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sarò «salvo».<br />

È un vero peccato che la bella metafora cristiana «salvezza» sia diventata così trita e<br />

di conseguenza così disprezzata. E stata trasformata in un insipido sinonimo di «pietà»,<br />

un concetto che oltretutto non è veramente etico. La «salvezza» è oltre l’etica. La<br />

parola denota un profondo rispetto per la fondamentale realtà metafisica dell’uomo.<br />

Riflette l’infinita sollecitudine che Dio ha per l’uomo; l’amore, la cura che Egli ha del<br />

più intimo essere dell’uomo; l’amore di Dio per tutto ciò che è Suo nell’uomo, figlio<br />

Suo. Non è solo la natura umana che è «salvata» dalla misericordia divina, ma soprattutto<br />

la persona umana. L’oggetto della salvezza è ciò che è unico, insostituibile, incomunicabile,<br />

è ciò che io solo sono. Questo vero io interiore deve essere tratto come<br />

un gioiello dal fondo del mare, liberato dal disordine, dalla confusione,<br />

dall’immersione nel comune, dall’inclassificabile, dal triviale, dal sordido,<br />

dall’evanescente.<br />

Dobbiamo essere salvati da quel mare di bugie e di passioni chiamato «il mondo». E,<br />

soprattutto, dobbiamo essere salvati da quell’abisso di confusione e di assurdo che è il<br />

nostro io mondano. La persona deve essere salvata dall’individuo. Il libero figlio di<br />

Dio deve essere salvato dal conformista schiavo della fantasia, delle passioni, del<br />

convenzionale. L’io interiore, creativo e misterioso, deve essere liberato dall’ego dissipatore,<br />

edonistico e distruttivo che tenta di nascondersi dietro travestimenti.<br />

Essere «perduti» significa essere abbandonati all’arbitrio e alle finzioni dell’ego contingente,<br />

quell’io di fumo che dovrà inevitabilmente sparire. Esser «salvati» significa<br />

ritornare alla propria inviolata, eterna realtà; significa vivere in Dio.<br />

Chi di voi può entrare in se stesso e trovare il Dio che lo esprime?<br />

«Trovare Dio» significa molto più che abbandonare semplicemente tutte le cose che<br />

non sono Dio e svuotare se stessi di ogni immagine e desiderio.<br />

Se riuscirete a cacciare dalla vostra mente ogni pensiero e ogni desiderio, potrete ritirarvi<br />

nel centro di voi stessi e concentrare tutto ciò che è in voi sul punto immaginario<br />

in cui la vostra vita si sprigiona da Dio; pure non troverete Dio. Nessun esercizio naturale<br />

può portarvi in contatto vitale con Lui. Se Egli non pronuncia Se stesso in voi,<br />

se non proclama il Suo nome nel centro della vostra anima; voi non Lo conoscerete<br />

più di quanto una pietra non conosca il terreno su cui giace nella sua inerzia.<br />

La nostra scoperta di Dio è, in un certo senso, la scoperta che Dio fa di noi. Non possiamo<br />

salire in cielo per trovarLo, perché non abbiamo modo di sapere dove sia il cielo<br />

o che cosa sia. Egli scende dal cielo e ci trova. Egli ci guarda dagli abissi della Sua<br />

infinita realtà, che è dovunque, e il fatto stesso che Egli ci guardi ci comunica una<br />

realtà superiore in cui a nostra volta lo scopriamo. Noi Lo conosciamo solo in quanto<br />

siamo conosciuti da Lui, e la nostra contemplazione di Lui è una partecipazione alla<br />

Sua contemplazione di Se stesso.<br />

Noi diventiamo contemplativi quando Dio scopre Se stesso in noi.<br />

In quel momento il punto del nostro contatto con Lui si schiude e noi passiamo per il<br />

centro del nostro nulla e penetriamo nella infinita realtà, dove ci risvegliamo col nostro<br />

vero io.<br />

È vero che Dio conosce Se stesso in tutte le cose esistenti. Egli le vede, ed esse esistono<br />

perché Egli le vede. Esse sono buone perché Egli le ama. Il Suo amore è la loro<br />

bontà intrinseca. Il valore che Egli vede in esse è il loro valore. In quanto Egli le vede<br />

e le ama, tutte le cose Lo riflettono.<br />

Ma per quanto presente in tutte le cose per la Sua conoscenza, il Suo amore, la Sua<br />

potenza e la Sua provvidenza, Dio non è necessariamente compreso e conosciuto da

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