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Segreti: i racconti finalisti - Comune di Trichiana

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Leonardo e’ mio fratello<br />

<strong>di</strong> Fiorella Colomberotto<br />

Leonardo è mio fratello, lo amo come se fosse una parte <strong>di</strong> me stesso. Un amore nato con me, curato dall’affetto <strong>di</strong><br />

nostra madre, cresciuto nella comprensione e nella completezza l’uno dell’altro.<br />

Io più piccolo <strong>di</strong> due anni dovrei per logica essere stato la sua ombra, il suo dannare, il suo piccolo rivale e invece con<br />

Leonardo non era mai stato così. Forse per la delicatezza <strong>di</strong> nostra madre, forse per il mio carattere gioviale, forse solo<br />

per l’han<strong>di</strong>cap che aveva colpito mio fratello: Leonardo era autistico. Autismo era un parola troppo <strong>di</strong>fficile, un qualcosa <strong>di</strong><br />

così complesso ed astruso da comprendere per un bimbo come io ero. Leo non parlava, non rideva, non giocava, non<br />

aveva espressioni, si muoveva poco e quasi esclusivamente sotto le <strong>di</strong>rettive e con l’aiuto <strong>di</strong> mamma. Ricordo che per me<br />

era come uno dei miei giocattoli e come tale lo trattavo; non perdevo mai l’occasione per fargli qualche <strong>di</strong>spetto, per<br />

appropriarmi <strong>di</strong> tutto, per prendergli anche ciò che mamma per stimolarlo gli poneva <strong>di</strong>nanzi, per fargli capire che la<br />

mamma era solo mia perché io ero il più piccolo il più simpatico, il più bravo. Ricordo <strong>di</strong> quegli attimi solo il suo chiaro ed<br />

eterno silenzio, il suo sguardo attonito prima su <strong>di</strong> me e poi su mamma che dolcemente mi scostava per allungare una<br />

mano anche a lui, per renderlo partecipe e non spettatore <strong>di</strong> qualunque attimo <strong>di</strong> vita e affetto famigliare.<br />

Difficile sapere se mi amava, se mi o<strong>di</strong>ava, se mi sopportava, da lui trapelava poco o nulla, ma nel cammino speciale <strong>di</strong><br />

crescita che si viveva in casa nostra mi colpiva ogni giorno <strong>di</strong> più la costanza <strong>di</strong> nostra madre nello spiegare e dar ragione<br />

a lui <strong>di</strong> che cosa facevo e <strong>di</strong> come ero, a lui, che seduto compostamente al tavolo della cucina alla fine esor<strong>di</strong>va sempre e<br />

solo con :” Sebastiano, fratello!”; e nello spiegare e dar ragione a me del comportamento <strong>di</strong> Leo in modo che io potessi<br />

meglio comprenderlo, aiutarlo ed amarlo. Curioso come la fine <strong>di</strong> ogni <strong>di</strong>scorso fosse anche per me: “In fondo Leonardo è<br />

mio fratello”.<br />

Confesso che nel periodo della fanciullezza e pre-adolescenza l’ho considerato e trattato spesso come un citrullo, uno<br />

scemo, e mi ritenevo tanto al <strong>di</strong> sopra <strong>di</strong> lui da non cogliere per nulla la sua essenza, talvolta neppure la sua presenza.<br />

Le cose cominciarono a cambiare dalla sera in cui papà, enormemente seccato ed irritato dal mio comportamento, mi<br />

allungò un sonoro ceffone, dettato più dall’ira che dalla volontà vera e propria <strong>di</strong> colpirmi. Quello schiaffo fu più eloquente<br />

<strong>di</strong> tante parole, più <strong>di</strong>retto <strong>di</strong> tante spiegazioni, più doloroso <strong>di</strong> tante punizioni, tanto più che proveniva da mio padre che<br />

io reputavo più d’accordo con me che con mamma. Com’ero stato cieco. Ma restammo tutti pietrificati dall’esplosione<br />

nevrotica <strong>di</strong> Leo che rizzatosi in pie<strong>di</strong> e muovendosi convulsamente, certamente turbato da quell’imprevisto scatto <strong>di</strong><br />

rabbia, guardava papà e poi mamma e poi nuovamente papà e ripeteva con voce sconnessa, alta ed energica<br />

“Sebastiano fratello! Sebastiano fratello! Sebastiano fratello!!!”. Provai i quell’attimo tutta la vergogna che in una vita non<br />

ho provato mai e mi resi conto che tutte le parole che mamma aveva sprecato per spiegarci ed insegnarci l’uno all’altro,<br />

lui le aveva capite ed io no . Improvvisamente l’han<strong>di</strong>cappato <strong>di</strong> casa mi sentii io e mi ritenevo anche responsabile dello<br />

stato <strong>di</strong> agitazione convulsa che dominava mio fratello e che non accennava a placarsi. Non lo avevo mai visto così.<br />

Sentivo sopra <strong>di</strong> me il fiato <strong>di</strong> tutti, Leo compreso, ed io che mi ritenevo tanto intelligente e superiore in realtà facevo solo<br />

il saputello insipido e inconcludente. Rimasi in silenzio, con le lacrime agli occhi, aspettando che si calmasse. Gli ci<br />

vollero almeno un paio d’ore prima <strong>di</strong> riprendere il suo solito stato <strong>di</strong> calma “apparente”. Ma dentro <strong>di</strong> lui che cos’era<br />

successo? Mi ritrovai a pensarci sotto le coperte con un livido rosso a <strong>di</strong>segno cinque <strong>di</strong>ta che bruciava sulla guancia, con<br />

il cuore in scompiglio e una forte sensazione <strong>di</strong> “non saper che cosa fare”. Mi ero finalmente accorto quanto Leo<br />

comprendeva <strong>di</strong> ciò che gli accadeva attorno, quanto lui vedeva, quanto pensava ed amava. Se un cambiamento ra<strong>di</strong>cale<br />

operò in me quello strano sconvolgimento serale mi chiedevo in lui che cosa avesse prodotto. Più ci pensavo e più mi<br />

sentivo responsabile, più mi accorgevo <strong>di</strong> avergli fatto del male, e lui… lui mi aveva <strong>di</strong>feso e questo mi aveva<br />

sconquassato ancor più del ceffone <strong>di</strong> papà. Mi resi conto dopo un po’ che per la prima volta in vita mia stavo pensando a<br />

mio fratello come ad una persona con dei sentimenti, con degli affetti sinceri e forti, con la voglia <strong>di</strong> poterli esprimere, e<br />

non ad un nulla. Alla fine non sapendo come fare per chiedergli perdono <strong>di</strong> tutto e per ringraziarlo per aver preso le mie<br />

<strong>di</strong>fese mi infilai sotto le coperte vicino a lui, gli presi la mano, la strinsi appena un po’ e piangendo gli sussurrai piano<br />

all’orecchio: ”Leonardo fratello”. Mi addormentai. Dormii sotto la protezione <strong>di</strong> quello strano angelo che il Signore mi<br />

aveva posto accanto e compresi pienamente che ci <strong>di</strong>videvano solo le <strong>di</strong>verse <strong>di</strong>mensioni dove vivevamo e che se io<br />

avessi cercato <strong>di</strong> capire la sua per entrarvi me<strong>di</strong>ante linguaggio fatto <strong>di</strong> poche parole, gesti rituali e pochi sguar<strong>di</strong> avrei<br />

scoperto quell’incre<strong>di</strong>bile e <strong>di</strong>verso mondo dove Leo viveva, dove provava sentimenti, sensazioni, emozioni e paure.<br />

Dove ferveva un amore grande e un’intelligenza pronta, dovevo soltanto cercar <strong>di</strong> oltrepassare il muro <strong>di</strong> silenzio che ci<br />

separava, quell’orribile muro che per Leo era impossibile abbattere.<br />

Cominciai ad osservarlo con attenzione nel suo modo <strong>di</strong> muoversi, <strong>di</strong> mangiare <strong>di</strong> dormire, nello stare seduto,<br />

nell’apparecchiare la tavola, in tutti i piccoli servizi domestici e non che con pazienza e de<strong>di</strong>zione mamma gli aveva<br />

insegnato. Era veloce, preciso e sicuro. Strano, mi accorsi che non <strong>di</strong>menticava mai nulla ad<strong>di</strong>rittura se mamma chiedeva<br />

a me <strong>di</strong> fare qualche cosa e io non andavo, andava lui, senza brontolare, senza replicare, lui completava se io<br />

<strong>di</strong>menticavo, correggeva se sbagliavo, sempre con quella silenziosa calma che lo contrad<strong>di</strong>stingueva. Imparai così a fare<br />

maggiore attenzione a tutto ciò che facevo, imparai l’importanza del correggere senza rimproverare, imparai ad aiutare<br />

senza pretendere. Siamo cresciuti insieme, proprio come voleva nostra madre, l’uno compagno dell’altro, l’uno<br />

completezza dell’altro, l’uno custode dell’altro. Non trascorreva mai giorno senza che passassimo anche solo qualche<br />

istante seduti a guardarci negli occhi. Gli occhi erano tra noi un grande mezzo <strong>di</strong> comunicazione e col tempo cominciai a<br />

scorgervi talmente tante impercettibili sfumature, che alla maggior parte delle persone sarebbero sfuggite, da avere a<br />

volte la certezza <strong>di</strong> una sua risposta a qualche domanda o <strong>di</strong> aver suscitato particolare emozione o interesse raccontando<br />

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