Create successful ePaper yourself
Turn your PDF publications into a flip-book with our unique Google optimized e-Paper software.
Il Sole-24 Ore PERSONAGGI<br />
Domenica 13 Febbraio 2005 - N. 43 — Pagina 39<br />
“ Quando Aron<br />
ripete senza fine<br />
ai suoi allievi<br />
le idee della sua<br />
tesi scritta prima<br />
della guerra del ’39<br />
esercita un potere<br />
che non è fondato<br />
su un sapere degno<br />
di questo nome<br />
”<br />
Jean-Paul Sartre, 19 giugno 1968<br />
FILOSOFIA MINIMA<br />
L’arte di ingannare se stessi<br />
Domanda: quando nel<br />
1964 Sartre ha rifiutato<br />
il Nobel era in buona o<br />
in cattiva fede? C’è modo e modo<br />
di declinare un premio, e va<br />
a sapere qual è quello più «autentico».<br />
E c’è anche modo e<br />
modo per interpretare una delle<br />
sue dichiarazioni più famose:<br />
«Siamo costretti a essere liberi».<br />
Un’interpretazione è quella<br />
del codice civile svizzero, che all’articolo<br />
27 recita: «Nessuno<br />
può rinunciare alla sua libertà o<br />
limitarla a un grado tale che<br />
violi la legge o la moralità».<br />
Chissà se una norma così può<br />
davvero essere osservata. Sembrerebbe<br />
più logico pensare che<br />
si è più o meno liberi o spontanei<br />
o autentici quando non si è<br />
obbligati a esserlo, oppure — ancora<br />
meglio — quando non ci si<br />
mette a riflettere sulla questione.<br />
di Goffredo Fofi<br />
S artre<br />
Maître à penser, scrittore di talento e cattivo filosofo. Come politico prese cantonate catastrofiche<br />
Sartre, simpatico totalitario<br />
aveva un piccolo studio in un vecchio<br />
edificio di Montparnasse, qualche<br />
piano sopra l’appartamento in cui abitavano<br />
i Vitale, miei amici e suoi conoscenti. Lo<br />
incontravo spesso, nei primi anni 70, sulle<br />
tortuose scale di legno, e scendendo si fermava,<br />
sentendo dei passi, cauto e timoroso, finché<br />
non aveva individuato dall’alto il visitatore.<br />
Erano gli anni della guerra<br />
d’Algeria e degli atten-<br />
tati dell’Oas, e Sartre riceveva<br />
molte minacce, come<br />
continuò a riceverne<br />
fino alla morte. Era molto<br />
odiato dalla borghesia<br />
francese, Sartre, e da<br />
gran parte dell’"establishment".<br />
Ancora qualche<br />
anno fa, al cimitero di<br />
Montparnasse dove è sepolto<br />
nella stessa tomba<br />
con Simone de Beauvoir, un custode mi disse<br />
che su quella tomba c’era un continuo pellegrinaggio<br />
di stranieri, ma che bisognava pulirla<br />
quasi ogni giorno perché dei malintenzionati la<br />
sporcavano. Al suo funerale, nel 1980, c’erano<br />
cinquantamila persone, sembrava che Sartre<br />
non lasciasse indifferente nessuno.<br />
Oggi le cose sono cambiate e il mito —<br />
positivo o negativo — di Sartre è andato offuscandosi.<br />
Il ridimensionamento è avvenuto anche<br />
se, forse, siamo ancora lontani dal poter<br />
attribuire a Sartre il suo giusto valore. È tutta-<br />
Sartre amava il paradosso. E<br />
inventare un paradosso che suona<br />
bene è la prima regola per<br />
diventare un guru o un mistico o<br />
un grande intellettuale. La seconda<br />
regola è insistere sulla sua<br />
insolubilità. Prendiamo quello secondo<br />
cui l’uomo non può fare a<br />
meno di autoingannarsi continuamente.<br />
Ciò significa che l’ingiunzione<br />
«sii sincero con te stesso»<br />
è insensata e impossibile a<br />
obbedirsi. Eh no, rispondono altri<br />
filosofi: è vero piuttosto il contrario.<br />
Ciò che è impossibile è<br />
proprio l’autoinganno. Ingannare<br />
gli altri è semplice: io conosco<br />
per vera una certa cosa e agli<br />
altri ne faccio credere un’altra.<br />
Ingannare se stessi, invece, sembra<br />
alquanto contraddittorio: se<br />
io so che una certa credenza (religiosa,<br />
per esempio) è falsa, come<br />
posso essere al tempo stesso con-<br />
Lo si leggeva avidamente<br />
per preferirgli subito<br />
un altro: per esempio<br />
Samuel Beckett<br />
o Albert Camus<br />
vinto che sia vera? Com’è possibile<br />
che una stessa persona conosca<br />
e non conosca la stessa cosa<br />
sotto lo stesso aspetto?<br />
Come ha osservato Jon<br />
Elster, tra i due estremi — tutto<br />
è autoinganno e l’autoinganno<br />
è impossibile — c’è semplicemente<br />
il senso comune che ci<br />
dice che talvolta, anche se non<br />
sempre, agli uomini capita di ingannare<br />
se stessi. E per evitare<br />
ciò ognuno può inventarsi una<br />
certa varietà di strategie, relative<br />
alla varietà di forme in cui si<br />
manifesta l’autoinganno.<br />
Tutte, ma non quella adottata<br />
da Sartre, che, come al solito,<br />
risolve il problema esagerando<br />
alla grande, rendendo cioè l’autoinganno<br />
così onnipresente da<br />
farlo sparire come fenomeno.<br />
Fin quasi a renderci del tutto<br />
indifferenti sulle reali motivazioni<br />
del suo rifiuto del Nobel.<br />
via impossibile pensare alla storia di Francia (e<br />
della sinistra) dagli anni 40 alla fine dei 70 del<br />
Novecento senza doversi incontrare (o scontrare)<br />
con la sua figura. Lo si leggeva avidamente,<br />
e anche se, molto presto, gli si preferirono<br />
altri autori — Camus per<br />
esempio, con il quale la<br />
rottura fu clamorosa —<br />
era però impossibile ignorarlo.<br />
Il tempo della sua<br />
compromissione politica<br />
con il comunismo (tra il<br />
’52 e l’Ungheria), quando<br />
aveva risposto a chi lo informava<br />
del gulag che<br />
«non bisognava turbare<br />
Billancourt», cioè gli operai<br />
della Renault e per<br />
estensione il proletariato francese, durò relativamente<br />
poco, nel cuore della guerra fredda, e<br />
non deve far dimenticare che ci fu un tempo in<br />
cui a Mosca lo chiamavano «la jena dattilografa».<br />
Il suo "engagement", sottoposto anche per<br />
la sua assiduità a delle possibilità di errore, fu<br />
però generoso e coraggioso, e servì di sprone a<br />
più di una generazione.<br />
La parola d’ordine maoista cui aveva aderito<br />
negli ultimi anni della sua vita fu «Ribellarsi<br />
è giusto». Credo che essa sia di per sé non<br />
di Armando Massarenti<br />
«Filosofia minima» è anche<br />
una trasmissione radio<br />
che va in onda ogni<br />
domenica mattina alle<br />
9.40 su «Radio 24» all’interno<br />
della trasmissione<br />
«Buongiorno Domenica»<br />
condotta da Michela Daghini<br />
(dalle 9 alle 10,<br />
con la rubrica di arte di<br />
Marco Carminati e i ritratti<br />
di filsofi di Jader<br />
Jacobelli). Lettori e<br />
ascoltatori sono invitati<br />
a intervenire o a inviarci<br />
i loro quesiti filosofici.<br />
armando.massarenti<br />
@ilsole24ore.com<br />
Il mito Jean Paul,<br />
l’ultimo degli intellettuali<br />
sbagliata, ma terribilmente generica e superficiale.<br />
Essa evidenzia probabilmente il limite<br />
maggiore delle convinzioni e predicazioni di<br />
Sartre e di tanti altri, tacendo sul "come" o<br />
accettando un "come" di micidiale capacità di<br />
generare nuovi equivoci, di creare nuovi poteri<br />
e nuove violenze. Si diceva di Camus, e bisognerebbe<br />
aggiungere molti altri nomi di "maestri"<br />
più attendibili e necessari, da Simone<br />
Weil a Orwell a, per fortuna, cento altri.<br />
Un altro ricordo di Sartre: seduto con la<br />
Beauvoir in piazza del Pantheon, nel bar<br />
all’aperto davanti all’Albergo del Sole in cui<br />
amavano alloggiare a Roma, in una bella<br />
giornata di primavera. Era frequente incrociare<br />
Sartre — e Sartre era inconfondibile, non<br />
fosse che per il suo occhio strabico — sia a<br />
Roma che a Venezia, e per molti è ancora un<br />
cruccio che egli non sia riuscito a portare a<br />
termine la grande opera così spesso annunciata<br />
sul Tintoretto. Sartre amava l’Italia, ne<br />
subiva il fascino e il mito, e per di più aveva<br />
trovato in Italia una risonanza politica che lo<br />
ripagava delle difficoltà con la sinistra francese:<br />
il nostro Partito comunista era molto diverso<br />
da quello francese, meno rozzo e più<br />
"intellettuale", e Sartre poté pensare a un<br />
comunismo "dal volto umano" incarnato in<br />
Togliatti o nel suo entourage.<br />
di Olivier Todd<br />
N on<br />
sono mai stato un "sartriano" né ho<br />
mai appartenuto a quella che veniva chiamata<br />
la sua "famiglia", cioè alla cerchia<br />
dei suoi intimi. Ma anch’io ne ho subito il fascino.<br />
Posso anche dire però che Sartre è stato per<br />
me, almeno a un certo momento della mia vita,<br />
quel padre che andavo cercando. Non è un caso<br />
che alla sua morte, io abbia intitolato il libro di<br />
miei ricordi su di lui Le fils rebelle. L’ho incontrato<br />
nel ’48. Avevo 19 anni e appena finito<br />
filosofia a Cambridge. Gli ho subito detto che la<br />
sua filosofia non mi interessava perché era fatta<br />
solo di concetti astratti. Sono comunque caduto<br />
sotto il suo charme. Era un<br />
uomo molto semplice, diretto<br />
e divertente, anzi divertentissimo.<br />
Era gentile con<br />
me e lo è rimasto anche<br />
quando ero all’«Express»<br />
che tacciava di giornale borghese.<br />
E borghese era il<br />
peggiore dei suoi insulti.<br />
È stato lui che ha fatto<br />
pubblicare il mio primo libro,<br />
mi ha incoraggiato e<br />
aiutato. In Vietnam ero potuto<br />
rimanere più a lungo<br />
grazie alla lettera che aveva<br />
scritto al primo ministro di<br />
Hanoi. Mi ricordo, eravamo<br />
a Roma, città che amava<br />
moltissimo. Eravamo seduti<br />
a un caffè di piazza<br />
Navona. Io ero in partenza<br />
per il Vietnam. Ha voluto<br />
subito aiutarmi scrivendo<br />
al suo amico. Ha strappato un pezzo della tovaglia<br />
di carta. E ha cominciato a scrivere. Simone<br />
de Beauvoir lo ha sgridato ricordandogli che la<br />
lettera era comunque indirizzata a un primo ministro,<br />
per comunista che fosse, e ha chiesto al<br />
cameriere di portare della carta da scrivere. È<br />
così che ho avuto la lettera che mi è poi servita<br />
per ottenere il rinnovo del visto.<br />
Sartre non era un buon oratore. Del resto<br />
diffidava degli scrittori che sanno parlare troppo<br />
bene. Era però spiritosissimo. Lo so che<br />
non si vede dai filmati. Faceva ridere alle<br />
lacrime, era pieno di "sense of humour", cosa<br />
rarissima per un intellettuale francese. Camus<br />
ne aveva poco e Malraux per niente. Sartre era<br />
come un torrente in piena, un fuoco d’artificio<br />
di parole, un funambolo delle parole. Dal nulla<br />
era capace di innalzare monumenti geniali. Mi<br />
ricordo che una volta partì dalle fotografie dei<br />
miei figli per lanciarsi in divertentissime teorie<br />
sulla loro personalità. Non c’entravano nulla<br />
con i miei figli, ma era stato magnifico.<br />
Era anche molto generoso e disinteressato.<br />
Non si è mai occupato di soldi. Non possedeva<br />
nulla. Per anni del resto ha abitato con sua madre,<br />
che era una donna gentilissima. Mi ricordo<br />
che al mio matrimonio con Anne Marie, che era<br />
la figlia del suo grande amico Paul Nizan, ci ha<br />
regalato un assegno generosissimo. Ma era soprattutto<br />
un genio. Aron mi ha detto un giorno<br />
«l’unica cosa che non si può dire di me è che non<br />
sono molto intelligente». Ecco la misura della<br />
differenza tra i due.<br />
Cosa rimarrà di Sartre, come politico, filosofo<br />
o scrittore? Penso che siamo entrati nella<br />
terza fase della sua valutazione. Dopo l’influenza<br />
straordinaria, una specie di amore/odio<br />
che ha suscitato in Francia e altrove, ha dovuto<br />
fare i conti con la storia, a differenza di Camus.<br />
Ora infine si va verso una revisione di<br />
Sartre e anche dei suoi rapporti con Simone de<br />
Beauvoir che non sembrano così idilliaci come<br />
si voleva far credere. Sappiamo ora della sua<br />
teoria dell’amore necessario e degli amori contingenti.<br />
E a che cosa ha portato.<br />
Era una coppia? Secondo alcuni studiosi tedeschi,<br />
no. Anche per me, perché una coppia che<br />
non ha più rapporti sessuali non è più una coppia.<br />
Ognuno faceva quel che voleva, soprattutto<br />
Sartre. Sul piano privato erano dei borghesi francesi<br />
o, meglio, parigini, dei professori che prendevano<br />
le vacanze a Natale, a Pasqua e in estate.<br />
Come politico ha preso cantonate catastrofiche,<br />
ma se è vero che si è sbagliato tantissimo,<br />
non bisogna dimenticare che a volte è stato coerente<br />
e lucido, come sul problema israelo-palestinese<br />
o il Biafra. Il suo anticolonialismo era in<br />
fondo giustificato anche se sbagliava nel modo<br />
Molti intellettuali comunisti nostrani vedevano<br />
in cambio in un incontro, diciamo così,<br />
Sartre-Togliatti, o nell’incontro tra un umanesimo<br />
esistenzialista e un marxismo non<br />
dogmatico, la soluzione delle difficoltà che<br />
il marxismo incontrava di fronte alle sue<br />
manipolazioni orientali e partitiche o di fronte<br />
a una modernità recalcitrante rispetto alle<br />
sue previsioni. Ma non bastava, e se ne ebbe<br />
ben presto la prova, dopo il quasi idillio che<br />
durò fino al ’68.<br />
La sua opera letteraria e teatrale, sottoposta<br />
alla missione di spiegare la sua filosofia, fu<br />
certamente inferiore a quella teorica e critica,<br />
con le auree eccezioni di La nausea, non<br />
fosse che per la sua grande importanza storica<br />
(1938! Titolo originale: Melancholia) e di<br />
quel piccolo capolavoro che fu Le parole<br />
(1963, da cui l’anno successivo il Nobel, che<br />
ostentatamente rifiutò; nel ’69 lo avrà Beckett,<br />
che è sepolto a Montparnasse non lontano<br />
da lui e che fu così diverso da lui in tutto,<br />
e che, senza clamori, non andò a ritirarlo).<br />
Per Camus la cultura era stata una conquista,<br />
una battaglia per la vita e per la conoscenza,<br />
per Sartre un privilegio di nascita, di cui<br />
aveva piena coscienza. Forse anche per questo<br />
la sua etica dell’impegno si fondò<br />
sull’azione, sul fatto di poter giustificare la<br />
propria esistenza solo nel fare, sulla scelta di<br />
campo. Noi siamo le nostre azioni, sono le<br />
nostre azioni a giustificarci, noi «condannati<br />
a essere liberi» e che abbiamo paura della<br />
libertà. Sarte fu, dicono i francesi, «l’ultimo<br />
degli intellettuali totali». I suoi pregi e i suoi<br />
limiti dipesero dalla sua scelta di essere tale.<br />
Il suo capolavoro<br />
letterario resta «Le parole».<br />
L’«Essere e il nulla»<br />
è condannato all’oblio.<br />
Dai ricordi personali<br />
del suo biografo emerge<br />
uno straordinario senso<br />
dell’umorismo.<br />
E una completa<br />
ignoranza dell’economia<br />
di predicarlo: come diceva Raymond Aron «aveva<br />
un accento fascisteggiante». Aveva una veduta<br />
totale e totalitaria, una concezione del mondo<br />
sempre più rigida. «Pensava contro se stesso»,<br />
come amava dire, ma anche «contro i fatti»,<br />
come è avvenuto con l’Urss o Cuba dove non<br />
aveva visto che i russi non avevano libertà e i<br />
cubani neanche lo zucchero.<br />
L’impegno politico fa parte della tradizione<br />
francese, basta pensare a Voltaire, Zola o Aragon.<br />
Comunque Sartre è arrivato alla politica<br />
tardi, e senza aver partecipato alla Resistenza.<br />
All’economia, invece, secondo me non c’è mai<br />
arrivato; anche perché non faceva parte del bagaglio<br />
culturale della sua generazione. Bisogna pensare<br />
ad esempio che il primo<br />
settimanale ad avere pa-<br />
gine economiche è stato<br />
l’«Express». Di economia<br />
era veramente ignorante.<br />
Dubito che abbia mai letto<br />
veramente Marx. O Keynes.<br />
Di Marx amava in realtà<br />
il messianismo.<br />
Come filosofo, che era<br />
ciò cui teneva di più, penso<br />
che non rimanga molto. Mi<br />
sembra che non interessi<br />
più. I giovani — ma forse è<br />
solo una mia impressione<br />
— non ci trovano più nulla.<br />
Non penso che nei Paesi anglosassoni<br />
comunque abbia<br />
mai avuto lo stesso peso<br />
che in Francia dove è stato<br />
considerato il più grande<br />
pensatore del secolo. Nelle<br />
sue opere filosofiche, la storia<br />
comincia a classificare soprattutto i passaggi<br />
psicologici. Ma dubito che le sue trovate come il<br />
famoso «Garçon de café» nell’Essere e il nulla<br />
permettano di capire il mondo di oggi.<br />
Passiamo allo scrittore, che io definisco<br />
"écrivain-artiste", un termine che lui avrebbe<br />
odiato. Alcune opere restano. Le parole sono<br />
letterariamente magnifiche. Sartre, come mi ha<br />
detto Robert Gallimard, lavorava molto sui<br />
testi letterari anche se era persuaso di essere<br />
prima di tutto un filosofo. Amava le parole e<br />
riusciva a scrivere anche per 14 ore di seguito.<br />
Le parole lo ha scritto per guadagnare. Per me<br />
è un libro bello come La caduta di Camus, il<br />
libro che Sartre diceva di preferire perché «ci<br />
si è messo e nascosto tutto intero». Per me lo<br />
stesso vale per Le parole.<br />
Secondo me Sartre è stato un genio, se non<br />
altro per la molteplicità delle sue attività. Oggi<br />
bisogna tornare su Sartre tenendo conto che<br />
era una personalità più complessa, ondeggiante,<br />
con vene di cattiveria. Penso che amasse<br />
l’umanità ma non gli uomini. Ha ferito profondamente<br />
Camus e ha mezzo accoppato Genet,<br />
che pure aveva lanciato. Dopo il suo libro<br />
Saint Genet comédien et Martyr Genet non ha<br />
scritto per anni. Mi ricordo quando ha consegnato<br />
il libro. Dovevano essere 50 pagine ed<br />
erano invece 700, un misto di lodi e critiche<br />
feroci. Eravamo a colazione da Lipp, con mia<br />
moglie. Sembrava un bambino che avesse appena<br />
rubato la marmellata.<br />
Cosa amava? Suonare il clavicembalo, la<br />
filosofia tedesca, il romanzo americano, Flaubert,<br />
i gialli. Verso l’America aveva un po’ la<br />
stessa opinione che hanno i francesi ancora<br />
adesso, che ne condannano la politica ma impazziscono<br />
per il cinema e la pittura americani.<br />
Lui si appassionava per il romanzo americano<br />
e nei suoi Chemins de la liberté è evidente<br />
l’influenza di Dos Passos.<br />
Cosa rimarrà di Sartre, un essere che considero<br />
più indecifrabile di Mitterrand? Oltre alla letteratura,<br />
anche il suo genio di essere sempre a<br />
metà nel giusto e a metà nel torto. Penso che sia<br />
giunto il momento di ripensare a ciò che di Sartre<br />
vada conservato e cosa respinto. Se è vero che si<br />
può fare facilmente un’antologia delle sue sciocchezze,<br />
si può fare anche un dizionario dei suoi<br />
colpi di genio. Sartre è stato un "maître à penser"<br />
che ha pesato enormemente sul suo secolo; almeno<br />
in Francia. Al di fuori di essa, penso molto<br />
meno, almeno per quello che riguarda i Paesi<br />
anglosassoni. Sartre comunque, non solo se ne<br />
infischiava di quello che scrivevano su di lui, ma<br />
non aveva alcun senso della posterità. Tanto è<br />
vero che ha rifiutato il Nobel.<br />
(Testo raccolto da Benedetta Gentile)<br />
Franco<br />
Sabatelli<br />
cornici antiche<br />
SARTRE, 1905-1980<br />
F igura<br />
emblematica dell’esistenzialismo<br />
francese, Jean Paul Sartre<br />
nasce il 21 giugno del 1905 a<br />
Parigi da una famiglia della borghesia<br />
intellettuale. Fu il nonno materno, Charles<br />
Schweitzer, a influenzare le prime<br />
fasi della formazione del giovane Sartre,<br />
permettendogli di attingere per le<br />
sue letture dalla biblioteca di casa. Dopo<br />
aver frequentato il liceo di La Rochelle,<br />
nel 1924 si iscrive all’École Normale<br />
di Parigi, dove studia filosofia e psicologia.<br />
Sarà proprio in questi anni (dal<br />
1924 al 1928) che conoscerà Paul Nizan,<br />
Maurice Merleau-Ponty e Raymond<br />
Aron che diventeranno per lui<br />
punti di riferimento fondamentali. A<br />
questo periodo è anche legato l’incontro<br />
con Simone de Beauvoir che rimarrà<br />
la sua compagna per tutta la vita.<br />
Dopo aver insegnato filosofia al liceo<br />
di Le Havre fino al 1933, una borsa di<br />
studio lo porta all’Istituto francese di<br />
Berlino, dove assiste alla presa del potere<br />
da parte dei nazisti e si avvicina<br />
alla filosofia di Edmund Husserl, Martin<br />
Heidegger e Max Scheler. Alla fenomenologia<br />
di Husserl e all’esistenzialismo<br />
di Heidegger si ispirerà la sua intera<br />
opera filosofica che comincia con una<br />
serie di ricerche in psicologia fenomenologica.<br />
Richiamato alle armi, nel<br />
1940 viene fatto prigioniero dai tedeschi<br />
a Padoux in Lorena e internato a<br />
Treviri. Nel 1945 Sartre decide di dedicarsi<br />
interamente alla letteratura fondando,<br />
insieme a Simone de Beauvoir,<br />
Merleau-Ponty e Aron, la rivista «Les<br />
Temps Modernes». Nei decenni che seguono<br />
cresce il suo impegno politico<br />
nelle file del Partito comunista francese,<br />
del quale diviene la voce critica.<br />
Nel 1964 gli viene assegnato il premio<br />
Nobel per la letteratura, ma, con<br />
un gesto clamoroso, Sartre lo rifiuta.<br />
Le lotte studentesche del ’68 lo coinvolgono<br />
in prima persona e, sempre<br />
più vicino all’estrema sinistra, negli<br />
anni 70 è tra i fondatori del quotidiano<br />
«Libération». Muore a Parigi, in rue<br />
Bonaparte nel quartiere latino, il 15<br />
aprile 1980. (G.Gu)<br />
LE OPERE<br />
F ilosofo<br />
di formazione, ma esperto<br />
nei più diversi generi letterari, dal<br />
saggio, al romanzo e ai testi teatrali,<br />
Jean Paul Sartre inizia la sua attività<br />
di scrittore pubblicando studi di<br />
psicologia fenomenologica, L’immaginazione<br />
(1936, traduzione italiana Bompiani,<br />
2004) e La trascendenza dell’ego<br />
(1937, Egea 1992) di evidente influenza<br />
husserliana. Sarà poi La nausea nel<br />
1938 (Einaudi) a segnare il suo ingresso<br />
nel mondo della letteratura. Romanzo<br />
e racconto filosofico allo stesso tempo,<br />
anticipa alcune delle tematiche principali<br />
della sua filosofia, attraverso la<br />
voce del protagonista Antoin Roquentin<br />
che percepisce nell’esperienza rivelatrice<br />
della nausea l’assurdità e la contingenza<br />
del reale. Gli stessi temi, se pur<br />
in una forma più letteraria, sono ripresi<br />
un anno più tardi nei cinque racconti<br />
de Il Muro, pubblicato nel 1939 (traduzione<br />
italiana Einaudi, 1995), che descrive<br />
anch’esso i limiti della condizione<br />
umana. L’essere e il nulla del 1943 (Il<br />
Saggiatore, 2002) analizza i concetti<br />
che diverranno i capisaldi dell’esistenzialismo.<br />
Dello stesso anno è la sua<br />
prima pièce teatrale drammatica, Le<br />
mosche. Testi letterari, politici e filosofici<br />
verranno pubblicati nei numeri della<br />
rivista «Les Temps Modernes». Nel<br />
1945 escono L’età della ragione (Bompiani,<br />
2001), Il rinvio (Mondadori, 2001)<br />
e l’atto unico A porte chiuse. È del ’46 il<br />
saggio L’esistenzialismo è un umanismo<br />
(Mursia, 1990) in cui Sartre cerca<br />
di indirizzare le sue idee su tesi meno<br />
pessimistiche rispetto alle precedenti,<br />
riconoscendo all’uomo la libertà di creare<br />
il proprio destino e di esserne responsabile.<br />
Ma nella sua ultima e significativa<br />
opera filosofica, la Critica della ragione<br />
dialettica del 1960 (Il Saggiatore,<br />
1963) tornano i due concetti dominanti<br />
del pensiero sartriano: l’esistenzialismo<br />
e il marxismo in un confronto critico.<br />
Nel 1964, anno del rifiuto del Nobel,<br />
esce Le parole (Il Saggiatore) (G.Gu.)<br />
milano<br />
via fiori chiari, 5<br />
tel. (02) 8052688<br />
fax (02) 809228<br />
www.sabatelli.com
C<br />
+<br />
B<br />
+<br />
Domenica 14 Agosto 2005 - N. 222 Pagina 29<br />
a pag.37<br />
di Giuseppe Tucci<br />
La nuda<br />
verità<br />
di Vienna<br />
Un’irrequietezza mai sazia<br />
mi ha condotto al<br />
vagabondaggio fin<br />
dall’infanzia, in quella mia terra<br />
marchigiana conclusa fra il<br />
mare volubilissimo e la montagna<br />
aspra della Sibilla che commossero,<br />
ancor fanciullo, il poeta<br />
a me fra tutti carissimo.<br />
[...] E che pensieri immensi,<br />
/ che dolci sogni mi spirò<br />
la vista / di quel lontano mar,<br />
quei monti azzurri, / che di<br />
qua scopro, e che varcare un<br />
giorno / io mi pensava, arcani<br />
mondi, arcana / felicità fingendo<br />
al viver mio!<br />
Da quando cominciai ad<br />
aver uso di ragione, appena<br />
mio padre me lo permise — e<br />
ricordo ancora l’attesa della<br />
prima evasione da solo compiuta<br />
— correvo senza meta<br />
fra l’intrico dei<br />
viottoli che solcano<br />
le nostre<br />
colline protese,<br />
come apparvero<br />
al Carducci, a<br />
congiungere<br />
quel mare e quei<br />
monti, quasi che<br />
in me si destasse<br />
o ravvivasse<br />
o raccogliesse la<br />
inquietudine nativa<br />
e acuta nella<br />
mia gente,<br />
che congiuntasi<br />
poi a zelo apostolico<br />
la mosse<br />
a valicare gli oceani convogliandola<br />
soprattutto verso<br />
quelle terre d’Asia dove da<br />
Matteo Ricci a Beligatti, nella<br />
Cina e nel Tibet moltissimi mi<br />
precedettero.<br />
E sempre mi è restato per<br />
questo amore dei luoghi aperti<br />
e dei vasti orizzonti un senso<br />
d’uggia e di fastidio per la<br />
casa; la quale a me è sempre<br />
apparsa come il punto di convergenza<br />
di tutte le limitazioni<br />
e fastidi e noie di cui quell’acidiosissima<br />
cosa che diciamo<br />
civiltà sempre più ci preme e<br />
intristisce: e più di una volta<br />
mi accadde di comprendere e<br />
quasi di giustificare quella subita<br />
esplosione di rabbia o di<br />
risentimento che non di rado<br />
induce i poco pazienti o i troppo<br />
violenti a tagliar corto e ad<br />
appiccar fuoco alla casa nella<br />
speranza o nell’illusione di<br />
riacquistare una libertà minacciata<br />
o perduta.<br />
Voi vedete che con questa<br />
confessione vi ho già detto che<br />
se la scienza mi ha sospinto<br />
sulle ardue e faticose vie<br />
dell’Asia, non c’è tuttavia dubbio<br />
che lo sprone della scienza<br />
secondava in me una nativa volontà<br />
d’evasione, un istintivo<br />
amore della libertà e dello spazio,<br />
il capriccio del fantasticare<br />
e del sognare che lo si soddisfa<br />
lontano dall’umano consorzio,<br />
quando si è soli fra la terra e il<br />
cielo, oggi qui domani là in un<br />
paesaggio quotidianamente<br />
nuovo, tra gente nuova, ma radicata<br />
dappertutto su questa terra<br />
antica dove anche gli uomini<br />
d’oggi sono la creazione inconsapevole<br />
di una tradizione<br />
millenaria e le vestigie del passato<br />
narrano a chi sappia interrogarle<br />
i drammi delle vicende<br />
trascorse, i sogni vani o le speranze<br />
eterne.<br />
Detto questo non vi sorprenderà<br />
se la congiunta istigazione<br />
della scienza e della libertà<br />
mi abbia condotto per quattordici<br />
volte sul Tetto del Mondo<br />
e sulle contrade vicine dal Sicchim<br />
al Caracorum, dall’Assan<br />
al Nepal, dalla giungla<br />
dell’India a Lhasa. Diciottomila<br />
chilometri percorsi a piedi<br />
di Flavia Foradini<br />
di Riccardo <strong>Chiaberge</strong><br />
diventato tutt’uno con<br />
essi, solo europeo alla lo-<br />
«Ero<br />
ro mercé, nel loro stesso<br />
paese, vivevo la loro stessa vita»:<br />
così dice di sé, «tibetano tra i tibetani»,<br />
l’orientalista Giuseppe Tucci,<br />
nel libro di cui anticipiamo uno<br />
stralcio in questa pagina. Come lui<br />
erano numerosi, negli anni Trenta<br />
del 900, gli intellettuali che si aggregavano<br />
alle carovane dei<br />
nomadi o si rifugiavano in<br />
qualche isola tropicale per<br />
guarire dalla «tumultuosa irrequietezza»<br />
dell’Occidente. Un<br />
ritorno alla natura che, come<br />
ci racconta Melania Mazzucco<br />
a pag. 31, non era privo di<br />
risvolti irrazionali e poteva anche<br />
sfociare in tragedia. Ma<br />
che differenza rispetto alla maniera<br />
di viaggiare di oggi, descritta<br />
con cruda efficacia da<br />
Michel Houellebecq nel romanzo<br />
Piattaforma (Bompiani<br />
2001): il turismo dei villaggi<br />
clonati dove si fanno e si mangiano<br />
ovunque le stesse cose,<br />
da Marrakech a Santo Domingo,<br />
gite in piroga o in mongolfiera,<br />
abbuffate di montone, gare di fuoristrada,<br />
senza mai entrare in contatto<br />
con la gente e la cultura del<br />
luogo: con quella che Elémire Zolla<br />
chiamava l’aura. Il viaggio, come<br />
lo intendeva Tucci, era soprattutto<br />
un’avventura della mente e<br />
dello spirito, uno scavalcamento di<br />
frontiere, un’immersione totale in<br />
altri universi e altre civiltà.<br />
Se domenica scorsa Remo Bodei<br />
ci ha spiegato che la paura<br />
può diventare arma politica al<br />
servizio di tiranni e fanatici, in<br />
questo numero di mezza estate vi<br />
proponiamo un’arma di difesa, il<br />
vero antidoto alla paura: la ricerca,<br />
la sete di conoscenza, la voglia<br />
di spingersi oltre il limite.<br />
Non soltanto in senso geografico,<br />
ma scientifico, artistico, religioso.<br />
Il terrorismo non fa alcuna<br />
distinzione tra Tucci e i tour<br />
operator e se ne infischia delle<br />
aure. Ci vuole immobilizzare tutti<br />
quanti, viaggiatori d’élite e turisti<br />
per caso, consumisti e scienziati,<br />
in un campo di concentramento<br />
globale. Possiamo, dobbiamo<br />
reagire in un solo modo: ricacciando<br />
indietro la paura e restando<br />
fedeli, come Ulisse, al nostro<br />
«destino itinerante».<br />
in una delle contrade più fascinose<br />
del mondo, dove l’uomo<br />
umiliato dalla immensità e dai<br />
silenzi in ogni luogo immagina<br />
o sospetta presenze divine,<br />
invisibili ma certe; e circa otto<br />
anni, come dicevo, passati in<br />
Le porte<br />
del possibile<br />
a pag.38<br />
tenda, senza tener conto delle<br />
molte settimane all’addiaccio<br />
nella pianura dell’India, nei<br />
lenti pellegrinaggi ai luoghi<br />
santi della tradizione religiosa,<br />
il vagabondaggio nella calura<br />
tropicale seguendo il serpeg-<br />
Continuano le fantacronache<br />
dal futuro<br />
dei fumettisti belgi<br />
François Schuiten e<br />
Benoît Peeters, che il<br />
nostro supplemento<br />
pubblica fino al 4<br />
settembre: una serie<br />
di ironici scenari sul<br />
mondo che ci aspetta,<br />
sotto forma di pagine<br />
illustrate di un<br />
immaginario quotidiano.<br />
Questa puntata, datata<br />
11 aprile 2037, racconta<br />
del mirabolante<br />
progetto dell’architetto<br />
Tuttsass: la Roccia Abitabile<br />
di Milapoli.<br />
Se il Barbiere<br />
diventa<br />
imprevedibile<br />
di Carla Moreni<br />
giare sinuoso degli argini delle<br />
risaie, e quando l’aria era<br />
troppo cocente, le peregrinazioni<br />
notturne al chiaro di luna<br />
e la sosta diurna sotto l’ombra<br />
larga degli alberi di mango, in<br />
quell’orizzontalità assoluta del-<br />
a pag.39<br />
la terra indiana, levigata come<br />
un mare pietrificato, in un<br />
combaciamento liscio e perfetto<br />
della terra e del cielo.<br />
Vi dico subito che non ho<br />
mai amato le spedizioni numerose:<br />
uno o due compagni al<br />
Il primo<br />
film<br />
d’animazione<br />
di G. Bendazzi<br />
massimo; un medico e un fotografo:<br />
un fotografo perché fra<br />
me e la macchina, anche una<br />
macchina così semplice come<br />
la fotografica, esiste una incompatibilità<br />
assoluta; un medico<br />
per il soccorso dei carova-<br />
nieri e soprattutto perché il<br />
medico con i suoi interventi in<br />
luoghi deserti di ogni assistenza,<br />
attenua le innate diffidenze.<br />
Ma sono andato anche solo,<br />
anzi proprio in alcune delle<br />
più lunghe e pericolose spe-<br />
a pag.39<br />
«Diciottomila chilometri percorsi a piedi dal Sicchim al Caracorum, dall’Assan al Nepal. I mezzi<br />
meccanici sono un’illusione di libertà. Con una carovana vi sentite padroni del mondo»<br />
Il Tar del<br />
Lazio ferma<br />
lo Shuttle<br />
di Gene Gnocchi<br />
SPECIALE ESPLORATORI - Guida ferragostana alle frontiere inviolate e ai grandi pionieri della conoscenza. A partire da Giuseppe Tucci e dal suo Tibet<br />
SUL TETTO DELL’ANIMA<br />
«L’uomo<br />
cominciò<br />
con l’essere<br />
un nomade.<br />
La bramosia<br />
di muoverci<br />
apre<br />
la mente»<br />
QUESTO NUMERO<br />
Il viaggio<br />
come<br />
ricerca<br />
La catena montuosa dei monti Kailas, Tibet<br />
(Corbis). A destra, Giuseppe Tucci in<br />
compagnia di una guida tibetana (foto tratta<br />
dal libro Il paese delle donne dai molti mariti,<br />
di prossima uscita da Neri Pozza editore)<br />
Studioso del subcontinente indiano<br />
e del Tibet, ma anche dell’Asia<br />
orientale come pochissimi al mondo<br />
nel secolo scorso, Giuseppe Tucci<br />
nasce a Macerata il 5 giugno 1894.<br />
Combatte nella Prima guerra mondiale,<br />
si laurea a Roma nel 1919, inizia la<br />
carriera di docente proprio in India<br />
(1925-1930), dove fra l’altro collabora<br />
con il grande poeta R. Tagore e conosce<br />
il Mahatma Gandhi. Rientrato in<br />
Italia, dopo un biennio all’Istituto universitario<br />
orientale di Napoli, dal 1932<br />
insegna all’ateneo romano. Precoci e<br />
ripetute le grandi missioni di studio da<br />
A PAGINA 40 ALL’INTERNO<br />
Bibbia<br />
e sacco<br />
sulle spalle<br />
Floreana,<br />
il diavolo<br />
in Paradiso<br />
Il Marco<br />
Polo<br />
degli arabi<br />
TRA DUE CONTINENTI<br />
lui guidate: otto nel solo Tibet, all’epoca<br />
pressoché inesplorato, concluse già<br />
nel 1948, quasi altrettante in Nepal fra<br />
il ’50 e il ’54. Seguono le campagne<br />
archeologiche in Pakistan, Afghanistan<br />
e Iran.<br />
Come i suoi viaggi, anche l’attività<br />
di studioso e di uomo di cultura ricopre<br />
estensioni vastissime: la sua produzione<br />
specialistica, ma anche saggistica,<br />
è dedicata non solo al Tibet e<br />
all’India in senso lato, ma anche alla<br />
Cina, al Giappone e all’Asia in generale,<br />
e spazia dall’archeologia alla filosofia<br />
(indiana e cinese), dall’interpreta-<br />
Mi scusi,<br />
è questo<br />
il Bar Gello?<br />
zione dei màndala, i celebri diagrammi<br />
utilizzati per la meditazione,<br />
all’edizione critica di manoscritti, alle<br />
note di viaggio. Di queste note l’editore<br />
Neri Pozza si appresta a pubblicare<br />
una raccolta sotto il titolo Il paese<br />
delle donne dai molti mariti (pagg.<br />
286, À 17,50, in libreria ai primi di<br />
settembre), di cui pubblichiamo uno<br />
stralcio in questa pagina.<br />
Europa e Asia formano per Giuseppe<br />
Tucci «fin dal delinearsi dei primi<br />
moti umani, un’unità così compatta<br />
che non sembra più il caso di seguitare<br />
a discorrerne come di due continenti<br />
a pag. 30 a pag. 31 a pag. 32 a pag. 33 pagg. 34-35<br />
Ecco<br />
la mia<br />
frontiera<br />
di G. Ravasi di M. Mazzucco di F. Cardini di L. Leonelli di Autori Vari<br />
separati». Per favorire la diffusione di<br />
questa attitudine, fonda nel 1933 insieme<br />
con Giovanni Gentile l’Istituto per<br />
il Medio ed Estremo Oriente (IsMEO),<br />
e la cui attività è continuata ora<br />
dall’Istituto italiano per l’Africa e<br />
l’Oriente (IsIAO). Recentemente è stato<br />
intitolato a Giuseppe Tucci, scomparso<br />
il 5 aprile 1984 a San Polo dei<br />
Cavalieri presso Tivoli, il Museo nazionale<br />
d’arte orientale; una convenzione<br />
lo lega appunto all’IsIAO di cui ospita<br />
le opere d’arte, provenienti in grande<br />
misura dagli scavi effettuati a suo tempo<br />
in Iran, Afghanistan e Pakistan.<br />
(Giuliano Boccali)<br />
dizioni, e quando mi avvenne<br />
di cader malato nel deserto di<br />
More a circa 4.800 metri, l’ufficio<br />
del medico che non c’era<br />
fu disimpegnato dallo stregone<br />
di un accampamento di nomadi,<br />
che o per caso o per peri-<br />
zia o per magico intervento in<br />
due giorni mi rimise in sesto.<br />
Per magico intervento, sospetto,<br />
perché egli raccoltosi in meditazione<br />
m’assicurò che io avevo<br />
piantato la tenda sopra la<br />
dimora di uno spirito sotterraneo<br />
e che pertanto questi corrucciato<br />
e offeso per la violazione<br />
involontaria, mi aveva punito<br />
con la malattia; perché, secondo<br />
i tibetani, le malattie da<br />
due cause possono nascere: o<br />
da squilibrio degli umori o da<br />
interventi di demoni.<br />
Ma torniamo a noi: quella<br />
spedizione durò oltre un anno;<br />
percorsi più di quattromila<br />
chilometri solo. Voi sapete<br />
che a molti la solitudine,<br />
a lungo andare, riesce<br />
intollerabile e più d’un<br />
viaggiatore ho incontrato<br />
che s’affrettava a tornare<br />
indietro preso quasi da<br />
vertigine innanzi a quelle<br />
voragini di silenzio e<br />
di deserto. Non a me;<br />
anzi vi dico subito che la<br />
solitudine mi è sempre apparsa<br />
la miglior consigliera<br />
e amica: estingue le diffidenze,<br />
i sospetti, quello<br />
stato di allarme continuo<br />
che, nella vita consociata,<br />
per la necessità della difesa e<br />
della vigilanza, rendono l’uomo<br />
guardingo: la vita<br />
all’aria aperta, fra gli alberi<br />
o le rocce, sotto il sole<br />
o lo stupore freddo della<br />
luna, restituisce all’uomo<br />
una serenità innocente.<br />
Queste città rimbombanti<br />
di rumori e stridori<br />
e scoppiettii, la corsa<br />
obbligata fra mura e rotaie,<br />
il necessario incedere a<br />
testa china nei lunghi corridoi<br />
delle strade che tagliano<br />
il cielo a fette, soprattutto<br />
il vivere inconsapevoli<br />
delle vicende della Gran<br />
Madre comune, privano<br />
l’uomo di resistenze fisiche<br />
necessarie, logorano<br />
i nervi, intossicano<br />
lo spirito, ingombrano<br />
la mente di curve vane.<br />
L’uomo cominciò con l’essere<br />
un nomade; questo modo<br />
antico depositato in fondo al<br />
nostro subconscio monta spesso<br />
alla superficie con i suoi<br />
capricci archetipali e con la<br />
bramosia del viaggiare che<br />
sboccia in noi con il lume della<br />
ragione e ci accompagna<br />
per tutta la vita. E ne giova<br />
perché apre la mente.<br />
Però stiamo attenti: il viaggiare<br />
con i mezzi meccanici<br />
che traduce in termini moderni<br />
il nomadismo ancestrale,<br />
se ben considerate, è soltanto<br />
illusione di libertà, soggetto<br />
com’è al vincolo degli orari,<br />
ai posti negli alberghi, ai programmi<br />
certi, onde diviene<br />
piuttosto prigionia dalla partenza<br />
all’arrivo, senza evasione<br />
di soste o divari; persino<br />
l’automobile ci incatena per<br />
l’incanto della corsa, perché<br />
occorre sempre uno sforzo<br />
per sottrarsi alla malia della<br />
velocità e ubbidire all’invito<br />
di una rovina o al richiamo di<br />
un orizzonte aperto. Ma quando<br />
avete una carovana tutto è<br />
diverso; vi sentite padroni del<br />
mondo: i padri antichi che<br />
vennero forse dall’Asia a popolare<br />
la squallida Europa, rivivono<br />
in voi, vi sentite parenti<br />
di conquistatori primordiali;<br />
oggi qui domani non sapete<br />
dove, dove c’è erba e acqua<br />
o dove vi incanta la bellezza<br />
dei luoghi, la maggior<br />
delizia per il poeta che in fondo<br />
a noi, se non siamo divenuti<br />
come i bruti torpidi e sprovveduti,<br />
sempre vigila e sogna.<br />
Soltanto allora trovate e godete<br />
la libertà.<br />
M<br />
+<br />
Y<br />
+
Pagina 38 — Domenica 28 Agosto 2005 - N. 235 PERSONAGGI<br />
Il Sole-24 Ore<br />
G IORNALISMO E TOTALITARISMI / 1<br />
Un piccolo vademecum di brani scelti per restituire ai lettori lo spirito autonomo e sagace del grande polemista<br />
Longanesi si difende dai suoi fan<br />
di Leo Longanesi<br />
Borghesi e proletari<br />
«Fino a cent’anni fa, nessuno restava<br />
offeso a sentirsi chiamare "borghese":<br />
borghese era un titolo, una condizione<br />
onorevole che nessuno rifiutava; i borghesi<br />
non si credevano aggettivi dispregiativi<br />
della storia, ma sostantivi, nobili,<br />
validi, gloriosi sostantivi. Poi la parola<br />
"proletario" li sommerse. Cinquant’anni<br />
di polemica, di insulti, di risse, di sangue<br />
costrinsero i borghesi a soffiarsi il naso<br />
nella loro bandiera. E si disse: vile borghese.<br />
La prudenza borghese, l’onestà<br />
borghese, la dignità borghese furono dipinte<br />
come soprusi fatti al povero, al<br />
proletario, al popolo sovrano. E cominciò<br />
la grande kermesse plebea, la grande<br />
stagione lirica del coro politico, l’ora<br />
delle idee cantate, il tempo canoro del<br />
socialismo» (Borghese e proletario, «il<br />
Borghese», 1º aprile 1950).<br />
Elogio della povertà<br />
«La miseria [...] è ancora l’unica<br />
forza vitale del paese e quel poco o<br />
molto che ancora regge è soltanto frutto<br />
della povertà.<br />
Bellezze dei luoghi, patrimoni artistici,<br />
antiche parlate, cucina paesana, virtù<br />
civiche e specialità artigiane sono custoditi<br />
soltanto dalla miseria. Dove essa è<br />
sopraffatta dal sopraggiungere del capitale,<br />
ecco che si assiste alla completa rovina<br />
di ogni patrimonio artistico e morale.<br />
Perché il povero è di antica tradizione e<br />
vive in una miseria che ha antiche radici<br />
in secolari luoghi, mentre il ricco è di<br />
fresca data, improvvisato, nemico di tutto<br />
ciò che lo ha preceduto e che l’umilia.<br />
La sua ricchezza è stata facile, di solito<br />
nata dall’imbroglio, da facili traffici, sempre,<br />
o quasi, imitando qualcosa che è<br />
nato fuori di qui. Perciò, quando l’Italia<br />
sarà sopraffatta dalla finta ricchezza che<br />
già dilaga, noi ci troveremo a vivere in<br />
un paese di cui non conosceremo più né<br />
il volto né l’anima» (La sua signora, 7<br />
gennaio 1957).<br />
«Popolare»<br />
«Ed eccola qui l’Italia che ci hanno<br />
dato: [...] una nazione progressista che<br />
ha collocato il suo progresso nell’aggettivo<br />
"popolare". [...]<br />
"Popolare" è l’aggettivo che giustifica<br />
ogni danno, ogni malestro, ogni infrazione,<br />
ogni corruzione.<br />
L’autorità discorre come i capi partito,<br />
in un linguaggio "popolare" miserevole,<br />
assecondando i vizi e i desideri<br />
dei più, contro i propri principi e la<br />
propria dignità: essa parla del cinema,<br />
della radio, del ballo, dell’utero, del<br />
turismo, del frigidaire, come se il mondo<br />
si reggesse soltanto su questi apparecchi,<br />
su queste novità, su queste abitudini.<br />
Il popolare, il popolare democratico<br />
è soltanto fumetto, è un modo di<br />
raccogliere consensi in maniera facile,<br />
assecondando quel che non va assecondato;<br />
è un modo di rendere facile quel<br />
che non deve essere facile: è una vile<br />
maniera di illudere i più a loro danno.<br />
E i più credono di progredire soltanto<br />
perché a loro ci si appella» (Fortuna<br />
di un aggettivo, «il Borghese», 11<br />
maggio 1956).<br />
Lo sviluppo insostenibile<br />
«Malinconia grande, che ci stringe il<br />
cuore mentre percorriamo la Riviera di<br />
Ponente, da Ventimiglia a Genova. Erano<br />
parecchi anni che non facevamo quella<br />
linea, [...] e restiamo abbruttiti da<br />
quell’impoverimento progressivo e irrecusabile,<br />
di tutta la regione litoranea. [...]<br />
Noi siamo veramente un "popolo di<br />
costruttori" [...]. Abbiamo qui costruito e<br />
costruiamo a dosso e bisdosso, senza una<br />
preoccupazione al mondo, senza un ritegno<br />
e un po’ di tutto alla rinfusa: casone<br />
in stile razionale per bagnanti, Ina-case e<br />
villini a serie per i meno abbienti, ville<br />
sfacciate per i nuovi ricchi e gallinai<br />
pretenti per i nuovi poveri, e tutto brutto,<br />
e tutto ben vicino al mare [...]. Le antiche<br />
villone del Settecento, che furono un<br />
giorno l’ornamento di questa riviera, sono,<br />
in mezzo a questo bailamme televisivo,<br />
come signore bennate decadute fino<br />
a battere il marciapiede» (Cemento e Cartone,<br />
«il Borghese», 4 marzo 1955).<br />
Beni culturali<br />
«Alla manutenzione, l’Italia preferisce<br />
l’inaugurazione» (La sua signora, 3 agosto<br />
1955).<br />
Televisione<br />
«Si discorreva, ieri sera, del più e del<br />
meno con tanto disinteresse, che alla fine<br />
ci sembrò di avere ascoltato solo un ronzio.<br />
Era il ronzio mondano di una borghesia<br />
che si avvia a rinunciare all’uso della<br />
parola, per dedicarsi soltanto alla televisione»<br />
(La sua signora, 15 marzo 1955).<br />
«Non ho mai assistito a una trasmissione<br />
televisiva e mai vi assisterò» (così<br />
Longanesi rispose a un’inchiesta di «Epoca»,<br />
13 novembre 1955).<br />
«Una bomba al tritolo reca meno danno<br />
di una trasmissione televisiva» (La<br />
sua signora, 8 gennaio 1956).<br />
Leo Longanesi<br />
(Effigie)<br />
Il cinema<br />
«Il cinematografo ha fatto luce su molti<br />
misteri e la fantasia plebea ha perduto<br />
vigore, sedotta dalla immagine di un benessere<br />
facilmente raggiungibile. Il film<br />
ha compiuto una rivoluzione sociale ben<br />
più profonda di quella di Lenin; esso ha<br />
ucciso persino gli ideali ribelli del romanticismo<br />
operaio» (La sua signora, 15<br />
marzo 1955).<br />
Libera Chiesa in libero<br />
Stato?<br />
«La Repubblica italiana, dopo dieci<br />
anni, appare sempre più nettamente come<br />
una fictio juris dietro la quale, nella<br />
pienezza del recuperato potere imperiale,<br />
lo Stato vaticano non si nasconde più»<br />
(Quale Repubblica?, «il Borghese», 25<br />
maggio 1956).<br />
A MARCORD DI REDAZIONE<br />
di Giovanni Russo<br />
Di Longanesi ho sentito<br />
sempre parlare nella redazione<br />
del «Mondo» e<br />
dagli intellettuali romani che frequentavo<br />
negli anni Cinquanta,<br />
Ennio Flaiano, Sandro De Feo,<br />
Ercole Patti e naturalmente Indro<br />
Montanelli. L’ho incontrato<br />
insieme con Mario Pannunzio e<br />
Vitaliano Brancati al Caffè Rosati<br />
di via Veneto, una sera di<br />
agosto. Ricordo che mi colpì la<br />
somiglianza fisica con altri personaggi<br />
celebri come Mino Maccari<br />
e Amerigo Batoli perché era<br />
basso di statura come loro e si<br />
muoveva con scatti nervosi. Nel<br />
«Mondo», anche se aveva una<br />
linea politica che fortemente dis-<br />
«I nostri ammiratori, Dio mio, meglio non conoscerli!». I mali italiani? Il familismo, la scarsa<br />
laicità dello Stato, la televisione, la cementificazione. E, soprattutto, la mancanza di uomini liberi<br />
Che cosa leggere<br />
Scrittore, giornalista, pittore, editore<br />
e grafico pubblicitario, Leo<br />
Longanesi (Bagnacavallo, 30 agosto<br />
1905 - Milano, 27 settembre 1957) ideò e<br />
diresse nel corso della sua breve vita<br />
alcuni dei più originali periodici di<br />
attualità culturale, dall’impaginazione<br />
innovativa e accattivante. Da ricordare,<br />
«L’Italiano» (1926-42), che nacque come<br />
foglio della federazione fascista bolognese,<br />
ma presto assunse un respiro nazionale,<br />
certificato dal trasferimento di Longanesi<br />
a Roma nel ’32; «Omnibus» (1937-39), il<br />
La Democrazia Cristiana<br />
«Vota per la Democrazia Cristiana,<br />
ma non dirlo ai vicini» («il Borghese»,<br />
1˚ ottobre 1951, in copertina).<br />
«Bisogna rassegnarsi alla Dc: è il solo<br />
partito che provveda a tutto: battesimo,<br />
matrimonio e morte» (La sua signora,<br />
20 settembre 1955).<br />
Familismo<br />
«La nostra bandiera nazionale dovrebbe<br />
recare una grande scritta: Ho<br />
famiglia» (Parliamo dell’elefante, 26<br />
novembre 1945).<br />
Gli intellettuali<br />
«I nostri letterati vanno a sinistra;<br />
essi sperano che a sinistra la fantasia<br />
sia più fertile. Il comunismo, per costoro,<br />
è un lassativo che dovrebbe smuove-<br />
sentiva dalla sua, la figura di<br />
Longanesi pesava e si sentiva in<br />
qualche modo la sua presenza.<br />
Un po’ tutti i protagonisti del<br />
settimanale erano stati suoi amici<br />
o allievi. Mario Pannunzio e<br />
Arrigo Benedetti, i due direttori<br />
più prestigiosi, avevano cominciato<br />
la loro attività giornalistica<br />
nei settimanali a rotocalco che<br />
Longanesi aveva inventato, «Oggi»<br />
e «Omnibus», dove Pannunzio<br />
scriveva le critiche cinematografiche.<br />
Avevano assorbito da<br />
lui lo stile dell’impaginazione e<br />
la ricetta, che poi doveva diventare<br />
popolare, del rotocalco a colori.<br />
Si sapeva che Ennio Flaiano<br />
non avrebbe mai scritto il<br />
romanzo Tempo di uccidere,che<br />
primo rotocalco italiano in assoluto,<br />
soppresso per ordine di Mussolini, irritato<br />
dalla sua vena troppo irriverente; e «Il<br />
Borghese» (1950-57), attorno al quale si<br />
raccolsero i delusi del fascismo e della<br />
democrazia (Giovanni Ansaldo, Henry<br />
Furst, Indro Montanelli, Giuseppe<br />
Prezzolini).<br />
Nel 1946 fondò a Milano l’omonima<br />
casa editrice, nelle cui eleganti collane<br />
troveranno ospitalità diversi libri di storia<br />
"revisionisti" ante litteram.<br />
Penna perfezionista ed epigrammatica,<br />
re la loro stitichezza» (Parliamo<br />
dell’elefante, 11 agosto 1944).<br />
I giornalisti<br />
«Un vero giornalista: spiega benissimo<br />
quello che non sa» (La sua signora,<br />
22 marzo 1957).<br />
Il post-fascismo<br />
«Dilagano in Italia tre diverse specie<br />
di paura: quella di sembrare fascista,<br />
quella di non sembrare abbastanza fascista<br />
e quella di non essere antifascisti del<br />
tutto. Se ne deduce che, per un verso o<br />
per l’altro, si gira sempre attorno a un<br />
punto fisso, cioè il fascismo. Il che dimostra<br />
che non siamo ancora riusciti a vincere<br />
il nostro "complesso della colpa". Non<br />
resta, allora, che accettare una volta per<br />
tutte il fascismo come una esperienza<br />
vinse nel 1947 il Premio Strega,<br />
se Longanesi non lo avesse fatto<br />
prigioniero in una camera a pensione<br />
di Milano, obbligandolo a<br />
sedersi alla scrivania e a scrivere<br />
il libro che egli pubblicò nella<br />
sua casa editrice. Augusto Guerriero,<br />
il famoso Ricciardetto,<br />
non sarebbe diventato il più autorevole<br />
commentatore di politica<br />
estera nel «Corriere della Sera»<br />
se Longanesi non lo avesse scovato<br />
nel ministero delle Colonie<br />
di cui era funzionario e indotto a<br />
occuparsene per «Oggi».<br />
Longanesi era stato un grande<br />
animatore, durante il regime, di<br />
iniziative editoriali e creatore di<br />
giornali come «L’Italiano», in<br />
cui con Mino Maccari che pub-<br />
blicava «Il selvaggio», si faceva<br />
la fronda al fascismo anche se<br />
era nello stesso tempo l’inventore<br />
di slogan di propaganda del<br />
regime come, durante la guerra,<br />
a proposito dell’Algeria allora<br />
francese, «Biserta, una pistola<br />
puntata contro l’Italia».<br />
Circolavano, insieme a quelle<br />
di Maccari, le sue battute ironiche<br />
su Mussolini, come questa:<br />
«Canta il gallo e Mussolini monta<br />
a cavallo», che fa pensare al<br />
cavallo bianco su cui il Duce<br />
andò a caracollare in Libia impugnando<br />
la spada di Damasco<br />
quando si illudeva di conquistare<br />
l’Egitto. Longanesi quindi<br />
aveva allevato la fronda antifascista<br />
ma dopo la guerra e la<br />
di Raffaele Liucci<br />
ammiratori, Dio mio, meglio non conoscerli!». Così<br />
recita, nel ’54, un impietoso aforisma di Leo Longanesi. Con<br />
«Inostri<br />
tutta evidenza, costui non amava i discepoli esuberanti. Eppure,<br />
dopo la sua morte (’57) e sino a oggi, fin troppi "longanesiani" hanno<br />
usato il suo nome a mo’ di testa d’ariete nelle più svariate polemiche<br />
all’ordine del giorno. Ma quanti di loro sono davvero riconducibili alla<br />
lezione del maestro? Per verificarlo, siamo andati a spulciare le annate<br />
del «Borghese» (1950-57) e i suoi libri e diari, editi a partire dal ’47.<br />
Abbiamo quindi compilato questo piccolo dizionario del Longanesi-pensiero,<br />
che forse riserverà qualche sorpresa<br />
anche ai cultori più avveduti.<br />
Caduto Mussolini, Leo aveva abbandonato<br />
quei toni allusivi e sfuggenti che gli<br />
erano valsi l’aura di "frondista" sgradito al<br />
regime littorio. In effetti, «L’Italiano» e<br />
«Omnibus» erano stati fucina di alcune tra<br />
le migliori firme dell’antifascismo democratico,<br />
da Mario Pannunzio ad Arrigo Benedetti.<br />
Sarebbe tuttavia esagerato ingigantire<br />
la reale portata dei «messaggi cifrati»<br />
lanciati dai fogli longanesiani. Riletti a posteriori,<br />
questi ultimi si rivelano — come ha<br />
osservato Enzo Forcella — un’essenziale<br />
«lezione di giornalismo, di scrittura, di costume»,<br />
ma non proprio «di consapevolezza<br />
politica». Nell’Italia democratica, invece,<br />
Longanesi si muoverà senza più sottintesi<br />
né sotterfugi. E sarà uno dei pochissimi a<br />
teorizzare, sin dall’immediato dopoguerra, una destra che non si<br />
vergognasse di definirsi tale.<br />
Si trattava di una destra conservatrice e altera, sobria e meritocratica,<br />
colta e pessimista, scettica e ironica, elegante e rigorosa, laica e<br />
non bacchettona, ambientalista e diffidente della società di massa e dei<br />
suoi umori e malumori, anti-antifascista ma spoglia di rimpianti nostalgici.<br />
Una destra comunque contraddittoria, che esisteva quasi soltanto<br />
nel cuore di Longanesi. Lo scoprirà a sue spese egli stesso nel ’55,<br />
quando, attraverso i «Circoli del Borghese», cercherà di dar vita a un<br />
nuovo movimento politico. Con risultati disastrosi. Ecco come ricorderà<br />
quell’esperienza Indro Montanelli, tra i più stretti sodali di Leo:<br />
«Abbiamo cercato una destra in cui arruolarci, ma non abbiamo<br />
trovato che dei faccendieri, delle brave vecchie signore piene di blasoni<br />
e di ricordi indaffarate a ricamare bandiere con lo scudo per mandarle<br />
al re in esilio e alcuni forsennati che vorrebbero mettersi a saltare ora,<br />
a cinquanta o sessant’anni, quelle siepi di baionette su cui imparavano<br />
quando ne avevano venti o trenta».<br />
pubblicò pochissimi articoli in confronto<br />
alle altre grandi firme italiane. La sua<br />
impronta rifulse soprattutto<br />
nell’inconfondibile impostazione grafica e<br />
tipografica dei giornali e delle collane<br />
editoriali in cui metteva mano.<br />
Chi voglia avvicinarsi a Longanesi, può<br />
cominciare dalla lettura dei suoi libri,<br />
quasi tutti usciti dopo il ’45 e ispirati a<br />
una critica corrosiva del costume<br />
democratico, con una frequente ma<br />
disillusa rivisitazione del controverso<br />
passato littorio: Parliamo dell’elefante.<br />
Sognando<br />
una Destra<br />
che non c’è<br />
storica da mettere in disparte. Ma quel<br />
che ci divide da molti è la scelta del<br />
luogo nel quale collocare questa esperienza:<br />
noi suggeriamo il museo, altri<br />
la galera» (Senza titolo, «il Borghese»,<br />
15 aprile 1950).<br />
L’antifascismo<br />
«La nostra vita politica [...] ormai si<br />
avvia verso il fascismo degli antifascisti,<br />
cioè un fascismo ritardato, più bonario<br />
ma più inconcludente, un fascismo senza<br />
nicotina, in borghese, spoglio di miti e<br />
debole, ma condannato, di giorno in giorno,<br />
a prendere il potere» (Ce grand<br />
malheur, «Gazzetta del Popolo», 20 gennaio<br />
1950, in Fa lo stesso).<br />
Lotta di classe<br />
«Non si odia più la ricchezza; si cerca<br />
soltanto di spartirla col consenso dei ric-<br />
Nostalgia per le virtù del Borghese<br />
Frammenti di un diario, 1947; In piedi e<br />
seduti (1919-1943), 1948; Il mondo cambia.<br />
Storia di cinquant’anni, 1949; Una vita,<br />
1950; Il destino ha cambiato cavallo, 1951;<br />
Un morto fra noi, 1952; Ci salveranno le<br />
vecchie zie?, 1953; La sua signora.<br />
Taccuino, 1957; Fa lo stesso (silloge di<br />
articoli), 1996.<br />
L’8 settembre prossimo, l’editore<br />
Longanesi manderà in libreria le ristampe<br />
di Parliamo dell’elefante e Ci salveranno le<br />
vecchie zie?; più avanti, sarà riproposto<br />
anche Una vita. (Raffaele Liucci)<br />
fine del fascismo cominciò a polemizzare<br />
con un antifascismo<br />
di cui s’erano dimostrati i più<br />
zelanti fautori proprio intellettuali<br />
ex fascisti. Apparve chiara la<br />
sua natura di anarchico conservatore<br />
con il settimanale «Il Borghese»,<br />
che rievocava le virtù<br />
dell’Italietta prefascista e difendeva<br />
una borghesia bistrattata<br />
dall’ideologia comunista.<br />
Pur non rinnegando un passato<br />
che avevano condiviso con<br />
lui, il gruppo del «Mondo» come<br />
quello dell’«Espresso» avevano<br />
un atteggiamento molto<br />
freddo nei confronti di Longanesi<br />
e del suo settimanale, al quale<br />
collaborava Indro Montanelli.<br />
Al «Mondo» vigeva la regola<br />
Nato nel 1905,<br />
aderì al regime<br />
ma ne fu<br />
autonomo.<br />
Smascherò<br />
le ipocrisie<br />
dell’antifascismo<br />
del dopoguerra<br />
chi. È la prima sconfitta del proletariato»<br />
(La sua signora, 15 aprile 1956).<br />
«La lotta di classe era l’unico vantaggio<br />
su cui potesse contare la borghesia;<br />
ma l’attuale inerzia di classe, è la grande<br />
valanga che nessuno più frena» (Taccuino,<br />
«il Borghese», 12 luglio 1957).<br />
Destra e sinistra<br />
«La destra? Ma se non c’è nemmeno<br />
la sinistra in Italia! [...] Qui non c’è<br />
nulla: né destra, né sinistra. Qui si vive<br />
alla giornata, fra l’acqua santa e l’acqua<br />
minerale» (La sua signora, 6 ottobre<br />
1955).<br />
La libertà<br />
«Non è la libertà che manca; mancano<br />
gli uomini liberi» (La sua signora, 8<br />
gennaio 1957).<br />
non detta per cui non si potevano<br />
nominare due personaggi,<br />
Curzio Malaparte e Leo Longanesi,<br />
e non se ne doveva parlare<br />
né bene né male, mentre la stessa<br />
regola non si applicava ad<br />
altri personaggi considerati propensi<br />
ad adulare il potere come,<br />
per esempio, Mario Missiroli.<br />
I rapporti tra Longanesi e i<br />
suoi ex allievi si ruppero quindi<br />
per ragioni politiche e per l’idea<br />
completamente diversa che essi<br />
avevano dell’antifascismo e del<br />
futuro dell’Italia, ma in Pannunzio,<br />
mentre su Malaparte prevaleva<br />
l’opinione che fosse privo<br />
di ogni coerenza morale, per<br />
Longanesi, anche se non espresso,<br />
c’era un certo rispetto per il<br />
suo anticonformismo che non lo<br />
aveva mai fatto confondere con<br />
i servitori dei potenti.<br />
Morte della patria<br />
«Non facciamoci molte illusioni: accade<br />
sotto i nostri occhi qualcosa di irrimediabile<br />
che ci trascina alla rovina. [...]<br />
Navighiamo in un mare placido, seduti<br />
in coperta a guardare i gabbiani, ma c’è<br />
un cadavere nella stiva.<br />
È il cadavere della Nazione.<br />
Noi non sappiamo più cosa sia una<br />
Nazione, lo abbiamo scordato, abituati<br />
come siamo a godere i piaceri di questa<br />
falsa concordia, di questo marcio benessere,<br />
di questo lento tramonto.<br />
La decadenza della borghesia è senza<br />
rimedio; il suo disinteresse alla vicenda<br />
nazionale trapela da ogni fatto di cronaca»<br />
(Un cadavere, «il Borghese», 30 settembre<br />
1955).<br />
Dalla parte della "ggente"<br />
«Da noi gli uomini politici si compiacciono<br />
di essere, come si dice, "alla<br />
portata di tutti", e di comparire effigiati<br />
in atteggiamenti confidenziali; e ritengono<br />
inutile, anzi passatista, anzi<br />
reazionario avere uno stile che combini<br />
la semplicità con il decoro, come faceva<br />
Mazzini [...], il quale, quando si<br />
rivolgeva a un sovrano, magari per<br />
avvertirlo ch’era il momento di cedere<br />
il trono all’appello del popolo, lo faceva<br />
sempre con le debite forme, che gli<br />
aveva insegnato la signora Maria, sua<br />
madre» (Per una repubblica bene educata,<br />
«il Borghese», 8 luglio 1955).<br />
L’uomo a una dimensione<br />
«Due anni fa, pubblicammo un breve<br />
libro in cui rintracciando in certe vecchie<br />
zie le ultime custodi di un ordine morale<br />
perduto, ci chiedevamo: "Ci salveranno<br />
le vecchie zie dall’incalzante rovina che<br />
ci minaccia?".<br />
Due anni sono passati in fretta, e il<br />
comunismo non ha conquistato lo Stato,<br />
ma è accaduto qualcosa di peggio, forse<br />
di irrimediabile; ed è che quelle zie<br />
hanno ceduto, hanno aperto il passo alle<br />
nipoti, alla radio, alla TV, al frigidaire,<br />
a Marlon Brando, al latte in scatola, al<br />
provvisorio, al facile, al futile, al morbido;<br />
anch’esse sono cadute nel grande<br />
equivoco progressista che ha travolto la<br />
borghesia: un equivoco vasto, in cui<br />
tutto si amalgama, tutto si confonde,<br />
tutto si decompone in quella vecchia,<br />
vile, stanca abitudine nazionale che è il<br />
conformismo. Questa brutta parola [...]<br />
è l’ultimo regalo che la Dc ha deposto<br />
sotto il camino nelle case borghesi. Si<br />
tratta, questa volta, del conformismo cattolico,<br />
il più pericoloso di tutti, perché<br />
pesa nella famiglia e lega la fede alla<br />
viltà, la quiete al timore, la virtù alla<br />
finzione, i titoli di rendita ai sacramenti,<br />
la villeggiatura alla canonica, la pelliccia<br />
di visone alle opere pie, la coesistenza<br />
ai giorni festivi, il Natale al Primo<br />
Maggio, la Pasqua alla Colomba della<br />
Pace» (Non ci salveranno più, «il Borghese»,<br />
13 gennaio 1956).<br />
Maledetti americani<br />
«La carne in scatola americana la mangio,<br />
ma le ideologie che l’accompagnano<br />
le lascio sul piatto» (Parliamo dell’elefante,<br />
14 gennaio 1944).<br />
Milano<br />
«Appena mettete il piede a Milano,<br />
v’accorgete che qui, in questa antica e<br />
nobile e immensa città, non si pensa in<br />
grande: vi accorgete che qui tutto è meschino<br />
e misero e pretenzioso come in<br />
un paese, che il bene e il male di Milano<br />
sono eguali a quelli di una grossa borgata;<br />
v’accorgerete subito che Milano è<br />
una vasta periferia industriale, che circonda<br />
un piccolo centro di paese; v’accorgerete<br />
che non vi sono più tradizioni, che<br />
non c’è più il carattere, l’ordine, il decoro,<br />
lo stile di una grande città: vi sono<br />
soltanto case, finestre, porte e insegne, e<br />
cittadini che s’affaccendano, e veicoli<br />
che corrono; v’accorgerete, senza fatica,<br />
che qui tutto è casuale, contraddittorio,<br />
slegato, abbandonato, senza una guida,<br />
senza un criterio, senza un motore centrale.<br />
Capite che Milano è un grosso corpo<br />
senza testa» (La scala del sindaco, «il<br />
Tempo di Milano», 10 ottobre 1950, in<br />
Fa lo stesso).<br />
Più tasse per tutti<br />
«La Democrazia Cristiana ha dimenticato<br />
che il comunismo si combatte col<br />
fisco: le più grandi rivoluzioni sociali si<br />
evitano compiendole con le tasse. Alle<br />
tasse spetta il compito di attuare quella<br />
giustizia terrena che apre le porte al Paradiso»<br />
(Prezzemolo, «Gazzetta del Popolo»,<br />
10 maggio 1951, in Fa lo stesso).<br />
Pensare contro<br />
«Oggi nel mondo delle idee [...] c’è<br />
un solo modo di agire: pensare contro.<br />
Essere favorevoli a qualcosa o a qualcuno<br />
è già un modo di rinunciare alla<br />
propria libertà. Io sono favorevole a<br />
tutti i manifesti elettorali che inveiscono<br />
contro gli avversari; ma sono avverso<br />
a tutti i manifesti in cui si elogia<br />
questo o quello» (Piccolo dizionario<br />
moderno, 1953, in Fa lo stesso).<br />
Estremisti<br />
«In Italia, tutti sono estremisti per<br />
prudenza» (La sua signora, 19 febbraio<br />
1956).
Il Sole-24 Ore PERSONAGGI<br />
Domenica 28 Agosto 2005 - N. 235 — Pagina 39<br />
G IORNALISMO E TOTALITARISMI / 2<br />
Una voce scritta per l’Enciclopedia Britannica (inedita per l’Italia) illustra le leggi generali della comicità<br />
Koestler, la logica dell’umorismo<br />
di Arthur Koestler<br />
La contrazione involontaria, simultanea<br />
e coordinata, di quindici<br />
muscoli facciali associata<br />
all’emissione di alcuni suoni spesso incontenibili,<br />
ci colpisce come un’attività<br />
priva di un qualsiasi valore utilitario e<br />
completamente slegata dalla lotta per la<br />
sopravvivenza. Il riso è un riflesso, ma<br />
è unico nel non avere uno scopo biologico<br />
apparente. Lo si potrebbe chiamare<br />
un riflesso di lusso, la cui unica<br />
funzione sembra quella di allentare una<br />
tensione. (...)<br />
La gamma delle esperienze che scatenano<br />
il riso va dal solletico fisico ai più<br />
diversi sollazzi mentali. Eppure c’è<br />
un’unità in questa varietà, un comun<br />
denominatore, un elemento specifico e<br />
specificabile che riflette la "logica", o<br />
la "grammatica" per così dire, della<br />
comicità. Alcuni esempi serviranno a<br />
caratterizzarlo:<br />
! «Un masochista è una persona che<br />
al mattino ama farsi una doccia fredda<br />
e se la fa calda».<br />
" Una signora inglese all’amica che le<br />
chiede dove sarà ormai suo marito, defunto:<br />
«Il povero caro sta in eterna<br />
beatitudine, ma preferirei che lei evitasse<br />
argomenti tanto sgradevoli».<br />
# Il medico rassicura il paziente: «La<br />
sua è una malattia molto grave alla<br />
quale sopravvive soltanto una persona<br />
su dieci. È stato fortunato a venire da<br />
me, ne sono appena morti nove dei<br />
miei pazienti».<br />
$ Dialogo in un film francese: «Signore,<br />
vengo a chiedervi la mano di vostra<br />
figlia». «Perché no? Vi siete già preso<br />
il resto».<br />
% Un nobiluomo alla corte di Luigi<br />
XV torna da un viaggio senza preavviso,<br />
entra nel boudoir della moglie e la<br />
trova tra le braccia di un vescovo.<br />
Dopo un attimo di esitazione, attraversa<br />
la stanza, si affaccia alla finestra e<br />
benedice i passanti per la strada. «Che<br />
fate, Marchese?» chiede la moglie, preoccupata.<br />
«Monsignore svolge le mie<br />
funzioni», è la risposta, «quindi io<br />
svolgo le sue».<br />
Qualcosa accomuna questi cinque<br />
esempi?<br />
Partendo dall’ultimo, una piccola riflessione<br />
rivela che il comportamento<br />
del marchese è inaspettato e al contempo<br />
perfettamente logico. Segue però<br />
una logica incongrua, quella della divisione<br />
del lavoro antica quanto la civiltà<br />
umana, mentre ci si aspetta una reazione<br />
governata da altre regole: dal codice<br />
della morale sessuale. È lo scontro improvviso<br />
tra diversi codici — o contesti<br />
associativi — a produrre l’effetto comico.<br />
Esso costringe l’ascoltatore a percepire<br />
la situazione su due piani, dotati<br />
entrambi di una propria coerenza interna<br />
e incompatibili tra loro, per cui la<br />
mente deve operare simultaneamente<br />
su due lunghezze d’onda. Finché dura<br />
questa condizione l’evento non è associato,<br />
come di regola, a un singolo<br />
quadro di riferimento, ma è "di-sociato".<br />
L’autore ha coniato la parola "di-sociazione"<br />
per distinguere tra le routine<br />
del pensiero disciplinato entro un unico<br />
universo di discorso — su un piano<br />
solo, per così dire — e le attività mentali<br />
creative che operano sempre su più<br />
piani contemporaneamente. Nell’umorismo,<br />
la creazione di un sottile motto di<br />
spirito così come l’atto ri-creativo che<br />
consiste nel coglierlo implicano un delizioso<br />
sussulto mentale dovuto a quel<br />
balzo improvviso da un piano — o da<br />
un contesto associativo — all’altro.<br />
Veniamo agli altri esempi. Nel dialogo<br />
tratto dal film francese, la "mano"<br />
della figlia viene percepita prima in un<br />
quadro di riferimento metaforico e<br />
all’improvviso in un contesto fisico. Il<br />
medico ragiona in termini di probabilità<br />
statistiche astratte le cui regole non<br />
sono applicabili ai casi individuali, con<br />
una svolta in più perché, al contrario di<br />
quanto suggerisce il buon senso, le probabilità<br />
di sopravvivenza del paziente<br />
non dipendono da eventi precedenti,<br />
ma restano una su dieci. In questa storiella<br />
si cela uno dei paradossi profondi<br />
della teoria delle probabilità, un’assurdità<br />
che tendiamo a trascurare. Quanto<br />
alla vedova che considera la morte come<br />
una "beatitudine eterna" e al contempo<br />
come un "argomento sgradevole",<br />
incarna un mal comune degli esseri<br />
umani, combattuti tra fede e ragione.<br />
Anche in questo caso, la battuta è semplice<br />
eppure ha risonanze consce e inconsce<br />
che soltanto l’orecchio interno<br />
riesce ad afferrare. Il masochista che<br />
punisce se stesso privandosi del proprio<br />
castigo quotidiano è governato da<br />
regole che ribaltano quelle della logica<br />
corrente (si ottiene una figura analoga<br />
invertendo entrambi i piani di riferimento:<br />
«un sadico è una persona gentile<br />
con i masochisti».) Anche qui, c’è un<br />
ulteriore guizzo: chi pronuncia la battuta<br />
non crede affatto che il masochista<br />
faccia una doccia calda per autopunizione,<br />
bensì finge di crederlo. Il paradosso<br />
è l’arma più efficace degli autori satirici:<br />
fingono di adottare il modo di ragio-<br />
di Piero Ignazi<br />
nare dell’avversario per smascherarne<br />
l’assurdità o la crudeltà.<br />
Questi esempi hanno in comune una<br />
situazione percepita in due quadri di<br />
riferimento coerenti ma incompatibili e<br />
si potrebbe dimostrare che la formula è<br />
valida in generale per tutte le forme di<br />
comicità e di umorismo. Però ne coglie<br />
soltanto la struttura<br />
intellettuale. Ora va<br />
esaminato l’altro<br />
aspetto fondamentale:<br />
la dinamica emotiva<br />
che infonde vita a<br />
quella struttura e<br />
spinge una persona<br />
alla risata, al riso o<br />
al sorriso complice o<br />
ammiccante.<br />
Quanto un attore<br />
comico racconta una<br />
storiella, si prefigge deliberatamente di<br />
creare tra i propri ascoltatori una tensione<br />
che va crescendo con il procedere<br />
della narrazione, senza mai arrivare al<br />
culmine. La battuta finale funge da ghigliottina<br />
verbale, decapita di netto lo<br />
sviluppo logico della vicenda e frustra<br />
l’attesa del pubblico. Improvvisamente<br />
la tensione provata fin a quel momento<br />
Deluso dal comunismo, l’esule ungherese ha attraversato gli orrori del ’900 senza abbandonare il progetto<br />
di una società migliore. Divenendo un acuto indagatore della natura umana, come in questa analisi sul riso<br />
Ci sono vite, tra coloro che<br />
maturarono nei primi anni<br />
del Novecento, degne di romanzi<br />
d’avventura. Quella di Arthur<br />
Koestler appartiene a questo genere.<br />
Nato nel 1905 a Budapest da<br />
una famiglia ebrea, già a 15 anni<br />
deve trasferirsi a Vienna perché la<br />
famiglia teme l’antisemitismo delle<br />
truppe di occupazione rumene, intervenute<br />
per schiacciare la rivoluzione<br />
comunista di Bela Kun. A 21<br />
anni, appassionatosi al sionismo revisionista<br />
di Vladimir Jobotinsky, va<br />
in Palestina dove, tra mille mestieri,<br />
centra, casualmente e per sua fortuna,<br />
quello di giornalista.<br />
Dopo pochi anni, nel 1929, deluso<br />
dall’esperienza sionista, torna in<br />
Europa e si stabilisce in Germania.<br />
Qui abbraccia<br />
la causa comu-<br />
A cent’anni<br />
dalla nascita<br />
esce la nuova<br />
edizione di<br />
«Schiuma<br />
della terra»,<br />
capolavoro<br />
autobiografico<br />
sugli anni<br />
francesi<br />
Vita avventurosa a caccia d’ideali<br />
nistaabbagliato dal miraggio<br />
della costruzione<br />
di<br />
una società<br />
perfetta, non limitata<br />
alle rive<br />
del Giordano<br />
ma estesa a tutta<br />
l’umanità:<br />
«Una immensa<br />
Sion», come<br />
scriverà più<br />
tardi. Anche il<br />
soggiorno tedesco,intervallato<br />
da lunghi<br />
viaggi per i<br />
suoi reportage,<br />
si interrompe<br />
per l’ascesa<br />
al potere di Hitler. Koestler si rifugia<br />
a Parigi. Nella capitale francese,<br />
grazie all’incontro con Willy<br />
Muerenberg, responsabile della propaganda<br />
del Cominter, Koestler si<br />
tuffa nell’attività pubblicistica a favore<br />
del comunismo. La passione<br />
politica lo spinge poi ad arruolarsi<br />
nelle Brigate internazionali all’indomani<br />
del putsch di Francisco Franco<br />
contro la Repubblica spagnola.<br />
Su suggerimento dell’amico e mentore<br />
Muerenberg, Koestler rinuncia a<br />
imbracciare il fucile e si reca in<br />
Spagna come inviato della stampa<br />
inglese. L’esperienza spagnola è decisiva<br />
per la sua carriera professionale<br />
e la sua traiettoria politica.<br />
Tanto i suoi reportage quanto il suo<br />
primo romanzo ispirato a quell’esperienza<br />
hanno vasta eco in Gran Bretagna.<br />
E proprio grazie alla notorietà<br />
acquisita riesce a evitare in extremis<br />
la fucilazione da parte dei franchisti.<br />
Sul piano politico Koestler<br />
tocca con mano il cinismo e la brutalità<br />
del comunismo di stretta osservanza<br />
moscovita (dalla liquidazione<br />
del Puom all’abbandono delle Brigate<br />
internazionali). Al suo ritorno in<br />
Francia, nell’estate del 1938, esce<br />
dal Partito. Lo scoppio della guerra<br />
e il crollo della III Repubblica francese<br />
immergono Koestler in una<br />
odissea di internamenti, liberazioni,<br />
fughe e imprigionamenti, che termina<br />
con l’approdo rocambolesco in<br />
Gran Bretagna alla fine del 1940.<br />
Un’odissea che è stata narrata con<br />
Dietro le arguzie<br />
intellettuali<br />
e il linguaggio<br />
del corpo<br />
le stesse regole profonde<br />
Che cosa leggere<br />
Arthur Koestler (Budapest, 5 settembre 1905 -<br />
Londra, 3 marzo 1983), giornalista e scrittore<br />
ebreo-ungherese naturalizzato inglese dopo il<br />
1940, è stato autore di romanzi e saggi politici e<br />
scientifici. Dopo una breve esperienza sionista, militò<br />
nel partito comunista dal 1931 al 1938. Uscito dal Pc,<br />
nel primo dopoguerra fu uno dei più attivi<br />
intellettuali anticomunisti. Morì suicida. Per Koestler<br />
il comunismo è fatto storico e esperienza individuale,<br />
analizzato in volumi autobiografici e saggi politici,<br />
soprattutto nel trittico di romanzi Spartaco (1939),<br />
Buio a mezzogiorno (1940) e Arrivo e partenza (1943).<br />
Buio a mezzogiorno (Mondadori), ispirato alla<br />
liquidazione della vecchia guardia bolscevica nei<br />
processi di Mosca (1936-38), e in particolare a<br />
straordinaria incisività nel libro<br />
Schiuma della terra, ora ripubblicato<br />
da il Mulino a cura di Ugo Berti<br />
Arnoaldi e con una introduzione di<br />
Gianni Sofri.<br />
Tra il suo ritorno dalla Spagna e<br />
la fine dell’internamento come «straniero<br />
indesiderabile» nel campo di<br />
diventa ridondante e si sgonfia in una<br />
risata. Se l’aggressione viene sostituita<br />
con l’empatia, una stessa situazione —<br />
l’ubriaco che casca lungo disteso per<br />
terra — diventa patetica invece che<br />
comica, suscita la compassione invece<br />
del riso. L’elemento aggressivo, la malignità<br />
distaccata del comico, trasforma<br />
il pathos in melodramma,<br />
la tragedia<br />
in parodia. La malignità<br />
può accompagnarsi<br />
all’affetto nella<br />
presa in giro amichevole;nell’umorismo<br />
più civile, l’elemento<br />
aggressivo<br />
può essere sublimato<br />
o addirittura inconsapevole.<br />
Ma nelle barzellette<br />
che piacciono<br />
ai bambini e alle popolazioni primitive,<br />
la crudeltà, l’arroganza e la vanagloria<br />
sono esplicite.<br />
In altri termini, il riso dà sfogo a<br />
eccitazioni emotive che sono diventate<br />
inutili, che vanno eliminate seguendo<br />
le vie di minor resistenza e il "riflesso<br />
di lusso" ha proprio la funzione di procurare<br />
tali vie. Basta dare un’occhiata<br />
Vernet sui Pirenei francesi, Koestler<br />
scrive il libro che gli darà fama<br />
internazionale, Buio a mezzogiorno.<br />
Questo libro disseziona con lucidità<br />
i meccanismi perversi di un’adesione<br />
fideistica a una causa totalizzante<br />
e descrive come essa porti all’annichilimento<br />
della persona in nome<br />
alle caricature di artisti inglesi del Settecento<br />
come William Hogarth e Thomas<br />
Rowlandson, che mostrano la brutale<br />
ilarità dei frequentatori di taverne, per<br />
capire che essi si liberano dell’adrenalina<br />
superflua contraendo in smorfie i<br />
muscoli facciali, dandosi manate sulle<br />
cosce e sbuffando aria dalla glottide<br />
mezza occlusa. I volti arrossati rivelano<br />
che le emozioni sfogate attraverso tali<br />
valvole sono la brutalità, l’invidia, la<br />
gioia maligna per le disavventure sessuali<br />
altrui. Nelle vignette di James<br />
Thurber, il disegnatore americano del<br />
Novecento, la risata crassa lascia il posto<br />
all’ammiccamento divertito e rarefatto:<br />
il flusso dell’adrenalina è stato<br />
distillato e cristallizzato in un grano di<br />
sale attico, in un raffinato motto di<br />
spirito. L’inglese witticism — frizzo, o<br />
battuta — deriva da wit nel senso originale<br />
di intelligenza e di arguzia (Witz,<br />
in tedesco).<br />
Comicità e ingegno appartengono a<br />
campi contigui che non sono separati<br />
da un confine netto: il giullare è il<br />
fratello del saggio. Lungo l’intero spettro<br />
della comicità — dalle forme più<br />
rozze a quelle più sottili, dallo scherzo<br />
violento al puzzle intellettuale, dalla<br />
Arthur Koestler,<br />
1947 circa<br />
(Interfoto)<br />
Bucharin, riprende la questione rivoluzionaria dei<br />
fini e dei mezzi, del sacrificare le ragioni<br />
dell'individuo per le ragioni dell'umanità. L’utopista<br />
rivoluzionario si fa guidare dalla logica, dunque non<br />
può conoscere la pietà: «Colui che comprende e<br />
perdona... dove può trovare un motivo per agire?».<br />
Oltrepassato il culmine della guerra fredda, Koestler<br />
passò a occupandosi di scienza e di battaglie civili,<br />
come quella per l’abolizione della pena di morte.<br />
Tra i volumi disponibili in italiano ricordiamo I<br />
gladiatori (Net), La tredicesima tribù. Storia dei cazari,<br />
dal Medioevo all’Olocausto ebraico (Utet) e, per il<br />
Mulino, oltre a Schiuma della terra, altri due volumi<br />
autobiografici, Freccia nell’azzurro (1905-1931) e La<br />
scrittura invisibile 1932-1940, eDialogo con la morte.<br />
di un fine superiore attraverso il<br />
rullo compressore di una pretesa<br />
verità assoluta. Per quanto Buio a<br />
mezzogiorno affondi la lama critica<br />
nel pervertimento degli ideali e delle<br />
illusioni di una generazione, Koestler<br />
non si abbandona mai né al<br />
rancore né al cinismo. Al contrario,<br />
frecciata al paradosso, dall’aneddoto<br />
all’epigramma — il clima emotivo mostra<br />
una trasformazione graduale.<br />
L’emozione che si sfoga nella risata è<br />
un’aggressione privata del suo bersaglio;<br />
le barzellette che piacciono ai<br />
bambini sono per lo più scatologiche; i<br />
guai sessuali, sperimentati per interposta<br />
persona, fanno<br />
sghignazzare adole-<br />
scenti di ogni età;<br />
le freddure fanno leva<br />
sul sadismo represso<br />
e la satira<br />
sull’indignazione<br />
benpensante. Le diverse<br />
forme della<br />
comicità suscitano<br />
una strabiliante varietà<br />
di umori, tra<br />
cui anche i sentimenti<br />
ambivalenti<br />
o contraddittori. Qualunque sia la miscela,<br />
è indispensabile un elemento di<br />
base: un impulso, anche flebile, di aggressione<br />
o di apprensione.<br />
L’impulso si esprime con la malignità,<br />
il disprezzo, la velata crudeltà della<br />
condiscendenza o semplicemente con<br />
un’assenza di simpatia per la vittima<br />
proprio parlando dei compagni di<br />
prigionia di Vernet — antifascisti<br />
di ogni razza e colore — ne esalta<br />
il coraggio e la generosità, la buona<br />
fede e la dedizione, mentre ha<br />
parole di disprezzo per quegli ignavi<br />
ed egoisti che non hanno mai<br />
rischiato nulla e in nulla hanno<br />
creduto.<br />
Koestler è critico implacabile<br />
del comunismo (oltre che «costituzionalmente<br />
ostile» al fascismo)<br />
ma non rinuncia all’idea che sia<br />
possibile costruire un mondo migliore.<br />
Con una certa dose di ingenuità<br />
(visto a posteriori) Koestler<br />
propone negli anni Quaranta «un<br />
esperimento mai provato (...) che<br />
sembra essere una linea promettente»:<br />
la congiunzione di Pianificazione<br />
e Democrazia. A metà degli<br />
anni Cinquanta, dopo avere pubblicato<br />
altri pamphlet<br />
come Lo<br />
Un’odissea<br />
di prigionie,<br />
liberazioni<br />
e fughe<br />
terminata<br />
con l’approdo<br />
rocambolesco<br />
in Inghilterra<br />
alla fine<br />
del 1940<br />
yogi e il commissario<br />
e avere<br />
collaborato<br />
al celeberrimo<br />
libro collettivo<br />
Il Dio che è<br />
fallito, Koestler<br />
abbandona<br />
l’impegno politico<br />
e si dedica<br />
ad altri interessi<br />
fino alla<br />
sua scomparsa<br />
avvenuta<br />
nel 1983.<br />
Cosa rimane<br />
di Koestler<br />
oggi? La denuncia<br />
della<br />
brutalità del<br />
nazifascismo e<br />
delle ferree logiche disumanizzanti<br />
del comunismo fanno parte di un<br />
patrimonio ormai acquisito. Più rilevanti<br />
per l’oggi sono le pagine autobiografiche<br />
in cui Koestler rivendica<br />
il valore di una vita dedicata a<br />
un ideale. Per Koestler le migliaia<br />
di volontari delle Brigate internazionali,<br />
«primo esperimento fatto dopo<br />
le Crociate per formare un esercito<br />
di volontari che voleva combattere<br />
per un credo internazionale», costituiscono<br />
l’esempio più alto dell’etica<br />
della responsabilità e dell’impegno<br />
individuali. Senza questa tensione<br />
etica, i Messieurs Dupont che per<br />
quieto vivere consegnarono ai nazisti<br />
un intero Paese senza colpo ferire,<br />
possono tornare a nuocere. Anche<br />
oggi siamo tentati di «distogliere<br />
lo sguardo» dai rischi incombenti<br />
per la nostra libertà. Siamo tentati<br />
di trascurare le smagliature che si<br />
allargano nel vivere civile della nostra<br />
società dal risorgere della xenofobia<br />
e del razzismo alla delega sempre<br />
più ampia a poteri sempre meno<br />
controllati affinché ci garantiscano<br />
sicurezza. Contro queste cecità e<br />
questo quieto vivere Koestler ha speso<br />
gli anni migliori della sua vita<br />
"dandosi" alle cause in cui credeva,<br />
prima il comunismo poi la democrazia<br />
e sempre l’antifascismo. L’attualità<br />
di Koestler rimanda allora a un<br />
impegno generoso per la libertà e la<br />
dignità dell’uomo.<br />
«Arthur Koestler, «Schiuma della terra»,<br />
il Mulino, Bologna 2005, pagg.<br />
260, Á 12,00.<br />
«L’emozione<br />
che si sfoga nella risata<br />
è un’aggressione<br />
privata<br />
del suo bersaglio»<br />
dello scherzo, con «un’anestesia momentanea<br />
del cuore» per dirla con il<br />
filosofo Henri Bergson.<br />
Nell’umorismo più sottile, a volte la<br />
tendenza aggressiva è così tenue che<br />
soltanto l’analisi più attenta riesce a<br />
identificarla, come il sale in una pietanza<br />
preparata con cura che altrimenti<br />
sarebbe insipida. Una<br />
ricerca del 1961 fra i<br />
ragazzini americani<br />
tra gli 8 e i 15 anni,<br />
concludeva che la<br />
mortificazione, il disagio,<br />
la beffa altrui suscitava<br />
prontamente il<br />
riso, mentre battute divertenti<br />
o spiritose<br />
passavano spesso inosservate.<br />
Le forme e le<br />
teorie della comicità<br />
avanzate in passato si<br />
prestano a considerazioni analoghe. Secondo<br />
Aristotele, il riso era intimamente<br />
legato alla bruttezza e all’abiezione.<br />
Per Cicerone, il ridicolo stava nella<br />
bassezza e nella difformità. Cartesio<br />
pensava che il riso manifestasse allegria<br />
mista a sorpresa, a odio o a entrambi.<br />
Nelle cause del riso elencate da<br />
Francesco Bacone troviamo di nuovo<br />
la difformità al primo posto. Su questo<br />
tema, una delle citazioni più frequenti<br />
è tratta dal Leviatano (1651) di Thomas<br />
Hobbes: «La passione del riso<br />
null’altro è se non l’improvvisa gloria<br />
che sorge dall’improvvisa concezione<br />
di una nostra eminenza paragonata<br />
a un’infermità altrui o a una<br />
nostra precedente».<br />
Nell’Ottocento Alexander Bain, un<br />
pioniere della psicologia sperimentale,<br />
la pensava allo stesso modo: «Non<br />
soltanto negli effetti fisici, ma ogni<br />
qualvolta che un uomo riesce ad affermare<br />
una supremazia, a superare o ad<br />
avvilire un rivale, la disposizione al<br />
riso è evidente».<br />
Per Bergson, il riso è il castigo<br />
correttivo inflitto dalla società all’individuo<br />
asociale: «Nel riso troviamo<br />
sempre l’intenzione inconfessa di<br />
umiliare e quindi di correggere il nostro<br />
prossimo». Nella risata del pubblico,<br />
Max Beerbohm, l’umorista inglese<br />
del Novecento, identificava<br />
«due elementi: delizia per la sofferenza,<br />
disprezzo per le cose inconsuete».<br />
Secondo lo psicologo americano William<br />
McDougall, «il riso è evoluto nella<br />
razza umana come un antidoto<br />
dell’empatia, una reazione che protegge<br />
dalla deprimente influenza delle<br />
manchevolezze degli altri uomini».<br />
Le definizioni dei teorici sono le più<br />
varie, ma concordano su un punto: le<br />
emozioni che si sfogano nel riso contengono<br />
sempre un elemento di aggressività.<br />
Va però tenuto presente che aggressività<br />
e apprensione sono fenomeni gemelli,<br />
al punto che gli psicologi parlano<br />
di «pulsioni aggressive-difensive».<br />
A suscitare il riso quindi, è tipicamente<br />
una situazione in cui cessa all’improvviso<br />
la paura di un pericolo immaginario.<br />
Se il riso è per sua natura uno straripare<br />
di tensioni ridondanti, ne è la manifestazione<br />
più evidente il cambiamento repentino<br />
dell’espressione di un bambino<br />
che passa dall’apprensione ansiosa alla<br />
risata felice e sollevata. All’apparenza,<br />
questa situazione non c’entra con la<br />
comicità, eppure a uno sguardo attento<br />
rivela la stessa struttura logica delle<br />
barzellette: il bambino percepisce prima<br />
il cagnolino in un contesto di pericolo<br />
e poi scopre che si tratta di un<br />
cucciolo inoffensivo. La tensione diventa<br />
d’un tratto ridondante e defluisce<br />
nel riso.<br />
Immanuel Kant aveva capito che il<br />
riso è «un’affezione che deriva da<br />
un’aspettativa tesa, la quale d’un tratto<br />
si risolve nel nulla». Nell’Ottocento,<br />
Herbert Spencer cercò di riformulare la<br />
stessa idea in termini fisiologici: «Le<br />
emozioni e le sensazioni tendono a generare<br />
movimenti fisici... quando la coscienza<br />
si trasferisce senza accorgersene<br />
dalle grandi alle piccole cose», la<br />
«forza nervosa liberata» si diffonde per<br />
i canali di minor resistenza, cioè nei<br />
movimenti corporei del riso. Freud incorporò<br />
la teoria di Spencer nella propria,<br />
ponendo l’accento sulla liberazione<br />
delle emozioni represse. Tentò anche<br />
di spiegare come mai l’energia in<br />
eccesso dovesse andare spesa in tal modo:<br />
«A quanto ne so, le smorfie e le<br />
contorsioni della bocca che caratterizzano<br />
il riso compaiono per la prima volta<br />
nel poppante soddisfatto e sazio quando,<br />
assonnato, lascia andare il seno...<br />
Sono espressioni tipiche della determinazione<br />
di non alimentarsi oltre, un<br />
"basta" per così dire, o meglio "un più<br />
che basta"... Questo senso primordiale<br />
di piacevole sazietà può aver fornito il<br />
nesso tra il sogghigno — quel fenomeno<br />
fondamentale che sottende il riso<br />
— e il suo collegamento successivo<br />
con altri processi piacevoli che allentano<br />
la tensione».<br />
In altre parole, le contrazioni muscolari<br />
del sogghigno — intese come le<br />
prime espressioni di sollievo dalla tensione<br />
— sarebbero poi servite da vie di<br />
minor resistenza. Allo stesso modo, le<br />
espirazioni esplosive del riso sembrano<br />
concepite come per "sbuffare" la tensione<br />
in eccesso con una sorta di ginnastica<br />
respiratoria e i gesti esagerati avrebbero<br />
la stessa funzione.<br />
Si potrebbe obiettare che queste reazioni<br />
massicce siano spropositate rispetto<br />
ai piccoli stimoli che le provocano.<br />
Ma va tenuto presente che il riso è un<br />
fenomeno tipo quello del grilletto, un<br />
rubinetto aperto all’improvviso da cui<br />
sgorgano in gran quantità emozioni immagazzinate,<br />
provenienti dalle fonti<br />
più diverse e spesso inconsce: sadismo<br />
represso, tumescenza sessuale, paura inconfessata<br />
e persino noia. Una scolaresca<br />
che scoppia a ridere per un incidente<br />
banale dà la misura del risentimento<br />
che ha accumulato durante una lezione<br />
soporifera. Un altro fattore che amplifica<br />
la reazione fuori misura è la contagiosità<br />
sociale che accomuna il riso ad<br />
altre manifestazioni emotive dei comportamenti<br />
di gruppo.<br />
(Dalla voce «Humour and Wit» scritta<br />
nel 1974 per l’«Encyclopædia Britannica».<br />
Traduzione di Sylvie Coyaud)
C<br />
+<br />
B<br />
+<br />
Domenica 7 Marzo 2004 - N. 66 Pagina 27<br />
a pag.31<br />
di V. S. Naipaul<br />
C LASSICIS MS<br />
Treccani,<br />
un’idea<br />
di Novecento<br />
di Carlo Ossola<br />
Il mondo nuovo esisteva solo<br />
nella mente di altri uomini. Togliete<br />
quegli uomini e vedrete<br />
che le loro idee — che dopotutto<br />
non sono irrevocabili — scompariranno<br />
con loro. Le competenze si<br />
possono anche acquisire, la cosa fragile<br />
— per gli uomini la cui vita<br />
vera, compiuta, si svolge in un altro<br />
regno dello spirito — è la fede nel<br />
mondo nuovo.<br />
Fu con queste perplessità che<br />
finalmente, il giorno della festa<br />
per l’indipendenza della Costa<br />
d’Avorio, andai con Gil Sherman<br />
a Yamoussoukro, il villaggio<br />
degli avi del presidente.<br />
L’autostrada attraversava una<br />
morbida campagna verdeggiante,<br />
e poi una successione di foreste in<br />
cui crescevano i preziosi alberi di<br />
legno duro che avevano dato impulso<br />
all’economia. (Tronchi possenti,<br />
non più di due, tre o quattro<br />
per volta, incatenati ai pesanti<br />
autocarri che li trasportavano:<br />
ceppi possenti<br />
accatastati nel<br />
porto, in mezzo a un<br />
gran viavai di scaricatori,<br />
nella baia nera di petrolio<br />
di Abidjan:<br />
poi i ceppi venivano<br />
nuovamente<br />
incatenati e caricati,<br />
uno<br />
o due per volta,<br />
nelle stive<br />
o sui ponti spogli di navi dai<br />
nomi stranieri e lontani). Il Paese<br />
era ben organizzato, industrioso, e<br />
i soldi cominciavano a distribuirsi.<br />
Erano arrivati fino alla gente che<br />
viveva nel bush e nella foresta, e<br />
ora i villaggi avevano case di cemento.<br />
In una cittadina in cui facemmo<br />
una sosta c’era persino la<br />
parodia di un albergo moderno.<br />
Dopo duecentoventi chilometri,<br />
regolarmente contrassegnati, arrivammo<br />
a Yamoussoukro. La strada<br />
era in salita. In cima, di colpo,<br />
come la pista di un aeroporto in<br />
mezzo a una distesa di terreno disboscato,<br />
apparve un larghissimo<br />
viale fiancheggiato da due file di<br />
lampioni. In lontananza si stagliava<br />
il palazzone a dodici piani<br />
dell’Hôtel Président; su un lato del<br />
palazzo si innalzavano due lastre<br />
di cemento ottagonali (con in mezzo<br />
il ristorante): pareva un gigantesco<br />
toast con gli angoli tagliati<br />
via. Ci dirigemmo verso l’albergo:<br />
prati ben curati, giardini, marmo<br />
bianco all’ingresso, marmo rosso<br />
e color cioccolato nella hall, specchi<br />
lungo gli spigoli delle colonne<br />
di marmo. Le poltrone erano di un<br />
azzurro e di un verde virulento,<br />
non riposante.<br />
La mia camera era sfarzosa, gli<br />
accessori del bagno sbalorditivi. Faceva<br />
molto freddo: l’aria condizionata<br />
andava a tutta forza. La spensi,<br />
ma finché rimasi il gelo non si attenuò<br />
mai. La grande finestra, di vetro<br />
molto spesso, era sigillata. Dava<br />
su una piscina enorme, attorno alla<br />
quale c’era un’ampia distesa lastricata<br />
con le sedie a sdraio disposte in<br />
cerchio.<br />
Dietro, e dietro gli edifici dell’Hôtel<br />
Président, che era più vec-<br />
di Luigi Sampietro<br />
chio (Yamoussoukro non aveva mai<br />
cessato di crescere), c’era un terreno<br />
erboso con zone alberate, creato<br />
dal bush. Era il famoso campo da<br />
golf, progettato da un architetto di<br />
giardini e ricco di una gran varietà<br />
di piante: un occhio straniero aveva<br />
saputo sfruttare le pittoresche possibilità<br />
di quella che a un occhio africano<br />
sarebbe parsa nient’altro che<br />
vegetazione. La foschia in lontananza<br />
era — almeno per me — simile<br />
alla foschia che la calura sprigiona<br />
sulle rive del fiume Congo. Ma a<br />
Yamoussoukro faceva più fresco<br />
che sulla costa, e la foschia era<br />
dovuta all’harmattan, il vento fresco<br />
e carico di sabbia che in quella<br />
Questa settimana, tra i molti suggerimenti che ci avete proposto,<br />
scegliamo:<br />
«AMÒ IN UN BALENO, FINÌ SOTTO UN TRE-<br />
NO», («Anna Karenina» di Lev Tolstoj) inviato da Annalucia<br />
Lomunno;<br />
«BALENIERE NEOCONSERVATORE<br />
STUZZICA BALENA DEL MALE. STUZZI-<br />
CA STUZZICA, FINISCE A SCHIFIO»<br />
(«Moby Dick» di Hermann Melville) riassunto<br />
in chiave cronachistica elaborato da Giuseppe<br />
Di Palma;<br />
«METÀ LITI, METÀ MITI» («Le metamorfosi»<br />
di Ovidio) spedito per fax da Maria Grazia<br />
Mataloni e, infine,<br />
«PRIMA EDIZIONE DEL GRANDE FRA-<br />
TELLO» («1984» di George Orwell), mandato<br />
da Lorenzo Casini.<br />
Continuate a scriverci a «Il Sole-24 Ore Domenica»<br />
- Sms, via Lomazzo, 52 - 20154 Milano,<br />
mandando un fax allo 02 3022 2011, un Sms a Radio24 al<br />
numero 349 7559055 o scriveteci una email all’indirizzo fermoposta@ilsole24ore.com<br />
a pag.33<br />
Vidiadhar Surajprasad — V. S. — Naipaul,<br />
ovvero il viaggio come romanzo.<br />
Con i suoi personaggi, i rischi, gli imprevisti.<br />
E poi i colpi di scena. I dilemmi. Che il<br />
narratore insegue fino in fondo e attorno ai<br />
quali imbastisce le sue meditazioni tropicali.<br />
Se per scrivere un resoconto giornalistico<br />
basta un po’ di brio e quello che ci si ritrova<br />
sul taccuino — le cose viste —, per scrivere<br />
un libro alla Naipaul occorre che le parole<br />
prendano una direzione e si orientino verso<br />
un centro invisibile dal quale riverbera il loro<br />
significato. Occorre che diano luogo a una<br />
storia. E una storia, si sa, è una costruzione in<br />
cui le varie parti parlano tra di loro e si fanno<br />
eco. Non è un semplice intonare la voce e dare<br />
il via a un susseguirsi di episodi. Perché una<br />
storia non è mai lineare ma gira attorno a se<br />
stessa. E non tutti gli avvenimenti possono<br />
diventare una storia.<br />
Nato a Trinidad, nel 1932, da genitori<br />
che appartenevano a una famiglia<br />
trasferitasi nei Caraibi dal Nord<br />
dell’India, Naipaul partì per l’Inghilterra<br />
nel 1950 con una borsa<br />
di studio. Iniziò a scrivere come<br />
redattore di testi radiofonici per una<br />
trasmissione, «Caribbean Voices»<br />
della Bbc, che sarebbe diventata<br />
leggendaria e a cui parteciparono<br />
via via tutti i futuri<br />
grandi scrittori della sua<br />
generazione.<br />
Naipaul si affermò con<br />
tre o quattro romanzi di ambiente caraibico,<br />
uno dei quali, Una casa per il signor Biswas<br />
(1961) gli diede la notorietà. Nel 1971 vinse il<br />
Booker Prize con In uno stato libero. A cui<br />
seguirono, tra i più famosi e controversi, libri<br />
come: The Overcrowded Barracoon (1972), Guerrillas<br />
(1975), A Bend in the River (1979), Among<br />
the Believers (1981), L’enigma dell’arrivo (1987)<br />
A Turn in the South (1989), A Way in the World<br />
(1994) e Fedeli a oltranza (1998). Nel 2001, Naipaul<br />
ha ricevuto il Nobel.<br />
I coccodrilli di Yamoussoukro, che è in uscita<br />
da Adelphi nella sfolgorante traduzione di Franca<br />
Cavagnoli (pagg. 196, Á 14,50) è una narrativa<br />
che si compone di due parti. Una, autobiografica,<br />
che ricostruisce i primi passi di Naipaul<br />
come scrittore; e un’altra, che racconta di un<br />
viaggio nella Costa d’Avorio agli inizi degli anni<br />
Ottanta. Che cosa li tiene insieme? Una «forma<br />
di isteria» — così la chiama Naipaul — e di<br />
paura, dettate dall’idea della propria estinzione.<br />
E la sua risposta è la ricerca di un centro<br />
(Finding the Centre è infatti il titolo originale) a<br />
cui si perviene, paradossalmente — attraverso<br />
la scrittura —, con l’atto stesso della ricerca.<br />
stagione soffiava sin lì dal Sahara.<br />
Il campo da golf era una grande<br />
creazione, a suo modo qualcosa di<br />
perfetto, il frutto di un lavoro prodigioso;<br />
e tuttavia si riduceva a un<br />
colpo d’occhio, dopo un po’ non<br />
bastava più. Una magnificenza di<br />
quelle dimensioni, in quella cornice,<br />
e dopo un viaggio di duecentoventi<br />
chilometri, stimolava l’appetito<br />
a ben altro: il visitatore cominciava<br />
ad addentrarsi nell’ambizione e<br />
nella fantasia del creatore. C’era<br />
una via principale molto ampia, un<br />
mercato, i quartieri dei muratori;<br />
qualcosa di assai simile a una vera e<br />
propria cittadina andava a poco a<br />
poco ad aggiungersi alla creazione<br />
C ONTRAPPUNTO<br />
di Piero Melograni<br />
del presidente. Ma il visitatore, dando<br />
rapidamente per scontato ciò che<br />
era stato creato, finiva per concentrarsi<br />
su ciò che non c’era, sul terreno<br />
ferito, gli spazi vuoti e polverosi.<br />
E, se non si voleva giocare a golf,<br />
non c’era nient’altro.<br />
Tranne i coccodrilli del presidente.<br />
Il pasto era alle cinque.<br />
Il palazzo presidenziale<br />
era poco lontano, in fondo a<br />
uno degli ampi viali. Venne buona<br />
la macchina di Gil Sherman.<br />
Sul terreno pianeggiante, nel<br />
vuoto abbagliante del pomeriggio,<br />
le proporzioni erano tutte amplificate.<br />
Le mura del palazzo parevano<br />
non finire mai. Proprio accanto<br />
a pag.35<br />
di Sylvie Coyaud<br />
c’era un lago; lo attraversava una<br />
strada rialzata con una ringhiera di<br />
metallo, fiancheggiata da giovani<br />
palme da cocco, che portava al<br />
cancello d’ingresso, pattugliato da<br />
soldati della guardia presidenziale<br />
vestiti di tuniche color prugna. Le<br />
macchine dei visitatori — prevalentemente<br />
bianche — erano parcheggiate<br />
sulla strada.<br />
Nel lago c’erano i coccodrilli.<br />
Scorgemmo il primo non appena<br />
scesi dalla macchina: confuso nell’acqua<br />
fangosa, nient’altro che<br />
una protuberanza di occhi, finché<br />
non divenne visibile il dorso spinoso.<br />
Sobbalzammo. Un africano,<br />
con tutta probabilità un funzionario<br />
(a giudicare dall’aria disinvolta e<br />
sfaccendata), disse: «Il est petit».<br />
Poi, sulla superficie dell’acqua<br />
scorgemmo ovunque occhi e dorsi<br />
spinosi, le spine simili a quelle sulla<br />
corteccia dei baobab.<br />
Da un lato della strada rialzata<br />
un argine di pietra digradava verso<br />
l’acqua. Sopra c’era una quantità di<br />
piccoli coccodrilli, assolutamente<br />
immobili, con gli occhi lucenti che<br />
parevano ciechi; avevano le fauci<br />
aperte, e la mandibola di ciascuno<br />
pareva solo una grande cavità, dalla<br />
forma stranamente semplice, stranamente<br />
pulita e asciutta, chiara, di un<br />
rosa che tendeva al giallo. Dalle<br />
fauci aperte entravano e uscivano le<br />
mosche. Sull’altro lato della strada<br />
non c’era nessun argine di pietra,<br />
La cultura italiana esiste. Parola di Pascal<br />
di Giuseppe Scaraffia<br />
Per sfatare l’accusa di inesistenza<br />
sempre più spesso rivolta<br />
alla cultura italiana, la<br />
CI, esistono svariati metodi.<br />
Metodo Pascal, non Vicedomini<br />
ma Blaise: inginocchiamoci di<br />
fronte a un autore vivente e cominceremo<br />
a credere nella sua grandezza.<br />
Quante volte uno stupido<br />
pregiudizio esterofilo ci ha impedito<br />
di capire che la Maraini è meglio<br />
della Yourcenar?<br />
Metodo Aristotele, non Onassis,<br />
ma di Stagira. La CI è motore immobile<br />
— e nessuno potrebbe ne-<br />
garlo —, immateriale — e chi ha<br />
detto che fosse densa? —, pensiero<br />
che pensa solamente se stesso, e<br />
cioè autoreferenziale.<br />
Metodo Agostino. Non Agostino<br />
di Moravia, ma quello di Ippona:<br />
il nostro cuore è inquieto finché<br />
non riposa nella CI. Chi non si è<br />
serenamente addormentato su una<br />
pagina di Citati?<br />
Metodo di Tommaso. Anche nella<br />
CI vige la trinità, Mondadori-<br />
Rizzoli-Longanesi, e agisce la provvidenza<br />
che si manifesta regolarmente<br />
coronando il concorrente<br />
più inatteso nei premi letterari.<br />
Metodo di Cartesio. La CI è<br />
razionale e si riassume nella cre-<br />
La doppia<br />
elica<br />
è donna<br />
azione delle verità matematiche —<br />
le vendite — e dell’ordine degli<br />
elementi: le classifiche dei libri<br />
più venduti.<br />
Metodo Spinoza, non Antonio,<br />
ma Baruch. La CI è potenza — e<br />
questo è innegabile — e produttività<br />
infinita di novità librarie. Per<br />
Spinoza, come per Stile Libero Einaudi,<br />
ogni cosa è cultura.<br />
Prova del miracolo: se non esistesse<br />
una poderosa CI, come potrebbe<br />
un’anglista come Nadia Fusini<br />
misurarsi con gli autori antichi<br />
con altrettanto successo?<br />
Prova provante. Gli increduli<br />
obiettano che in Italia esistono<br />
molti più autori che lettori. Errato:<br />
ognuno dei nuovi autori è alme-<br />
no lettore della propria opera e<br />
quindi diventa un lettore in assoluto.<br />
Senza contare amici e parenti,<br />
altrettanti lettori spinti dall’affetto<br />
o dalla speranza di trovare qualche<br />
imperfezione in quei volumi.<br />
Prova dell’unicità. Secondo alcuni,<br />
il fatto che la maggioranza<br />
degli acquirenti di libri ne comprino<br />
solo uno all’anno è la prova<br />
dell’impermeabilità degli italiani<br />
alla lettura. Questi sconsiderati<br />
non riflettono sul rispetto per la<br />
cultura che si esprime in una simile<br />
scelta, lungamente meditata e<br />
sul fatto che con ogni probabilità<br />
il volume acquistato viene letto e<br />
riletto, sfuggendo alle trappole di<br />
una lettura consumista.<br />
a pag.41<br />
Sanremo<br />
elasua<br />
ombra<br />
P. A. Canei, R. Piaggio<br />
Lo scrittore premio Nobel racconta il suo viaggio in Costa d’Avorio: gli eccessi di un’Africa sulla via della modernità<br />
LE FAUCI DEL PRESIDENTE<br />
Romanziere<br />
in cerca di centro<br />
La Grande<br />
Guerra<br />
a colori<br />
A Yamoussoukro, città natale del leggendario leader Félix Houphouet-Boigny,<br />
alberghi sontuosi, campi da golf e una vasca di coccodrilli famelici<br />
Un capo tribù con la sua corte in Costa d’Avorio (foto di Daniel Lainé / Corbis); a sinistra lo scrittore premio Nobel per la letteratura del 2001, V. S. Naipaul (Corbis)<br />
solo un terrapieno sabbioso punteggiato<br />
di code di coccodrillo. La sabbia<br />
era disseminata di piume bianche,<br />
come di gallina. In riva al lago<br />
c’erano altri coccodrilli. Di un colore<br />
simile a quello della sabbia, non<br />
erano distinguibili in lontananza.<br />
L’inserviente addetto al pasto dei<br />
coccodrilli era già al lavoro. Era arrivato<br />
a bordo di una Land-Rover grigia,<br />
parcheggiata sulla strada. Era<br />
chiaramente un uomo singolare, alto<br />
e magrissimo. Indossava uno zucchetto<br />
e una tunica a motivi floreali.<br />
Con lui c’era un funzionario del palazzo,<br />
un uomo di dimensioni più<br />
normali, con un completo da safari<br />
grigio a maniche corte. In una mano<br />
l’inserviente teneva un coltello lun-<br />
A<br />
go e sottile; nell’altra una latta o un<br />
secchio pieno di pezzi di carne. Cuore<br />
o polmoni, mi disse Gil Sherman:<br />
di un rosa chiaro, con qualche pezzetto<br />
di intestini di animale.<br />
L’inserviente richiamò l’attenzione<br />
dei coccodrilli percuotendo la ringhiera.<br />
Poi gettò la carne. Gli animali<br />
sull’argine di pietra erano goffi,<br />
lenti. Per prendere la carne dovevano<br />
inclinare i lunghi musi sulle pietre<br />
piatte e, così facendo, mostravano<br />
il ventre di un giallo pallido. Ma<br />
non arrivavano ai pezzi di carne che<br />
cadevano loro sul dorso o finivano<br />
negli interstizi fra le pietre. Non parevano<br />
sempre accorgersi di dove<br />
cadessero.<br />
Mentre l’inserviente lanciava la<br />
carne, il funzionario in grigio chiocciava<br />
e chiamava con voce sommessa<br />
i coccodrilli, parlando loro come<br />
a dei bambini: «Avalez, avalez».<br />
«Su, mandate giù».<br />
Più tardi, di là della strada si celebrò<br />
un altro rito. Lì c’erano i coccodrilli<br />
più vecchi e più grandi, di<br />
colore giallo, dai musi contorti e i<br />
ventri pesanti, con una dentatura<br />
che, quando era serrata, pareva una<br />
lunga ferita seghettata e ricucita alla<br />
bell’e meglio.<br />
Ora l’inserviente alto reggeva<br />
una gallina nera per le ali,<br />
facendola oscillare piano.<br />
Le strida spaventate della gallina a<br />
poco a poco si spensero: non riusciva<br />
più a muovere il collo, che ora<br />
penzolava floscio. Due vecchi coccodrilli,<br />
come avvezzi al rito, aspettavano<br />
l’uno accanto all’altro sulla<br />
sabbia. L’inserviente lanciò altri pezzi<br />
di carne che vennero inghiottiti al<br />
volo; solo quelli che caddero loro<br />
sul dorso rimasero al loro posto.<br />
Dall’acqua affiorarono alcune testuggini<br />
che si diressero a riva per<br />
prendere la propria razione. Un coccodrillo<br />
giovane, dopo aver azzannato<br />
un pezzo di carne, si allontanò<br />
fino a un isolotto sabbioso in mezzo<br />
al lago per mangiare indisturbato. A<br />
quel punto l’inserviente lanciò la<br />
gallina ai due coccodrilli più vecchi.<br />
Le mandibole aperte si chiusero<br />
di colpo. La folla trasalì. Ma l’inserviente<br />
aveva sbagliato mira, e i coccodrilli<br />
non si erano mossi. La gallina<br />
ancora stordita sbattè le ali, si<br />
riprese un po’ e salì zampettando<br />
fino in cima al terrapieno sabbioso,<br />
accanto alla strada.<br />
Ma l’alto inserviente con la tunica<br />
a motivi floreali non le permise<br />
di svignarsela. Scavalcò la ringhiera<br />
e, armato soltanto del lungo coltello<br />
sottile, superò senza fretta i<br />
coccodrilli e raggiunse la gallina,<br />
che non scappò. Dopo averla afferrata,<br />
l’uomo saltò nuovamente sulla<br />
strada, dove ricominciò a far oscillare<br />
la gallina tenendola per le ali. Il<br />
rito venne accompagnato nuovamente<br />
dal chiocciare dell’uomo in<br />
grigio in direzione dei due coccodrilli<br />
più vecchi. L’inserviente lanciò<br />
un’altra volta la gallina. Di nuovo<br />
le mandibole si serrarono di colpo;<br />
di nuovo la gallina riuscì a fuggire.<br />
Ma tutto quel chiocciare aveva<br />
richiamato sulla sabbia un coccodrillo<br />
ancora più grande e più vecchio<br />
degli altri. Aveva la punta del<br />
muso ammaccata e i denti parevano<br />
macchiati, vecchi e consunti. L’inserviente<br />
appoggiò il collo floscio<br />
della gallina sulla ringhiera e abbassò<br />
il coltello. Distolsi lo sguardo.<br />
M<br />
+<br />
Y<br />
+
C<br />
+<br />
B<br />
+<br />
infoline 800.24.00.24 www.radio24.it<br />
Domenica 1 Maggio 2005 - N. 119 Pagina 29<br />
a pag.34<br />
di Salvatore Settis<br />
Umberto Zanotti Bianco merita<br />
di essere ricordato non solo per<br />
il contributo che dette all’archeologia<br />
magno-greca, da Sibari a Paestum,<br />
ma anche perché egli rappresentò<br />
e rappresenta una figura rarissima al<br />
giorno d’oggi, quella di un grande intellettuale<br />
che non disdegnava di scendere<br />
nell’arena dei problemi quotidiani del<br />
Paese, e che vedeva come essenziali per<br />
il suo sviluppo i temi del patrimonio<br />
culturale.<br />
Quella che Zanotti Bianco ha perseguito<br />
in tutta la sua vita con ammirevole<br />
coerenza fu una battaglia contro<br />
l’ineguaglianza, soprattutto (ma non solo)<br />
tra il Nord e il Sud d’Italia. Alla<br />
radice di quel suo generoso, costante<br />
combattere per i poveri e gli oppressi<br />
(non per niente gli amici lo chiamavano<br />
"il cavaliere rose-croix") fu un giovanile<br />
empito, propriamente religioso,<br />
che lo accompagnò fino alla morte.<br />
All’inizio, fu l’educazione nel collegio<br />
barnabita "Carlo Alberto" di Moncalieri;<br />
ma il cuore del messaggio che egli<br />
vi recepì non aveva nulla di bigotto,<br />
anzi si nutriva, grazie specialmente al<br />
padre Giovanni Semeria, di una religiosità<br />
tutta volta all’agire e dei fermenti<br />
del modernismo, contestati e repressi<br />
dalla Chiesa ufficiale.<br />
L’incontro decisivo per il giovane<br />
"piemontese di Creta" (lì era nato, nel<br />
1889, da un diplomatico italiano e da<br />
madre inglese), fu però quello con Antonio<br />
Fogazzaro. Letto Il Santo, romanzo<br />
che a Fogazzaro era costato la pesante<br />
censura della Chiesa romana, Zanotti<br />
fece di tutto per incontrare lo scrittore, e<br />
finalmente lo conobbe nell’autunno<br />
1908, l’«autunno in Valsolda» che un<br />
amico di quegli anni, Tommaso Gallarati<br />
Scotti, avrebbe sapientemente evocato.<br />
Da quell’incontro, vissuto con l’intensità<br />
febbrile di un adolescente, Zanotti<br />
trasse un principio a cui avrebbe sempre<br />
tenuto fede: evitare a ogni costo «il<br />
pericolo di una vita dell’intelletto che<br />
S OTTOS OPRA<br />
Poesia,<br />
la prevalenza<br />
del beota<br />
di Les Murray<br />
sia priva di ogni azione pratica nel campo<br />
sociale e morale».<br />
Pochi mesi dopo l’incontro con Fogazzaro,<br />
la sconvolgente notizia del tragico<br />
terremoto del 28 dicembre 1908,<br />
che rase al suolo Messina, Reggio e<br />
altri comuni nell’area dello Stretto, provocando<br />
un numero di morti vicino a<br />
centomila. Fogazzaro contribuì alla gara<br />
di solidarietà che percorse allora l’Italia,<br />
e fu per suo suggerimento che Zanotti<br />
Bianco partì immediatamente per unirsi<br />
alle<br />
squadre di<br />
soccorso.<br />
Fra le macerie<br />
di<br />
Messina<br />
conobbe<br />
Gaetano<br />
Salvemini<br />
(che vi<br />
aveva perso<br />
la famiglia)<br />
e<br />
Maksim<br />
Gor’kij:<br />
due incontri,<br />
questi,<br />
che si sarebbetentati<br />
di<br />
prendere<br />
a simbolo di due importanti filoni della<br />
sua vita negli anni successivi, l’interesse<br />
per il mezzogiorno d’Italia e quello<br />
per le popolazioni slave oppresse dal<br />
governo zarista.<br />
Fu così che nacque, nel 1910, l’Associazione<br />
nazionale per gli interessi<br />
del mezzogiorno d’Italia (Animi), con<br />
la presidenza onoraria di Pasquale Villari<br />
e quella effettiva di Leopoldo<br />
Franchetti.<br />
e l’altro puntavano a una<br />
redistribuzione della proprietà<br />
L’uno<br />
agraria fra i contadini come fattore<br />
primario di rinnovamento economico<br />
e sociale. Zanotti, con Gallarati Scotti<br />
e altri, preferirono individuare come<br />
veicolo essenziale del riscatto del Sud<br />
a pag.36<br />
«Italia Nostra» compie mezzo secolo di vita.<br />
Il suo primo presidente fu Zanotti Bianco,<br />
piemontese nato a Creta, allievo di padre Semeria<br />
e amico di Salvemini. Un meridionalista del Nord<br />
che voleva riscattare le regioni più povere d’Italia<br />
con la scuola e la cultura. E che vedeva<br />
nella conservazione dei monumenti e del paesaggio<br />
un imperativo etico e un fattore di sviluppo<br />
Tra le tante proposte che avete inviato anche<br />
questa settimana al gioco «Sotto Sopra», realizzato<br />
in collaborazione con Radio24 e la trasmissione<br />
«Buongiorno Domenica», abbiamo scelto la proposta<br />
del lettore Paolo Mason di Mestre.<br />
Sopravvalutato: Antoine de Saint-<br />
Exupéry.<br />
Il cui Piccolo Principe, pur essendo<br />
una favola delicata, non è nemmeno<br />
paragonabile a Pinocchio.<br />
Sottovalutato: Carlo Collodi. Autore<br />
del più grande romanzo "toscano"<br />
dell’Ottocento, non solo per la<br />
grandezza del lessico ma anche per<br />
le allegorie profetiche: il Giudice che condanna Pinocchio,<br />
perché è innocente. I medici divisi tra il<br />
dubbio se sia vivo perché non è morto o viceversa; il<br />
gatto e la volpe che sono le banche e i fondi; la<br />
burocrazia che è proprio una lumaca, e altro.<br />
Continuate a scrivere a «Sottosopra», Il Sole-24 Ore-Domenica,<br />
via Monte Rosa 91, 20149 Milano; inviate un<br />
fax allo 0230222011; una mail a fermoposta@ilsole24ore.com<br />
oppure a ilgiocodelladomenica@radio24.it<br />
“<br />
di Alessandro<br />
Pagnini<br />
la cultura e la scuola, e si ripromisero<br />
di aprire asili, scuole, biblioteche, ambulatori<br />
medici nei villaggi più derelitti<br />
(il consuntivo finale fu di oltre 2000<br />
scuole in tutto il Sud, 649 nella sola<br />
Calabria).<br />
Dopo che, per reggere le fila dell’ufficio<br />
reggino dell’Animi, Zanotti si trasferì<br />
a Reggio (1912), gli venne subito<br />
chiaro che andavano riscattati dall’emarginazione<br />
e dall’oblio non solo i contadini<br />
calabresi, ma anche i monumenti e le<br />
memorie<br />
storiche di<br />
quella e<br />
Se l’arte, come la letteratura, è la spirituale<br />
irradiazione di un popolo attraverso<br />
i secoli, nessun imperativo sociale<br />
potrà mai giustificare l’ottenebramento di<br />
questa gloriosa tradizione: risanare non<br />
implica distruggere.<br />
Contro le molte manifestazioni di inciviltà,<br />
fermenta oggi un’ansia di rivolta, alimentata<br />
da quanto di meglio ha la nostra<br />
cultura. UMBERTO ZANOTTI BIANCO<br />
(aprile 1957)<br />
C ONTRAPPUNTO<br />
Torna Snow<br />
con le sue<br />
due culture<br />
delle altre<br />
regioni del<br />
Sud. Dello<br />
stesso<br />
1912 è la<br />
sua prima<br />
battaglia<br />
in favore<br />
dei monumentibizantini<br />
e<br />
normanni<br />
di Calabria,ignorati<br />
e negletti.<br />
Ma<br />
anche qui,<br />
in una vita<br />
che tanto si nutrì di rapporti personali<br />
quanto di idee e di ideali, vi fu un<br />
incontro decisivo, quello con Paolo Orsi<br />
(1911). Il grande archeologo di Rovereto<br />
aveva già da molto tempo deciso di<br />
dedicare la propria vita all’archeologia<br />
della Sicilia e della Magna Grecia, e fu<br />
per Zanotti una guida sicura in quelle<br />
antiche civiltà. «A me che cercavo di<br />
traversare quelle regioni chiudendo gli<br />
occhi su tutto ciò che non fosse la sofferenza<br />
del popolo, [Paolo Orsi] cominciò<br />
fin d’allora a instillare la profonda pietà<br />
dei monumenti della Calabria». Pietas è<br />
qui la parola-chiave: uno stesso senso,<br />
laicamente religioso, di rispetto e di<br />
affezione, di identificazione coi cittadini<br />
più sfortunati, ma anche con l’archeo-<br />
a pag.42<br />
logia e la storia di quei luoghi.<br />
Si capisce così come dal seno stesso<br />
dell’Animi nascesse nel 1920 la Società<br />
Magna Grecia, presieduta da Paolo<br />
Orsi e diretta da Zanotti Bianco, intorno<br />
a cui presto si raccolsero archeologi<br />
come Pirro Marconi, ma soprattutto<br />
cittadini (come Eleonora Duse, Ernesto<br />
Buonaiuti, Bernard Berenson, Lionello<br />
Venturi, Corrado Ricci). Fu in<br />
quella cornice che Zanotti ebbe un altro<br />
incontro decisivo, quello con l’archeologa<br />
Paola Zancani Montuoro.<br />
Nella presentazione della Società Magna<br />
Grecia scritta in occasione del primo<br />
decennale di attività e pubblicata<br />
nel 1931, Zanotti faceva notare che il<br />
bilancio della direzione generale alle<br />
Antichità e Belle Arti d’Italia nel 1920<br />
era di 39 milioni di lire, equivalente a<br />
quello del solo Metropolitan Museum<br />
di New York. Sono le cifre ricordate da<br />
Paolo Orsi in un discorso al Senato (di<br />
cui era membro per nomina regia) del<br />
1927. Con un bilancio tanto esiguo,<br />
quale speranza poteva mai esserci di<br />
promuovere la ricerca archeologica al<br />
Sud? Ma la Società Magna Grecia ebbe<br />
un ruolo essenziale in una raccolta di<br />
fondi e in un dispiegarsi di progetti che,<br />
per dimensioni e per qualità dei risultati<br />
nell’Italia di quegli anni, appare oggi<br />
quasi incredibile.<br />
Volte a correggere le disattenzioni<br />
del Governo, sia l’Animi che<br />
la Società Magna Grecia erano<br />
però viste con crescente fastidio, come<br />
focolai di opposizione al regime, e perciò<br />
furono costrette a chiudere e a riaprire<br />
sotto altro nome: l’Animi diventò nel<br />
1939 "Opera Principessa di Piemonte"<br />
(Maria José di Savoia fu sempre vicina<br />
a Zanotti Bianco), la Società Magna<br />
Grecia, sciolta nel 1934, rinacque poco<br />
dopo come "Società Paolo Orsi". Solo<br />
dopo la guerra l’una e l’altra impresa<br />
poterono riprendere il nome originario;<br />
e solo allora il ruolo e il significato di<br />
Zanotti Bianco furono riconosciuti in<br />
modo adeguato, con la nomina a presidente<br />
della Croce Rossa Italiana nel<br />
Il memoriale<br />
della Shoah<br />
a Berlino<br />
di Mario Platero<br />
e Walter Rauhe<br />
Umberto Zanotti Bianco<br />
(1889-1963), sociologo e<br />
archeologo, fondatore nel<br />
1955 e primo presidente di<br />
Italia Nostra,<br />
ritratto in divisa militare<br />
durante<br />
la Prima Guerra<br />
Mondiale<br />
(Fototeca<br />
Storica Gilardi)<br />
1944, e poi ad accademico dei Lincei<br />
(1947), a presidente della stessa Animi<br />
(1951), quindi di Italia Nostra (dalla<br />
fondazione, 1955), e soprattutto con la<br />
nomina a senatore a vita, dovuta al presidente<br />
Luigi Einaudi (1952).<br />
Le prime esperienze di archeologia<br />
sul campo per Zanotti furono in Sicilia:<br />
nel 1929 partecipò con Pirro Marconi<br />
agli scavi del tempio dorico di Himera,<br />
nel 1931 con Paolo Orsi e Rufo Ruffo<br />
a pag.46<br />
della Scaletta a quelli di Sant’Angelo<br />
Muxaro. Nel 1932, osò affrontare da<br />
solo, con sondaggi nella Piana di Sibari,<br />
il tema arduo della localizzazione di<br />
quell’antica città, distrutta dai Crotoniati<br />
nel 510 a.C., e seppe identificarla<br />
(come solo molti anni dopo sarebbe stato<br />
confermato) nell’area di Parco del<br />
Cavallo. Ma venne subito dopo il divieto<br />
di risiedere in Calabria, e quindi le<br />
ricerche più importanti e fortunate, quel-<br />
Il Castro<br />
in maschera<br />
di Stone<br />
di Roberto Escobar<br />
UMBERTO DI MAGNA GRECIA<br />
”<br />
di Riccardo <strong>Chiaberge</strong><br />
Un cassintegrato alla Fiera del libro<br />
In questa terra di lettori anoressici,<br />
la passione per i libri è un<br />
fiume carsico che sgorga dal sottosuolo<br />
dove e quando meno te<br />
l’aspetti. Da un paesino abruzzese<br />
arriva in redazione la supplica di<br />
Salvatore, quarantaseienne in cassa<br />
integrazione e, «per colmo di sfortuna»,<br />
operato al cuore di recente.<br />
«Non voglio mendicare nulla — scrive<br />
— ma darei chissà cosa per avere<br />
del materiale da leggere». E subito<br />
dopo confessa il suo sogno proibito:<br />
visitare la Fiera del Libro di Torino.<br />
«So bene che potrei acquistare po-<br />
chissimo, ma almeno i miei occhi<br />
vedrebbero tanti libri, riviste, e il<br />
mio fisico tornerebbe per qualche<br />
ora come prima».<br />
Il libro come terapia postoperatoria<br />
per cardiopatici: bisognerebbe<br />
proporla al neoministro Francesco<br />
Storace, che dice di volersi occupare<br />
più delle malattie che degli stili di<br />
vita. E invece lo stile conta, eccome:<br />
tanto che a qualcuno basta respirare<br />
l’aria di una libreria per sentirsi<br />
meglio. Ma Salvatore non pensa soltanto<br />
a sé: «L’amore per la pagina<br />
scritta, per l’inchiostro — continua<br />
— è secondo solo all’amore che ho<br />
verso mia figlia di dieci anni, che<br />
ama tanto leggere, e spero da gran-<br />
de non debba scrivere mai una lettera<br />
così».<br />
Non sappiamo che mestiere faccia<br />
il nostro amico, né per quali motivi<br />
sia cassintegrato. Sappiamo però che<br />
se si potesse retribuire la voglia di<br />
cultura, meriterebbe uno stipendio da<br />
supermanager. In cassa integrazione<br />
(anzi, disintegrazione: zero ore e zero<br />
salario) ci dovrebbero andare certi<br />
ragazzotti del Nord col portafogli gonfio<br />
e la testa vuota, o gli ultrà che<br />
lanciano bottiglie e lacrimogeni nei<br />
campi di calcio. Tutta gente che per<br />
nessuna ragione al mondo si fermerebbe<br />
davanti alla vetrina di una libreria,<br />
né tanto meno ci metterebbe il<br />
naso dentro, pur avendo gli euro ne-<br />
L’incontro con Fogazzaro,<br />
l’impegno sociale<br />
a Reggio Calabria,<br />
la passione per<br />
l’archeologia,<br />
gli scavi pionieristici<br />
nella piana di Sibari.<br />
E le epiche battaglie<br />
per fermare<br />
la cementificazione<br />
cessari per comprarsi non diciamo un<br />
Meridiano, ma almeno un tascabile.<br />
Viene in mente quel proverbio: chi<br />
ha pane non ha denti, chi ha denti<br />
non ha pane. Può accadere che il<br />
lettore forte sia un consumatore debole<br />
o squattrinato, come è il caso di<br />
Salvatore, o viceversa.<br />
Signori del Lingotto, pagategli il<br />
viaggio e offritegli un ingresso gratuito.<br />
Magari due, se porta con sé anche<br />
la bambina. Non contribuirà al fatturato<br />
della Fiera, ma ne arricchirà il<br />
bilancio spirituale. Ammesso che riesca<br />
a farsi largo tra le orde di teenager<br />
a caccia dell’ultimo libro di Totti.<br />
r.chiaberge@ilsole24ore.com<br />
altri servizi a pag. 34<br />
infoline 800.24.00.24 www.radio24.it<br />
Il tempio della Concordia nella valle<br />
dei templi di Agrigento<br />
(Macduff Everton / Corbis/Contrasto)<br />
le che portarono, in stretta collaborazione<br />
con Paola Zancani Montuoro, alla<br />
scoperta del complesso dell’Heraion alla<br />
foce del Sele, con la sua straordinaria<br />
decorazione figurata.<br />
Questo diretto impegno di scavatore<br />
e ricercatore dette a Zanotti Bianco armi<br />
intellettuali ancor più affilate per<br />
condurre, come presidente di Italia Nostra<br />
(dal 1955 alla morte, 1963), la battaglia<br />
in favore della conservazione del<br />
patrimonio culturale e del paesaggio,<br />
negli anni in cui cominciava quella tumultuosa<br />
crescita economica che<br />
avrebbe generato in tutta Italia disordinati<br />
e spesso distruttivi interventi<br />
edilizi, cinici abusi, lottizzazioni e<br />
cementificazioni. L’imperativo<br />
morale a cui egli sempre ubbidì<br />
(rompere il conformismo e il<br />
silenzio in nome di un senso<br />
profondo della giustizia e del<br />
diritto) si manifestò al meglio<br />
nell’attività iniziale di<br />
un sodalizio destinato a<br />
rappresentare (come fa ormai<br />
da cinquant’anni) una<br />
voce significativa in difesa<br />
del patrimonio culturale<br />
e ambientale, nello spirito<br />
dell’articolo 9 della Costituzione<br />
repubblicana.<br />
Di poco anteriore alla fondazione<br />
di Italia Nostra è la sdegnata<br />
lettera con cui Zanotti e altre personalità<br />
(fra cui Salvemini, Elena<br />
Croce, Corrado Alvaro, Carlo Levi,<br />
Gaetano De Sanctis) protestavano<br />
contro gli scempi nell’area della Via<br />
Appia antica. Pienissima fu dunque la<br />
continuità fra il giovane Zanotti, che<br />
durante la Prima guerra mondiale collaborò<br />
con Ugo Ojetti alla salvaguardia<br />
dei monumenti nelle zone di guerra, e<br />
lo Zanotti maturo che, in una situazione<br />
profondamente mutata, combatteva<br />
in tempo di pace un’ancor più dura<br />
battaglia. Per la prima volta, sorgeva<br />
con Italia Nostra un’associazione ambientalista<br />
a livello nazionale, e nessuno<br />
meglio di lui poteva esserne il presidente,<br />
grazie a un’indiscussa autorità<br />
morale, sigillata ed esaltata dalla nomina<br />
a senatore a vita a soli 63 anni.<br />
In libreria<br />
ARMANDO<br />
VERDIGLIONE<br />
La rivoluzione cifrematica<br />
pp. 678, € 30,00<br />
Il manifesto di cifrematica<br />
pp. 240, € 20,00<br />
tel. 02 8054417 fax 02 8692631 press@spirali.com<br />
www.spirali.com www.verdiglione.org<br />
www.thesecondrenaissance.com<br />
M<br />
+<br />
Y<br />
+
C<br />
+<br />
B<br />
+<br />
Domenica 12 Giugno 2005 - N. 160 Pagina 29<br />
a pag.32<br />
di Amartya K. Sen<br />
Non è fuori luogo affermare<br />
che la prospettiva<br />
darwiniana, intesa<br />
come una visione generale del<br />
progresso, suggerisca di concentrare<br />
l’attenzione sull’adattamento<br />
delle specie piuttosto<br />
che sull’aggiustamento dell’ambiente<br />
in cui le specie vivono.<br />
Perciò, non ci sorprende<br />
che questa visione del progresso<br />
abbia l’effetto di incoraggiare<br />
direttamente un tipo di pianificazione<br />
consapevole, ovvero<br />
la prospettiva del miglioramento<br />
genetico. Il movimento eugenetico,<br />
fiorito intorno alla<br />
fine del diciannovesimo secolo,<br />
fu influenzato da argomentazioni<br />
darwiniane intorno<br />
alla sopravvivenza del più<br />
forte. Esso sostenne l’idea di<br />
«dare una mano» alla natura<br />
nel crescere tipi genetici migliori,<br />
principalmente limitando<br />
la propagazione delle varianti<br />
«meno adatte». Le politiche<br />
che esso ha favorito<br />
hanno spaziato dalla persuasione<br />
intellettuale alla sterilizzazione<br />
forzata.<br />
Il movimento ha avuto molti<br />
sostenitori noti, da sir Francis<br />
Galton (cugino di Darwin)<br />
a Elisabeth Nietzsche (sorella<br />
del filosofo). Per un certo periodo,<br />
il sostegno di questo tipo<br />
di manipolazione genetica godette<br />
di grande rispettabilità,<br />
ma alla fine esso fu oggetto di<br />
disapprovazione, in particolare<br />
a causa dell’agghiacciante patronato<br />
di Hitler (che, incidentalmente,<br />
versò alcune lacrime<br />
durante il funerale di Elisabeth<br />
Nietzsche, nel 1935). Mentre<br />
Darwin non fu mai un sostenitore<br />
della pianificazione genetica,<br />
l’approccio eugenetico può<br />
coesistere con la visione secondo<br />
cui il progresso deve essere<br />
giudicato principalmente in base<br />
alle caratteristiche delle specie.<br />
Coloro che considerano<br />
la visione darwiniana del progresso<br />
in grado di fornire una<br />
comprensione adeguata del<br />
progresso in generale devono<br />
porsi il problema dell’accettabilità<br />
e dei limiti della<br />
manipolazione genetica<br />
attraverso la coltivazione<br />
selettiva. Come visione<br />
del mondo, questa<br />
prospettiva del<br />
progresso deve fare i<br />
conti con le implicazioni<br />
contrarie dei valori<br />
cui abbiamo motivo<br />
di attribuire importanza,<br />
comprese l’autonomia<br />
e la libertà.<br />
Nonostante il movimento<br />
eugenetico traesse ispirazione,<br />
e un certo sostegno intellettuale,<br />
dal darwinismo, è<br />
giusto puntualizzare che l’interesse<br />
di Darwin era rivolto<br />
alla visione del progresso come<br />
ordine spontaneo e non<br />
pianificato. Nell’ambito del<br />
pensiero religioso, l’aspetto<br />
più radicale del darwinismo<br />
riguardava la negazione del<br />
D ÉJÀ V U<br />
Tutto Dante:<br />
Rifondazione<br />
classicista<br />
di Piero Boitani<br />
disegno della creazione simultanea<br />
di tutte le specie.<br />
Ma la questione generale<br />
del progresso spontaneo va<br />
ben oltre la questione dell’intenzionalità<br />
di un essere divino<br />
esterno. Se l’evoluzione garantisce<br />
il progresso, la necessità<br />
di uno sforzo intenzionale<br />
delle parti coinvolte — gli esseri<br />
umani — può essere ridotta<br />
fino a un certo livello. Inol-<br />
a pag.41<br />
tre, possiamo affermare<br />
che, cercando<br />
di causaredeliberatamenteprogresso<br />
e<br />
tentando<br />
di<br />
cambiare<br />
il<br />
mondo<br />
in cui<br />
viviamo,<br />
possiamo mettere a repentaglio<br />
l’operare spontaneo dei<br />
processi evolutivi.<br />
Se assumiamo la visione<br />
del progresso relativa alla<br />
qualità delle specie, e<br />
se accettiamo che la selezione<br />
genetica possa renderci meravigliosamente<br />
adattati, allora —<br />
possiamo domandarci — per<br />
quale motivo incoraggiare i geni<br />
meno adatti? La fede nel<br />
progresso spontaneo nega mol-<br />
C ONTRAPPUNTO<br />
Warburg<br />
e la Pompei<br />
d’America<br />
di Salvatore Settis<br />
to più dell’opera di un Dio<br />
cristiano dalla mente creatrice.<br />
Quindi, vi sono due direzioni<br />
diverse verso cui possiamo<br />
essere sospinti dalla visione<br />
darwiniana del progresso. Una<br />
propone la manipolazione genetica,<br />
mentre l’altra suggerisce<br />
un affidamento<br />
passivo allo spontanei-<br />
smo. L’elemento comune<br />
è naturalmente il silenzio<br />
sulla possibilità di aggiustare<br />
il mondo allo<br />
scopo di soddisfare i nostri<br />
bisogni. Tale mancanza<br />
di attenzione è il<br />
risultato diretto del giudizio<br />
sul progresso che si basa<br />
sulla natura delle specie, invece<br />
che sul tipo di vita che esse<br />
conducono; che avrebbe immediatamente<br />
attirato la nostra attenzione<br />
sulla necessità di aggiustare<br />
il mondo interno. A<br />
partire da questa base comu-<br />
a pag.42<br />
ne propria del darwinismo, la<br />
visione attivista procede verso<br />
la manipolazione genetica,<br />
mentre la visione più passiva<br />
suggerisce di affidarsi alla natura.<br />
Nessuna delle due ci<br />
porta a correggere il mondo<br />
esterno in cui viviamo.<br />
Questo tema si ricollega a<br />
un argomento di più ampio respiro:<br />
quello che riguarda<br />
l’enorme differenza attitudinale<br />
esistente tra l’affidarsi alla<br />
natura in generale e il cercare<br />
deliberatamente di contrastarne<br />
gli effetti inaccettabili. Que-<br />
Quei trenta<br />
gradini<br />
fino a Dio<br />
di Gianfranco Ravasi<br />
sta dicotomia può essere illustrata<br />
mediante la contrapposizione<br />
tra l’evocazione della natura<br />
di Malthus, che dà sostegno<br />
all’inattività sociale, e l’interventismo<br />
di William Godwin.<br />
In realtà, Malthus fu un<br />
La natura non favorisce le cose alle quali<br />
gli esseri umani attribuiscono valore: alleviare<br />
le sofferenze, eliminare le diseguaglianze,<br />
rendere più vivibile il pianeta<br />
vero e proprio «guru» della teoria<br />
evolutiva. Ne L’origine<br />
delle specie, Darwin spiega<br />
che, in parte, la sua teoria «è la<br />
dottrina di Malthus applicata<br />
con duplice forza all’insieme<br />
dei regni animale e vegetale».<br />
Nel suo famoso Trattato sulla<br />
popolazione, pubblicato nel<br />
1798, Malthus gettò le fondamenta<br />
per una teoria della selezione<br />
naturale legando la questione<br />
della sopravvivenza alla<br />
crescita della popolazione e alla<br />
lotta per le risorse naturali.<br />
Mentre la più grande ambizione<br />
filosofica della sua<br />
opera fu quella di mettere<br />
in discussione il pro-<br />
gressismo radicale di<br />
Godwin e Condorcet (come<br />
fu dichiarato nel titolo<br />
originale della monografia),<br />
il suo scopo immediato<br />
fu quello di impedire<br />
la legislazione in<br />
favore del cambiamento<br />
delle Poor Laws in Gran Bretagna,<br />
in favore dell’introduzione<br />
del reddito proporzionale<br />
alle dimensioni della famiglia.<br />
Una simile interferenza con un<br />
processo della natura sembrò a<br />
Malthus un modo di aggravare<br />
ulteriormente il problema; sa-<br />
pagg.44-45<br />
Trapanati<br />
dalla<br />
Biennale<br />
di Autori Vari<br />
Nel suo nuovo libro, «Razionalità e libertà», il premio Nobel Amartya Sen discute le implicazioni sociali della teoria darwiniana<br />
I GENI DEL PROGRESSO<br />
Il meccanismo dell’evoluzione bada più alla sopravvivenza e alla riproduzione delle specie che alla qualità<br />
della vita degli individui. Siamo noi a dover fare le scelte giuste per migliorare il nostro ambiente<br />
Tra le proposte pervenute al gioco «Déjà vu»,<br />
realizzato in collaborazione con Radio 24, abbiamo<br />
scelto quella del lettore Paolo Lamberti:<br />
«Italia 2005/ Atene, fine V a.C.: Soldati all'estero<br />
per esportare vanamente la democrazia. Oligarchi<br />
e demagoghi si succedono al governo.I vasi<br />
apuli (Far West) sostituiscono<br />
la produzione ceramica. Il<br />
prezzo del grano (motore della<br />
società) sale. La città è piena<br />
di profughi e immigrati.<br />
Gli intellettuali razionalisti<br />
sono morti o in esilio (Anassagora,<br />
Tucidide). I ciarlatani<br />
prevalgono sui medici (Ippocrate).<br />
I filosofi (Socrate) allevano<br />
demagoghi (Alcibiade),<br />
mercenari (Senofonte), dittatori (Crizia). Per fortuna<br />
che oggi non c'è più una Sparta!»<br />
Mandate le vostre proposte al Sole 24 Ore Domenica<br />
- Déjà vu, via Monterosa 91, 20149 Milano, un fax<br />
al numero 023022.2011 o un’email all’indirizzo fermoposta@ilsole24ore.com<br />
oppure a ilgiocodella domenica@radio24.it<br />
Edward Hicks, «The Peaceable Kingdom» (1845 circa), New York, Brooklyn Museum of Art. A sinistra, Charles Darwin (Corbis)<br />
Le galere veneziane e il fantoccio di Hitler<br />
di Riccardo <strong>Chiaberge</strong><br />
Tra i primi concorrenti a «Déjà<br />
vu» — il nostro gioco dell’estate<br />
— si segnala un lettore eccellente:<br />
Sergio Romano, che in un fondo<br />
sul Corriere di giovedì scorso ha<br />
ripreso l’ultima copertina del Domenicale<br />
di Gianni Toniolo, mettendo in<br />
luce le analogie tra la Venezia del<br />
’600 e l’Italia di oggi. Anche noi,<br />
come la gloriosa Serenissima, rischiamo<br />
di «perdere il mare», perché davanti<br />
alle sfide della modernità preferiamo<br />
galleggiare sulle «galere» del<br />
buon tempo antico, prigionieri di<br />
un’ideologia antiscientifica. E intanto<br />
sfrecciano, col vento in poppa, i velieri<br />
inglesi.<br />
Menzione speciale per l’ambasciatore<br />
Romano: ha colto perfettamente<br />
l’allusione implicita nel racconto di<br />
Toniolo. Squalifica invece per Bogdan<br />
Michalski, docente di giornalismo<br />
all’Università di Varsavia e curatore<br />
dell’edizione (purgata) di Mein<br />
Kampf in polacco, che mostra di avere<br />
un concetto assai discutibile del<br />
«Déjà vu». Gli studenti di storia e<br />
scienze politiche, scrive Michalski nella<br />
sua prefazione, dovrebbero leggere<br />
il libro di Hitler per capire la Germania<br />
attuale, animata, come allora, da<br />
una smania inestinguibile di suprema-<br />
zia sugli altri popoli. Cos’è, se non<br />
una prova di questa sindrome da «Lebensraum»,<br />
la richiesta di un seggio<br />
nel consiglio di sicurezza dell’Onu?<br />
Ecco un modo truffaldino di usare<br />
la storia, inchiodando un popolo alla<br />
pagina più oscura del proprio passato.<br />
Negli anni Ottanta, apprendiamo<br />
da un articolo di Karol Sauerland<br />
sulla Frankfurter Allgemeine Zeitung,<br />
questo Michalski aveva difeso il<br />
regime di Jaruzelski e la censura sulla<br />
stampa. Adesso brandisce il testo<br />
fondamentale del nazionalsocialismo<br />
in funzione antitedesca. Del resto,<br />
Hitler è un fantoccio polemico di sicuro<br />
effetto, e anche in Italia, in queste<br />
settimane, lo abbiamo visto aleggiare<br />
Razionalità e libertà non possono fare a meno<br />
l’una dell’altra. Eppure ci sono concezioni<br />
della razionalità che finiscono per<br />
consegnarci un’idea di libertà del tutto insoddisfacente,<br />
fino a sconfinare nella sua negazione, e<br />
visioni della libertà incapaci di cogliere il valore<br />
della riflessione razionale per le nostre scelte.<br />
Tutto il lavoro di Amartya K. Sen, l’economistafilosofo<br />
nato a Santiniketan, nel Bengala, nel<br />
1933, premio Nobel per l’Economia nel 1998, si<br />
muove, a ben vedere, intorno a questi due concetti<br />
e alla loro reciproca tensione. Lo si vedeva già<br />
in saggi celeberrimi degli anni 70 come Rational<br />
fools (folli razionali), in cui egli attaccava l’idea<br />
secondo la quale la razionalità coincide con la<br />
coerenza interna dell’ordinamento delle scelte,<br />
finendo però per considerare razionali anche<br />
comportamenti in netto contrasto con i propri<br />
desideri e valori, rispetto ai quali l’idea formale<br />
di coerenza risulta del tutto indifferente. O<br />
nell’«impossibilità del paretiano liberale», per<br />
cui il rispetto della libertà di scelta e dei desideri<br />
personali risulta incompatibile con il principio -<br />
pure improntato all’individualismo - di efficienza<br />
di Pareto. E, ancora, nella sua originale analisi<br />
del paradosso dell’impossibilità delle scelte<br />
collettive di Kenneth Arrow, sul quale Sen è<br />
tornato nella conferenza per il Nobel: una sorta<br />
di autoritratto, che ora apre il nuovo volume su<br />
Razionalità e libertà (pagg. 496, ł 34) che il Mulino<br />
manderà in libreria il 23 giugno. Ne proponiamo<br />
uno stralcio dal saggio forse più eccentrico,<br />
dedicato alla «visione darwiniana del progresso»,<br />
che rende bene la capacità di Sen si spaziare<br />
con lucidità nei diversi ambiti del sapere.<br />
Un’altra «follia razionale» denunciata da Sen<br />
è quella dell’homo oeconomicus in quanto massimizzatore<br />
dell’utilità. L’utilitarismo è infatti<br />
un’altra teoria che non riesce a cogliere il valore<br />
intrinseco di diritti e valori capaci di dare sostanza<br />
a una nozione di libertà dove non contano<br />
solo le opportunità o le alternative proposte ai<br />
singoli dall’esterno, ma anche, e soprattutto, la<br />
possibilità di questi di elaborare, attraverso la<br />
riflessione critica, l’ambito stesso delle proprie<br />
scelte e della propria capacità di azione. Di qui<br />
la costante attenzione per i rapporti tra economia,<br />
democrazia e pluralismo dei valori per la<br />
ridefinizione del benessere e della felicità. Tema<br />
che Sen affronterà in occasione delle lauree «honoris<br />
causa» che gli verranno conferite dall’Univeristà<br />
di Pavia (venerdì 17 giugno alle 10,30) e<br />
dall’univerità di Milano Bicocca (stesso giorno,<br />
ore 17). (Armando Massarenti)<br />
nei comizi e nei talk show. Ma come<br />
è insensato proiettare l’ombra del<br />
Führer su ogni cittadino tedesco, bisogna<br />
smetterla di vedere in ogni<br />
biologo la controfigura del dottor<br />
Mengele.<br />
Il gioco che abbiamo proposto ai<br />
lettori: «A quale periodo storico vi fa<br />
pensare l’Italia del 2005?» vuole stimolare<br />
tutt’altro genere di riflessioni.<br />
Se Popper ci ha insegnato che la storia<br />
non si ripete, è anche vero che gli<br />
eventi del passato sono spesso metafore<br />
del presente. Evitiamo di cercarvi<br />
soltanto conferme ai nostri pregiudizi<br />
e alle nostre paure.<br />
riccardo.chiaberge@ilsole24ore.<br />
com<br />
rebbe stato meglio, dunque, abbandonare<br />
questi tentativi deliberati<br />
di aiutare coloro che<br />
non potevano essere aiutati.<br />
Malthus di fatto sostenne<br />
— ma senza<br />
grande ottimismo<br />
— il controllo volontario come<br />
metodo di riduzione della<br />
crescita della popolazione, e<br />
qui ancora una volta (come nel<br />
caso dell’eugenetica) l’enfasi<br />
ricade sulla necessità di adattare<br />
noi stessi piuttosto che adattare<br />
il mondo che sta fuori da<br />
noi. Malthus fu coerentemente<br />
e presumibilmente ostile<br />
all’azione pubblica di assistenza<br />
ai poveri, ma anche a certe<br />
«cortesie» pubbliche come la<br />
degenza in ospedale per le ragazze<br />
madri e gli orfanotrofi<br />
per i bambini abbandonati.<br />
La dicotomia tra l’abbandono<br />
dei poveri e dei miserabili<br />
al volere della natura e la vo-<br />
lontà di ricorrere all’azione<br />
pubblica per cercare di aiutarli<br />
rimane tuttavia importante nel<br />
mondo contemporaneo. In realtà,<br />
la significatività del contrasto<br />
può essere cresciuta negli<br />
ultimi anni, con una tendenza<br />
sempre più forte a lasciare che<br />
le forze impersonali — per<br />
esempio, il meccanismo di<br />
mercato — seguano il loro corso<br />
naturale. Il fallimento della<br />
Seconda guerra mondiale è<br />
spesso interpretato non semplicemente<br />
come il fallimento di<br />
un particolare sistema di intervento,<br />
ma come l’impossibilità<br />
di miglioramenti pianificati<br />
di qualsiasi genere.<br />
La questione dell’intervento<br />
riguarda più da vicino<br />
le materie sociali<br />
(del tipo illustrato dalle differenze<br />
tra Malthus e Godwin),<br />
ma sono coinvolte anche tematiche<br />
ambientali. Considerate<br />
il problema del possibile esaurimento<br />
dello strato di ozono.<br />
È abbastanza probabile che, se<br />
lasciato a se stesso, l’assottigliamento<br />
dello strato di ozono<br />
conduca a una risposta genetica<br />
tramite il meccanismo<br />
dell’evoluzione. Per esempio,<br />
i genotipi che hanno geni meno<br />
vulnerabili possono sopravvivere<br />
meglio ai cambiamenti<br />
delle radiazioni e diventare relativamente<br />
più numerosi (ho<br />
sentito dire che noi, gente di<br />
colore, ci adattiamo più lentamente<br />
di voi, ma non ci scommetterei).<br />
La selezione naturale può<br />
sostituirci con individui più<br />
«adatti», e ciò fa parte del progredire<br />
dell’evoluzione. Ma se<br />
valutiamo le nostre vite e condanniamo<br />
le malattie e l’estinzione,<br />
desideriamo un corso di<br />
azione in grado di resistere<br />
con forza ai cambiamenti sfavorevoli<br />
dell’ambiente. Dal<br />
punto di vista degli esseri umani,<br />
per come siamo costituiti,<br />
la selezione naturale genetica<br />
può essere una prospettiva agghiacciante<br />
anziché confortevole.<br />
Non intendo esacerbare<br />
il contrasto, ma una differenza<br />
significativa a livello di<br />
attitudine risiede in questi<br />
due modi di vedere la natura<br />
e, più in generale, di vedere<br />
le condizioni ambientali in<br />
cui ci troviamo. Un aspetto<br />
del dilemma è stato articolato<br />
in maniera nota dall’incerto<br />
principe di Danimarca: «Se è<br />
più nobile nella mente soffrire<br />
/ Le fiondate e le frecce<br />
della beffarda fortuna, / Oppure<br />
prendere le armi contro<br />
un mare di guai, /E combattendoli,<br />
finirli».<br />
A questa formula non può<br />
essersi appellato Darwin, se<br />
non altro per il fatto che<br />
nell’ultima parte della sua vita<br />
egli aveva iniziato a trovare il<br />
poeta inglese alquanto sgradevole.<br />
«Ho cercato più avanti di<br />
leggere Shakespeare», Darwin<br />
dichiara nella sua Autobiografia,<br />
«e l’ho trovato talmente<br />
insopportabilmente noioso da<br />
avermi dato la nausea».<br />
In occasione della pubblicazione del libro<br />
Farmacrazia<br />
pp. 373, € 25,00<br />
incontro con<br />
THOMAS SZASZ<br />
intervistato da Armando Verdiglione<br />
martedì 14 giugno, ore 20,45<br />
Milano, Salotto di Spirali, via Gabba 3<br />
giovedì 16 giugno, ore 20,00<br />
Roma, Hotel Ambasciatori, via Veneto 62<br />
tel. 028054417 fax 028692631 press@spirali.com<br />
www.spirali.com www.fondazioneverdiglione.org<br />
www.thesecondrenaissance.com<br />
M<br />
+<br />
Y<br />
+
Pagina 38 — Domenica 13 Febbraio 2005 - N. 43 PERSONAGGI<br />
Il Sole-24 Ore<br />
D OPPIO CENTENARIO / U N SECOLO FA NASCEVANO I DUE RIVALI DELLA CULTURA FRANCESE<br />
ARON, 1905-1983<br />
F ilosofo<br />
e sociologo francese che<br />
ha segnato la storia della cultura<br />
europea della seconda metà del<br />
Novecento, Raymond Aron nasce a Parigi<br />
il 14 marzo 1905. Nel 1924 entra<br />
all’École Normale Supérieure con la volontà<br />
di eccellere in quegli studi dove<br />
invece il padre aveva fallito. Qui conosce<br />
Paul Nizan e Jean-Paul Sartre. Con<br />
quest’ultimo instaura un rapporto di<br />
profonda amicizia ma di altrettanto profonda<br />
divergenza ideologica e politica.<br />
Il suo impegno negli studi lo porta, nel<br />
1928, a ottenere il primo posto nel concorso<br />
della docenza di filosofia (lo stesso<br />
nel quale Sartre viene respinto, ma<br />
che vincerà l’anno successivo).<br />
Due anni dopo, nel 1930, lascia Parigi<br />
per un lettorato a Colonia; quindi<br />
passa all’Università di Berlino dove rimane<br />
fino al 1933 e, insieme a Sartre,<br />
assiste all’avvento del Terzo Reich. Sarà<br />
proprio questa comune esperienza a<br />
segnare il distacco tra i due giovani<br />
pensatori per il modo e il coinvolgimento<br />
differenti con cui essi la vivono. Aron<br />
interpreterà il nazismo come una conseguenza<br />
non casuale né provvisoria<br />
della disgregazione della Repubblica di<br />
Weimar. Sartre, invece, si rivelerà troppo<br />
concentrato sui propri studi per analizzare<br />
la realtà che lo circonda. Tornato<br />
in Francia nel 1938, Aron ottiene il<br />
dottorato con una tesi sulla filosofia<br />
della storia. Dal 1940 al 1944 è in Inghilterra<br />
dove lavora come caporedattore<br />
nella rivista «La France libre» vicina a<br />
De Gaulle. Dopo la guerra, la carriera<br />
accademica lo vede docente nelle più<br />
prestigiose istituzioni francesi: dall’École<br />
nationale d’administration (1945), alla<br />
École pratique des hautes études<br />
(1960), alla Sorbona (fino al 1968) e<br />
con la cattedra di Sociologia della civiltà<br />
moderna al Collège de France nel<br />
1970. Gli impegni universitari non gli<br />
impediscono però di esercitare l’attività<br />
giornalistica: è editorialista a «Combat»<br />
nel 1947 e quindi a «Le Figaro» dal<br />
1947 al 1976. Lascerà il quotidiano l’anno<br />
dopo per il settimanale «L’Express»<br />
a cui lavorerà fino alla morte avvenuta<br />
nel 1983. (Giulia Guerri)<br />
LE OPERE<br />
Intellettuale poliedrico e di ampi interessi,<br />
Raymond Aron si distingue<br />
per la sua capacità di affiancare<br />
all’impegno giornalistico la ricerca<br />
scientifica. Ed è proprio questo costante<br />
confronto fra l’attualità e la storia a<br />
caratterizzare la sua particolare visione<br />
della realtà. Esordisce nel 1935 con<br />
il saggio Introduzione alla sociologia<br />
tedesca, seguito nel 1938 dalla sua tesi<br />
di dottorato Introduzione alla filosofia<br />
della storia, in cui discute di quali siano<br />
i compiti di questa disciplina in<br />
relazione alla vita dell’individuo.<br />
I libri che risalgono al periodo accademico<br />
della Sorbona, Diciotto lezioni<br />
sulla società industriale (1963), Le lotte<br />
di classe (1964), Democrazia e totalitarismo<br />
(1965) e Le tappe del pensiero<br />
sociologico (1965, traduzione italiana<br />
Mondadori, 1989) analizzano sul piano<br />
economico, sociale e politico, la realtà<br />
delle società industriali occidentali e<br />
sovietiche. È in questi testi che Aron<br />
prende una netta posizione contro l’interpretazione<br />
marxista della storia, facendone<br />
poi un motivo costante di tutto<br />
il suo impegno intellettuale.<br />
Con L’oppio degli intellettuali del<br />
1955 (traduzione italiana Ideazione,<br />
1998) Aron pronuncia un duro atto di<br />
accusa contro la propria generazione.<br />
Essa infatti, annebbiata da dogmi e<br />
dottrine, come sotto l’effetto dell’oppio,<br />
non è più in grado di interpretare la<br />
realtà del proprio tempo, ma si nutre<br />
esclusivamente di idee astratte. Nel<br />
1982 esce il libro di interviste, Lo spettatore<br />
impegnato, e postume, nel settembre<br />
del 1983 le Memorie. Cinquant’anni<br />
di riflessioni politiche (traduzione<br />
italiana Mondadori, 1984, a cura<br />
di Oreste Del Buono e con prefazione di<br />
Alberto Ronchey). Il Mulino ha pubblicato<br />
nel 2003 Il ventesimo secolo. Guerre<br />
e società industriale. (G.Gu.)<br />
Un liberale allergico al mito della società perfetta, ma che credeva nei miglioramenti graduali<br />
Aron, pessimista della libertà<br />
di Giuseppe Bedeschi<br />
La cultura di Aron, uno dei grandi intellettuali<br />
protagonisti del Novecento<br />
(1905-1983), è stata singolarmente<br />
composita e complessa: quanto di meno "nazionale"<br />
si possa immaginare, e quanto di più<br />
aperto alle correnti più vitali della cultura<br />
europea. Recatosi, giovanissimo, in Germania<br />
con una borsa di studio nei primi anni<br />
Trenta, egli fu "sedotto" (come scrisse nelle<br />
Memorie) dalla cultura tedesca («un colpo di<br />
fulmine sconvolgente»). Dalla lettura dei filosofi<br />
tedeschi contemporanei (Husserl e Heidegger)<br />
e dei sociologi (Max Weber e Simmel)<br />
ricavò la sensazio-<br />
ne di «una straordinaria<br />
ricchezza a confronto<br />
della quale gli autori<br />
francesi mi apparirono<br />
d’improvviso mediocri,<br />
quasi miseri». Ma al tempo<br />
stesso egli aveva assorbito<br />
profondamente<br />
la lezione dei "classici"<br />
del pensiero politico<br />
francese: Montesquieu e<br />
Tocqueville in primo<br />
luogo. E poi aveva fatto<br />
proprio l’insegnamento<br />
che scaturiva dalle opere<br />
degli elitisti italiani, Mosca<br />
e Pareto.<br />
Nonostante la stupefacente<br />
vastità e profondità<br />
dei suoi interessi (filosofici,<br />
storici, sociologici<br />
ed economici), non fu mai un accademico<br />
in senso stretto, ma fu piuttosto uno studioso<br />
e un giornalista militante. La storia, del resto,<br />
lo pose assai presto di fronte a una scelta<br />
drammatica: travolto l’esercito francese dalle<br />
armate hitleriane, Aron decise di seguire De<br />
Gaulle a Londra, dove divenne caporedattore<br />
della rivista «La France libre», vicina al<br />
generale (con quest’ultimo Aron ebbe, allora<br />
e dopo, un rapporto politico profondo,<br />
anche se tutt’altro che privo di tensioni e di<br />
dissensi, come egli raccolta in pagine bellissime<br />
delle Memorie). Ritornato in Francia<br />
dopo la guerra, Aron fu per molti anni il<br />
principale editorialista del «Figaro»: anche<br />
questo fu un periodo di appassionato impegno<br />
sia nell’analisi della politica francese,<br />
sia in quella delle relazioni internazionali<br />
(«nessuno — disse Kissinger — ha avuto su<br />
di me tanta influenza come Aron»), sia nella<br />
battaglia in difesa della democrazia occidentale<br />
contro il totalitarismo sovietico.<br />
Solo nel 1955 Aron decise di dedicarsi<br />
stabilmente all’insegnamento universitario<br />
(senza interrompere, per altro, il suo rapporto<br />
col giornalismo politico). Dai suoi primi<br />
corsi alla Sorbona nacquero tre libri famosi<br />
(18 lezioni sulla società industriale, La lotta<br />
di classe, Democrazia e totalitarismo),<br />
che, nonostante la loro forma esteriore quasi<br />
di "dispense" universitarie (si trattava<br />
infatti della trascrizione stenografica di lezioni<br />
tenute sulla base di semplici appunti),<br />
fecero il giro del mondo, tradotti nelle principali<br />
lingue europee.<br />
In effetti si trattava di lezioni appassionanti,<br />
nelle quali Aron — attingendo ai<br />
concetti-chiave di Tocqueville, di Weber e<br />
di Pareto, nonché degli economisti della<br />
crescita economica, Colin Clark e Jean Fourastié,<br />
e attraverso un confronto serrato con<br />
l’opera di Marx — dava un’analisi nuova e<br />
profonda delle società industriali, sia democratiche<br />
che sovietiche.<br />
Il concetto di "società industriale", ricavato<br />
da Saint-Simon e da Comte, era appunto<br />
al centro di quelle lezioni. La prima constatazione<br />
che si imponeva ad Aron a proposito<br />
delle società industriali occidentali era che<br />
per esse si era avverata la profezia di Tocqueville,<br />
non quella di Marx. In tali società,<br />
infatti, si era sempre più affermata la democrazia<br />
nel senso tocquevilliano della parola,<br />
in quanto in esse si era verificata la scomparsa<br />
progressiva delle differenze di status e la<br />
tendenza al livellamento delle condizioni<br />
Studiando Tocqueville,<br />
Weber e Pareto,<br />
e da un confronto serrato<br />
con Marx, sviluppò<br />
una delle analisi<br />
più acute e originali<br />
della moderna società<br />
industriale. Nella<br />
versione democratica<br />
e in quella sovietica<br />
sociali, sia attraverso un costante elevamento<br />
del tenore di vita della classe operaia, sia<br />
attraverso una continua crescita delle classi<br />
intermedie (dunque non si era verificata la<br />
drammatica polarizzazione fra imprenditori<br />
e operai profetizzata da Marx).<br />
Ciò non significava, però, che le società<br />
industriali democratiche fossero quiete e tranquille.<br />
Anzi, esse erano agitate, e non potevano<br />
non esserlo, perché erano caratterizzate da<br />
una legittima rivalità fra i diversi gruppi sociali<br />
per la ripartizione delle risorse collettive.<br />
Una rivalità che diventava tanto più aspra in<br />
quanto le democrazie industriali proclamavano<br />
l’eguaglianza delle persone, nei diritti civili<br />
e politici, ma continuavano<br />
ad avere fasce<br />
di disoccupazione, di<br />
povertà, di emarginazione,<br />
nonostante la tendenza<br />
del prodotto sociale<br />
a crescere. D’altro<br />
canto, l’eguaglianza rivendicata<br />
dalla società<br />
sovietica era puramente<br />
illusoria, poiché quella<br />
società era caratterizzata<br />
da grandi differenze<br />
nella distribuzione dei<br />
redditi, nel modo di vivere<br />
e nelle forme di<br />
prestigio (e ciò in ragione<br />
di una variegata stratificazione<br />
sociale: uomini<br />
di governo e dirigenti<br />
di partito, burocrati,<br />
manager industriali,<br />
tecnici, operai, contadini). Ed era inoltre un<br />
puro mito che in Unione Sovietica il proletariato<br />
fosse al potere, e che vi fosse stato<br />
abolito lo "sfruttamento": il potere era detenuto,<br />
in realtà, da un partito politico (unico),<br />
dai suoi dirigenti e dalla sua burocrazia,<br />
dunque da una classe dirigente (che<br />
sarà chiamata più tardi "nomenklatura"), la<br />
quale decideva in modo autoritario la politica<br />
economica e la distribuzione dei redditi.<br />
Sotto questo profilo la situazione degli operai<br />
non era mutata se non in peggio rispetto<br />
alla società capitalistica, non potendo essi<br />
far valere i propri interessi in regime di<br />
monopolio sindacale e politico.<br />
Anche le democrazie industriali occidentali<br />
erano oligarchiche (come tutte le società,<br />
del resto: su questo punto Aron seguiva Pareto<br />
e Mosca). La sovranità popolare non significava<br />
infatti che la massa dei cittadini prendesse<br />
essa stessa, direttamente, le decisioni<br />
relative alla finanza pubblica e alla politica<br />
estera. L’essenza della politica è che le decisioni<br />
vengono prese per e non dalla collettività.<br />
E tuttavia le democrazie industriali avevano<br />
realizzato un grande progresso anche sul<br />
piano politico, poiché nel Novecento le minoranze<br />
dirigenti erano infinitamente più aperte<br />
di quanto fossero nell’Ottocento: la diffusione<br />
sempre più ampia dell’istruzione, il suffragio<br />
universale, la libertà di organizzazione<br />
sindacale e politica, avevano reso possibile a<br />
un numero sempre più ampio di persone<br />
l’ascesa alle élite dirigenti (politiche, sindacali,<br />
imprenditoriali, intellettuali, religiose eccetera),<br />
le quali non formano mai un blocco<br />
unico e sono spesso in contrasto tra loro<br />
(sicché sbagliavano Pareto e Mosca quando<br />
parlavano di una classe dirigente).<br />
Nella dialettica delle élite dirigenti (come<br />
nel loro continuo ricambio) Aron vedeva la<br />
principale garanzia del progresso, e non cedette<br />
mai alle lusinghe di utopie incentrate<br />
su una "città felice". Egli espresse assai bene<br />
la propria ispirazione quando disse: «Io appartengo<br />
ai teorici della politica che ritengono<br />
che non ci si trova mai a dover scegliere<br />
tra il bene e il male, ma tra gradi diseguali di<br />
male o di bene; appartengo al numero dei<br />
cosiddetti pessimisti, d’altronde a torto, perché<br />
i pessimisti del mio tipo vogliono incessantemente<br />
migliorare la società, un frammento<br />
dopo l’altro. Essi semplicemente non<br />
conoscono nessuna soluzione globale (passano<br />
per ottimisti, in generale, coloro che credono<br />
a un regime impossibile)».<br />
di Giuseppe Scaraffia<br />
al livello di Hegel? Certo<br />
l’ascesa non sarebbe troppo ar-<br />
«Elevarsi<br />
dua né troppo dura. Oltre al fatto<br />
che forse bisognerebbe faticare. L’ambizione<br />
si riassume per me in due immagini.<br />
Una è quella di un giovanotto in pantaloni<br />
di flanella bianca, il collo della camicia<br />
aperto, che si insinua come<br />
un gatto nei gruppet-<br />
ti sulla spiaggia tra le<br />
fanciulle in fiore. L’altra<br />
è quella di uno scrittore<br />
che alza il bicchiere<br />
per rispondere a un<br />
brindisi di uomini in<br />
smoking in piedi intorno<br />
a una tavola». A parlare<br />
era uno studente<br />
dell’École Normale<br />
Supérieure, la culla dell’élite francese,<br />
Jean-Paul Sartre, soprannominato S.O., satiro<br />
ufficiale, per la sensualità e la cinica<br />
aggressività. Ad ascoltarlo c’era un suo<br />
coetaneo serio e riservato, Raymond Aron.<br />
Ai balli annuali dell’École, Sartre, brutto<br />
ma spiritoso seduceva più di Aron e a<br />
lezione si faceva sgridare dai professori per<br />
le chiacchierate con i vicini. Aron prendeva<br />
affettuosamente in giro la fertilità dell’ami-<br />
co: «Come, soltanto trecentocinquanta pagine<br />
in tre giorni?». Sartre e Aron erano un<br />
duo inscindibile, parte di un gruppo di eletti<br />
che aveva bizzarramente scelto come rituale<br />
di farsi circoncidere,<br />
col risultato di arrivare<br />
a lezione piegati in due<br />
dal dolore, riuscendo appena<br />
a camminare. «Così<br />
quando andremo dalle<br />
prostitute del quartiere,<br />
almeno eviteremo la<br />
blenorragia!.»<br />
Avevano condiviso le<br />
lunghe chiacchierate e<br />
l’alcol finché l’arrivo di<br />
Simone de Beauvoir non li aveva allontanati.<br />
Aron era socialista e la coppia anarchicheggiante,<br />
ma avevano continuato a frequentarsi.<br />
Durante la guerra, mentre Sartre<br />
si limitava a scrivere, Aron era passato a<br />
Londra. Eppure già nel 1941 Sartre trovava<br />
Aron inattuale. Quel trentenne, secondo lui,<br />
«era cinquantenne in tutto, ma non aveva<br />
solo cinquant’anni, bisognava sommare tutti<br />
i suoi cinquant’anni per ottenere l’età vera.<br />
Mi chiedo se questo non sia un difetto da<br />
intellettuale ebreo, e comunque spiega la<br />
mancanza di autenticità, che è essere lo<br />
stesso in ogni situazione».<br />
Nel 1945 Aron, tornato in Francia come<br />
consigliere di Malraux, era entrato nella<br />
redazione di «Les Temps Modernes» con<br />
Sartre. Erano insieme per l’ultima volta.<br />
L’esistenzialismo cominciava la sua irresistibile<br />
ascesa, anche se Sartre si lamentava:<br />
«Non è allegro essere trattato da vivo come<br />
un monumento». Sulla rivista aveva lanciato<br />
il suo programma: «Dato che lo scrittore<br />
non può evadere, deve abbracciare strettamente<br />
la sua epoca. È la sua sola possibilità:<br />
lei è fatta per lui e lui per lei».<br />
Aron invece ebbe il coraggio di non essere<br />
la fodera intellettuale del suo tempo.<br />
Scrisse che voleva «capire o conoscere la<br />
mia epoca con la massima onestà possibile,<br />
staccarmi dall’attualità senza però limitarmi<br />
a un ruolo di spettatore». Dopo aver visto il<br />
nazismo nel 1933, aveva capito che la posta<br />
del secolo era resistere alle dittature di destra<br />
e di sinistra. Con la guerra fredda le<br />
strade dei due amici si erano definitivamen-<br />
“ Sartre, uomo<br />
del monologo, lui<br />
che parlava tanto<br />
di dialettica. La sua<br />
dottrina della<br />
libertà «nuova<br />
a ogni istante»<br />
lo sollevava da ogni<br />
responsabilità<br />
per il suo passato<br />
”<br />
Raymond Aron, «Memorie», 1983<br />
L’Ungheria sotto il tallone di ferro<br />
di Raymond Aron<br />
Il comunista<br />
e il filo-americano:<br />
due sguardi opposti<br />
sul mondo<br />
e sulla politica francese<br />
IPaesi dell’Europa orientale si trovavano,<br />
all’inizio della sovietizzazione, in<br />
condizioni analoghe (esclusa la Cecoslovacchia).<br />
Tutti, in effetti, avevano delle<br />
economie prevalentemente agricole, l’industria<br />
insufficientemente sviluppata non<br />
riusciva ad assorbire l’eccedenza di manodopera<br />
che restava nelle campagne,<br />
mezzo disoccupata. (...) Quei Paesi, ridotti<br />
alla condizione di satelliti, avevano<br />
compiti analoghi da affrontare: assorbire<br />
il surplus della popolazione contadina<br />
nell’industria, dunque investire molto e<br />
consumare poco. I governi delle "democrazie<br />
popolari" vollero affrontare questi<br />
compiti con gli stessi procedimenti: pianificazione<br />
rigida, priorità assoluta dell’industria<br />
pesante, prezzi fissati dall’ufficio<br />
del piano, collettivizzazione dell’agricoltura<br />
la più rapida possibile. (...)<br />
A questo riguardo, l’Ungheria rappresentava,<br />
mi sembra, un caso estremo. La<br />
costruzione di una industria pesante in un<br />
Paese che non ha né carbone coke né<br />
ferro era dettata dal dogma e contraria al<br />
buon senso. Più il Paese è piccolo e più lo<br />
sforzo per riprodurre su scala microscopica<br />
la struttura dell’Unione Sovietica diventa<br />
assurdo. La collettivizzazione dell’agricoltura,<br />
pochi anni dopo una riforma<br />
agraria che aveva liquidato la grande<br />
proprietà terriera d’origine feudale, doveva<br />
suscitare una resistenza feroce.<br />
Questa politica, manifestamente contraria<br />
agli interessi e alle aspirazioni del<br />
popolo ungherese, fu condotta con una<br />
brutalità spietata dal Partito comunista. In<br />
origine, questo non era un semplice strumento<br />
delle autorità d’occupazione. Operai,<br />
liberali, intellettuali avevano, all’indomani<br />
della Seconda guerra mondiale, gli<br />
uni dato la loro fede al Partito, gli altri<br />
sognato di costruire, cooperando con esso,<br />
una Ungheria nuova, autenticamente democratica<br />
e socialista, nel senso che queste<br />
parole hanno in Occidente. Ma, nella<br />
Da «petits camarades»<br />
a nemici per la pelle<br />
misura in cui si aggravavano le condizioni<br />
materiali della vita e il terrore, il regime<br />
appariva come il camuffamento o la cinghia<br />
di trasmissione del dominio russo.<br />
Tutto si svolgeva come se ci si ingegnasse<br />
per esasperare la nazione: i piani<br />
economici condannavano gli operai a<br />
salari da fame, la collettivizzazione e le<br />
consegne forzate a basso prezzo erano<br />
odiose ai contadini, la soppressione di<br />
ogni libertà di espressione costringeva<br />
gli intellettuali nel dilemma del silenzio<br />
o dell’epurazione, la polizia segreta minacciava<br />
tutti gli ungheresi e non risparmiava<br />
nemmeno gli stalinisti più risoluti,<br />
l’insegnamento del russo era obbligatorio,<br />
le uniformi dell’esercito erano simili<br />
a quelle dell’occupante, la stella<br />
rossa ornava tutti gli emblemi. A questo<br />
popolo privato della ragione di vivere,<br />
una stampa schiava ripeteva ogni giorno<br />
che esso era felice e che doveva<br />
ringraziare i Russi della sua felicità.<br />
Da «Le origini della rivoluzione ungherese»<br />
(1957).<br />
te separate. Da allora il nome di Aron brilla<br />
per la sua assenza. Non c’è tra quelli che<br />
ballano nelle "caves" di Saint-Germain,<br />
manca nei festini di Sartre e in quelli della<br />
"gauche", manca nei convegni, ai raduni e<br />
alle manifestazioni. Lo accusavano di essere<br />
freddo, ma per opporsi ci vuole un carattere<br />
riservato. Chi è assetato di platee non<br />
riesce a resistere alle tentazioni della politica<br />
di massa.<br />
Mentre Sartre iniziava quel balletto di<br />
avvicinamenti e allontanamenti con i comunisti<br />
che sarebbe durato tutta una vita, Aron<br />
studiava «quel genio di Marx» per combatterlo<br />
e aderiva alle iniziative culturali finanziate<br />
dagli Stati Uniti nel tentativo di arginare<br />
la soffocante egemonia della "gauche".<br />
Aron eccelleva nel farsi attaccare da destra<br />
e da sinistra, come nel caso della sua battaglia<br />
per l’indipendenza dell’Algeria. Non<br />
nascondeva i suoi disaccordi con de Gaulle.<br />
«Ho litigato con tutti i capi di stato della IV<br />
e della V Repubblica, tranne Giscard», constatava<br />
soddisfatto.<br />
Il tempo non aveva ancora fatto giustizia<br />
dell’ideologia di Sartre quando il caso li<br />
aveva riuniti l’ultima volta. L’isolato e il<br />
conformista si erano incrociati all’Eliseo,<br />
nel 1979. Sartre era cieco, semiparalizzato e<br />
non aveva reagito al saluto affettuoso di<br />
Aron, che l’aveva chiamato, come quando<br />
erano studenti, «petit camarade».