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Segreti: i racconti finalisti - Comune di Trichiana

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Oasi serena<br />

<strong>di</strong> Aldo Barbina<br />

Mattino <strong>di</strong> <strong>di</strong>cembre, poche foglie sui tigli, sulle querce e sugli aceri, foglie marce a terra. Pioggia leggera, insistente e<br />

fredda. Ho sistemato Sparta, la mia gattina abusiva, mangiare abbondante, mangiare <strong>di</strong> riserva all’esterno, per un giorno<br />

spero non se ne accorga nessuno. Mezza scatoletta <strong>di</strong> bocconcini in un piattino verde <strong>di</strong> plastica per vasi da fiori, bucato<br />

sul fondo ché l’acqua non ristagni.<br />

- Ciao piccola, comportati bene. Torno stasera e vieni a dormire sul mio letto. Per oggi bimbina, ve<strong>di</strong> <strong>di</strong> arrangiarti.<br />

Nessun gatto è morto per così poco.<br />

Ho attraversato a pie<strong>di</strong> la città, c’erano solo furgoni che <strong>di</strong>stribuivano giornali, qualche puttana sfatta dalla stanchezza e<br />

dal freddo, i camion delle immon<strong>di</strong>zie, sacchi neri <strong>di</strong> plastica davanti ai negozi, un ratto dall’aria aggressiva, questa è la<br />

mia città e la mia ora, vade retro tu brutto vecchio. La pioggia continuava fitta e minuta, dovevo evitare le pozzanghere.<br />

Era buio ancora. Solo le luci gialle stradali riflesse sull’asfalto e quelle bianche <strong>di</strong> un caffè già aperto.<br />

All’Oasi Serena, dove vivo, quando ho detto che andavo via per un giorno è nato un casotto. Mi ha chiamato il <strong>di</strong>rettore.<br />

- Professor Cedarchis, lei ci deve <strong>di</strong>re dove esattamente vuole andare e quanto tempo starà via.<br />

Mi sono arrabbiato.<br />

- Non vi devo niente. Sono un vostro ospite, non un prigioniero – ho gridato.<br />

- Ma no, si calmi, la prego. Noi ci preoccupiamo dei nostri ospiti, vogliamo essere sicuri <strong>di</strong> poterli assistere sempre.<br />

Intanto tutto il piano terra confluiva verso la porta aperta dell’ufficio del <strong>di</strong>rettore. Bella novità una baruffa così, ore <strong>di</strong><br />

chiacchiere assicurate.<br />

- No, lei ha paura che se uno <strong>di</strong> noi esce e si fa male, le capitino guai con la questura. Cos’è, non ricordo, omessa<br />

custo<strong>di</strong>a <strong>di</strong> incapace? Si metta bene in testa che non sono un incapace, un matto, un interdetto. Sono vecchio, ho<br />

settantotto anni ma sono libero e vado dove voglio e quando voglio. - non gli ho detto, perché fargli un favore?, che nel<br />

portafoglio ho l’in<strong>di</strong>rizzo dell’Oasi Serena, così se mi faccio male o crepo sanno dove scaricarmi -. Quin<strong>di</strong> lei non mi<br />

chiede più nulla, apre subito quel maledetto cancello che abusivamente tiene chiuso o stasera mi fa avere la chiave.<br />

- Si calmi professore – tenta <strong>di</strong> bloccarmi lui. – La chiave serve per la vostra sicurezza. Lei non ha che da chiedere e noi<br />

apriamo, ma dobbiamo sapere dov’è lei, abbiamo delle responsabilità.<br />

E allora, ho urlato, che bello uno sfogo così pieno e sonoro, con quaranta cinquanta ascoltatori alle spalle, anche se per<br />

metà rincoglioniti.<br />

- Finiamola. La chiave, o la denuncio per sequestro <strong>di</strong> persona!<br />

Non ha detto più nulla, ha aperto un cassetto, da un mazzo ha estratto una chiave, che quin<strong>di</strong> era già pronta, figlio <strong>di</strong><br />

puttana, e me l’ha data.<br />

- E’ sua. Come vede è perfettamente libero.<br />

- Bene, allora le comunico, per pura cortesia, nulla le devo, che domani esco dal suo carcere, vado a Prepòt, provincia <strong>di</strong><br />

Belluno, in cimitero, a salutare una persona cara. Per mangiare mi arrangio. Per tornare a casa, adesso che ho la chiave,<br />

mi arrangio. Le basta?<br />

Non l’ho lasciato rispondere, mi sono alzato, cercavo <strong>di</strong> stare <strong>di</strong>ritto come un frassino, che tutti vedessero la mia<br />

esuberante sana vecchiaia. E intanto in tasca palpavo con amore la bottiglia piatta <strong>di</strong> whisky irlandese <strong>di</strong> 12 anni. Mia<br />

compagna <strong>di</strong> viaggio.<br />

Adesso cammino in questa U<strong>di</strong>ne bagnata e livida, con tranquillità e sicurezza, sono libero, ed ho bevuto. L’interregionale<br />

parte alle 7.02 e sono appena la 6 e 20.<br />

Il caffè della stazione è aperto, i pavimenti luri<strong>di</strong>, la pulizia inizia appena adesso, un misto <strong>di</strong> odore <strong>di</strong> chiuso, <strong>di</strong> cicca e <strong>di</strong><br />

aria fredda.<br />

- Andata e ritorno per Prepòt.<br />

- Classe?<br />

- Seconda. – Perché l’omino pensa che mi possa permettere una prima classe, oltretutto per un viaggio <strong>di</strong> cento<br />

chilometri?<br />

- Ore 07,02, binario 4, interregionale 2041.<br />

Potrei comprare un quoti<strong>di</strong>ano. Ma penso che tanto le notizie sono quelle che ho sentito al telegiornale della mezzanotte<br />

e nulla <strong>di</strong> importante – che so altre due Torri Gemelle, antrace in Vaticano, virus Ebola a Montecitorio – può<br />

ragionevolmente essere accaduto. € 1,00 <strong>di</strong> guadagno.<br />

Il treno giunge stridendo da Trieste, scendono poche persone assonnate e tristi, una che ridesse, due ragazzi che si<br />

abbracciassero e baciassero. Alle ore 06.52 l'amore è sospeso. Però il treno alle 07.02 parte con assoluta precisione.<br />

Puzza <strong>di</strong> umido, sudore, polvere e fumo stantio, <strong>di</strong>omiliberi mi sono seduto in uno scompartimento per fumatori. Almeno è<br />

caldo. E adesso sì, me lo merito il secondo goccetto. Dalla tasca sinistra del loden estraggo, previo dolce palpeggio, la<br />

mia bottiglia irlandese e giù uno sgluc che mi allarga stomaco e coronarie e mi dà quasi allegria. No, devo essere più<br />

misurato: una serena e calda tristezza.<br />

Nella grigia prima luce del mattino sfila la povera campagna invernale, nu<strong>di</strong> residui <strong>di</strong> <strong>di</strong>stese <strong>di</strong> mais e <strong>di</strong> soia, immensi<br />

arati, alberi scheletrici, pozzanghere, e in alto tra una nube e l’altra la neve sul Monte Cavallo.<br />

Ho chiuso gli occhi. Cerco Sabina. So che non ritroverò molto. Non lei che mi viene incontro a braccia aperte, con gli<br />

occhi felici. Scavare nelle ceneri. Un rimasuglio? Questa la mia sola possibilità.<br />

Poi il treno, un residuato che se arriva a Belluno prima <strong>di</strong> rottamarsi è bravo, si inerpica sul Fadalto, boschi spogli a destra<br />

e sinistra, i laghi livi<strong>di</strong> in basso, e finalmente, serenamente quasi ubriaco, scendo a Prepòt. Mai ci sono stato prima.<br />

- Mi scusi, – ho chiesto a un ferroviere – mi sa in<strong>di</strong>care dov’è il cimitero?<br />

Non lo sa, non è <strong>di</strong> lì, ma gentilmente chiede ad un collega e mi spiega. Cinquecento metri oltre la stazione.<br />

Sono uscito, un paese <strong>di</strong> brutte case nuove, una <strong>di</strong>versa dall’altra, senza fiori alle finestre, una tristezza d’acqua e <strong>di</strong><br />

grigio, orren<strong>di</strong> capannoni <strong>di</strong> officine. Volevo trovare dei fiori. C’era un bar con negozio <strong>di</strong> alimentari, ho or<strong>di</strong>nato un caffè<br />

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