Segreti: i racconti finalisti - Comune di Trichiana
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vita. In fabbrica non ci tornai neanche e mi misi a stu<strong>di</strong>are. All’Università mentre facevo tanti lavori per mantenermi. I<br />
giornali li leggevo il meno possibile. Quando i miei accendevano il televisore me ne andavo. Poi me ne andai anche <strong>di</strong><br />
casa.<br />
Ma era impossibile non sentire notizie sulla strage.<br />
Poi la storia della caldaia. Le telefonate <strong>di</strong> riven<strong>di</strong>cazione come fosse un merito attribuirsi quell’atto ignobile. Da destra<br />
come da sinistra. La paura della reazione della folla. E i morti che crescevano <strong>di</strong> ora in ora, <strong>di</strong> giorno in giorno. Prima<br />
trenta. Poi cinquantacinque. Poi settantasei. Dopo una settimana erano oltre ottanta. I necrologi. Poi i funerali. Le<br />
immagini della folla. Le bare. I fiori. I pianti. I <strong>di</strong>scorsi.<br />
Andò avanti così almeno per un anno. Poi ci furono i processi, le accuse, le scoperte e le mezze verità. Riven<strong>di</strong>cazioni. I<br />
giornali che buttavano lì ipotesi e collegamenti. Pista internazionale. Loggia massonica. Brigate rosse. Non l’ho mai<br />
seguita molto la faccenda in seguito. Mi rifiutavo <strong>di</strong> farlo. Le facce dei colpevoli sbattute in faccia alla popolazione. La<br />
verità che viene fuori ed è sempre più assurda. Gente che <strong>di</strong>ce e non <strong>di</strong>ce. I parenti delle vittime che si aggrappano a<br />
questa lotta per la giustizia per non morire. Ho cercato <strong>di</strong> starne fuori il più possibile anche vivendo nella città della strage.<br />
Perché ho sempre pensato <strong>di</strong> averle uccise anche un po’ io quelle persone. Anche se dovevo andare per compiere<br />
un’azione <strong>di</strong>mostrativa che non c’entrava nulla. Perché quelle stragi alla fine nascono proprio dai pensieri che giustificano<br />
tali atti <strong>di</strong> <strong>di</strong>mostrazione. Quando si vuole per forza imporre le proprie idee, anche con tutti gli intenti migliori <strong>di</strong> questo<br />
mondo, a chi non le con<strong>di</strong>vide o non vuole starle a sentire. Altri fantasmi si agitano ora dentro <strong>di</strong> me, non potrebbe essere<br />
altrimenti, ma ho smesso <strong>di</strong> pensare <strong>di</strong> poter cambiare il mondo con la forza. Credevo anche <strong>di</strong> essermela lasciata <strong>di</strong>etro<br />
quella brutta storia.<br />
Ma poi mi è ripiombata addosso lo stesso. Anni dopo e ho dovuto raccontare il mio segreto. Forse perché non avevo<br />
pagato abbastanza la mia leggerezza. Forse solo perché era giusto così. Ho passato altre notti insonni dopo che<br />
Ludovica mi ha raccontato la sua versione dei fatti. E io la mia, è ovvio. Quella <strong>di</strong> chi ci è stato tirato dentro e non per<br />
scelta. Solo per sfortuna. E non si può fare nulla contro la sfortuna. È una scena che a volte sogno. All’inizio in modo più<br />
vivo, violento. Da lasciarmi stor<strong>di</strong>to per intere giornate. Poi le immagini hanno iniziato ad essere più sfuocate. Ora non<br />
<strong>di</strong>co che è un sogno come gli altri ma lo accetto. Ogni tanto qualcuno rimette tutto in prima pagina. Dopo ogni nuova<br />
pista. Dopo ogni sentenza. Che, come si sa, in Italia queste cose vanno avanti per decenni.<br />
Io credo che la verità non si saprà mai. Ci sarà sempre e soltanto quella che vorranno sia la verità. La verità accettabile<br />
dal popolo. E non sto ritirando fuori i miei trascorsi rivoluzionari. Anche io so una parte <strong>di</strong> verità che non è mai finita sui<br />
giornali. L’azione <strong>di</strong>mostrativa organizzata dai vertici con la collaborazione della minoritaria sezione <strong>di</strong> via Saragozza.<br />
Quella che doveva vedermi protagonista. E che non è mai avvenuta. Le mie paure e quelle dei miei compagni. Il mio<br />
tra<strong>di</strong>mento. Il mio fermo, gli interrogatori, le botte e il terrore <strong>di</strong> rimanere invischiato in qualcosa che non hai mai neanche<br />
pensato. Penso a chi è dentro e mi chiedo se veramente sia colpevole. Penso a chi è fuori e riesce a continuare la sua<br />
vita come se niente fosse. A chi tiene dentro un segreto più grande e importante del mio.<br />
Chissà cosa sarebbe successo se quella strage fosse accaduta anche solo il giorno dopo. Se non ci avessi ripensato. Se<br />
fossi rimasto coerente con le mie idee. Sono anche arrivato a credere che se avessimo agito prima noi non ci sarebbe<br />
stata la strage.<br />
Poi penso alla persona che mi ha lasciato tutta la sua vita. Il padre dei miei due figli maschi. Non posso non pensare<br />
anche e soprattutto a lui, ora. Provo ad immaginare anche quello che ha vissuto la mia povera moglie vedova. Ludovica,<br />
appunto. Qualcosa mi ha raccontato. Ma non voglio sapere <strong>di</strong> più. Non so neanche se ce la farei a sopportare <strong>di</strong> più <strong>di</strong><br />
quello che sono riuscito a sopportare. Ha tentato <strong>di</strong> tenermi fuori dalle cose più brutte. In parte ci è riuscita. Ma molte<br />
cose me le sono ricostruite io nella testa.<br />
Penso a quello che penseranno i suoi e i miei figli quando avranno l’età per capire meglio. Mi chiedo soprattutto com’è<br />
stato per Luca. Cosa ha pensato. Dov’era. Se ha rivissuto in un attimo la sua vita e si è reso conto che stava perdendo<br />
tutto.<br />
Provo a immaginarmelo. Anche se la cosa mi fa stare male. Sono anche geloso.<br />
E come potrei non esserlo?<br />
Chissà se voleva cambiare il mondo.<br />
Se incontrandoci, guardandoci negli occhi, ci saremmo riconosciuti.<br />
Se saremmo potuti essere amici.<br />
Se si portava <strong>di</strong>etro le angosce e le paure che ho io.<br />
Se aveva sogni, progetti, passione nelle cose.<br />
Se certi giorni stava bene. Altri male.<br />
Se cercava negli altri la sua felicità.<br />
Se aveva il male <strong>di</strong> vivere che ho io.<br />
Con Ludovica non è stato facile. Non sarebbe stato facile con chiunque, credo. Il fatto è che non tutto il passato si può<br />
seppellire, se mi concedete l’espressione un po’ macabra. Certi eventi non te li togli <strong>di</strong> dosso. Il dolore quello vero ti<br />
segna per tutta la vita. Ci puoi convivere, ma non per questo vuol <strong>di</strong>re che se ne sia andato via. A volte mi chiedo perché<br />
mi sia capitato tutto questo. Credo che in un certo senso io ho avuto la possibilità <strong>di</strong> rime<strong>di</strong>are in parte ai miei errori. È<br />
solo una mia idea.<br />
Fatto sta che tutto quel gran casino mi è tornato addosso dopo sei anni. Quando avevo quasi <strong>di</strong>menticato. Su un treno. A<br />
sette anni e oltre cento kilometri <strong>di</strong> <strong>di</strong>stanza. L’ho vista per la prima volta sul treno Viareggio – Firenze. Alle sette <strong>di</strong><br />
mattina <strong>di</strong> un lunedì <strong>di</strong> settembre. Lo prendevo tutti i giorni, il treno, quando mi aveva preso la fissa <strong>di</strong> abitare la mare.<br />
Avevo pensato che una volta che te ne vai dalla tua città te ne devi andare per davvero. Di umi<strong>di</strong>tà, nebbia, torri, piazze e<br />
portici ne avevo piena l’anima da oltre trent’anni. Successe allora che decisi <strong>di</strong> andare ad abitare al mare. Il concorso lo<br />
avevo vinto a Firenze ma volevo andare al mare. Altrimenti sarei restato a Bologna. Il posto più praticabile era Viareggio.<br />
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