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Segreti: i racconti finalisti - Comune di Trichiana

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Nuova York… Nuova York… sussurra Teresa, dondolando la testa su e giù.<br />

Su e giù…<br />

Nuova York! una cosa che bisogna vedere per credere. Alfonso, e non solo Alfonso, l’aveva definita strabiliante, vasta,<br />

incommensurabile, la città più grande del mondo, e lei se n’è a ragione innamorata.<br />

Ed ora vorrebbe andarci anche lei, Teresa, e salire sulla statua della Libertà, arrampicarsi sulla punta più alta, quella più<br />

alta <strong>di</strong> tutte, abbracciare la fiaccola e dondolarsi nell’aria…<br />

“Prima <strong>di</strong> morire mi piacerebbe <strong>di</strong> vederla, per una volta… mi piacerebbe guardare tutto il mondo dall’alto!” <strong>di</strong>ce<br />

commossa alla lettera mentre la lascia cadere per terra; ora le sue mani ruvide, piene <strong>di</strong> no<strong>di</strong> frugano nelle tasche del<br />

grembiule alla ricerca del rosario; le labbra, intanto, frettolose bisbigliano:<br />

Gesù, Giuseppe e Maria<br />

Il mio cuore Vi bene<strong>di</strong>ca<br />

Voi che tutto potete<br />

Voi che tutto capite<br />

Fatemi andare in America.<br />

Ma ecco <strong>di</strong> nuovo il rumore alla porta. Bussano, bussano… e non è tramontana. Teresa è stanca, non vuole muoversi,<br />

ma il rumore è assordante; infasti<strong>di</strong>ta, strascicando i pie<strong>di</strong> già gonfi, si incammina alla porta, mentre alla testa ritorna la<br />

voce, e <strong>di</strong> nuova urla con forza<br />

Viaggioooo<br />

Stranieroooo<br />

E’ una voce insistente.<br />

“Qualcuno deve fare un viaggio” pensa Teresa. “Partire…forse. O arrivare?”<br />

Appena arrivato a Nuova York, Alfonso era rimasto senza parole, strabiliato da quella vista farneticante. La prima<br />

impressione era stata <strong>di</strong> incre<strong>di</strong>bile meraviglia; sembrava un delirio, eppure era vera, quella città così grande, così piena<br />

<strong>di</strong> luci, <strong>di</strong> case, colori, tutti i colori che conosceva, compreso il grigio del fumo e il rosso cupo dei mattoni, tanti, tantissimi,<br />

tutti in fila nei caseggiati che, scendendo dalla montagna, andavano a morire nel mare. E ovunque una miriade <strong>di</strong> piccole<br />

cose in movimento… Gli sembrava <strong>di</strong> stare male, temeva <strong>di</strong> non riuscire a sopportare il peso <strong>di</strong> quel movimento e <strong>di</strong> quei<br />

rumori <strong>di</strong> sottofondo, lui così abituato alle vaste <strong>di</strong>stese della sua terra <strong>di</strong> piena collina, ai silenzi <strong>di</strong> mezza estate al<br />

tramonto, quando lo spettacolo sta tutto lì: nel cielo avvampato <strong>di</strong> nubi leggere .<br />

Ma la crisi era durata poco e senza rendersene conto, lentamente era sceso nel ventre della città per andare, con alcuni<br />

compagni, in un quartiere alla periferia <strong>di</strong> Brooklin dove c’erano già altri italiani. Cercava una casa e un lavoro: a dargli la<br />

prima accoglienza era stato un uomo un po’ violento, dalla corporatura massiccia. Italiano americanizzato, si chiamava<br />

Frank e <strong>di</strong> mestiere faceva il boss.<br />

Alfonso non sapeva cosa voleva <strong>di</strong>re boss, solo più tar<strong>di</strong>, aveva capito che il boss era una specie <strong>di</strong> interme<strong>di</strong>ario a cui si<br />

rivolgevano le imprese per reclutare manodopera a buon mercato. Che lui Frana, sceglieva tra <strong>di</strong> loro emigranti; chi<br />

aveva meno pretese e non gli dava dei guai, aveva buone possibilità <strong>di</strong> trovare lavoro in fretta..<br />

Per questo Alfonso si era dovuto togliere il cappello e <strong>di</strong>chiarare le generalità: il nome, il nome del padre e il paese <strong>di</strong><br />

nascita, e quella stessa sera, mentre si coricava in un lurido sottoscala, con una finestra riparata da sacchi e cartone<br />

pressato e cinque letti da <strong>di</strong>videre, fra loro emigranti, in tre turni <strong>di</strong> otto ore ciascuno, aveva rimuginato, per la prima volta<br />

da quando era partito, che forse aveva attraversato l’Oceano inutilmente. Perché anche lì c’era un uomo come Don<br />

Filippo a spadroneggiare, solo che <strong>di</strong> nome faceva Frank e non lo chiamavano gabellotto, ma boss. Più <strong>di</strong> una lacrima gli<br />

aveva bagnato le guance mentre rifletteva sul fatto che era completamente solo, lontano un oceano da casa, non<br />

conosceva la lingua, ed era stanco, così stanco che alla fine si era detto: “non ci devo pensare!”<br />

Non bussano più, Teresa in<strong>di</strong>etreggia <strong>di</strong> un passo. “Non era nessuno,” si <strong>di</strong>ce. Ma non è convinta, “ritornerà,” pensa.<br />

Anche Alfonso era ritornato. Spavaldo e completamente cambiato, dopo quattro anni era tornato con regali e denaro<br />

(moneta come la chiamava), per mantenere la promessa e sposare Lucia; che l’aveva aspettato tutto il tempo in silenzio,<br />

ricamandosi un po’ <strong>di</strong> corredo e sognando ogni giorno l’America.<br />

Oh, Alfonso a New York aveva fatto fortuna. Se ne erano accorti tutti in paese, che consolazione per il suo cuore <strong>di</strong><br />

mamma vedersi davanti il figlio, bello, pasciuto, ben vestito e coi capelli impomatati.<br />

Lei lo sapeva che ce l’avrebbe fatta, lo conosceva bene.<br />

Teresa è tornata vicino alla credenza: ora fruga nella sua scatola dei ricor<strong>di</strong>, dove ci sono lettere, biglietti e alcune<br />

istantanee. Eccola la sua vita e la vita dei suoi parenti più cari, rappresentata in or<strong>di</strong>ne sparso .<br />

I ricor<strong>di</strong> galoppano come cavalli indomabili. Ne basta uno, perché a grappolo arrivino tutti gli altri. Teresa lo sa, li conosce,<br />

e ormai sa anche come farli arrivare: ad uno ad uno, nell’or<strong>di</strong>ne giusto.<br />

“Qui c’è Alfonso a Brooklin, prima che <strong>di</strong>ventava importante”. Dice guardando una vecchia fotografia. Si siede e sorride,<br />

guardando quel pezzo <strong>di</strong> figlio.<br />

“Questi invece sono Alfonso e Lucia, fuori della chiesa , il giorno che si sono sposati . Che festa. C’erano tutti, perfino gli<br />

orchestranti che hanno suonato fino a notte. Ci stava anche Don Filippo… lui solo però; che la moglie era a Roma, dalla<br />

figlia Annetta, sposata da poco con uno del ministero…”<br />

Quel giorno don Filippo guardava Alfonso con certi occhi luci<strong>di</strong>…<br />

Teresa se li ricorda. Era stato in quel momento che aveva capito che anche lui sapeva, che forse aveva sempre saputo…<br />

Anzi, quel giorno lui gliel’aveva anche chiesto. L’aveva fatto con <strong>di</strong>screzione, con un largo giro <strong>di</strong> parole: “…bello è<br />

Alfonsino vostro. Bello e maschile. “aveva detto. Poi aveva avuto come un inciampo nella voce. “Mi pare <strong>di</strong> vedere me<br />

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