qui - PARROCCHIA CORPUS DOMINI
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Ancora, nella preghiera, ogni dolcezza diventa sofferenza. La consolazione ti ripugna<br />
perché il più lieve gusto di essa ingenera disgusto. Ogni luce, con la sua insufficienza,<br />
ingenera pena alla mente. Sembra che la tua volontà non osi più agire.<br />
Sembra che anche il più lieve suo moto le ricordi la sua inutilità, ed essa muore di<br />
vergogna.<br />
Eppure, strano a dirsi, è in questa impotenza che noi giungiamo al principio della<br />
gioia. Ci accorgiamo che, se non ci agitiamo, la pena non è poi così brutta e vi è persino<br />
una certa pace, una certa ricchezza, una certa forza, un certo senso di non esser<br />
soli che si manifesta in noi quando siamo sconfitti, quando ci troviamo distesi con la<br />
bocca nella polvere, si forte sit spes.<br />
Allora, quando la pace si stabilisce nella nostra anima e noi accettiamo quello che<br />
siamo e quello che non siamo, cominciamo a comprendere che questa grande povertà<br />
è la nostra maggiore fortuna. Perché quando siamo spogliati di quelle ricchezze che<br />
non erano nostre e che non potevano darci altro che dolore, quando ci teniamo lontani<br />
da quell’attività buona e lecita di conoscenza e di desiderio che pure non poteva metterci<br />
in possesso del nostro vero fine e della nostra felicità, allora ci rendiamo conto<br />
che l’intero significato della nostra vita è una povertà ed un vuoto che, lungi<br />
dall’essere una disfatta, sono la garanzia di tutti i grandi doni soprannaturali che essi<br />
contengono in potenza. Diventiamo come vasi vuotati d’acqua per poter essere riempiti<br />
di vino. Siamo come vetri ripuliti dalla polvere e dal sudiciume per ricevere il sole<br />
e sparire nella sua. luce.<br />
Quando cominciamo a scoprire questo vuoto, nessuna povertà è abbastanza povera,<br />
nessun vuoto è abbastanza vuoto, nessuna umiltà ci abbassa quanto vorrebbero i nostri<br />
desideri.<br />
Allora il nostro più grande dolore è quello di scoprire che attribuiamo ancora importanza<br />
a noi stessi, che possiamo ancora essere grandi ai nostri occhi. Perché abbiamo<br />
cominciato a capire che ogni ombra gettata sulla trasparenza di un’anima pura e vuota<br />
è un’illusione, un ostacolo alla luce genuina di Dio. E vediamo che il nostro sapere è<br />
tenebra in confronto alla Sua luce. II potere è una debolezza suprema che ci rende incapaci<br />
della Sua forza, e ogni umano desiderio ci inganna, ci turba e ci allontana da<br />
Lui.<br />
Più le nostre facoltà sono svuotate del desiderio e dello slancio per le cose create, più<br />
esse si raccolgono in pace e in silenzio interiore e raggiungono la tenebra in cui Dio è<br />
presente alla loro acutissima brama, più esse provano una pura, bruciante impazienza<br />
di essere libere, di superare gli ultimi ostacoli e gli ultimi attaccamenti che ancora si<br />
frappongono fra loro e il vuoto che potrà essere riempito da Dio.<br />
E allora il monaco scopre improvvisamente il grande valore anche dei mezzi di rinuncia<br />
più semplici ed elementari che la sua regola può offrirgli. Il suo atteggiamento<br />
verso tutto ciò che viene chiamato penitenza comincia a mutare. Prima, egli la affrontava<br />
con una specie di tensione atletica, e si basava molto sull’aiuto morale degli altri<br />
che facevano altrettanto, digiunando, lavorando e pregando con lui. Ora egli si rivolge<br />
a questi mezzi duri, oscuri e semplici di penitenza, perché essi danno riposo alla sua<br />
anima, lo pacificano; pure egli non li concepisce come una purificazione, un perfezionamento<br />
del suo cuore: si affida loro perché non può più fidarsi a qualcosa che sia la<br />
sua volontà. La sua pace è nella volontà altrui. La sua libertà consiste nel dipendere da<br />
Dio attraverso gli altri.<br />
Ed è vero contemplativo colui che si nutre d’obbedienza e trova la sua pace in una<br />
semplicità di fanciullo o di novizio. Pure, anche questo paragone è erroneo. Un con-