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ituale nello studio teologico, non vi è sostanza, non vi è significato, non vi è orientamento<br />

sicuro nella vita contemplativa.<br />

Una delle prime cose che devi imparare, se vuoi diventare un contemplativo, è quella<br />

di badare ai fatti tuoi.<br />

In un uomo che sembra santo, nulla è più sospetto dell’impaziente desiderio di riformare<br />

gli altri uomini.<br />

Un serio ostacolo al raccoglimento è la mania di dirigere coloro che non sei stato incaricato<br />

di dirigere, di riformare coloro che non sei stato richiesto di riformare, di correggere<br />

coloro sui quali non hai giurisdizione. Come puoi fare ciò e mantenere tran<strong>qui</strong>lla<br />

la mente? Rinuncia a questo futile interesse per le cose degli altri uomini.<br />

Bada il meno che puoi agli errori degli altri e non badare affatto ai loro difetti e alle<br />

loro eccentricità naturali.<br />

La santità per essere tale deve praticamente giungere alla rinuncia, al distacco, al rinnegamento<br />

di sé. Ma il rinnegamento di sé non finisce quando abbiamo rinunciato a<br />

tutte le nostre imperfezioni e a tutte le nostre colpe deliberate.<br />

Tenersi lontani dai peccati comuni, evitare ciò che è palesemente cattivo perché insozza<br />

e degrada la nostra natura, compiere atti universalmente rispettati perché richiesti<br />

dalla nostra stessa dignità di esseri umani: tutto ciò non è ancora santità. Evitare il<br />

peccato e praticare la virtù non significa essere santo, significa soltanto essere uomo,<br />

essere umano. È solo il principio di quello che Dio vuole da te. Ma è un inizio necessario,<br />

perché non puoi avere perfezione soprannaturale se prima non hai (con la grazia<br />

di Dio) perfezionato la tua natura al livello che le è proprio. Prima di poter essere un<br />

santo, devi diventare un essere umano. Una bestia non può essere un contemplativo.<br />

Tuttavia è abbastanza semplice liberarci da difetti che riconosciamo tali — per quanto<br />

anche questo possa essere terribilmente difficile. Ma il problema cruciale della perfezione<br />

e della purezza interiore sta nella rinuncia, nell’estirpazione di tutti i nostri attaccamenti<br />

inconsci alle cose create, alla nostra volontà e ai nostri desideri.<br />

Una meditata strategia di risoluzioni e penitenze è la via migliore — se non la sola —<br />

per combattere i vizi deliberati ed evidenti. Tu elabori i tuoi piani di guerra e metti in<br />

atto secondo i mutamenti sopraggiunti nel corso della battaglia. Tu preghi e soffri ed<br />

esiti e cedi e speri e ti affatichi, ed i contorni mutevoli della lotta danno forma alla tua<br />

libertà.<br />

Quando essa è terminata, quando in te la buona abitudine è divenuta norma, non dimenticare<br />

i momenti della lotta quando eri ferito, disarmato, senza speranza. Non dimenticare<br />

che, malgrado tutti i tuoi sforzi, tu hai vinto soltanto perché Dio combatteva<br />

in te.<br />

Ma quando viene il momento di combattere i profondi e inconsci attaccamenti che difficilmente<br />

possiamo scovare e riconoscere, tutte le nostre meditazioni, i nostri esami<br />

di coscienza, le nostre risoluzioni, i nostri piani strategici possono essere non solo<br />

inefficaci, ma qualche volta persino giovevoli ai nostri nemici. Perché può accadere<br />

facilmente che le nostre risoluzioni siano dettate dal vizio di cui abbiamo bisogno di<br />

liberarci. Così l’uomo orgoglioso decide di digiunare di più e di punire di più la sua<br />

carne perché sempre più vuole sentirsi simile a un atleta; i suoi digiuni e le sue discipline<br />

gli vengono imposti dalla sua vanità, e rafforzano <strong>qui</strong>ndi ciò che in lui ha maggior<br />

bisogno di essere ucciso.<br />

Quando è abbastanza virtuoso da potersi illudere di essere quasi perfetto, l’uomo può<br />

entrare in una pericolosa condizione di cecità in cui tutti i suoi violenti sforzi per riuscire<br />

a raggiungere la perfezione giovano alle sue imperfezioni nascoste e lo confer-

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