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la sola via per entrare in questa gioia è quella di ridursi<br />

a un punto evanescente e di essere assorbito in Dio passando attraverso il centro del<br />

tuo nulla. Il solo modo per possedere la Sua grandezza è quello di passare attraverso<br />

la cruna d’ago della tua assoluta insufficienza.<br />

La perfezione dell’umiltà si trova nell’unione trasformante. Solo Dio può portarti a<br />

questa purezza attraverso il fuoco della prova interiore. Sarebbe pazzia non desiderare<br />

tale perfezione. Che cosa ti servirebbe infatti essere umile in un mondo che ti impedisse<br />

di perseguire ciò che è la perfezione di ogni umiltà?<br />

Benché sia intrinsecamente ragionevole e giusto desiderare l’unione mistica con Dio,<br />

noi tanto facilmente fraintendiamo ciò che esso significa, che qualche volta questo<br />

desiderio può diventare assai pericoloso. Desiderare Dio è il più fondamentale di tutti<br />

i desideri umani. È la radice stessa di tutta la nostra ricerca di felicità. Anche il peccatore<br />

che cerca la felicità dove non si può trovare, segue un desiderio oscuro e fuorviato,<br />

seppur inconscio, di Dio. Cosicché, sotto un certo aspetto, non è possibile non desiderare<br />

Dio.<br />

D’altra parte, quando usiamo l’espressione «desiderare Dio», implicitamente riduciamo<br />

Dio alla condizione di «oggetto» o di «cosa»; come se Dio fosse «qualcosa» da<br />

poter afferrare e possedere, come si possiedono ricchezze, cultura o qualche altra entità<br />

creata. E nonostante sia vero che è nella visione di Dio che dobbiamo sperare il<br />

compimento delle nostre più profonde esigenze, tuttavia è pericoloso pensare a Dio<br />

semplicemente come soddisfazione di tutte le nostre esigenze e desideri. Facendo così,<br />

siamo inevitabilmente portati a travisare ed anche a profanare la Sua santa ed infinita<br />

verità.<br />

Ho visto molti uomini entrare in monastero animati da una fame veramente divorante<br />

di Dio e dell’esperienza contemplativa. E li ho visti abbandonare il monastero, sconfitti<br />

e delusi dalla stessa intensità dei loro desideri inappagati. Non esiste speranza più<br />

crudele della vana attesa di un supremo appagamento, tanto frainteso da essere assolutamente<br />

impossibile. Non vi è sconfitta più terribile di quella del cuore umano reso<br />

folle dal suo desiderio di raggiungere un miraggio mistico.<br />

Ciò che rende tanto crudele questa sconfitta è l’inesorabile compiacimento dei maestri<br />

di vita spirituale, i quali insistono che «se non si è trovato Dio, è perché Gli si è rifiutato<br />

qualcosa. Non si è acconsentito a pagarne il prezzo». Come se l’unione con Dio<br />

fosse una merce messa in vendita nei monasteri, come il prosciutto o il formaggio, o<br />

qualche buon affare segreto offerto agli uomini sul mercato nero della contemplazione<br />

— offerto a questo o quel disgraziato compratore proprie nel momento che aveva le<br />

tasche vuote.<br />

Isaia non ha forse detto che le acque di vita sono date precisamente a quelli che non<br />

hanno denaro?<br />

È dovere di chiunque abbia avuto anche un debole barlume dell’amore di Dio, protestare<br />

contro un’inumana e falsa psicologia del misticismo; quella psicologia che presenta<br />

la «santità» e la «contemplazione» a guisa di ricchezze da ac<strong>qui</strong>starsi. Come se<br />

la santità e il misticismo fossero «beni» indispensabili per essere accetti nel Regno di<br />

Dio — come lo sono-cambiar l’auto ogni due anni, avere una casa in campagna e un<br />

televisore per essere accetti nelle città degli uomini. L’auto nuova e tutto ciò che ne<br />

consegue starebbero ad indicare che uno non è né un vagabondo, né un pigro, ma che<br />

si conforma alla norma accettata da tutti. Analogamente, le consolazioni spirituali e le<br />

virtù più ovvie sono ritenute segni evidenti che si è lavorato fedelmente al servizio di<br />

Dio.

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