Segreti: i racconti finalisti - Comune di Trichiana
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ho paura. Ho paura che mi resti dentro per sempre.<br />
Quello che non ti ho detto è che mi <strong>di</strong>strugge l’idea <strong>di</strong> <strong>di</strong>ventare un peso, <strong>di</strong>fficile da sopportare, <strong>di</strong>fficile da vivere, ed ho<br />
l’angoscia che questa ineluttabile verità, domani, possa allontanarci sbiadendo anche i ricor<strong>di</strong> <strong>di</strong> questi splen<strong>di</strong><strong>di</strong> <strong>di</strong>eci<br />
anni, in cui sei stata aria, acqua, fuoco e terra <strong>di</strong> cui mi sono nutrito.<br />
Quello che non ti ho detto è che ho pensato <strong>di</strong> togliermi la vita, per evitare tutto questo, ma non ci sono riuscito, perchè<br />
non sono così forte, perchè mi manca il coraggio. Quello che non ti ho detto è che voglio vivere, Carla. Voglio vivere<br />
<strong>di</strong>speratamente e guardarti invecchiare ed aiutare nostro figlio a <strong>di</strong>ventare un uomo. Voglio vivere e mi metterei a gridarlo<br />
in faccia al vento, ma la mia voce svanirebbe nell’aria senza avere una risposta.<br />
Tra un po’ me ne andrò in spiaggia: il rumore del mare mi consola. Mi troverai là, ad aspettarti. Non mi muoverò finché<br />
non ti vedrò arrivare. Vieni, ti prego, ma senza lacrime.<br />
Quello che non ti ho detto è che ho bisogno <strong>di</strong> noi e che vorrei essere mare per scivolarti addosso e sole per restarti<br />
impresso sulla pelle almeno fino al prossimo inverno...”<br />
Ripiego il foglio in quattro e lo lascio scivolare tra la sua mano aperta ed il cuscino; la bacio sulle labbra piano, perché<br />
non si svegli. Mi chiudo la porta <strong>di</strong>etro le spalle con un respiro profondo.<br />
C’è vento. È caldo e viene da mare. Gonfia il tendone su una vetrina, dalla parte della strada, e fa perfino dondolare il<br />
paletto <strong>di</strong> ghisa su cui è sospesa l’insegna <strong>di</strong> un bar. Una folata violenta stacca un manifesto pubblicitario, malamente<br />
attaccato sopra la vetrina.<br />
Le onde traboccanti <strong>di</strong> bianco <strong>di</strong>vorano metà della spiaggia, lunghe e intermittenti. L’urlo del vento s’accorda al<br />
mugghiare profondo del mare e intanto satura l’aria <strong>di</strong> rumori: decine <strong>di</strong> oggetti sbattono, rotolano, si <strong>di</strong>sperdono in un<br />
buio senza fine. Mi tolgo le scarpe e mi metto a camminare sulla sabbia, le mani in tasca, la testa alta. Guardo su, verso<br />
la finestra della nostra camera dove, inattesa, s’accende una luce giallastra: <strong>di</strong>etro la tenda bianca, la sagoma flessuosa<br />
del corpo <strong>di</strong> Carla è un’ombra scura che a stento riesco a <strong>di</strong>stinguere.<br />
È un attimo. Un istante così breve che mi sfiora appena, una pausa immobile tra il momento in cui mi volto a guardare in<br />
alto, e quello in cui, subito dopo, mi metto a correre...<br />
Corro, il vento in faccia, negli occhi, nelle orecchie.<br />
Corro, i muscoli delle gambe si contraggono, forti quanto mai.<br />
Mi sento vivo, come se nello sfogo <strong>di</strong> questa corsa ci fosse tutta la vita che ho già vissuto e quella che mi resta ancora. Mi<br />
tolgo la camicia, se ne va nel vento, chi sa dove... la sabbia me la sento sulla pelle come piccole punture <strong>di</strong> spillo, sul<br />
viso, tra i capelli, in bocca. È ovunque ed ammanta ogni cosa <strong>di</strong> un candore assoluto, piatto e senza riflessi.<br />
Corro come se in questo preciso istante dovessi arrivare fino alla fine del mondo e scavalcarla, come fosse davvero<br />
questa la mia ultima corsa. Non sento più niente.<br />
Respiro forte. La sabbia è densa adesso, ma morbida.<br />
Soffice sotto i miei pie<strong>di</strong>, si <strong>di</strong>sfa dolcemente.<br />
Poi mi fermo e mi lascio cadere, abbandonato all’abbraccio gelato dell’acqua che arriva fino a me. Chiudo gli occhi ed<br />
aspetto. Lei verrà.<br />
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