qui - PARROCCHIA CORPUS DOMINI
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sono mai raggiungere il vero io interiore, nel quale siamo stati fatti uno con Lui. Perché,<br />
facendosi uomo, Dio non diventò solo Gesù Cristo, ma potenzialmente ogni uomo<br />
e ogni donna che siano mai esistiti. In Cristo, Dio diventò non solo «questo» uomo,<br />
ma anche in senso più alto e più mistico, però altrettanto vero, «ogni uomo».<br />
La presenza di Dio nel Suo mondo in quanto Creatore di esso non dipende da nessuno<br />
fuorché da Lui stesso. La Sua presenza nel mondo in quanto Uomo dipende in qualche<br />
misura dagli uomini. Non possiamo far nulla per cambiare il mistero<br />
dell’Incarnazione in se stesso; ma abbiamo la facoltà di decidere se noi e quella porzione<br />
di mondo che ci appartiene, ci renderemo conto della Sua presenza, saremo da<br />
essa consacrati e trasfigurati nella sua luce.<br />
Noi possiamo scegliere tra due identità: la maschera esteriore che sembra essere vera<br />
e che vive in un’illusoria autonomia durante il breve momento dell’esistenza terrena, e<br />
la persona interiore nascosta, che a noi sembra non essere nulla, ma che può donarsi<br />
per l’eternità alla verità, nella quale sussiste. È questo io interiore che viene assunto<br />
nel mistero del Cristo per mezzo del Suo amore, dello Spirito Santo, così che segretamente<br />
noi viviamo «in Cristo».<br />
Tuttavia non conviene trattare in maniera troppo negativa neppure l’«io esteriore».<br />
Questo io non è cattivo per natura, ed il fatto che è inconsistente non deve essergli<br />
imputato a delitto. Esso è afflitto da povertà metafisica: ma tutto ciò che è povero merita<br />
compassione. Così il nostro io esteriore, purché non si isoli in una menzogna, è<br />
benedetto dalla misericordia e dall’amore di Cristo. Le apparenze devono essere accettate<br />
per quello che sono. Gli accidenti di una esistenza povera e transitoria hanno<br />
tuttavia un indicibile valore. Essi possono essere il mezzo trasparente nel quale noi<br />
percepiamo la presenza di Dio nel mondo. È possibile parlare dell’io esteriore come di<br />
una maschera: far questo non implica necessariamente il riprovarlo. La maschera, che<br />
ogni uomo porta, può essere benissimo un travestimento non solo dell’io interiore<br />
dell’uomo ma anche di Dio, che va come pellegrino ed esule nella Sua stessa creazione.<br />
In effetti, se Cristo si è fatto uomo, è perché voleva essere chiunque e ciascuno di noi.<br />
Se crediamo nell’Incarnazione del Figlio di Dio, non dovrebbe esservi nessuno sulla<br />
terra nel quale non possiamo riconoscere la misteriosa presenza di Cristo.<br />
Quello che appare importante agli occhi degli uomini è spesso insignificante agli occhi<br />
di Dio. Quello invece che per Dio potrebbe sembrarci «uno scherzo» è forse ciò al<br />
quale Egli annette la massima importanza. Ad ogni modo il Signore gioca e si diverte<br />
nel giardino della Sua creazione; e se noi riuscissimo ad abbandonare la nostra idea<br />
fissa del significato che crediamo le cose abbiano, potremmo forse udire la Sua voce<br />
che ci chiama a seguirlo nella Sua misteriosa danza cosmica. Non è necessario andare<br />
lontano per cogliere gli echi di quel gioco e di quella danza. Quando siamo soli in una<br />
notte stellata, o quando per caso vediamo nell’autunno gli uccelli migratori scendere<br />
in un boschetto di ginepri per riposarsi e ristorarsi; o quando vediamo i bambini in un<br />
momento in cui sono davvero bambini; o quando sentiamo l’amore nel nostro cuore;<br />
oppure quando, come il poeta giapponese Bashō, udiamo il tonfo solitario di un vecchio<br />
ranocchio che si getta in uno stagno tran<strong>qui</strong>llo, in quei momenti il risveglio ed il<br />
rovesciamento di tutti i valori, la «novità», il vuoto e la purezza della visione che si<br />
fanno evidenti, ci lasciano intravedere un barlume delle danza cosmica.<br />
Il mondo ed il tempo sono infatti la danza del Signore ne vuoto. Il silenzio delle sfere<br />
è musica di festa nuziale. Quanto più persistiamo nel fraintendere i fenomeni della vita;<br />
quanto più li analizziamo per assegnar loro strane e complicate finalità, tanto più