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Segreti: i racconti finalisti - Comune di Trichiana

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e spostato dei giornali vecchi dal se<strong>di</strong>le posteriore, facendoci segno <strong>di</strong> accomodarci. C’entravamo a mala pena in tre, con<br />

la valigia grande in bilico accanto al posto <strong>di</strong> guida.<br />

Ci siamo <strong>di</strong>retti ad est, verso Cala Rossa dove il taxi s’è fermato accanto alla locanda <strong>di</strong> Giona Randazzo, immersa nella<br />

dolce quiete tipica <strong>di</strong> quelle terre <strong>di</strong> mezzo che <strong>di</strong>vidono la campagna dal mare. Qui abbiamo una camera prenotata per<br />

tutto il tempo che rimane a questa strana estate, da metà agosto fino a settembre: mare, sole e tranquillità oltre alla<br />

possibilità <strong>di</strong> rivedere i miei, dopo vent’anni che sento mia madre solo al telefono, al massimo due volte in un anno.<br />

Tra qualche giorno magari andremo a casa dei miei... sarà un’improvvisata e non so cosa aspettarmi. Non siamo mai<br />

stati una famiglia, non nel senso convenzionale del termine. Carla lo sa bene che non abbiamo un gran rapporto e mi ha<br />

chiesto come mai proprio adesso mi sia deciso a tornare qui, dove sono cresciuto, quando le ho sempre detto che non<br />

avrei mai più messo piede su quest’isola; la sua domanda mi ha irritato. Cercava <strong>di</strong> scavarmi dentro. Di esplorarmi. Ma<br />

non può, non più. Non deve entrare in questo mio doloroso labirinto, non glielo permetterò.<br />

Intanto si sta alzando il Maestrale. L’atmosfera liquida mi ricorda quella <strong>di</strong> un’estate lontana nel tempo, umida <strong>di</strong> pioggia<br />

ed appiccicosa, segnata dall’alternanza insolita tra lunghe giornate <strong>di</strong> caldo immobile ed inaspettate bufere <strong>di</strong> vento che<br />

davano sollievo ai corpi molli della gente, appollaiata sulle soglie delle case, ma a me trasmettevano un’inquietu<strong>di</strong>ne<br />

profonda, una sensazione <strong>di</strong> instabilità assoluta, come se da un momento all’altro dovesse capitarmi qualcosa <strong>di</strong><br />

ineluttabile e definitivo. Esattamente come adesso.<br />

2.<br />

Andrea dorme, stanco del viaggio, lei sta sfogliando un settimanale <strong>di</strong>stesa su un fianco. La pelle scura delle sue gambe<br />

nude contrasta col bianco can<strong>di</strong>do delle lenzuola. Le passo accanto pianissimo: vorrei essere immateriale, inconsistente,<br />

per il tempo <strong>di</strong> quei quattro passi che mi porteranno fino alla porta <strong>di</strong> questa camera e poi fuori. Vorrei riuscire ad ignorare<br />

la sua presenza e che lei stessa ignorasse la mia. Mi auguro stia dormendo. Invece si volta verso me:<br />

“Dove vai?” mi chiede.<br />

“Voglio arrivare un momento alla spiaggia quaggiù. Torno presto.” Rispondo col tono evasivo <strong>di</strong> chi non ha voglia <strong>di</strong> dare<br />

spiegazioni. Si alza a sedere.<br />

“Vengo con te, vuoi?”<br />

“Preferisco andare da solo. Se Andrea si sveglia e non trova nessuno si spaventa.”<br />

Non <strong>di</strong>ce una parola ma ha capito che si tratta <strong>di</strong> una scusa. Mi segue con gli occhi mentre esco richiudendo piano la<br />

porta e nel blu oltremare <strong>di</strong> quello sguardo liquido mi sembra <strong>di</strong> affogare.<br />

Mi allontano <strong>di</strong> un chilometro o poco più dalla spiaggia riservata al nostro albergo e raggiungo una piccola baia deserta,<br />

una striscia <strong>di</strong> terra <strong>di</strong>stesa in curva ad accogliere la prepotenza del sole e gli improvvisi cambi <strong>di</strong> <strong>di</strong>rezione del vento. Qui<br />

il mare, con la voracità naturale delle sue infinite bocche, inghiotte pezzi <strong>di</strong> costa incastrati tre le asperità della scogliera e<br />

poi li restituisce alla terra secondo l’andamento alterno <strong>di</strong> fasi lunari e moti ondosi, tanto da riuscire ad evocare l’illusione<br />

stagionale <strong>di</strong> piccoli tratti <strong>di</strong> spiaggia accecanti <strong>di</strong> bianco, sparpagliati lungo l’arco dolce <strong>di</strong> qualche centinaio <strong>di</strong> metri.<br />

Tutt’intorno è soltanto polvere d’ocra e cespugli spontanei sopravvissuti alla calura. Il vantaggio <strong>di</strong> essere nato quaggiù<br />

sta nel conoscere luoghi che <strong>di</strong>fficilmente sono noti agli “stranieri”.<br />

Scendo come un felino tra gli spuntoni <strong>di</strong> roccia e le asperità del sentiero scosceso che porta alla spiaggia, e questa<br />

calura è una buona compagna nel cammino selvaggio che porta verso il mare; mi sono tolto le scarpe ed ho i pantaloni<br />

arrotolati fino alle ginocchia, come quand’ero bambino. Mentre sfioro l’acqua con i pie<strong>di</strong> mi sento liberato: è fresca, me ne<br />

ricordavo, mi scivola sulla pelle rilassando i muscoli nelle gambe, ormai non più avvezze alle <strong>di</strong>scese libere lungo terreni<br />

impervi come questo. Tolgo i vestiti, tutti, tanto non c’è nessuno ed io non ho più tempo per pensare al comune senso del<br />

pudore. Sono un uomo che appartiene alla morte e questa non ha nessuna vergogna della nu<strong>di</strong>tà. La vergogna<br />

appartiene agli uomini, la consapevolezza della morte sa <strong>di</strong> nero ed incoscienza, ma rivela una <strong>di</strong>mensione interiore che<br />

si sottrae a qualunque giu<strong>di</strong>zio.<br />

Raggiungo nuotando una grotta naturale scavata dal mare nelle viscere della scogliera e qui chiudo gli occhi <strong>di</strong>steso<br />

sull’acqua, supino. Le orecchie si riempiono <strong>di</strong> mare, così che cessi ogni rumore. Il corpo si fa freddo, lentamente,<br />

cedendo all’abbraccio sicuro dell’acqua che lo sostiene, ghermendolo, come il liquido amniotico nel corpo <strong>di</strong> una madre.<br />

Intorno è buio e silenzio, ma non fa paura. Immagino, ho bisogno <strong>di</strong> immaginare. Immagino sia così la morte. Un gelido<br />

niente che sa un po’ <strong>di</strong> sale. Stanotte dormirò alla locanda dove cucinano il miglior cous-cous dell’isola e berrò il bianco<br />

d’Avola fino a stor<strong>di</strong>rmene dolcemente... mi tornano in mente i versi <strong>di</strong> un Alceo esultante: “Ora bisogna bere; ubriacarsi<br />

ora bisogna; ora che Mìrsilo è morto.”.<br />

Come stessi sognando <strong>di</strong> essere io stesso Alceo e che Mìrsilo sia il nome del mio male inconfessato.<br />

3.<br />

È stata una notte lunga e quasi senza sonno: sarà stata colpa del vino che abbiamo bevuto stasera, a cena: ne ho bevuto<br />

parecchio, proprio sperando che quello stor<strong>di</strong>mento da leggera ebbrezza potesse aiutarmi ad abbandonarmi ad un sonno<br />

profondo, invece mi ero assopito da pochissimo quando, nel dormiveglia, ho cominciato a sentire un formicolio nel<br />

braccio sinistro, che era <strong>di</strong>ventato pesantissimo, e non riuscivo più ad aprire o chiudere la mano. Mi sembrava d’avere un<br />

pezzo morto attaccato al corpo, come succede qualche volta quando ci si addormenta in una posizione sbagliata, magari<br />

col braccio schiacciato sotto la pancia. Invece il mio braccio era <strong>di</strong>steso, allungato addosso a Carla che dormiva<br />

raggomitolata su un fianco, così vicina a me che ne sentivo il respiro lieve in un orecchio.<br />

Mi è venuto il panico. Una volta non ci avrei dato peso, ma adesso il mio primo pensiero va alla paralisi... è drammatico<br />

non sapere come comincerà, cosa sentirò o cosa smetterò <strong>di</strong> sentire.<br />

Mi sono alzato <strong>di</strong> scatto, con questo corpo morto ciondolante appeso alla spalla che, indolenzito, continuava a<br />

formicolare; ho imposto al mio cervello <strong>di</strong> recuperare un po’ <strong>di</strong> razionalità e mi sono messo a massaggiare con violenza<br />

l’avambraccio e la mano ed a strizzare le <strong>di</strong>ta a pugno con tutta la forza che riuscivo ad avere. Sudavo freddo e mi<br />

3

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