qui - PARROCCHIA CORPUS DOMINI
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una vita di povertà e di lavoro può a volte essere più bella della vita complicata di coloro<br />
i quali pensano che il denaro possa comperare la bellezza e circondarli di cose<br />
piacevoli. Lo sanno benissimo tutti coloro che sono stati nella casa di un contadino<br />
italiano o francese.<br />
La vita di un monastero trappista è, fondamentalmente, una vita contadina. Più essa si<br />
conforma alla povertà, alla frugalità, alla semplicità di coloro che debbono guadagnarsi<br />
la vita dalla terra, meglio raggiunge il suo fine essenziale, che è quello di disporre<br />
gli uomini alla contemplazione.<br />
È bene per un monastero essere povero. È bene che i monaci si contentino di abiti<br />
molto lisi e rattoppati, e che vivano più dei loro campi che delle offerte per la Messa e<br />
dei doni dei benefattori. Tuttavia c’è un limite che la povertà monastica non dovrebbe<br />
oltrepassare. La miseria non è buona né per i monaci, né per alcun altro. Non si può<br />
pretendere che vi diate alla contemplazione quando state, alla lettera, per morir di fame<br />
e siete schiacciati dallo sforzo fisico di tener l’anima coi denti. E anche se la povertà<br />
può essere buona per il monastero, in via ordinaria il monaco non prospererà<br />
spiritualmente in una casa in cui la povertà sia così disperata da dover sacrificare al<br />
lavoro manuale e alle preoccupazioni materiali ogni altra cosa.<br />
Accade molto spesso che un vecchio fratello, il quale ha trascorso la sua vita a fare il<br />
formaggio, a cuocere il pane, a riparare scarpe o a guidare un carro, sia in realtà più<br />
contemplativo e più santo di un sacerdote che ha assimilato tutta la Scrittura e tutta la<br />
Teologia, che conosce gli scritti dei grandi santi e dei grandi mistici e che dedica molto<br />
tempo alla meditazione, alla contemplazione e alla preghiera.<br />
Ma benché questo possa essere veroed è cosa tanto risaputa da esser diventata un luogo<br />
comune — non deve farci dimenticare che l’istruzione ha un ruolo importante nella<br />
vita contemplativa. Né ci deve far dimenticare che il lavoro intellettuale, bene eseguito,<br />
è in se stesso una scuola di umiltà. Il ritornello del «vecchio fratello dedito a fare il<br />
formaggio» in contrasto con «l’orgoglioso sacerdote intellettuale» è spesso servito<br />
come scusa per disprezzare ed evitare la fatica di dover studiare teologia. Va benissimo<br />
avere in monastero molti uomini umilmente dediti al lavoro manuale: ma se questi<br />
sono allo stesso tempo persone istruite e teologi, ciò rende ancora più significativa la<br />
loro umiltà e la loro partecipazione ai lavori manuali.<br />
L’umiltà implica, in primo luogo, l’accettare di fare generosamente il proprio dovere<br />
nello stato di vita in cui ci si trova. Non è umiltà per un sacerdote, che deve conoscere<br />
la teologia, trascurare gli studi, rendendosi incapace di consigliare e guidare gli altri,<br />
con il pretesto di dover rimanere umile e semplice. In effetti, qualche volta vi è nei<br />
contemplativi una specie di orgoglio di essere poco istruiti, uno snobismo intellettuale<br />
alla rovescia, un disprezzo compiaciuto per la teologia, come se il semplice fatto di<br />
non saperla molto bene elevi automaticamente allo stato contemplativo.<br />
La contemplazione, lungi dall’essere opposta alla teologia, è di fatto il normale perfezionamento<br />
della teologia. Non dobbiamo separare lo studio teorico della verità rivelata<br />
dalla esperienza contemplativa di questa verità, come se non potessero mai avere<br />
nulla a che fare l’una con l’altra. Al contrario, non sono che due aspetti della medesima<br />
cosa. La dogmatica e la mistica, o la teologia e la «spiritualità» non possono essere<br />
divise in categorie che si escludono a vicenda, come se la mistica fosse riservata alle<br />
pie donne e invece gli studi teologici agli uomini, più concreti ma purtroppo meno<br />
santi. Questa divisione fallace spiega probabilmente molto di quello che in realtà<br />
manca sia alla teologia che alla spiritualità. Ma le due devono stare assieme come il<br />
corpo e l’anima. Se non sono unite, non vi è fervore, non vi è vita, non vi è valore spi-