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ed apprezzati loro stessi? In ogni caso il loro Gesù è totalmente diverso dal mio. Ma<br />

per il semplice fatto che la loro concezione è diversa dalla mia, dovrei forse io rinnegarla<br />

con orrore e con disgusto? Se facessi questo, forse rinnegherei qualcosa di me<br />

stesso che non riconoscerei più per mio. Ad ogni modo, se riuscissi a tollerare il loro<br />

Gesù potrei accettare ed amare anche loro. O, per lo meno, potrei immaginare di poterlo<br />

fare. Devo far si che il loro Gesù non sia di ostacolo tra di noi, perché in quel caso<br />

essi diventeranno un ostacolo tra noi e Gesù.<br />

Quello che è più vecchio, è più giovane e più nuovo. Non vi è nulla che sia così antico<br />

e così morto come le novità umane. L’«ultimissima» è sempre nata morta, tanto che<br />

non fa neppure in tempo ad arrivare. Quello che è veramente nuovo, è quello che esiste<br />

da sempre. E non intendo dire quello che si ripete di continuo; il veramente «nuovo»<br />

è quello che in ogni momento balza fuori sempre daccapo a nuova esistenza.<br />

Questa novità non si ripete mai; eppure è così vecchia che risale al più antico principio.<br />

È lo stesso principio che ci parla.<br />

Per i «primitivi» il passato ed il futuro sono nel presente. Per i «moderni» il presente è<br />

nel futuro o nel passato. Essi non hanno un presente, ma solo uno stato di confusione<br />

che si ripete permanentemente. Questa confusione è puntualizzata da un gran fracasso<br />

di tipo pratico; la gente annunzia la data, l’ora e il minuto di quel tal giorno. Proclama<br />

ad ogni istante che qualcosa di importante è avvenuto o sta per avvenire. Infatti è possibile<br />

«essere presenti» ai grandi avvenimenti. Ma nella grigia e sciatta confusione di<br />

istanti successivi non esiste più un presente e gli avvenimenti non hanno né carattere<br />

né significato per coloro che sembrano prendervi parte. Invece di intraprendere<br />

un’azione sensata, noi ci bombardiamo a vicenda con affermazioni e dichiarazioni,<br />

interpretando ciò che è accaduto, che sta accadendo, che dovrà accadere. Continuiamo<br />

a dirci l’ora, come se il tempo stesso cessasse di esistere, se smettessimo di parlarne.<br />

E, chissà, forse cesserebbe davvero!...<br />

Ecco la rinunzia più difficile e più necessaria: quella del rancore. È quasi impossibile<br />

perché senza rancore e risentimento la vita moderna cesserebbe probabilmente del tutto<br />

di essere umana. Un certo risentimento ci permette di sopravvivere all’assurdità di<br />

abitare in una città moderna. È l’ultimo baluardo della libertà in mezzo alla confusione.<br />

Non si può sfuggire alla confusione, ma possiamo almeno rifiutarci di accettarla,<br />

possiamo dire «no»; possiamo vivere in uno stato di muta protesta.<br />

Ma se il rancore è un espediente che permette all’uomo di sopravvivere, non gli permette<br />

necessariamente di sopravvivere in modo sano. Non è vero esercizio di libertà.<br />

Non è espressione genuina di rettitudine personale. È la protesta muta, animalesca di<br />

un organismo psicofisico maltrattato. Troppo spinto, diventa malattia mentale; è anche<br />

questo un «adattamento» sui generis. Ma è adattamento per mezzo della fuga.<br />

Il problema consiste nell’imparare a rinunziare al rancore senza abbandonarsi a quei<br />

maneggioni che pretendono. che tutti accettino l’assurdo e l’anarchia morale a cuor<br />

leggero e con condiscendente complicità. Pochi sono gli uomini abbastanza risoluti<br />

per trovare una soluzione. Entrare in un monastero non è necessariamente la soluzione<br />

giusta, perché anche nei monasteri esiste il rancore e per le stesse ragioni che esiste<br />

altrove.<br />

Se volete rinunciare al rancore, dovete rinunciare a quell’io evanescente che si sente<br />

minacciato dalla confusione, senza la quale però non è capace di sussistere. Qui sta il<br />

problema: dover vivere in totale, assoluta, servile dipendenza da un sistema, da una<br />

organizzazione, da una società, o da, una persona che si disprezza o si odia. Vivere in<br />

simile dipendenza, ma al tempo stesso dover fingere di approvare e accettare quello

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