sai, sicché adesso ti stanno ricercando in tutto il Paese per arrestarti. Abbandona tutto e fuggi in Italia. Una volta fuori dalla Turchia non potranno farti più nulla, data la natura della vicenda che il governo è ovviamente costretto a mantenere segreta. Spero che un giorno potremo riunirci. Buona fortuna. F.». Non c'era data. Dunque il trisnonno era stato davvero un personaggio dalla vita avventurosa. Capitano <strong>di</strong> mare, aveva girato tutto il mondo ed era persino stato coinvolto in chissà quale intrigo internazionale. Certamente non doveva trattarsi <strong>di</strong> cosa da poco se il governo austriaco, notoriamente parsimonioso, gli aveva corrisposto in premio una cifra per allora favolosa. E chi era la misteriosa ‘F.’ che lo chiamava “amore mio” e rischiava non poco per avvertirlo? E si erano poi riuniti? Chissà... Arturo pensò che un uomo così poteva sicuramente avere qualcosa da nascondere e che poteva essere stato proprio lui a celare quella porta. Il secondo involucro era avvolto in carta da pacchi, anch'esso legato con una cor<strong>di</strong>cella. Conteneva esclusivamente ritagli <strong>di</strong> giornale. Gli articoli riguardavano la morte per annegamento della giovane moglie <strong>di</strong> un farmacista - il nonno <strong>di</strong> Arturo - avvenuta durante una gita in barca sul lago. La stampa del tempo se ne era occupata parecchio perché la trage<strong>di</strong>a - tranne il nonno - non aveva avuto testimoni e il corpo della donna non era mai stato ritrovato. Le ricerche erano proseguite per molti giorni ma senza esito per cui alla fine si era concluso che il cadavere si fosse impigliato tra la vegetazione del fondo. La polizia aveva interrogato a lungo il farmacista poiché correvano voci <strong>di</strong> violenti litigi tra i due coniugi a causa della gelosia del nonno che aveva vent'anni più della moglie. Ma era l'estate del 1914 e ben altri avvenimenti stavano per occupare le pagine dei giornali e gli articoli sulla scomparsa della giovane donna cessavano bruscamente. Cinque anni dopo il nonno si suicidava. Nessuno più cercò il cadavere che non venne mai ritrovato e la faccenda fu <strong>di</strong>menticata. Era stato il padre <strong>di</strong> Arturo, molti anni dopo, a chiedere la <strong>di</strong>chiarazione <strong>di</strong> morte presunta della nonna. Arturo si ricordò improvvisamente <strong>di</strong> una novella letta da adolescente in cui due ragazzini scoprivano, in una grande casa <strong>di</strong>sabitata da tempo, una stanza trasformata in una enorme vasca piena <strong>di</strong> formaldeide nella quale era conservato, intatto, il corpo <strong>di</strong> una fanciulla morta alla vigilia delle nozze. Il mancato sposo aveva voluto conservare così il corpo dell'amata, circondato dalle sue cose <strong>di</strong> ogni giorno. Il tutto era collocato <strong>di</strong>etro ad una spessa lastra <strong>di</strong> vetro che si scopriva aprendo la porta e che dava l'impressione <strong>di</strong> un macabro acquario. Arturo rabbrividì al pensiero che la stanza chiusa potesse celare un cadavere mummificato. Il nonno, farmacista e abile chimico, avrebbe potuto farlo. Certo, la cosa era piuttosto improbabile ma l'uomo era sempre stato uno stravagante e chi poteva <strong>di</strong>re... Passò al terzo involucro, più piccolo degli altri e certamente il più antico. Conteneva una scatoletta <strong>di</strong> legno laccato forse destinata, in origine, a contenere monili e gioielli. Una volta aperta, Arturo vide che era foderata <strong>di</strong> velluto e che conteneva piccoli oggetti <strong>di</strong> nessun valore: un rosario, un pettine, un <strong>di</strong>tale, due spilloni e alcune immagini sacre. Guardando con maggiore attenzione Arturo notò che sul fondo della scatola il velluto era staccato e, nel punto in cui era sollevato, lasciava intravvedere un angolo <strong>di</strong> carta. Celava un foglio. Arturo commise l'errore <strong>di</strong> non staccare del tutto la fodera dal fondo liberando così il foglio sottostante; cercò invece <strong>di</strong> sfilarlo come da una busta e così facendo ridusse la fragile carta, incre<strong>di</strong>bilmente secca, in briciole. Era certamente una lettera, scritta con una grafia ottocentesca molto personalizzata e scarsamente intelligibile per un lettore moderno. Il fatto poi che la lettera fosse ormai ridotta in pezzi ne rendeva praticamente impossibile una lettura completa. Di ricomporre la lettera non era neanche da pensarci perché più i pezzi <strong>di</strong> carta venivano maneggiati e più si sbriciolavano per cui Arturo dovette accontentarsi <strong>di</strong> decifrare poche frasi qua e là. Non riuscì a ricostruire il contenuto completo ma ciò che riuscì a decifrare lo lasciò stupefatto. La lettera era in<strong>di</strong>rizzata ad una «Reveren<strong>di</strong>ssima Madre Superiora» e nel tono con cui l'ignoto autore si rivolgeva alla medesima non sembrava esservi traccia <strong>di</strong> particolare deferenza ma piuttosto <strong>di</strong> autoritario risentimento. La missiva conteneva in sostanza l'or<strong>di</strong>ne perentorio <strong>di</strong> far scomparire ogni traccia <strong>di</strong> qualcosa che Arturo non poté scoprire cosa fosse, visto che nella lettera veniva in<strong>di</strong>cato solo come «...gravissimo fatto ... se scoperto... conseguenze nefaste per il buon nome dell'Or<strong>di</strong>ne». V'era poi un accenno alla necessità <strong>di</strong> «...evitare complicazioni con le nuove autorità statali in un momento tanto delicato». Arturo si chiese quali potevano essere state le ‘autorità statali’ cui si faceva riferimento: quelle napoleoniche? O quelle successive alla caduta dell'impero? O ad<strong>di</strong>rittura quelle italiane? Scoprirlo avrebbe aiutato a datare la lettera. Certamente non doveva essersi trattato <strong>di</strong> cosa da poco. In calce non c'era firma ma evidentemente chi aveva scritto quelle righe doveva essere stato un personaggio in posizione tale da poter usare quel tono con quella che, in fin dei conti, era pur sempre una Badessa. Un Vescovo? O <strong>di</strong> più? Certamente la “Reveren<strong>di</strong>ssima madre", costretta a fare qualcosa che andava oltre i suoi compiti <strong>di</strong> religiosa - e forse era in contrasto con essi - non aveva <strong>di</strong>strutto il documento, così compromettente per il suo autore, allo scopo <strong>di</strong> cautelarsi. Era chiaro che la sua vocazione al sacrificio non si spingeva oltre certi limiti. E dopo, si chiese Arturo, cosa poteva essere accaduto? Di sicuro la Badessa aveva obbe<strong>di</strong>to, visto che nessuna cronaca aveva riportato notizia <strong>di</strong> eventi particolari nella vita del convento. Poi i protagonisti, soccombendo alla ferrea legge del tempo, erano scomparsi dalla scena del mondo portando con sé il loro segreto. A meno che... A meno che esso non fosse conservato nella stanza chiusa! Era ormai sera e Arturo raccolse i frammenti <strong>di</strong> lettera, li richiuse nella scatola e rimise questa nell'arma<strong>di</strong>o. C'erano ancora alcuni involti e scatole ma Arturo non li aprì perché, essendo relativamente recenti, ne conosceva già il contenuto. Ed inoltre era tar<strong>di</strong> e ne aveva abbastanza. Per alcuni giorni Arturo riprese a fare supposizioni sul contenuto della stanza misteriosa con rinnovato interesse, poiché ora gli sembrava che le congetture <strong>di</strong>sponessero <strong>di</strong> maggiori elementi. Le ipotesi che gli si affacciavano alla mente erano una più angosciosa dell'altra e tutte riconducevano ad una medesima conclusione: la stanza poteva contenere le prove <strong>di</strong> un delitto! Certo, tra un'ipotesi e l'altra, si affacciava anche quella, assai meno drammatica, che la stanza non contenesse nulla o ad<strong>di</strong>rittura che non esistesse affatto e <strong>di</strong>etro la porta ci fosse solo un muro. Perché no? Ciò avrebbe spiegato il motivo per cui vi era stato piazzato davanti l'arma<strong>di</strong>o. Ma sarebbe stata una spiegazione troppo banale e priva <strong>di</strong> quel fascino perverso che emanava dalle altre possibilità, per cui Arturo tendeva a scartarla. 44
Poi, come già era successo la prima volta, la questione <strong>di</strong>venne meno assillante ripresentandosi solo a tratti, ad intervalli sempre più lunghi. Arturo riprese a considerarla un esercizio mentale e non una situazione reale. Ad aprire la porta ci pensava sempre meno. Si accorse con un certo stupore <strong>di</strong> non desiderare affatto la soluzione dell'enigma. Se <strong>di</strong>etro la porta ci fosse stato solo un muro, o tutt'al più una stanza vuota, sarebbe stata una grossa delusione. Se invece fosse stata vera una delle altre ipotesi, beh... meglio lasciare le cose come stavano. In fondo una stanza in più non gli serviva proprio, la casa era già abbastanza grande così. Non sarebbe esatto <strong>di</strong>re che, col passare degli anni, Arturo <strong>di</strong>menticò l'esistenza della porta nascosta, è vero però che ci pensò sempre più raramente ed ogni qualvolta gli capitava <strong>di</strong> farlo era per confermare la decisione <strong>di</strong> lasciarla chiusa; nascondesse o no dei segreti che, comunque, non voleva conoscere. 45