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mano nell’attaccamento al proprio giudizio e alla propria volontà.<br />

Per superare i nostri segreti attaccamenti — quelli che non possiamo vedere perché<br />

sono principio di cecità spirituale — la nostra iniziativa è quasi sempre inutile. Dobbiamo<br />

lasciare l’iniziativa nelle mani di Dio, che lavora nelle nostre anime sia direttamente<br />

nella notte dell’aridità e della sofferenza, sia attraverso uomini ed eventi. Ecco<br />

il punto in cui molti santi falliscono e si perdono. Appena giungono dove non possono<br />

più vedere la strada e orientarsi col proprio lume, essi rifiutano di proseguire.<br />

Hanno fiducia soltanto in se stessi. La loro fede è in gran parte un’illusione emotiva.<br />

Essa ha radici nei loro sentimenti, nel loro fisico, nel loro temperamento. È una specie<br />

di ottimismo naturale, stimolato dall’attività morale e riscaldato dall’approvazione altrui.<br />

Se viene contrastata, questa specie di fede trova ancora rifugio<br />

nell’autocompiacenza.<br />

Ma quando viene il tempo di entrare nella tenebra in cui noi ci troviamo nudi, deboli e<br />

soli, dove vediamo la insufficienza della nostra forza più grande ed il vuoto delle nostre<br />

virtù più salde, dove non abbiamo nulla di nostro su cui fondarci, nulla nella nostra<br />

natura su cui poggiare, nulla al mondo che ci guidi o ci dia luce, allora ci accorgiamo<br />

se viviamo o meno di fede.<br />

Ed è in questa tenebra, quando nulla rimane in noi che possa rallegrarci o confortarci,<br />

quando sembriamo inutili e degni di ogni disprezzo, quando sembriamo aver fallito,<br />

quando sembriamo distrutti e divorati, è allora che il profondo e segreto egoismo, che<br />

ci è tanto aderente da identificarsi con noi stessi, ci viene strappato dall’anima. È in<br />

questa tenebra che noi troviamo la libertà. È in questo abbandono che siamo fatti forti.<br />

Questa è la notte che ci svuota e ci fa puri.<br />

Non cercare riposo nel piacere, perché non sei stato creato per il piacere: sei stato<br />

creato per la gioia dello spirito. E se non sai la differenza che passa fra piacere e gioia<br />

spirituale non hai ancora cominciato a vivere.<br />

La vita nel mondo è piena di pena. Ma pena, che è il contrario di piacere, non è necessariamente<br />

il contrario di felicità o di gioia. Perché la gioia spirituale sboccia nella<br />

piena espansione della libertà che raggiunge senza ostacoli il suo oggetto supremo,<br />

realizzandosi pienamente nella perfetta attività dell’amore disinteressato per cui è stata<br />

creata.<br />

Il piacere, che è egoistico, soffre di tutto ciò che ci priva di qualche bene che vogliamo<br />

assaporare a nostro beneficio. Ma la gioia, che è disinteressata, soffre soltanto per<br />

l’egoismo. Il piacere è impedito ed ucciso dalla pena e dalla sofferenza. La gioia spirituale<br />

ignora la sofferenza, o si ride di essa, o la sfrutta per purificarsi del suo ostacolo<br />

più grande, l’egoismo.<br />

La vera gioia si trova nel volere perfettamente ciò per cui siamo stati creati; nel movimento<br />

intenso, duttile e libero della nostra volontà che gioisce in ciò che è buono<br />

non solo per noi ma in sé.<br />

Qualche volta il piacere può essere la morte della gioia, e così chi ha gustato la vera<br />

gioia considera con sospetto il piacere. Ma chiunque conosca la vera gioia non ha mai<br />

paura della pena, perché sa che la pena può dargli un’altra opportunità di affermare —<br />

e di gustare — la sua libertà.<br />

E non pensare che la gioia rovesci il piacere e cerchi il piacere nella pena: la gioia, in<br />

quanto tale, è al disopra della pena e non sente pena. Ecco perché si ride della pena.<br />

Essa è la con<strong>qui</strong>sta della sofferenza da parte di un amore disinteressato, altruistico,<br />

perfetto.<br />

La pena non può intaccare questa gioia altissima tranne che per procurarle un acciden-

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