno le indagini hanno confermato la presenza<br />

delle tre fasi cronologiche enucleate nel corso dei primi sondaggi,<br />

fra cui l’ultima, riferibile allo scorcio del V sec. a. C., è interessata<br />

dalla costruzione dell’installazione ceramica. Gli ultimi rinvenimenti<br />

consentono tuttavia di articolare meglio, precisandolo, il<br />

quadro complessivo di occupazione dell’area. Infatti, in prossimità<br />

del forno e delle strutture murarie ad esso immediatamente<br />

contigue, nel settore meridionale del saggio sono state riconosciute<br />

labili tracce di interventi che sembrano connotare singole e precarie<br />

situazioni di riuso, immediatamente successive alla distruzione<br />

delle strutture ma precedenti la formazione degli strati accumula-


SOLUNTO: <strong>NUOVI</strong> <strong>DATI</strong> DALLA CAMPAGNA DI SCAVO 1997<br />

683<br />

tisi in seguito all’abbandono dell’area, com’è il caso (tav. CXII, 2)<br />

di una piccola fossa, tagliata nello strato di distruzione, che ha<br />

restituito materiali databili al IV sec. a. C.<br />

Riguardo alla fase antecedente l’impianto della fornace, ci si<br />

è dovuti limitare (tav. CXII, 3) all’esplorazione del battuto<br />

pavimentale messo in luce nella campagna del ’92, sul quale<br />

insistevano strati di detriti di argilla cruda e sfabricidi calcarei<br />

che, appositamente livellati, costituirono il piano su cui venne<br />

successivamente ad impostarsi l’officina ceramica. Quanto invece<br />

alla fase più antica, appena lambita nel ’92 e datata agli inizi<br />

del VI sec. a. C. grazie al rinvenimento di un frammento di coppa<br />

ionica B1 e di quasi metà di un kantharos di bucchero etrusco,<br />

anche quest’anno l’approfondimento effettuato ha confermato,<br />

pur nell’attuale assenza di strutture, l’estensione e la sostanziale<br />

omogeneità degli strati relativi a questa prima frequentazione<br />

dell’area, che hanno continuato a restituire una buona quantità di<br />

ceramica arcaica tanto punica (piatti e pignatte d’impasto) quanto<br />

d’importazione (coppe ioniche B1 e frammenti corinzi), databile<br />

entro la prima metà del VI sec. a. C. (tav. CXII, 4-5).<br />

L’individuazione di cospicue testimonianze riferibili ad età<br />

arcaica sul promontorio di Sòlanto rappresenta senza dubbio il<br />

risultato più rilevante della nuova campagna di scavi, ma non può<br />

essere considerata una ‘scoperta’ inattesa. Essa conferma, semmai,<br />

la validità delle ipotesi formulate già al momento dei nostri<br />

primi saggi, quando la semplice lettura della trama offerta dall’evidenza<br />

documentaria ci aveva indotto a postulare la ‘necessità’<br />

di un rapporto strutturale tra la morfologia del sito, la valenza<br />

strategica della sua collocazione tirrenica, gli obbiettivi trasparenti<br />

di commercializzazione e di incentivazione economica<br />

verso le forti comunità indigene dell’interno e degli agili mercati<br />

coloniali vicini, elementi, tutti, che dovevano avere adeguatamente<br />

motivato la scelta topografica dell’insediamento, dettando<br />

modalità e condizioni per lo sviluppo dell’originaria fondazione<br />

fenicio-punica 9 .<br />

Di un tale complesso intreccio di rapporti si coglie un chiaro<br />

riflesso, guadagnandone una palese prova documentaria, nel


684 C. GRECO<br />

consistente incremento di rinvenimenti di ceramica importata,<br />

specialmente greca ma pure indigena, attraverso cui si cominciano<br />

ad abbozzare le linee dei flussi commerciali che dovettero<br />

legare l’insediamento arcaico ad altri centri. Ma è altrettanto<br />

significativo il considerevole apporto di testimonianze riferibili<br />

alla produzione fenicio-punica di età arcaica, che integra<br />

cronologicamente il repertorio ceramico già noto dai materiali<br />

provenienti dallo scavo della necropoli 10 e offre ulteriori elementi<br />

di valutazione per l’individuazione delle serie attribuibili a fabbriche<br />

locali, la cui esistenza è documentata da una ormai<br />

imponente messe di dati relativi sia alla presenza di numerosi<br />

impianti ceramici che alla classificazione di tipologie proprie<br />

della produzione soluntina 11 .<br />

Particolarmente rilevanti, a questo proposito, sono i risultati<br />

dei saggi realizzati all’estremità del promontorio di Sòlanto, una<br />

zona di suggestiva bellezza, dove si è innanzitutto ripresa (tav.<br />

CXIII, 1) l’esplorazione dell’area (SAS I) in cui è localizzata la<br />

grande fornace (F 1) individuata nel 1983 da A. Villa e da noi<br />

messa in luce nella campagna del 1995 12 , e dove abbiamo inoltre<br />

aperto un altro saggio (SAS III) nei terreni adiacenti.<br />

Qui si è nel complesso evidenziata una estesa ed unitaria<br />

situazione archeologica caratterizzata in prevalenza da grandi<br />

aree a cielo aperto, adibite ad usi artigianali ed usate tanto in età<br />

arcaica quanto in epoca ellenistica, in concomitanza allo sviluppo<br />

della città ricostruita sul Monte Catalfano, caratterizzate sia dalla<br />

presenza di installazioni ceramiche di cui in alcuni casi si conservano<br />

strutture ben leggibili, che da grandi cavità tagliate nella<br />

roccia (tav. CXIII, 2) e utilizzate, almeno in un secondo momento,<br />

come fosse di scarico di materiale vario, soprattutto ceramico. Fra<br />

queste ultime, in particolare, una sembra potersi identificare<br />

come una tomba a forno con pozzetto di accesso dell’Eneolitico<br />

finale o dell’Antica età del Bronzo (tav. CXIII, 2-3); ad essa è<br />

immediatamente attigua un’altra cavità dalla singolare forma ‘a<br />

grotticella’ nella quale potrebbe ugualmente essere riconosciuta<br />

una tomba preistorica (tav. CXIII, 5). Entrambe furono colmate,<br />

probabilmente in epoca ellenistica e in un caso con un riempimen-


SOLUNTO: <strong>NUOVI</strong> <strong>DATI</strong> DALLA CAMPAGNA DI SCAVO 1997<br />

685<br />

to di pietre e scheggioni d’arenaria probabilmente residuo di<br />

strutture dismesse (tav. CXIV, 1), in relazione ad un livellamento<br />

generale della zona connesso alla creazione di un selciato in<br />

spessa gettata cementizia 13 formata da una malta tufacea molto<br />

compatta, che nelle fasi più recenti di occupazione dell’area<br />

fungeva da livello di calpestio. Porzioni isolate di tale piano<br />

pavimentale, individuato immediatamente al di sotto del sottile<br />

strato agricolo e soggetto ad ulteriori manomissioni in età moderna,<br />

si sono rinvenute del resto in vari punti dello scavo, fra l’altro<br />

anche nei pressi della fornace ‘grande’, e sembrano tutte<br />

stratigraficamente riferibili alle sistemazioni più tarde dell’area<br />

artigianale che proprio perché situate nei livelli superficiali sono<br />

state maggiormente danneggiate dai lavori agricoli e dalle interferenze<br />

moderne, tra cui persino la trincea di posa di un parafulmine.<br />

Va in ogni caso sottolineato che l’insieme di fosse e cavità<br />

documentate in questo saggio, se da un lato pone seri problemi di<br />

interpretazione, sia per la supposta riutilizzazione di strutture<br />

preistoriche sia perché è difficile in questo stadio della ricerca<br />

averne una visione planimetrica globale, d’altro canto presenta<br />

delle impressionanti analogie, che segnaliamo solo come spunto<br />

di riflessione ma ci sembrano tuttavia particolarmente calzanti,<br />

con la situazione della zona industriale adiacente alla necropoli<br />

arcaica di Mozia, dove, come ha di recente e persuasivamente<br />

ribadito Vincenzo Tusa, l’impianto di alcune fornaci e delle<br />

strutture certamente riferibili alla produzione ceramica (quali<br />

pozzi, canalette e piani di lavoro) sembra essere successivo ad una<br />

preesistente utilizzazione dell’area, adibita sempre a scopi artigianali<br />

ma relativa alla fabbricazione della porpora, che anche in<br />

quel caso prevedeva l’uso di grandi buche irregolari praticate nel<br />

paleosuolo 14 . Ma è soprattutto significativa, per ragioni che<br />

saranno evidenti tra poco, la successione e talvolta la<br />

contemporaneità di impianti produttivi di vario genere, documentata<br />

a Mozia in un’area prossima alla necropoli arcaica e al tofet.<br />

Ritornando alle nostre cavità, esse hanno restituito una<br />

cospicua e significativa seriazione di materiale arcaico, ma anche<br />

testimonianze coeve alle fasi di utilizzazione ellenistica del sito.


686 C. GRECO<br />

Il riempimento contenuto nella US 3 15 , ad esempio, presentava,<br />

nello strato superficiale, numerosi scarti di fornace e ceramiche<br />

databili tra il IV e il III sec. a. C., tra cui caratteristici skyphoi<br />

sicelioti a vernice nera (tav. CXIV, 2-3), anfore puniche del tipo<br />

Ramón 4.2.1.4. e pentole con orlo rialzato frequenti nei contesti<br />

della prima età ellenistica 16 , che individuano il momento della sua<br />

riutilizzazione quale fossa di scarico connessa ad officine ceramiche<br />

localizzate nei pressi. Per il resto il riempimento, costituito da<br />

un unico strato omogeneo, conteneva invece una grande quantità<br />

di ceramica arcaica, prevalentemente punica, tra cui frammenti di<br />

anfore, brocche, olle e piatti la cui cronologia non sembra superare<br />

la metà del VI sec. a. C. (tav. CXIV, 4). Oltre ai reperti<br />

ceramici, questo strato ha restituito – ed è un dato su cui soffermare<br />

l’attenzione – due elementi lapidei frammentari in arenaria in cui<br />

sono riconoscibili un cippo integro e circa la metà superiore di una<br />

piccola stele (tav. CXIV, 5), in tipologie spesso documentate<br />

nelle necropoli, come ad esempio quella di Palermo 17 .<br />

La presenza di molto materiale fine, sia fenicio-punico che<br />

d’importazione, e di forme di produzione punica solitamente<br />

attestate nei corredi funerari, caratterizza anche gli strati che<br />

ricolmano la grande cavità polilobata US 70 (tav. CXIII, 4)<br />

dislocata subito ad E di US 3 18 . Da qui provengono un frammento<br />

di bottiglia con orlo a fungo 19 (tav. CXV, 7), frammenti di piatti<br />

arcaici a fondo piano 20 (tav. CXV, 4-5), brocche a collo cilindrico<br />

(tav. CXV, 2, 6) e olle (tav. CXV, 9) 21 associate a coppe a calotta 22<br />

e a scodelle a vasca carenata 23 (tav. CXV, 1, 3), nonché ad anfore<br />

arcaiche probabilmente del tipo Ramón 1.1.2.1 24 (tav. CXV, 10-<br />

11; tav. CXVII, 1-2). Se il materiale punico circoscrive un<br />

orizzonte che non sembrerebbe superare la prima metà del VI sec.<br />

a. C., con tipi che potrebbero oltretutto risalire alla seconda metàfine<br />

del VII sec. a. C., alle medesime conclusioni induce l’esame<br />

della ceramica greca importata (tav. CXVI), tra cui si segnala la<br />

notevole varietà di coppe ioniche A2 e B1, la maggior parte delle<br />

quali probabili prodotti di fabbriche coloniali (tav. CXVI, 1-3; tav.<br />

CXVII, 3); risultano meno frequenti le coppe ioniche B2 (tav.<br />

CXVI, 4) 25 , che sono talvolta imitate localmente, mentre un


SOLUNTO: <strong>NUOVI</strong> <strong>DATI</strong> DALLA CAMPAGNA DI SCAVO 1997<br />

687<br />

prezioso indizio dei collegamenti con le popolazioni dell’entroterra<br />

è fornito dal rinvenimento di scodelle indigene del tipo a vasca<br />

profonda carenata 26 (tav. CXVII, 1). Ma è soprattutto rilevante la<br />

presenza di importazioni corinzie, attestate finora a Solunto solo<br />

da qualche forma presente nella necropoli 27 , con frammenti databili<br />

dal Corinzio Antico al Corinzio Tardo tra cui (tav. CXVII, 4) un<br />

grande cratere con decorazione metopale, il fondo di un fine<br />

aryballos (tav. CXVII, 5) e una lekythos probabilmente<br />

tardocorinzia. A queste ceramiche fini va ad aggiungersi il raro<br />

frammento di orlo di grande hydria in coarse ware con orlo ad<br />

appendice pendula, un tipo documentato a Corinto in contesti<br />

della fine del VII sec. a. C. 28 (tav. CXVI, 7). Ad un intenso scambio<br />

di prodotti commerciali con località dell’ambito egeo rimandano<br />

inoltre i frammenti di anfore greco-orientali (tav. CXVI, 8-9),<br />

presenti sia con prodotti di epoca arcaica da Samos che con più<br />

tardi tipi da Mende, analoghi ai contenitori da trasporto rinvenuti<br />

a Himera e in altri siti coloniali 29 , ma che non sembrerebbero<br />

finora attestati a Palermo e sarebbero rari anche a Mozia 30 .<br />

L’analisi dei reperti rinvenuti nella grande cavità US 70<br />

mostra, dunque, che tale struttura, la cui originaria destinazione<br />

rimane al momento non riconoscibile, venne presumibilmente<br />

utilizzata – analogamente alla vicina US 3 – come scarico di<br />

materiali per lo più di tipo funerario, certo provenienti da un’area<br />

di necropoli arcaica da localizzare nelle vicinanze e certamente<br />

più antica di quella attiva dalla metà del VI sec. a. C. in località<br />

Campofranco 31 . Nello stesso tempo la presenza, in questa stessa<br />

sequenza stratigrafica, di numerosi scarti di produzione riferibili<br />

a tipi ceramici di cronologia eterogenea, ma tra cui si segnalano<br />

forme di epoca arcaica (coppe a calotta, pignatte, anfore del tipo<br />

Ramón 1.1.2.1.), è prova della esistenza di officine ceramiche la<br />

cui attività dovette a lungo protrarsi in questa stessa zona.<br />

A riprova di quanto appena affermato, anche in quest’area di<br />

scavo soluntina, immediatamente ad O delle fosse appena descritte,<br />

sono stati individuati un pozzo 32 e una cavità bilobata<br />

tagliata nella roccia (tav. CXVIII, 1), in parte colmata da uno<br />

spesso riempimento di pietre coperto da un battuto pavimentale


688 C. GRECO<br />

in ghiaietto stratigraficamente correlato alla pavimentazione<br />

tufacea che obliterava le fosse, che per la forma , la stratificazione<br />

e il tipo di rinvenimenti a noi sembra potersi identificare come<br />

un’antica fornace punica (F 4), con breve prefurnio orientato ad<br />

E, di cui resta momentaneamente al di fuori dei limiti del saggio<br />

il vano di attizzaggio. Gli strati che la riempivano, l’ultimo dei<br />

quali, sul fondo, era di bruciato, contenevano abbondante ceramica<br />

arcaica (tav. CXVIII, 2), sia punica (tav. CXV, 5, 8-9) che<br />

indigena (tav. CXVI, 5) e d’importazione (tav. CXVI, 6).<br />

Entrambe le circostanze appena rilevate – contiguità<br />

topografica tra aree funerarie e installazioni industriali, presenza<br />

di scarichi con possibilità di ulteriori rimaneggiamenti stratigrafici<br />

– non sono, d’altra parte, inusuali 33 e rimandano a situazioni già<br />

documentate dagli scavi di Mozia, dove, com’è noto, nell’area<br />

industriale sita sul lato N dell’isola sono stati in varie occasioni<br />

individuati cumuli di detriti egualmente contraddistinti da scarichi<br />

di materiale arcaico certo proveniente dall’adiacente necropoli 34 .<br />

In definitiva a Solunto l’area destinata alle installazioni industriali<br />

sembrerebbe essersi ampliata, verosimilmente in epoca ellenistica,<br />

a scapito delle attigue e più antiche zone funerarie, per far posto ad<br />

impianti artigianali che l’abbondanza di acqua, la vicinanza alle<br />

cave di argilla e l’immediato collegamento con l’area portuale<br />

avrebbero verosimilmente suggerito di mantenere sul promontorio,<br />

in una zona meglio servita dalla viabilità costiera e ben distinta<br />

dall’area residenziale posta sullo scenografico declivio del Monte<br />

Catalfano, sul quale lo sviluppo di qualsivoglia attività produttiva<br />

sarebbe stato inimmaginabile anche per la nota mancanza di<br />

risorse idriche 35 . È perciò lecito presumere che il pianoro costiero<br />

del promontorio di Sòlanto abbia continuato ad assolvere, per tutta<br />

l’epoca ellenistico-romana, quelle funzioni produttive e di servizio<br />

necessarie alla vita di una città pienamente inserita nel circuito<br />

dei traffici mediterranei, non potendosi inoltre escludere a priori<br />

che proprio la continuità di frequentazione del sito abbia potuto<br />

compromettere la conservazione dei resti relativi all’impianto<br />

della città arcaica e classica, abbordabile cava di materiale edilizio<br />

già tagliato e facilmente riutilizzabile 36 .


SOLUNTO: <strong>NUOVI</strong> <strong>DATI</strong> DALLA CAMPAGNA DI SCAVO 1997<br />

689<br />

Delle strutture riferibili a questi impianti industriali ellenistici<br />

resta una spettacolare testimonianza nella grande fornace dislocata<br />

sulla punta del promontorio, il cui scavo è stato completato<br />

quest’anno (tav. CXVIII, 3). Ricorderemo che nella campagna<br />

precedente era stato messo in luce, e scavato, lo strato di distruzione<br />

relativo all’elevato della camera di cottura, costituito da<br />

argilla cruda completamente sfarinata, mista a piccole pietre,<br />

ciottoli e a frammenti ceramici, per lo più scarti e cocciame vario<br />

impastato a grumi di argilla. Rimosso tale strato, fu subito<br />

individuato uno spicchio del piano forato, corrispondente a ca. un<br />

quarto della superficie totale della suola, imbarcato verso il<br />

centro della fornace ma complessivamente piuttosto ben conservato<br />

37 . Vennero inoltre alla luce le sommità di tre blocchi, che si<br />

sarebbero rivelati in seguito dei veri e propri pilastri monolitici,<br />

posti perpendicolarmente all’asse del prefurnio e collocati a<br />

distanze regolari lungo la larghezza dell’ampio vano di combustione;<br />

del prefurnio rimaneva intatta la volta, così come in posto<br />

appariva una sorta di battuto in cementizio ristretto alla fascia<br />

compresa tra il prefurnio ed i pilastri.<br />

Lo scavo si è inizialmente concentrato nella metà E della<br />

fornace (tav. CXIX, 1), dove erano completamente crollati sia la<br />

suola che le sue strutture di sostegno, costituite da archetti voltati<br />

in ciottoli, spezzoni d’arenaria e mattoni crudi legati da una<br />

spessa malta di argilla impastata con cocci di ogni genere,<br />

successivamente individuate anche nella parte occidentale al di<br />

sotto del piano forato conservatosi in situ. Le pareti della cavità<br />

relativa alla camera di combustione, ad andamento circolare<br />

schiacciato, oltre che rivestite di uno spesso intonaco argilloso,<br />

presentano un rifascio interno costituito da un duplice muro in<br />

pietre e grossi ciottoli legati con argilla e cocciame. Questa<br />

struttura, che restringe l’originaria ampiezza della camera di<br />

combustione conferendo maggiore stabilità alla suola, spessa<br />

oltre 40 cm e perciò notevolmente pesante anche non a pieno<br />

carico, si presenta superiormente dotata di pilastrini in mattoni,<br />

incavati lateralmente per consentire un veloce tiraggio del calore<br />

verso la camera di cottura, e interamente rivestita di uno spesso


690 C. GRECO<br />

intonaco d’argilla vetrificato analogo a quello che aderiva al<br />

sostegno centrale, di forma ellittica (tav. CXIX, 2), a sua volta<br />

raccordato, tramite una piccola volta, al muro perimetrale. La<br />

suola, formata da un impasto di cocciame, argilla e schegge di<br />

pietre fortemente calcinato presenta in periferia dei fori di diametro<br />

minore (tav. CXIX, 3), alternati ad elementi radiali posti di<br />

taglio che sembrano suggerire la presenza di costolature nella<br />

copertura a volta che doveva chiudere la camera di cottura, con<br />

un ingegnoso sistema di diffusione del calore. I pilastri monolitici,<br />

aggiunti in una seconda fase d’uso della fornace perché addossati<br />

ai muri perimetrali del vano di combustione, ma certamente coevi<br />

al piano della suola in posto, che si appoggia tuttora al pilastro<br />

centrale, dovevano, a nostro giudizio, fungere da elementi di<br />

sostegno ad un livello pavimentale cementizio, ben evidente<br />

durante lo scavo ma non uniformemente conservato, che costituiva<br />

la copertura delle volte sia del prefurnio che della parte<br />

anteriore della camera di combustione e sul quale, oltretutto,<br />

veniva a gravare il peso della volta del camino. Tale piano,<br />

calpestabile, dovrebbe poter identificare, secondo noi, l’area di<br />

accesso al laboratorio, nella quale si svolgevano le operazioni<br />

relative all’impilaggio dei vasi e al controllo del ciclo di cottura.<br />

Soluzioni analoghe sono documentate, del resto, in varie fornaci<br />

note, ad esempio a Morgantina 38 o nel grande forno del ceramico<br />

di Locri- Centocamere 39 ; e anche per la struttura nel suo complesso<br />

i richiami più stringenti ci vengono da forni ellenistici magnogreci,<br />

come quello di piazza Marconi a Taranto 40 . È assai probabile,<br />

peraltro, che la stessa sistemazione del vano di attizzaggio<br />

(tav. CXIX, 5), con il poderoso muro di sostegno ortogonale<br />

all’asse del prefurnio realizzato con blocchi di recupero crollati<br />

all’interno, si giustifichi con la necessità di creare un solido<br />

terrazzamento per superare il dislivello esistente tra la zona del<br />

laboratorio, posto alla quota del piano di campagna, e il sottostante<br />

vano di attizzaggio, privo di copertura e accessibile tramite una<br />

sorta di scaletta (tav. CXIX, 4) realizzata anch’essa con elementi<br />

architettonici decisamente ridotti allo stato di rovina 41 .<br />

Gli elementi di cronologia relativi alla datazione della gran-


SOLUNTO: <strong>NUOVI</strong> <strong>DATI</strong> DALLA CAMPAGNA DI SCAVO 1997<br />

691<br />

de fornace ellenistica consistono nella provenienza dal crollo<br />

delle strutture, tanto nella camera di combustione che nel vano di<br />

attizzaggio, di una congerie assai eterogenea, per cronologia e<br />

qualità, di frammenti ceramici tra cui scarti di produzione e scorie<br />

ma soprattutto materiale fine d’importazione ridotto in cocci 42<br />

(tav. CXX, 1) comprendente produzioni coloniali, ceramiche a<br />

vernice nera ellenistica, ma anche frammenti indigeni, e ancora<br />

brocche, hydrie e grandi bacini dipinti a bande databili dalla fine<br />

del VI agli inizi del IV sec. a. C. 43 , anfore greco-italiche del tipo<br />

più antico 44 nonché una notevole quantità di orli di ceramica da<br />

fuoco ellenistica. L’insieme dei materiali rinvenuti risulta d’altra<br />

parte coerente con il tipo e la tecnologia sofisticata documentata<br />

dalla struttura 45 , dimostrando che si tratta di un’installazione<br />

artigianale tarda, impiantatasi forse non prima della seconda<br />

metà del III sec. a. C. in un’area che comunque anche in precedenza<br />

sembra essere stata destinata alla produzione ceramica, come<br />

denuncia il rinvenimento, nelle vicinanze, di un’altra piccola<br />

fornace (F 3) a pianta circolare (tav. CXX, 2), dal cui riempimento<br />

(tav. CXX, 3) proviene abbondante materiale arcaico 46 .<br />

Ma è dallo scavo dei livelli di crollo del vano di attizzaggio<br />

della fornace ellenistica che è scaturita l’autentica ‘sorpresa’ di<br />

quest’ultima campagna archeologica. Qui infatti dapprima è stata<br />

individuata una stele a trono frammentaria di medie dimensioni<br />

(tav. CXX, 5), e successivamente alcuni grossi elementi di<br />

arenaria (tav. CXX, 4) nei quali, pur con la prudenza che è<br />

d’obbligo mantenere in tali circostanze, a noi sembra si possano<br />

riconoscere almeno due monumentali cippi a trono (tav. CXX, 6).<br />

Sia la stele 47 quanto i cippi 48 mostrano infatti forti somiglianze<br />

con più noti esemplari rinvenuti nei tofet di Cartagine, Mozia e<br />

Tharros.<br />

È chiaro che la possibilità che tali documenti indichino la<br />

presumibile presenza di un tofet a Solunto andrà valutata, se<br />

abbiamo colto nel segno, alla luce di più ampie considerazioni<br />

topografiche e delle analogie a questo proposito riscontrabili con<br />

altre località fenicio-puniche del Mediterraneo, che non è questa<br />

la sede né il momento per approfondire. Inoltre, per quanto sia


692 C. GRECO<br />

scontata la necessità di ulteriori verifiche, occorre ancora una<br />

volta sottolineare che per esse non si prospettano previsioni<br />

ottimistiche, visto che nelle immediate vicinanze dell’area scavata,<br />

lungo il costone e fino alla punta del promontorio dove<br />

sorgono il castello e la tonnara di Sòlanto, è tutto un’ininterrotto<br />

susseguirsi di costruzioni, ed è ormai preclusa qualsiasi possibilità<br />

di ricerca.<br />

Per il momento, quindi, la singolare commistione di materiali<br />

tanto disparati, per significato e cronologia, contemporaneamente<br />

riutilizzati nella struttura produttiva della nostra grande<br />

fornace soluntina offre un’immagine emblematica dell’articolata<br />

sequenza archeologica che comincia lentamente a riemergere sul<br />

promontorio di Sòlanto.<br />

NOTE<br />

1 C. GRECO, Solunto: scavi e ricerche nel biennio 1992-93, in «Atti<br />

delle Seconde Giornate Internazionali di Studi sull’area Elima, Gibellina<br />

1994», Pisa-Gibellina 1997, 889-908.<br />

2 C. GRECO, Nuovi elementi per l’identificazione di Solunto arcaica,<br />

in «Wohnbauforschung in Zentral- und Westsizilien, Zürich 1996», Zürich<br />

1997, 97-111.<br />

3 C. GRECO, La necropoli punica di Solunto, in «Atti IV congresso<br />

internazionale di studi fenicio-punici, Cadice 1995», c. d. s.; C. GRECO et alii,<br />

Materiali dalla necropoli punica di Solunto: studi preliminari, in AA. VV.,<br />

Archeologia e territorio, Palermo 1997, 25-110<br />

4 Decreto dell’Assessore Regionale pro tempore dei Beni Culturali,<br />

Ambientali e P. I., nr. 7057 del 3 settembre 1997.<br />

5 La campagna di scavi, finanziata dall’Assessorato Regionale dei<br />

Beni Culturali e Ambientali e diretta da chi scrive, si è svolta dal 5 maggio al<br />

30 giugno 1997. Sul campo hanno offerto la loro preziosa collaborazione le<br />

dottoresse C. Del Vais, R. De Simone, C. Polizzi, V. Tardo e A. Termini, e<br />

inoltre gli architetti V. Brunazzi e S. Faldetta, della Sezione Archeologica<br />

della Soprintendenza di Palermo. I lavori hanno potuto svolgersi grazie<br />

all’incessante impegno profuso, come di consueto, dagli assistenti tecnici<br />

geometri F. Di Maria e R. Vella, nonché dal sig. N. Ducato, insostituibile<br />

‘assistente di scavo’.<br />

6 Per altre notizie preliminari su questo scavo cf. C. GRECO, Solunto:<br />

materiali della fase arcaica, relazione presentata al Convegno Internazionale


SOLUNTO: <strong>NUOVI</strong> <strong>DATI</strong> DALLA CAMPAGNA DI SCAVO 1997<br />

693<br />

«Frontiere e influenze nel mondo punico mediterraneo, Sambuca di Sicilia,<br />

1998», di prossima pubblicazione.<br />

7 C. GRECO, Note di topografia soluntina: saggi di scavo sul promontorio<br />

di Sòlanto, Kokalos, XXXIX-XL, 1993-1994, 1165-1176.<br />

8 La conduzione dello scavo in quest’area, contrariamente a quanto<br />

avvenuto nelle diverse altre particelle oggetto di intervento nella campagna<br />

del 1997, è stata purtroppo pesantemente condizionata dall’atteggiamento<br />

ostile dei proprietari del terreno; tale malaugurata circostanza ha consigliato<br />

di rinviare più ampie indagini ad un momento in cui sarà possibile disporre,<br />

in via definitiva, della proprietà del terreno.<br />

9 Cf. GRECO, Nuovi elementi... cit., 97-100.<br />

10 Cf., in particolare, C. GRECO, La necropoli di Solunto: problemi e<br />

prospettive, in AA. VV., Archeologia e territorio, Palermo 1997, 25-33, in<br />

part. 28-32; A. TERMINI, Materiali dalla necropoli punica di Solunto: studi<br />

preliminari. Ceramica di tradizione fenicio-punica e ceramiche comuni,<br />

ibid., 35-55; C. GRECO, Anfore puniche, ibid., 57-69.<br />

11 All’esame autoptico dei materiali e alla classificazione preliminare<br />

degli impasti ha fatto seguito l’avvio di analisi archeometriche, sia<br />

petrologiche che chimiche, in corso grazie alla collaborazione con il gruppo<br />

di lavoro del Dipartimento di Chimica e Fisica applicata alla terra dell’Università<br />

di Palermo, diretto dal Prof. R. Alaimo, che colgo qui l’occasione di<br />

ringraziare, insieme all’amico dott. G. Montana, per la stimolante dialettica<br />

instauratasi nell’ambito della ricerca comune. Per i primi dati sulle indagini<br />

in corso e sull’approccio metodologico vd. R. ALAIMO - G. MONTANA - C.<br />

GRECO, le officine ceramiche di Solunto: evidenza archeologica ed indagini<br />

archeometriche preliminari, in «Produzione e circolazione della ceramica<br />

fenicia e punica nel Mediterraneo: il contributo delle analisi archeometriche.<br />

II Giornata di archeometria della ceramica, Ravenna 1998», Bologna-Imola<br />

1998, 7-26.<br />

12<br />

GRECO, Nuovi elementi... cit., 108-109.<br />

13 Si tratta dell’US 11 visibile nella stratigrafia presentata a tav.<br />

CXIV, 1.<br />

14 Per il più recente contributo su questo tema vd. V. TUSA, L’area<br />

industriale di Mozia, in «Alle soglie della classicità. Il Mediterraneo tra<br />

tradizione e innovazione. Studi in onore di Sabatino Moscati», a cura di E.<br />

Acquaro, Roma 1996, 1003-1019. Val la pena notare che da questo scavo<br />

(TUSA, art. c., 1006, fig. 24), così come dall’attigua area K (G. FALSONE - F.<br />

SPATAFORA - A. GIAMMELLARO SPANÒ - M. L. FAMÀ, Gli scavi della “zona K”<br />

a Mozia e il caso stratigrafico del locus 5615, Kokalos, XXVI-XXVII, 1980-<br />

1981, 877-930, in part. 890 e 893-904) proviene una grande quantità di<br />

materiale preistorico dell’età del Bronzo, che documenta l’esistenza, sull’isola,<br />

di una facies di occupazione riferibile alla cultura di Thapsos.


694 C. GRECO<br />

15 Si tratta delle tomba a grotticella US 3 cui abbiamo accennato<br />

poc’anzi.<br />

16 J. RAMÓN TORRES, Las ánforas fenicio-púnicas del Mediterráneo<br />

central y occidental, Barcelona 1995, 188-189, fig. 160. Per la ceramica da<br />

cucina ellenistica cf. C. DEL VAIS, La Montagnola di Marineo. Ceramica<br />

comune di età ellenistica, in AA. VV., Archeologia e territorio, Palermo<br />

1997, 189-190, A12-A15 (con bibliografia e confronti).<br />

17 Vd., ad esempio, G. TORE, Cippi, altarini, stele e arredi, in<br />

Palermo punica, Palermo 1998, 417-427.<br />

18 Vd. tav. CXIII, 2.<br />

19 Cf. A. PESERICO, Le brocche “a fungo” fenicie nel Mediterraneo.<br />

Tipologia e cronologia, Roma 1996, collo di tipo 3A e decorazione a bande<br />

dipinte sotto l’orlo del tipo 5A: tali caratteristiche ricorrono, ad esempio, in<br />

esemplari siciliani classificati dall’A. nel periodo I e databili, cioè, dalla fine<br />

dell’VIII all’inizio del terzo quarto del VII sec. a. C. (42-43, 47-49, 83-84). Per<br />

la cronologia è inoltre significativo il confronto con una brocca dalla necropoli<br />

di Bitia (Bartoloni Forma 16), datata all’ultimo quarto del VII sec. a. C. (P.<br />

BARTOLONI, La necropoli di Bitia - I, Roma 1997, 92-93, 217, n. 388, fig. 34).<br />

20 H. SCHUBART, Westphoenizische Teller, RStudFen, IV, 1976, 179-<br />

196; M. VEGAS, Archaische und Mittelpunische Keramik aus Karthago.<br />

Grabungen 1987-88, MDAI(R), XCVI, 1989, 209-259, 228, fig. 5, nrr. 74-<br />

75. Per altri esemplari soluntini cf., inoltre, TERMINI, art. c., 40-41, fig. 4, nr.<br />

6. Una utile classificazione dei piatti di alta epoca arcaica, basata su materiale<br />

di provenienza sarda ma valida anche per altri rinvenimenti di area occidentale,<br />

è stata recentemente proposta, dal Bartoloni (BARTOLONI, o. c., 73-75,<br />

Forma 1, figg. 14-15).<br />

21 Per le brocche a collo cilindrico, già attestate a Solunto dai<br />

rinvenimenti della necropoli, vd. TERMINI, Materiali... cit., 36-42 e BARTOLONI,<br />

o. c., 94, fig. 27, nr. 271, Forma 17. Per le olle cf. VEGAS, art. c., 252-253, nrr.<br />

172-173, fig. 10.<br />

22 Per le coppe a calotta documentate in Sardegna, cf. gli esemplari<br />

rinvenuti a Sulcis, sia nell’area del Cronicario, databili all’avanzato VII sec.<br />

a. C. (P. BERNARDINI, La ceramica fenicia: le forme aperte, in S. Antioco: area<br />

del Cronicario (campagne di scavo 1983-86), RStudFen, XVIII, 1990, 81-<br />

99, 85-87, fig. 5, a e c), che quelli poco più tardi dalla necropoli (P. BARTOLONI,<br />

La tomba 2 AR della necropoli di Sulcis, RStudFen, XV, 1987, 57-73, 63, fig.<br />

5, c-d); vd. inoltre i frammenti provenienti dall’acropoli di Monte Sirai (L. A.<br />

MARRAS, Saggio di esplorazione stratigrafica nell’acropoli di Monte Sirai,<br />

RStudFen, IX, 1981, 187-201, 192, fig. 2, nrr. 13-16) e dalla necropoli arcaica<br />

di Bitia (BARTOLONI, o. c., 78, forma 4). In Sicilia il tipo era finora attestato<br />

solo a Mozia (V. TUSA, La necropoli arcaica ed adiacenze. Lo scavo del 1970,<br />

in AA. VV., Mozia VII. Rapporto preliminare della Missione congiunta con


SOLUNTO: <strong>NUOVI</strong> <strong>DATI</strong> DALLA CAMPAGNA DI SCAVO 1997<br />

695<br />

la Soprintendenza alle Antichità della Sicilia Occidentale, Roma 1972, 5-82,<br />

48-49, tav. XXXVI, figg. 1-2, dalle tombe 14-15; ID., La necropoli arcaica<br />

ed adiacenze. Relazione preliminare degli scavi eseguiti a Mozia negli anni<br />

1972, 1973, 1974, in AA. VV., Mozia IX. Rapporto preliminare della<br />

Missione congiunta con la Soprintendenza alle Antichità della Sicilia Occidentale,<br />

Roma 1978, 7-98, 16-17, tav. VIII, 4, tipo 7 a fig. 3, dal corredo della<br />

tomba 63; A. CIASCA, Scavi alle mura di Mozia (campagna 1978), RStudFen,<br />

VII, 1979, 207-227, 213, fig. 17, 3, esemplare della fine del VII sec. a. C.),<br />

mentre manca tra i materiali della necropoli di Palermo (cf. R. DE SIMONE -<br />

G. FALSONE, La ceramica di tradizione fenicio-punica, in Palermo punica,<br />

Palermo 1998, 306-313).<br />

23 Per le scodelle a vasca carenata, cf. gli esemplari cartaginesi editi<br />

da S. LANCEL, Byrsa, 2. Rapports préliminaires sur les fouilles 1977-1978.<br />

Niveaux et vestiges puniques, Rome 1982, 336, fig. 548, 142. 3 (corredo<br />

funerario datato alla metà del VII sec. a. C. per l’associazione con una kotyle<br />

protocorinzia) e M. VEGAS, Archaische Keramik aus Karthago, MDAI(R),<br />

XCI, 1984, 215-237, 221-222, fig. 2, 41 e EAD., Archaische und<br />

Mittelpunische... cit., 237, fig. 6, nr. 87; il tipo, prodotto anche in ‘red slip’,<br />

è inoltre frequente in numerosi contesti iberici della seconda metà del VII sec.<br />

a. C. (J. GRAN AYMERICH, Malaga phénicienne et punique, Paris 1991, 63, 207,<br />

fig. 31. 6; H. G. NIEMAYER - H. SCHUBART, Trayamar. Die phoenizischen<br />

Kammergraeber und die Niederlassung an der Algarrobo-Mundung, Mainz<br />

1975, (Madrider Beitraege IV), dalla tomba 4, 127, nrr. 47-48, tav. 20). In<br />

Sardegna esemplari analoghi ai nostri ricorrono ancora tra i rinvenimenti<br />

dell’area del Cronicario di Sulcis databili alla prima metà del VII sec. a. C. (cf.<br />

BERNARDINI, art. c., 81-99, fig. 2, a-b) e a Monte Sirai (MARRAS, art. c., 192,<br />

fig. 2, nn. 17-18), mentre è da registrarne l’assenza tra le pur numerose forme<br />

fenicie documentate nei corredi della necropoli arcaica di Bitia (cf. BARTOLONI,<br />

o. c., passim). Mi sembra inoltre interessante segnalare che tale tipo ceramico<br />

non risulta finora attestato a Mozia, dove pure i corredi della necropoli arcaica<br />

forniscono un’abbondante esemplificazione delle forme ricorrenti nella<br />

produzione locale del VII e VI sec. a. C.<br />

24 RAMÓN TORRES, o. c., 165, fig. 142. Cf., inoltre, R. F. DOCTER,<br />

Archaische Amphoren aus Karthago und Toscanos, Amsterdam 1997, 179-<br />

180, ‘subklasse Karthago 1 A3’, nrr. 313-314, ‘subklasse Karthago 1 A2/3’,<br />

nr. 315.<br />

25 Il frammento riprodotto alla tav. CXVI, 4 proviene invece dagli<br />

strati che ricolmavano la cavità a grotticella US 71.<br />

26 Cf. G. FIORENTINI, La necropoli indigena di età greca di Valle<br />

Oscura (Marianopoli), QuadAMessina, I, 1985-1986, 31-54, per una scodella<br />

acroma a orlo verticale rientrante dalla tomba 10 P, databile tra la seconda<br />

metà del VI e il V sec. a. C. (34, 48, tav. XXVIII, MR 839).


696 C. GRECO<br />

27 V. TUSA, Solunto. Nuovi contributi alla soluzione del problema<br />

storico-topografico, Kokalos, XVII, 1971, 33-48, 39, tav. XV, figg. 2-3,<br />

oinochoe corinzia della metà del VI sec. a. C.<br />

28 Cf. D. A. AMIX - P. LAWRENCE, Archaic Corinthian Pottery and the<br />

Anaploga Well (Corinth VII, II), Princeton 1975, 157-159, AN 396 (anfora)<br />

e AN 315 (hydria), tavv. 79, 110, contesti databili alla fine del tardo<br />

protocorinzio.<br />

29 Per gli esemplari imeresi vd. N. ALLEGRO - S. VASSALLO, Himera -<br />

Nuove ricerche nella città bassa (1989-1992), Kokalos, XXXVIII, 1992, 79-<br />

150, 115-116, n. 135, fig. 8 e S. VASSALLO, Ricerche nella necropoli orientale<br />

di Himera in località Pestavecchia (1990-1993), Kokalos, XXXIX-XL,<br />

1993-1994, 1243-1255, in part. 1249-1250, fig. 5, 3-4. In generale, per un<br />

censimento delle attestazioni siciliane cf. la sintesi recentemente offerta da R.<br />

M. ALBANESE, Appunti sulla distribuzione delle anfore commerciali nella<br />

Sicilia arcaica, Kokalos, XLVII, 1996, 91-137, 104-108. Per la scansione<br />

tipologica della produzione orientale, soprattutto quella riferibile alle meglio<br />

note fabbriche samie ben documentate nell’area etrusco-tirrenica, cf. V.<br />

GRACE, Samian Amphoras, Hesperia, XL, 1971, 52-95, tipo I; H. P. ISLER, Das<br />

archaische Nordtor (Samos IV), Bonn 1978, 162, tav. 22; N. DI SANDRO, Le<br />

anfore arcaiche dello scarico Gosetti, Pithecusa, Napoli 1986, 69-76, tav. 14.<br />

Precisazioni sulla cronologia della produzione samia si trovano negli studi<br />

recenti di A. W. JOHNSTON, Pottery from Archaic Building Q at Kommos,<br />

Hesperia, LXII, 1993, 339-382, in part. 364-366; e di I. K. WHITBREAD, Greek<br />

Transport Amphorae. A Petrological and Arcaeological Study, Athens 1995,<br />

122-133. Per le anfore samie presenti nelle stratigrafie arcaiche di Toscanos<br />

e Cartagine cf. DOCTER, o. c., 239-240 (da contesti del tardo VII-inizi VI sec.<br />

a. C. ). Per i tipi assegnati alle fabbriche di Mende, databili alla metà del V sec.<br />

a. C., cf. C. JONES EISEMAN - B. SISMONDO RIDGWAY, The Porticello Shipwreak:<br />

a Mediterranean Merchant Vessel of 415-385 B. C., College Station 1987,<br />

37-41. 30 Per Palermo cf. G. SARÀ, Anfore greche, in Palermo punica,<br />

Palermo 1998, 326-334. Un esemplare tardo-arcaico è segnalato dalla “zona<br />

K” di Mozia: ALBANESE, Appunti... cit., 108, con bibliografia precedente.<br />

31 Cf. GRECO, Solunto: scavi e ricerche... cit., 895, dove si postulava<br />

la possibilità di una localizzazione della necropoli protoarcaica in prossimità<br />

della punta del promontorio, sul quale vecchie e non più controllabili notizie<br />

riferivano del rivenimento di tombe, e comunque in posizione eccentrica<br />

rispetto alla necropoli sviluppatasi a partire dalla metà del VI sec. a. C. in<br />

località Campofranco-Olivetano.<br />

32 Tale installazione, che sfrutta una falda freatica che percorre<br />

longitudinalmente tutto il promontorio ed è tuttora in uso, sembra potere<br />

essere riferita alla fase di occupazione ellenistica, cui, in questo stesso punto,


SOLUNTO: <strong>NUOVI</strong> <strong>DATI</strong> DALLA CAMPAGNA DI SCAVO 1997<br />

697<br />

sono pertinenti i resti, labili e superficiali, della pavimentazione in ghiaietto<br />

e di brevi tronconi di strutture murarie. La relazione stratigrafica tra tali<br />

elementi, deducibile tanto dalla quota dell’imboccatura del pozzo quanto dai<br />

reperti archeologici rinvenuti nel suo riempimento, è stata tagliata, probabilmente<br />

alcuni decenni addietro, dalla trincea di posa di un parafulmine.<br />

33 Il fatto che officine ceramiche si installassero spesso in aree di<br />

necropoli abbandonate, periferiche rispetto all’abitato, è attestato con frequenza<br />

in numerose località del mondo antico e in varie epoche: per esempi<br />

in ambito siro-palestinese vd. G. FALSONE, Struttura e origine orientale dei<br />

forni da vasaio di Mozia, Palermo 1981, 62-65, e per le fornaci ellenistiche<br />

installatesi nella necropoli arcaica di Dermech a Cartagine vd. P. GAUCKLER,<br />

Nécropoles puniques de Carthage, Paris 1915, II, 512-516 e FALSONE, o. c.,<br />

50-53, esempi citati infra a n. 38. Per la Sicilia, cf. l’accurato elenco fornito<br />

da N. CUOMO DI CAPRIO, Fornaci e officine da vasaio tardo-ellenistiche<br />

(Morgantina Studies III), Princeton 1992, 42, n. 7; vari ambienti in disuso<br />

negli edifici dell’agora ellenistica vengono inoltre riutilizzati dai vasai a<br />

Morgantina (EAD., o. c., 42-45). Anche a Taranto, dove sono numerosi gli<br />

impianti produttivi e le figlinae di età ellenistica scavati (A. DELL’AGLIO,<br />

Taranto, in AA. VV., I Greci in Occidente. Arte e artigianato in Magna<br />

Grecia, Napoli 1996, 51-71, passim), il dato della riutilizzazione di tombe<br />

della necropoli tardo-arcaica e classica ricorre abitualmente, e si spiega, qui<br />

come altrove, per la facilità di poter disporre di cavità già tagliate nella roccia,<br />

da adattare per il vano di combustione che richiede un buon isolamento<br />

termico. Lo sviluppo delle ricerche archeologiche negli ultimi decenni ha<br />

tuttavia evidenziato come spesso ergasteria artigianali coesistessero, all’interno<br />

del medesimo tessuto urbanistico, insieme ad elementi di carattere<br />

abitativo, delineando veri e propri quartieri ‘misti’, abitativo-industriali come<br />

quelli di Locri-Centocamere (M. BARRA BAGNASCO, Il ceramico di Locri:<br />

strutture e cronologie, in AA. VV., I Greci in Occidente. Arte e artigianato<br />

in Magna Grecia, Napoli 1996, 27-34) e di Herakleia (L. GIARDINO, Herakleia,<br />

ibid., 35-43), fino al ‘villaggio di coroplasti’ scavato negli anni ’50 dal Di Vita<br />

a Scornavacche presso Chiaramonte Gulfi (A. DI VITA, Breve Rassegna degli<br />

scavi archeologici condotti in provincia di Ragusa nel quadriennio 1955-<br />

1959, ora ripubblicato in A. DI VITA, Da Siracusa a Mozia. Scritti di<br />

archeologia siciliana, Padova 1998, 117-135, in part. 126-128).<br />

34 Cf. TUSA, La necropoli arcaica... 1972, 1973, 1974... cit., 65 sgg.,<br />

FALSONE - SPATAFORA - GIAMMELLARO SPANÒ - FAMÀ, art. c., 889-890, 907-926<br />

e G. FALSONE, La scoperta, lo scavo e il contesto archeologico, in «La statua<br />

marmorea di Mozia e la scultura di stile severo in Sicilia. Atti della giornata<br />

di studio-Marsala 1986», Roma 1988, 9-24, in part. 13-20.<br />

35 Cf. A. CUTRONI TUSA - A. ITALIA - D. LIMA - V. TUSA, Solunto, Roma<br />

1994.


698 C. GRECO<br />

36 Di una frequentazione risalente ad epoca romana è prova, fra<br />

l’altro, il rinvenimento, nei livelli di humus superficiale di un frammento di<br />

orlo di anfora Dressel 1C e di una coppa in terra sigillata africana ‘A’, forma<br />

Hayes 8 A.<br />

37 Cf. GRECO, Nuovi elementi... cit., 108-109, tav. 8, 8 e fig. 9, 3. EAD.,<br />

Solunto. Saggi archeologici sul promontorio di Sòlanto, in AA. VV., Archeologia<br />

e territorio, Palermo 1997, 487-488.<br />

38 CUOMO DI CAPRIO, o. c., 13-15, tavv. 6, 56-57 (officina I, fornace 1).<br />

39 Su cui da ultima, BARRA BAGNASCO, art. c., 31, fornace circolare in<br />

I 4.<br />

40 DELL’AGLIO, art. c., 53-54, veduta assonometrica e proposta<br />

ricostruttiva a 60. Notevole complessità strutturale è inoltre documentata sia<br />

dalle già citate fornaci puniche ellenistiche di Cartagine, sia dal ceramico<br />

impiantosi nell’area della necropoli di Utica (vd. supra, n. 33).<br />

41 Per sistemazioni analoghe cf. J. B. PRITCHARD, Recovering Sarepta,<br />

a Phoenician City, Princeton 1978, 119 e, soprattutto, W. P. ANDERSON, The<br />

Kilns and Workshops of Sarepta (Sarafand, Lebanon): Remnants of Phoenician<br />

Ceramic Industry, Berytus, XXXV, 1987, 41-66.<br />

42 Sia la camera di combustione, scavata nella calcarenite, che le altre<br />

parti della struttura (pilastrini, archi rampanti di sostegno della suola, la stessa<br />

suola) costruite con frammenti di bozze di arenaria e ciottoli legati da argilla<br />

e cocciame, erano rivestite da uno spesso impasto argilloso. Tale ‘intonaco’<br />

(per la definizione cf. CUOMO DI CAPRIO, o. c., 55 e n. 22) presentava<br />

dappertutto colaticci vetrificati e crateri di fusione, residuo della violenta<br />

combustione. Il riutilizzo di materiale ceramico di recupero, spesso tegole e<br />

mattoni come quelli usati nelle fornaci ellenistiche di Morgantina, risponde<br />

ad un uso generalizzato nella costruzione di simili installazioni, oggetto di<br />

rifacimenti continui (cf. ANDERSON, art. c., 42-43). Proprio per tale ragione<br />

occorre prestare la massima attenzione alla documentazione ceramica proveniente<br />

dal ‘riempimento’ di una fornace (che di norma corrisponde ai livelli<br />

di crollo della struttura e solo eccezionalmente restituisce testimonianza dei<br />

prodotti della cottura), perché la frammentarietà ed eterogeneità del materiale<br />

potrebbero indurre ad errate attribuzioni cronologiche. Per di più è tendenza<br />

diffusa interpretare il rinvenimento di materiali cronologicamente differenti<br />

come prova della ‘lunga durata’ dell’impianto, piuttosto che come documento<br />

dell’utilizzazione di materiale di riuso nella costruzione; in tal caso<br />

resterebbe l’incongruenza di ipotizzare durate secolari per impianti soggetti,<br />

al contrario, ad usurarsi rapidamente e ad essere frequentemente rinnovati.<br />

Altrettanta cautela va adottata nella lettura delle fosse di scarico, dove<br />

l’accumulo di reperti ceramici può essere messa in relazione tanto all’attività<br />

vera e propria della fornace (con prevalenza di scarti, ipercotti, pezzi<br />

deformati, scorie e residui del piano forato), quanto alla disponibilità di


SOLUNTO: <strong>NUOVI</strong> <strong>DATI</strong> DALLA CAMPAGNA DI SCAVO 1997<br />

699<br />

‘cocciame’ vario (soprattutto di categoria fine e di cronologie eterogenee),<br />

utilizzato nella costruzione della struttura (cf. DELL’AGLIO, art. c., 65). Alla<br />

luce di tali osservazioni sarebbe pertanto auspicabile poter disporre della<br />

pubblicazione integrale delle fornaci di Mozia, fra cui l’unica di cui si<br />

conoscano parzialmente i materiali, datata a «non oltre la fine del V sec. a.<br />

C.», ha restituito reperti ceramici assai diversi per cronologia quali «skyphoi<br />

e kylikes attici, coppe ioniche, anfore siluriformi, bottiglie con orlo a fungo,<br />

imitazioni di coppe ioniche» (TUSA, La necropoli arcaica... 1972, 1973,<br />

1974... cit., 78-79; FALSONE, o. c., 36). Riguardo a fasi di occupazione<br />

posteriori alla distruzione dionigiana del 397 a. C., val la pena inoltre di notare<br />

che, mentre la situazione stratigrafica dell’area K mostra il segno di interventi<br />

databili anche all’inoltrato IV secolo (FALSONE, Lo scavo... cit., 16 e 19), una<br />

datazione alla prima età ellenistica è stata proposta, per uno dei forni dell’area<br />

industriale moziese, già dalla Ciasca (A. CIASCA, Scavi alle mura di Mozia,<br />

RStudFen, V, 1977, 208-210); né si può ignorare il fatto che alcuni tipi di<br />

anfore sicuramente prodotti a Mozia siano stati convincentemente attribuiti<br />

dal Ramón a serie in uso nel pieno IV sec. a. C. (RAMÓN TORRES, o. c., 127, 188,<br />

192). La problematica delle più tarde testimonianze di vita moziese ha<br />

registrato, negli ultimi anni, impulsi notevoli grazie agli scavi più recenti, ma<br />

pur esistendo vari contributi su singoli aspetti della ricerca (vd. M. L. FAMÀ,<br />

Appunti per lo studio dell’urbanistica di Mozia, in «Actes du IIIe Congrès<br />

International des Etudes Phéniciennes et Puniques, Tunis 1991», Tunis 1995,<br />

422-434; EAD., Gli scavi recenti nell’abitato di Mozia: nuove prospettive di<br />

indagine alla luce dei primi risultati della ricerca, in «Atti delle Seconde<br />

Giornate Internazionali di Studi sull’area Elima, Gibellina 1994», Pisa-<br />

Gibellina 1997, 643-654; M. P. TOTI, Anfore commerciali puniche da Mozia.<br />

Attestazioni di una variante di anfora Mañá C dall’abitato moziese, ibid.,<br />

1297-1301; M. L. FAMÀ - M. P. TOTI, Mozia: gli scavi nella “Zona E”<br />

dell’abitato, in «Wohnbauforschung in Zentral- und Westsizilien, Zürich<br />

1996», Zürich 1997, 113-123) manca sinora uno studio complessivo che<br />

affronti il tema della qualità, lo spessore e il significato delle testimonianze<br />

riferibili ad una Mozia ‘ellenistica’, non esclusa l’ancora oscillante datazione<br />

del noto mosaico a ciottoli della ‘casa dei mosaici’ (per cui, da ultima, vd. M.<br />

L. FAMÀ, Il mosaico a ciottoli di Mozia dopo il restauro, in «Atti del IV<br />

Colloquio dell’Associazione Italiana per lo Studio e la Conservazione del<br />

Mosaico, Palermo 1996», Ravenna 1997, 147-158).<br />

43 Per i tipi di hydriai e grandi bacini a bande documentati a Solunto<br />

cf. H. TREZINY, Kaulonia I, Napoli 1989, 69, fig. 47 e N. ALLEGRO - S.<br />

VASSALLO, Himera-Nuove ricerche nella città bassa (1989-1992), Kokalos,<br />

XXXVIII, 1992, 79-150, 96-98, nr. 45, fig. 4 e 113-114, nr. 122, fig. 8.<br />

44 E. LYDING WILL, Graeco-Italic Amphoras, Hesperia, LI, 1982,<br />

339-356, in part. 345-346, ‘forma b’. C. VAN DER MERSCH, Vins et amphores


700 C. GRECO<br />

de Grande Grèce et de Sicile. IV-III s. avant J. -C., Naples 1994, 87-92, 123-<br />

158; M. BARRA BAGNASCO, Le anfore, in AA. VV., Locri Epizefiri IV. Lo scavo<br />

di Marasà sud. Il sacello tardo-arcaico e la “casa dei leoni”, Firenze 1992,<br />

205-240, in part. 219-220.<br />

45 Cf. anche M. L. STOPPONI (a cura di), Con la terra e con il fuoco.<br />

Fornaci romane del Riminese, Rimini 1993, in part. 28-35 e, per un impianto<br />

ormai del I sec. a. C., G. PUCCI, La fornace di Umbricio Cordo, Firenze 1992.<br />

46 Cf. F. BLONDÉ - J. Y. PERREAULT - C. PERISTERI, Un atelier de potier<br />

archaique à Plati (Thasos), in F. BLONDÉ – J. Y. PERREAULT (edd.), Les ateliers<br />

de potiers dans le mond grec aux époques géometrique, archiaque et<br />

classique, Paris 1992, (BCH, Suppl. XXIII), 11-40; M. FOURMONT, Les<br />

ateliers de Sèlinonte (Sicile), ibid, 57-68. Per una piccola fornace subcircolare<br />

di età arcaica, a Taranto, straordinariamente vicina, per forma e dimensioni,<br />

ad alcune fornaci moziesi (FALSONE, o. c., 35-36, forni 3 e 4) cf. DELL’AGLIO,<br />

art. c., 53, fig. a 55.<br />

47 Per la stele a trono cf. S. MOSCATI - M. L. UBERTI, Scavi a Mozia -<br />

Le Stele, Roma 1981, 180, nr. 608, tav. XCIII e 181, nr. 612, tav. XCIII:<br />

entrambe del tipo IV, 1, dallo strato IV del tofet, databili tra la seconda metà<br />

del VI e buona parte del V sec. a. C. (per una revisione della cronologia del<br />

tofet moziese cf. A. CIASCA, Mozia: sguardo d’insieme sul tofet, Vicino<br />

Oriente, VIII, 1992, 113-155; V. TUSA, La necropoli arcaica ed adiacenze.<br />

Relazione preliminare degli scavi eseguiti a Mozia negli anni 1972, 1973,<br />

1974, in AA. VV., Mozia IX. Rapporto preliminare della Missione congiunta<br />

con la Soprintendenza alle Antichità della Sicilia Occidentale, Roma 1978,<br />

7-98, 2, 1992, 113-155, secondo la quale lo strato IV va attribuito alla metà<br />

- seconda metà del VI sec. a. C., e la replica di S. MOSCATI, Il VI secolo a Mozia,<br />

RStudFen, XXII, 1996, 173-178). Per esemplari analoghi da Tharros, cf. S.<br />

MOSCATI - M. L. UBERTI, Scavi al tofet di Tharros. I Monumenti lapidei, Roma<br />

1985, 105, nrr. 61-62, tav. XXIII, datati al V sec. a. C.<br />

48 Cf., ad esempio, un cippo-trono da Tharros, datato alla fine del VIinizi<br />

del V sec. a. C. (MOSCATI - UBERTI, Scavi al tophet di Tharros... cit., 122,<br />

tav. LVIII). Per i noti esemplari arcaici dal tofet di Cartagine, dove cippi-trono<br />

monumentali caratterizzano lo strato C databile tra l’inizio del V e la metà del<br />

IV sec. a. C., vd. P. BARTOLONI, Le stele arcaiche del tofet di Cartagine, Roma<br />

1976, 27-32, 42-50, 75-77, 92-93, nrr. 119-126, tavv. XXXIV-XXXV, e nrr.<br />

168-169, tav. XLVIII.


TAV. CXII<br />

4. Solunto. Frammenti di ceramica<br />

fenicio-punica arcaica: coppa a calotta e<br />

anfora.<br />

1. Solunto. Veduta generale del SAS IV.<br />

2. Solunto. Fossa US 69, SAS IV.<br />

3. Solunto. Battuto US 80, SAS IV.<br />

5. Solunto. Frammenti di coppe ioniche<br />

nei tipi A2 e B1.


TAV. CXIII<br />

1. Solunto. Veduta generale del SAS I con la grande fornace ellenistica<br />

2. Solunto. Tomba preistorica US 3, SAS I. 3. Solunto. Planimetria e sezione di US 3.<br />

4. Solunto. SAS III, cavità polilobata US<br />

70.<br />

5. Solunto. Cavità a grotticella US 71,<br />

SAS III.


TAV. CXIV<br />

1. Solunto. Sezione E-O quadrati I12 - I13, SAS III.<br />

2. Solunto. Skyphoi ellenistici da US 5,<br />

SAS III<br />

4. Solunto. Frammenti di ceramica<br />

fenicio-punica arcaica: brocca a collo<br />

cilindrico e coppa a calotta.<br />

3. Solunto. Frammenti di anfora punica<br />

del IV sec. a. C. e di pentola ellenistica<br />

da US 5, SAS III.<br />

5. Solunto. Frammento di stele in<br />

calcarenite.


Solunto. Ceramica fenicio-punica di età arcaica dal SAS III.<br />

TAV. CXV


TAV. CXVI<br />

Solunto. Ceramica greca d’importazione dal SAS III; il nr. 5 è una scodella indigena<br />

acroma.


1. Solunto. Frammenti arcaici dal SAS<br />

III: olla, coppa a calotta, piatto e scodella<br />

indigena.<br />

3. Solunto. Frammenti di coppe ioniche B1 dal SAS III.<br />

4. Solunto. Frammenti di cratere corinzio,<br />

SAS III.<br />

TAV. CXVII<br />

2. Solunto. Orlo di anfora e frammento<br />

di scodella carenata dal SAS III.<br />

5. Solunto. Frammenti di aryballos<br />

corinzio, SAS III.


TAV. CXVIII<br />

1. Solunto. Fornace F 4, SAS III.<br />

2. Solunto. Coppe ioniche A2, B1 e B2 e<br />

scodella indigena, da US 38, SAS III.<br />

3. Solunto. Planimetria della grande fornace ellenistica F 1, SAS I.


1. Solunto. Fornace, metà E. Strato di<br />

crollo US 36.<br />

3. Solunto. Particolare della suola della<br />

fornace conservata in situ.<br />

5. Solunto. Sezione N-S della fornace.<br />

TAV. CXIX<br />

2. Solunto. Particolare dell’interno del<br />

cavo di combustione, con il sostegno<br />

centrale.<br />

4. Solunto. Vano di attizzaggio, muro<br />

divisorio centrale e scaletta realizzati<br />

con blocchi di recupero.


TAV. CXX<br />

1. Solunto. Frammenti ellenistici e ansa<br />

di brocchetta indigena dipinta dalla US<br />

48 (dalla camera di combustione).<br />

3. Solunto. Ceramica fenicio-punica arcaica<br />

da F 3, US 39, SAS I.<br />

5. Solunto. Stele a trono, riutilizzata nel<br />

vano di attizzaggio della fornace<br />

ellenistica.<br />

2. Solunto. Piccolo forno circolare F 3,<br />

SAS I.<br />

4. Solunto. Cippi, dallo strato di crollo<br />

US 4/ US 42 nel vano di attizzaggio.<br />

6. Solunto. Cippo-trono.

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