Segreti: i racconti finalisti - Comune di Trichiana
Segreti: i racconti finalisti - Comune di Trichiana
Segreti: i racconti finalisti - Comune di Trichiana
Create successful ePaper yourself
Turn your PDF publications into a flip-book with our unique Google optimized e-Paper software.
dell’or<strong>di</strong>ne. Ma quelli parlavano <strong>di</strong> agguati, rapine e morti. I fascisti li o<strong>di</strong>avamo anche noi, per carità. Negli scontri <strong>di</strong><br />
gruppo dove si menavano le mani non mi ero mai tirato in<strong>di</strong>etro. Ma non avrei mai pensato <strong>di</strong> eliminarne anche solo uno.<br />
In fondo erano ragazzi, persone che stavano dall’altra parte ma non era poi una guerra come ai tempi dei nazisti. La<br />
rivoluzione è una cosa ma la guerra è un’altra.<br />
Ci <strong>di</strong>ssero che bisognava schierarsi. Che bisognava agire. Che il tempo delle chiacchiere era finito. Si chiedeva la<br />
collaborazione <strong>di</strong> tutti per colpire il nemico e lo Stato borghese che lo appoggiava. Con azioni reali. Basta libri e teorie.<br />
Speranze.<br />
Ci fecero passare per dei ragazzini che giocavano a fare i rivoluzionari. Mentre loro vivevano in clandestinità. Reggevano<br />
le sorti dell’intera rivoluzione. Avevano ragione, certo. Ma credo che nessuno <strong>di</strong> noi se la sentisse veramente <strong>di</strong> andare<br />
oltre. Non li ho più rivisti <strong>di</strong> persona. Mi capita <strong>di</strong> ritrovarmeli sui giornali e per televisione, <strong>di</strong> tanto in tanto, casomai. Ma<br />
non voglio averci niente a che fare. Adesso come allora. Anche se non condanno nessuno. Poi ne vennero altri. Quelli<br />
delle <strong>di</strong>rettive, voglio <strong>di</strong>re. Ma non erano così importanti. Il seme lo avevano interrato qualche mese prima. Loro venivano<br />
solo a raccogliere.<br />
Quella sera qualcuno parlò per noi. Disse che era giusto. Non volevamo mica fare la figura degli scemi. Avremmo dato il<br />
nostro contributo alla lotta. Non eravamo dei ragazzini che giocano ai rivoluzionari. Eravamo studenti, operai, gente<br />
pronta a seguire la rivoluzione. Non ne fui convinto. Qualcun altro pensò le stesse cose. Ma nessuno <strong>di</strong>sse nulla, però.<br />
Sono certo che anche loro lo sapevano. Che fosse tutto sbagliato. Perché nessuno secondo me può restare in<strong>di</strong>fferente<br />
<strong>di</strong> fronte all’idea <strong>di</strong> aver quasi partecipato ad una strage <strong>di</strong> quelle <strong>di</strong>mensioni. Io dovevo proprio andarci fisicamente. Ma<br />
nessuno aveva esposto dubbi o fatto obiezioni. E allora si era tutti complici. Non soltanto chi si presenta ad un<br />
appuntamento con una strage. I maggiori colpevoli sono quelli che istigano. Anche chi certe cose le pensa o le con<strong>di</strong>vide<br />
ha le sue colpe. Oggi <strong>di</strong>rei che è colpevole anche chi non fa nulla per impe<strong>di</strong>rle. Ma questa è un’altra storia e riguarda me<br />
soltanto.<br />
Non lo so neanche se la cosa si sapesse. Se qualcuno dei nostri era a conoscenza che ci sarebbe stato tutto quel casino.<br />
Non noi della sezione, ovviamente. Che oltre qualche sasso alla polizia non siamo arrivati. Intendo i pezzi grossi. I<br />
clandestini. Quelli che si sono precipitati a riven<strong>di</strong>carla quella strage. Che mi hanno fatto finire dentro anche. E che per<br />
poco non mi ci facevano rimanere. Morto nel peggiore dei casi. Carcerato chissà per quanto tempo nell’ipotesi migliore. Io<br />
non ci sono andato. Avevo già deciso <strong>di</strong> non andarci. Ma loro questo non potevano saperlo.<br />
E se fosse stato un gioco concordato?<br />
Se quella strage serviva a più <strong>di</strong> qualcuno per scopi <strong>di</strong>fferenti?<br />
Mi suona strana una coincidenza <strong>di</strong> tal genere. Qualcun’altro nel tempo ha espresso i miei stessi dubbi. Ogni tanto<br />
tornano anche fuori. Forse io ho anche fatto fallire i loro piani. Ho creduto persino che sarei stato ucciso per questo. Ma i<br />
dubbi restano. Anche adesso che ogni tanto viene fuori qualche intervista dove qualcuno <strong>di</strong>ce e non <strong>di</strong>ce.<br />
Se la destra e la sinistra in certi punti estremi arrivassero a toccarsi?<br />
Se <strong>di</strong> fronte al potere il colore delle ban<strong>di</strong>ere <strong>di</strong>venta così sbia<strong>di</strong>to da non <strong>di</strong>stinguersi più?<br />
Se la nostra presenza lì fosse servita per <strong>di</strong>mostrare certe riven<strong>di</strong>cazioni poi fatte realmente?<br />
Vallo poi a spiegare che si era lì per altri motivi. Punibili quanto si vuole ma non a quei livelli. Impossibili da raggiungere.<br />
Me le sono poste a lungo queste domande. Mi ci sono consumato il cervello. Perché volevo capire. Ora magari penso<br />
che non esiste mai una buona ragione per compiere tali azioni. E forse ho smesso <strong>di</strong> pormele. Ma non del tutto. Perché<br />
non ho mai <strong>di</strong>menticato <strong>di</strong> essere stato complice <strong>di</strong> un potenziale assassinio.<br />
Queste sono cose che non si <strong>di</strong>menticano.<br />
Non ho mai fatto il male intenzionalmente. Ora <strong>di</strong>rei che imporre le proprie idee agli altri è qualcosa <strong>di</strong> negativo. Non lo<br />
farei mai, ora. Ma quando sei giovane è tutto <strong>di</strong>verso. Anche se a qualcuno il male l’ho fatto anche non riuscendoci del<br />
tutto.<br />
Ma dove sta la <strong>di</strong>fferenza?<br />
Tra il male voluto e il male fatto, intendo.<br />
Non ho mai ucciso nessuno. Ci sono andato molto vicino, è vero. Non so se una volta <strong>di</strong> fronte alla mia vittima avrei<br />
continuato nel mio intento. Me lo chiedo ancora oggi. Penso <strong>di</strong> no.<br />
Credo <strong>di</strong> essermi tirato in<strong>di</strong>etro nel momento stesso in cui ho capito quello che stavo per fare. Per questo non sono<br />
fuggito e non ho mai opposto resistenza. In un certo senso ho voluto che mi fermassero. Ora penso che è stato meglio<br />
così. Ma quando sono stato preso, picchiato, interrogato, accusato e poi rinchiuso, non pensavo la stessa cosa. Ma quelli<br />
erano giorni così. La rabbia era tanta. Qualcuno bisognava trovare. Poi tutto è finito, ma non è stato facile. Dopo tutto<br />
quel casino non sono più stato lo stesso.<br />
Successe che quelli erano anni <strong>di</strong> rabbia. I giovani contro gli adulti. I ricchi contro i poveri. Gli operai contro i padroni.<br />
Dalle parole si era passato ai fatti. La destra contro la sinistra e viceversa, soprattutto. In quel periodo sono morti giovani<br />
e meno giovani da una parte e dall’altra. La ragione non era da nessuna delle due parti. O meglio, come succede quasi<br />
sempre, avevano ragione entrambi i contendenti. Perché tutto <strong>di</strong>pende da quale prospettiva osservi le cose. Ma questo<br />
da giovane non puoi capirlo. Anche la nostra sede cominciava a subire delle pressioni dai vertici. Personaggi riconosciuti<br />
e non che chiedevano uno schieramento deciso. Perché quelli erano anni in cui dovevi scendere in campo per forza. Se<br />
restavi a guardare eri solo un vigliacco ed era peggio che essere dall’altra parte.<br />
Ecco perché anche noi stavamo progettando una nostra azione <strong>di</strong>mostrativa. In tutto quel casino che è successo poi non<br />
se n’è saputo più niente. Gli ottanta morti della stazione centrale hanno ri<strong>di</strong>colizzato i nostri tentativi <strong>di</strong> sovversione. Credo<br />
che nessuno se lo ricor<strong>di</strong>. Io neanche lo so se qualcuno c’è andato poi in stazione. Dovevo andarci io, certo, ma non ci<br />
sono andato. Non ci sono andato perché non era più possibile. Perché praticamente non c’era più una stazione. Ma io<br />
solo so che ci avevo già ripensato. Magari nessuno ci ha creduto. Ma io sono certo <strong>di</strong> quello che <strong>di</strong>co. E questo almeno lo<br />
so.<br />
36