Segreti: i racconti finalisti - Comune di Trichiana
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Il segreto del Pilade<br />
<strong>di</strong> Silvana Servetti<br />
Può succedere <strong>di</strong> tutto nella nebbia della bassa, anche che uno qualunque vada in America e <strong>di</strong>venti un mito.<br />
Sì, può proprio succedere <strong>di</strong> tutto nella nebbia della bassa.<br />
Al Bar Centrale si giocava a boccette, si beveva lambrusco, si gridava scopa, si fumava, si parlava <strong>di</strong> sport ma<br />
soprattutto, lì, si andava per parlare del Pilade. Erano trent’anni che il Pilade se ne era andato in America ma il cuore<br />
l’aveva lasciato al Centrale e a testimoniarlo c’erano le foto che negli anni aveva mandato agli amici e che tappezzavano i<br />
muri del bar: il Pilade col grande Jak Fortuna, col sigaro in bocca accanto Manuel Suarez, con un abito rigato mentre<br />
sorrideva a Jonny Mancino, mentre teneva una mano sulla spalla <strong>di</strong> Franky Avallone. E poi con Sugarello detto Sugar,<br />
con Borman Palansky detto lo Stecco, e con Navarro, Sanchez, Aguillera, Forlano. Ne aveva fatta <strong>di</strong> strada quel Pilade,<br />
accidenti se ne aveva fatta. Lui, uno della bassa che andava in America e <strong>di</strong>ventava allenatore dei più gran<strong>di</strong> tiratori <strong>di</strong><br />
boxe. Chi mai ci avrebbe scommesso una lira quel giorno che al Centrale, accendendosi una nazionale, aveva detto:-<br />
Mè, ne ho abbastanza, vado n’America; <strong>di</strong>cono che là, se poco poco sei in gamba, i sogni si realizzano. Farò fortuna,<br />
vedrete.<br />
-Bravo il nostro Pilade, va n’America, va! – gli aveva risposto Pietro Strozzi credendo che fosse solo una delle sue tante<br />
sparate – Però non <strong>di</strong>menticarti degli amizi veh! ?-<br />
Aveva aggiunto il Dante mentre a biliardo segnava tre punti<br />
- Va là, che me non vi <strong>di</strong>mentico!- aveva risposto il Pilade - L’America sarà anche l’America, ma gli amizi, sorbole,<br />
valgono mille Americhe!!<br />
Quel matto del Pilade, però, in America ci andò davvero, e da quel giorno al Centrale non si vide più. Col tempo si<br />
cominciò anche a parlarne sempre meno, tanto lui era lontano e loro, gli amici, ancora lì, tra aliti pesanti, a giocare a<br />
scopa, a tirare a boccette, a ridere per le corna che la farmacista faceva al marito e ad aspettare il culo della Marisa.<br />
Già, la Marisa, l’unico sogno rimasto al Centrale.<br />
Non cambiava mai niente in quel bar, tranne il sabato, quando tutto, per un attimo, si fermava e gli sguar<strong>di</strong> andavano ad<br />
accarezzare i fianchi della Marisa, la cassiera del cinema Lux. E lei, che quegli sguar<strong>di</strong> se li godeva tutti, uno per uno,<br />
doveva sentirsi una dea mentre, lentamente, sui quei tacchi a spillo, si avvicinava al bancone e offrendo al barista la vista<br />
della sua generosa scollatura <strong>di</strong>ceva :- Un pacchetto <strong>di</strong> zycles alla menta e un caffè Mar,o che devo andare. Stasera z’è<br />
l’Amedeo Nazzari con la Ivonne Sanson- Quin<strong>di</strong> usciva e, attraversando la piazza, si avviava al Lux che stava proprio <strong>di</strong><br />
fronte al Centrale, ben consapevole <strong>di</strong> quegli occhi appiccicati ai vetri che la accompagnavano, consapevole dei<br />
commenti volgari che con lei attraversavano la piazza:<br />
- Guarda che curve!-<br />
- Mè, quella lì, mi fa morire-<br />
- Dicono che non ne ha mai a basta!-<br />
-Mè, ho sentito <strong>di</strong>re che se la fa con uno sposato <strong>di</strong> Monticello-<br />
- Quella se la fa con più <strong>di</strong> uno, a tlè <strong>di</strong>gh me!-<br />
- Si <strong>di</strong>ze che l’hanno vista su una macchina con uno <strong>di</strong> Foragno e che aveva la camicetta tutta sbottonata-<br />
- Beato chi gli stava <strong>di</strong> fronte. Quella non sai mica se è più buona davanti o <strong>di</strong> <strong>di</strong>etro-<br />
E avanti così finché la nebbia non se la inghiottiva, e tutti tornavano a far quello che facevano: lo Strozzi a cercare la<br />
carambola, il Gino a imprecare contro il Dante che s’era fregato un’altra volta la primiera, il Mario a fare caffè e l’Otello a<br />
sparar cazzate. La solita serata che si consumava tra il fumo <strong>di</strong> sigarette, l’odore <strong>di</strong> vino e tabacco e lo sbia<strong>di</strong>to ricordo <strong>di</strong><br />
un tale che si chiamava Pilade e che se n’era andato in America a cercar fortuna.<br />
Poi…<br />
Poi, quel giorno, una lettera da New Orleans, quattro righe per <strong>di</strong>re che stava bene e la prima foto.<br />
Il Pilade era in pie<strong>di</strong> accanto a un tipo coi guantoni, e su un lato della foto la scritta: “Questo è Dean Vitale detto il<br />
virtuoso, campione dei pesi Welter dello stato della California”<br />
E a quella, via via, negli anni, ne erano seguite altre. Tutte con pugili, scattate in una palestra, o su un ring. Lui, il Pilade<br />
sempre più elegante: col sigaro, i guanti bianchi, le scarpe bicolore, il cappello in testa, la cravatta e un fiore all’occhiello e<br />
l’altro, il pugile, sempre in <strong>di</strong>visa da combattimento, in calzoncini o con l’accappatoio <strong>di</strong> raso, i guantoni, e spesso un<br />
occhio nero. Accidenti se ne aveva fatta <strong>di</strong> strada quel Pilade! Allenatore <strong>di</strong> box e con una palestra tutta sua! E chi glielo<br />
faceva fare <strong>di</strong> tornare nella sua bassa, a mangiar lupini la domenica pomeriggio, a patire l’umido e il freddo e ad avere<br />
come unico sogno il culo della Marisa. Chissà quante Marise aveva trovato in America quel <strong>di</strong>avolo <strong>di</strong> un Pilade! Bastava<br />
guardarlo in quella foto appoggiato a una decappottabile bianca, dove dentro c’era seduta una sventola biondo platino,<br />
tipo Jean Harlow per intenderci. Il Pilade che sorrideva al fotografo e la sventolona che si rifaceva le labbra nello<br />
specchietto retrovisore; non sapevi quale delle due fosse meglio carrozzata, se l’auto o la bionda.<br />
Diavolo <strong>di</strong> un Pilade! Donne, motori, boxe e quattrini. Altro che la Marisa. Chissà che notti gli faceva passare quella, e<br />
chissà dove si faceva scarrozzare: Chicago, Memphis, Cincinnati, Boston, New York, San Francisco, Filadelfia, Orlando.<br />
Lui ai ring a rime<strong>di</strong>are la grana, e lei a spenderla in pellicce, alberghi e auto <strong>di</strong> lusso:<br />
- Sì, perché una così costa – <strong>di</strong>ceva il Dante- Mica la puoi mantenere a pane e mortadella, veh! –<br />
- Quelle bionde … – riprendeva Mario- ti possono mandare in malora anche se hai dollari a fiumi! Mè, al so come son<br />
fatte quelle lì, sono delle professioniste! Mentre ti asiugano a letto , tè non te ne accorgi ma ti asiugano anche in banca!<br />
Seguendo l’avventura americana del Pilade, tutti, al Centrale, erano <strong>di</strong>ventati esperti <strong>di</strong> ring e <strong>di</strong> combattimenti e con<br />
faciloneria <strong>di</strong>scutevano <strong>di</strong> montanti, uppercut, sventole, ganci, riprese, assalti e rounds.<br />
Era così che al Centrale, poco a poco, era nato il mito del Pilade. Quelli <strong>di</strong> Foragno e quelli <strong>di</strong> Monticello si potevano<br />
anche rosicchiare i gomiti, perché , loro, uno come il Pilade, non ce l’avevano mai avuto.<br />
Sorbole che colpo!<br />
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