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Segreti: i racconti finalisti - Comune di Trichiana

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Lei mi bacia.<br />

Io rimango fermo.<br />

Lei si alza.<br />

Mi alzo anche io e le prendo la mano.<br />

Poi <strong>di</strong>ce quella roba lì. Senza dargli particolare espressione. Come qualcuno che ti vuole semplicemente mettere al<br />

corrente <strong>di</strong> qualcosa. Ed è il modo più doloroso <strong>di</strong> <strong>di</strong>re i segreti.<br />

“Se tutta la mia situazione ti crea problemi…<strong>di</strong>mmelo.<br />

Possiamo anche non vederci più. Se vuoi.<br />

Il fatto è che anche io non sono pienamente convinta…”<br />

I suoi occhi che <strong>di</strong>cono il contrario.<br />

“Sta zitta”<br />

“Va bene. Questa è l’ultima volta che ci ve<strong>di</strong>amo…”<br />

“Sta zitta”<br />

Silenzio.<br />

“Portami alla stazione per piacere”.<br />

“Ti porto fino a casa”.<br />

Durante il viaggio glielo <strong>di</strong>co, poi, che in realtà gli voglio bene. Gli faccio tutto un <strong>di</strong>scorso che sembra preso da uno <strong>di</strong><br />

quei film americani degli anni sessanta dove tutti i casini poi si risolvono sempre e vivono tutti felici e contenti. Fino a<br />

qualche tempo fa non ci avrei creduto neanche io al mio <strong>di</strong>scorso sulla vita, le opportunità, il futuro. Ma lei mi sta a sentire<br />

lo stesso. Ho insistito fino a che non mi ha creduto. Perché in quel momento ci credevo anche io. Volevo che ci credesse.<br />

Poi ho fermato la macchina e le ho raccontato la mia verità su quel casino. È scesa. Mi ha dato del vigliacco,<br />

dell’assassino e dello stronzo, per rimanere in un italiano che si possa scrivere.<br />

“Torno a pie<strong>di</strong>”<br />

Le sono andato <strong>di</strong>etro.<br />

“Ti ho detto che torno a pie<strong>di</strong>”.<br />

“Ti porto fino a casa e non ti cerco più, lo giuro…”<br />

“Vado a pie<strong>di</strong>”<br />

Urla. Prende un sasso e me lo tira. Per poco non mi prende.<br />

“Ti porto solo a casa. È tar<strong>di</strong>. Giuro che non ti cerco più…”<br />

Torna in<strong>di</strong>etro. Mi scansa energicamente. Sale in macchina.<br />

“Allora an<strong>di</strong>amo. Sbrigati”.<br />

“Va bene”.<br />

Mi metto al volante. Guido fino a sotto casa sua. Mi fermo un po’ prima.<br />

“Ti amo”.<br />

“Ma vaffanculo, stronzo!”<br />

Scende dall’auto e sbatte la portiera. E corre via.<br />

È sabato sera. Resto lì fermo. In silenzio. La guardo entrare in casa. Giro la macchina e torno a casa.<br />

Entro. Prendo il telefono e chiamo.<br />

“Sono Marco…”<br />

Attaccano senza parlare.<br />

Ci riprovo. Squilla. Nessuno risponde.<br />

Riprovo dopo un po’.<br />

“Sono Marco…”<br />

Silenzio.<br />

“Senti Ludovica, mi <strong>di</strong>spiace, davvero…<br />

Ci sei?”<br />

Silenzio.<br />

“Ti <strong>di</strong>co una cosa lo stesso. Anche se non mi vuoi parlare.<br />

Non me ne importa niente che hai due figli, <strong>di</strong> tutto quello che è successo…<br />

Ti voglio bene lo stesso, ti amo…”<br />

Silenzio.<br />

Poi si sente piangere.<br />

Sempre più forte.<br />

“Marco?”<br />

“Sì?”<br />

“Scusami, non volevo…”<br />

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