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Il Sole-24 Ore PERSONAGGI<br />

Domenica 13 Febbraio 2005 - N. 43 — Pagina 39<br />

“ Quando Aron<br />

ripete senza fine<br />

ai suoi allievi<br />

le idee della sua<br />

tesi scritta prima<br />

della guerra del ’39<br />

esercita un potere<br />

che non è fondato<br />

su un sapere degno<br />

di questo nome<br />

”<br />

Jean-Paul Sartre, 19 giugno 1968<br />

FILOSOFIA MINIMA<br />

L’arte di ingannare se stessi<br />

Domanda: quando nel<br />

1964 Sartre ha rifiutato<br />

il Nobel era in buona o<br />

in cattiva fede? C’è modo e modo<br />

di declinare un premio, e va<br />

a sapere qual è quello più «autentico».<br />

E c’è anche modo e<br />

modo per interpretare una delle<br />

sue dichiarazioni più famose:<br />

«Siamo costretti a essere liberi».<br />

Un’interpretazione è quella<br />

del codice civile svizzero, che all’articolo<br />

27 recita: «Nessuno<br />

può rinunciare alla sua libertà o<br />

limitarla a un grado tale che<br />

violi la legge o la moralità».<br />

Chissà se una norma così può<br />

davvero essere osservata. Sembrerebbe<br />

più logico pensare che<br />

si è più o meno liberi o spontanei<br />

o autentici quando non si è<br />

obbligati a esserlo, oppure — ancora<br />

meglio — quando non ci si<br />

mette a riflettere sulla questione.<br />

di Goffredo Fofi<br />

S artre<br />

Maître à penser, scrittore di talento e cattivo filosofo. Come politico prese cantonate catastrofiche<br />

Sartre, simpatico totalitario<br />

aveva un piccolo studio in un vecchio<br />

edificio di Montparnasse, qualche<br />

piano sopra l’appartamento in cui abitavano<br />

i Vitale, miei amici e suoi conoscenti. Lo<br />

incontravo spesso, nei primi anni 70, sulle<br />

tortuose scale di legno, e scendendo si fermava,<br />

sentendo dei passi, cauto e timoroso, finché<br />

non aveva individuato dall’alto il visitatore.<br />

Erano gli anni della guerra<br />

d’Algeria e degli atten-<br />

tati dell’Oas, e Sartre riceveva<br />

molte minacce, come<br />

continuò a riceverne<br />

fino alla morte. Era molto<br />

odiato dalla borghesia<br />

francese, Sartre, e da<br />

gran parte dell’"establishment".<br />

Ancora qualche<br />

anno fa, al cimitero di<br />

Montparnasse dove è sepolto<br />

nella stessa tomba<br />

con Simone de Beauvoir, un custode mi disse<br />

che su quella tomba c’era un continuo pellegrinaggio<br />

di stranieri, ma che bisognava pulirla<br />

quasi ogni giorno perché dei malintenzionati la<br />

sporcavano. Al suo funerale, nel 1980, c’erano<br />

cinquantamila persone, sembrava che Sartre<br />

non lasciasse indifferente nessuno.<br />

Oggi le cose sono cambiate e il mito —<br />

positivo o negativo — di Sartre è andato offuscandosi.<br />

Il ridimensionamento è avvenuto anche<br />

se, forse, siamo ancora lontani dal poter<br />

attribuire a Sartre il suo giusto valore. È tutta-<br />

Sartre amava il paradosso. E<br />

inventare un paradosso che suona<br />

bene è la prima regola per<br />

diventare un guru o un mistico o<br />

un grande intellettuale. La seconda<br />

regola è insistere sulla sua<br />

insolubilità. Prendiamo quello secondo<br />

cui l’uomo non può fare a<br />

meno di autoingannarsi continuamente.<br />

Ciò significa che l’ingiunzione<br />

«sii sincero con te stesso»<br />

è insensata e impossibile a<br />

obbedirsi. Eh no, rispondono altri<br />

filosofi: è vero piuttosto il contrario.<br />

Ciò che è impossibile è<br />

proprio l’autoinganno. Ingannare<br />

gli altri è semplice: io conosco<br />

per vera una certa cosa e agli<br />

altri ne faccio credere un’altra.<br />

Ingannare se stessi, invece, sembra<br />

alquanto contraddittorio: se<br />

io so che una certa credenza (religiosa,<br />

per esempio) è falsa, come<br />

posso essere al tempo stesso con-<br />

Lo si leggeva avidamente<br />

per preferirgli subito<br />

un altro: per esempio<br />

Samuel Beckett<br />

o Albert Camus<br />

vinto che sia vera? Com’è possibile<br />

che una stessa persona conosca<br />

e non conosca la stessa cosa<br />

sotto lo stesso aspetto?<br />

Come ha osservato Jon<br />

Elster, tra i due estremi — tutto<br />

è autoinganno e l’autoinganno<br />

è impossibile — c’è semplicemente<br />

il senso comune che ci<br />

dice che talvolta, anche se non<br />

sempre, agli uomini capita di ingannare<br />

se stessi. E per evitare<br />

ciò ognuno può inventarsi una<br />

certa varietà di strategie, relative<br />

alla varietà di forme in cui si<br />

manifesta l’autoinganno.<br />

Tutte, ma non quella adottata<br />

da Sartre, che, come al solito,<br />

risolve il problema esagerando<br />

alla grande, rendendo cioè l’autoinganno<br />

così onnipresente da<br />

farlo sparire come fenomeno.<br />

Fin quasi a renderci del tutto<br />

indifferenti sulle reali motivazioni<br />

del suo rifiuto del Nobel.<br />

via impossibile pensare alla storia di Francia (e<br />

della sinistra) dagli anni 40 alla fine dei 70 del<br />

Novecento senza doversi incontrare (o scontrare)<br />

con la sua figura. Lo si leggeva avidamente,<br />

e anche se, molto presto, gli si preferirono<br />

altri autori — Camus per<br />

esempio, con il quale la<br />

rottura fu clamorosa —<br />

era però impossibile ignorarlo.<br />

Il tempo della sua<br />

compromissione politica<br />

con il comunismo (tra il<br />

’52 e l’Ungheria), quando<br />

aveva risposto a chi lo informava<br />

del gulag che<br />

«non bisognava turbare<br />

Billancourt», cioè gli operai<br />

della Renault e per<br />

estensione il proletariato francese, durò relativamente<br />

poco, nel cuore della guerra fredda, e<br />

non deve far dimenticare che ci fu un tempo in<br />

cui a Mosca lo chiamavano «la jena dattilografa».<br />

Il suo "engagement", sottoposto anche per<br />

la sua assiduità a delle possibilità di errore, fu<br />

però generoso e coraggioso, e servì di sprone a<br />

più di una generazione.<br />

La parola d’ordine maoista cui aveva aderito<br />

negli ultimi anni della sua vita fu «Ribellarsi<br />

è giusto». Credo che essa sia di per sé non<br />

di Armando Massarenti<br />

«Filosofia minima» è anche<br />

una trasmissione radio<br />

che va in onda ogni<br />

domenica mattina alle<br />

9.40 su «Radio 24» all’interno<br />

della trasmissione<br />

«Buongiorno Domenica»<br />

condotta da Michela Daghini<br />

(dalle 9 alle 10,<br />

con la rubrica di arte di<br />

Marco Carminati e i ritratti<br />

di filsofi di Jader<br />

Jacobelli). Lettori e<br />

ascoltatori sono invitati<br />

a intervenire o a inviarci<br />

i loro quesiti filosofici.<br />

armando.massarenti<br />

@ilsole24ore.com<br />

Il mito Jean Paul,<br />

l’ultimo degli intellettuali<br />

sbagliata, ma terribilmente generica e superficiale.<br />

Essa evidenzia probabilmente il limite<br />

maggiore delle convinzioni e predicazioni di<br />

Sartre e di tanti altri, tacendo sul "come" o<br />

accettando un "come" di micidiale capacità di<br />

generare nuovi equivoci, di creare nuovi poteri<br />

e nuove violenze. Si diceva di Camus, e bisognerebbe<br />

aggiungere molti altri nomi di "maestri"<br />

più attendibili e necessari, da Simone<br />

Weil a Orwell a, per fortuna, cento altri.<br />

Un altro ricordo di Sartre: seduto con la<br />

Beauvoir in piazza del Pantheon, nel bar<br />

all’aperto davanti all’Albergo del Sole in cui<br />

amavano alloggiare a Roma, in una bella<br />

giornata di primavera. Era frequente incrociare<br />

Sartre — e Sartre era inconfondibile, non<br />

fosse che per il suo occhio strabico — sia a<br />

Roma che a Venezia, e per molti è ancora un<br />

cruccio che egli non sia riuscito a portare a<br />

termine la grande opera così spesso annunciata<br />

sul Tintoretto. Sartre amava l’Italia, ne<br />

subiva il fascino e il mito, e per di più aveva<br />

trovato in Italia una risonanza politica che lo<br />

ripagava delle difficoltà con la sinistra francese:<br />

il nostro Partito comunista era molto diverso<br />

da quello francese, meno rozzo e più<br />

"intellettuale", e Sartre poté pensare a un<br />

comunismo "dal volto umano" incarnato in<br />

Togliatti o nel suo entourage.<br />

di Olivier Todd<br />

N on<br />

sono mai stato un "sartriano" né ho<br />

mai appartenuto a quella che veniva chiamata<br />

la sua "famiglia", cioè alla cerchia<br />

dei suoi intimi. Ma anch’io ne ho subito il fascino.<br />

Posso anche dire però che Sartre è stato per<br />

me, almeno a un certo momento della mia vita,<br />

quel padre che andavo cercando. Non è un caso<br />

che alla sua morte, io abbia intitolato il libro di<br />

miei ricordi su di lui Le fils rebelle. L’ho incontrato<br />

nel ’48. Avevo 19 anni e appena finito<br />

filosofia a Cambridge. Gli ho subito detto che la<br />

sua filosofia non mi interessava perché era fatta<br />

solo di concetti astratti. Sono comunque caduto<br />

sotto il suo charme. Era un<br />

uomo molto semplice, diretto<br />

e divertente, anzi divertentissimo.<br />

Era gentile con<br />

me e lo è rimasto anche<br />

quando ero all’«Express»<br />

che tacciava di giornale borghese.<br />

E borghese era il<br />

peggiore dei suoi insulti.<br />

È stato lui che ha fatto<br />

pubblicare il mio primo libro,<br />

mi ha incoraggiato e<br />

aiutato. In Vietnam ero potuto<br />

rimanere più a lungo<br />

grazie alla lettera che aveva<br />

scritto al primo ministro di<br />

Hanoi. Mi ricordo, eravamo<br />

a Roma, città che amava<br />

moltissimo. Eravamo seduti<br />

a un caffè di piazza<br />

Navona. Io ero in partenza<br />

per il Vietnam. Ha voluto<br />

subito aiutarmi scrivendo<br />

al suo amico. Ha strappato un pezzo della tovaglia<br />

di carta. E ha cominciato a scrivere. Simone<br />

de Beauvoir lo ha sgridato ricordandogli che la<br />

lettera era comunque indirizzata a un primo ministro,<br />

per comunista che fosse, e ha chiesto al<br />

cameriere di portare della carta da scrivere. È<br />

così che ho avuto la lettera che mi è poi servita<br />

per ottenere il rinnovo del visto.<br />

Sartre non era un buon oratore. Del resto<br />

diffidava degli scrittori che sanno parlare troppo<br />

bene. Era però spiritosissimo. Lo so che<br />

non si vede dai filmati. Faceva ridere alle<br />

lacrime, era pieno di "sense of humour", cosa<br />

rarissima per un intellettuale francese. Camus<br />

ne aveva poco e Malraux per niente. Sartre era<br />

come un torrente in piena, un fuoco d’artificio<br />

di parole, un funambolo delle parole. Dal nulla<br />

era capace di innalzare monumenti geniali. Mi<br />

ricordo che una volta partì dalle fotografie dei<br />

miei figli per lanciarsi in divertentissime teorie<br />

sulla loro personalità. Non c’entravano nulla<br />

con i miei figli, ma era stato magnifico.<br />

Era anche molto generoso e disinteressato.<br />

Non si è mai occupato di soldi. Non possedeva<br />

nulla. Per anni del resto ha abitato con sua madre,<br />

che era una donna gentilissima. Mi ricordo<br />

che al mio matrimonio con Anne Marie, che era<br />

la figlia del suo grande amico Paul Nizan, ci ha<br />

regalato un assegno generosissimo. Ma era soprattutto<br />

un genio. Aron mi ha detto un giorno<br />

«l’unica cosa che non si può dire di me è che non<br />

sono molto intelligente». Ecco la misura della<br />

differenza tra i due.<br />

Cosa rimarrà di Sartre, come politico, filosofo<br />

o scrittore? Penso che siamo entrati nella<br />

terza fase della sua valutazione. Dopo l’influenza<br />

straordinaria, una specie di amore/odio<br />

che ha suscitato in Francia e altrove, ha dovuto<br />

fare i conti con la storia, a differenza di Camus.<br />

Ora infine si va verso una revisione di<br />

Sartre e anche dei suoi rapporti con Simone de<br />

Beauvoir che non sembrano così idilliaci come<br />

si voleva far credere. Sappiamo ora della sua<br />

teoria dell’amore necessario e degli amori contingenti.<br />

E a che cosa ha portato.<br />

Era una coppia? Secondo alcuni studiosi tedeschi,<br />

no. Anche per me, perché una coppia che<br />

non ha più rapporti sessuali non è più una coppia.<br />

Ognuno faceva quel che voleva, soprattutto<br />

Sartre. Sul piano privato erano dei borghesi francesi<br />

o, meglio, parigini, dei professori che prendevano<br />

le vacanze a Natale, a Pasqua e in estate.<br />

Come politico ha preso cantonate catastrofiche,<br />

ma se è vero che si è sbagliato tantissimo,<br />

non bisogna dimenticare che a volte è stato coerente<br />

e lucido, come sul problema israelo-palestinese<br />

o il Biafra. Il suo anticolonialismo era in<br />

fondo giustificato anche se sbagliava nel modo<br />

Molti intellettuali comunisti nostrani vedevano<br />

in cambio in un incontro, diciamo così,<br />

Sartre-Togliatti, o nell’incontro tra un umanesimo<br />

esistenzialista e un marxismo non<br />

dogmatico, la soluzione delle difficoltà che<br />

il marxismo incontrava di fronte alle sue<br />

manipolazioni orientali e partitiche o di fronte<br />

a una modernità recalcitrante rispetto alle<br />

sue previsioni. Ma non bastava, e se ne ebbe<br />

ben presto la prova, dopo il quasi idillio che<br />

durò fino al ’68.<br />

La sua opera letteraria e teatrale, sottoposta<br />

alla missione di spiegare la sua filosofia, fu<br />

certamente inferiore a quella teorica e critica,<br />

con le auree eccezioni di La nausea, non<br />

fosse che per la sua grande importanza storica<br />

(1938! Titolo originale: Melancholia) e di<br />

quel piccolo capolavoro che fu Le parole<br />

(1963, da cui l’anno successivo il Nobel, che<br />

ostentatamente rifiutò; nel ’69 lo avrà Beckett,<br />

che è sepolto a Montparnasse non lontano<br />

da lui e che fu così diverso da lui in tutto,<br />

e che, senza clamori, non andò a ritirarlo).<br />

Per Camus la cultura era stata una conquista,<br />

una battaglia per la vita e per la conoscenza,<br />

per Sartre un privilegio di nascita, di cui<br />

aveva piena coscienza. Forse anche per questo<br />

la sua etica dell’impegno si fondò<br />

sull’azione, sul fatto di poter giustificare la<br />

propria esistenza solo nel fare, sulla scelta di<br />

campo. Noi siamo le nostre azioni, sono le<br />

nostre azioni a giustificarci, noi «condannati<br />

a essere liberi» e che abbiamo paura della<br />

libertà. Sarte fu, dicono i francesi, «l’ultimo<br />

degli intellettuali totali». I suoi pregi e i suoi<br />

limiti dipesero dalla sua scelta di essere tale.<br />

Il suo capolavoro<br />

letterario resta «Le parole».<br />

L’«Essere e il nulla»<br />

è condannato all’oblio.<br />

Dai ricordi personali<br />

del suo biografo emerge<br />

uno straordinario senso<br />

dell’umorismo.<br />

E una completa<br />

ignoranza dell’economia<br />

di predicarlo: come diceva Raymond Aron «aveva<br />

un accento fascisteggiante». Aveva una veduta<br />

totale e totalitaria, una concezione del mondo<br />

sempre più rigida. «Pensava contro se stesso»,<br />

come amava dire, ma anche «contro i fatti»,<br />

come è avvenuto con l’Urss o Cuba dove non<br />

aveva visto che i russi non avevano libertà e i<br />

cubani neanche lo zucchero.<br />

L’impegno politico fa parte della tradizione<br />

francese, basta pensare a Voltaire, Zola o Aragon.<br />

Comunque Sartre è arrivato alla politica<br />

tardi, e senza aver partecipato alla Resistenza.<br />

All’economia, invece, secondo me non c’è mai<br />

arrivato; anche perché non faceva parte del bagaglio<br />

culturale della sua generazione. Bisogna pensare<br />

ad esempio che il primo<br />

settimanale ad avere pa-<br />

gine economiche è stato<br />

l’«Express». Di economia<br />

era veramente ignorante.<br />

Dubito che abbia mai letto<br />

veramente Marx. O Keynes.<br />

Di Marx amava in realtà<br />

il messianismo.<br />

Come filosofo, che era<br />

ciò cui teneva di più, penso<br />

che non rimanga molto. Mi<br />

sembra che non interessi<br />

più. I giovani — ma forse è<br />

solo una mia impressione<br />

— non ci trovano più nulla.<br />

Non penso che nei Paesi anglosassoni<br />

comunque abbia<br />

mai avuto lo stesso peso<br />

che in Francia dove è stato<br />

considerato il più grande<br />

pensatore del secolo. Nelle<br />

sue opere filosofiche, la storia<br />

comincia a classificare soprattutto i passaggi<br />

psicologici. Ma dubito che le sue trovate come il<br />

famoso «Garçon de café» nell’Essere e il nulla<br />

permettano di capire il mondo di oggi.<br />

Passiamo allo scrittore, che io definisco<br />

"écrivain-artiste", un termine che lui avrebbe<br />

odiato. Alcune opere restano. Le parole sono<br />

letterariamente magnifiche. Sartre, come mi ha<br />

detto Robert Gallimard, lavorava molto sui<br />

testi letterari anche se era persuaso di essere<br />

prima di tutto un filosofo. Amava le parole e<br />

riusciva a scrivere anche per 14 ore di seguito.<br />

Le parole lo ha scritto per guadagnare. Per me<br />

è un libro bello come La caduta di Camus, il<br />

libro che Sartre diceva di preferire perché «ci<br />

si è messo e nascosto tutto intero». Per me lo<br />

stesso vale per Le parole.<br />

Secondo me Sartre è stato un genio, se non<br />

altro per la molteplicità delle sue attività. Oggi<br />

bisogna tornare su Sartre tenendo conto che<br />

era una personalità più complessa, ondeggiante,<br />

con vene di cattiveria. Penso che amasse<br />

l’umanità ma non gli uomini. Ha ferito profondamente<br />

Camus e ha mezzo accoppato Genet,<br />

che pure aveva lanciato. Dopo il suo libro<br />

Saint Genet comédien et Martyr Genet non ha<br />

scritto per anni. Mi ricordo quando ha consegnato<br />

il libro. Dovevano essere 50 pagine ed<br />

erano invece 700, un misto di lodi e critiche<br />

feroci. Eravamo a colazione da Lipp, con mia<br />

moglie. Sembrava un bambino che avesse appena<br />

rubato la marmellata.<br />

Cosa amava? Suonare il clavicembalo, la<br />

filosofia tedesca, il romanzo americano, Flaubert,<br />

i gialli. Verso l’America aveva un po’ la<br />

stessa opinione che hanno i francesi ancora<br />

adesso, che ne condannano la politica ma impazziscono<br />

per il cinema e la pittura americani.<br />

Lui si appassionava per il romanzo americano<br />

e nei suoi Chemins de la liberté è evidente<br />

l’influenza di Dos Passos.<br />

Cosa rimarrà di Sartre, un essere che considero<br />

più indecifrabile di Mitterrand? Oltre alla letteratura,<br />

anche il suo genio di essere sempre a<br />

metà nel giusto e a metà nel torto. Penso che sia<br />

giunto il momento di ripensare a ciò che di Sartre<br />

vada conservato e cosa respinto. Se è vero che si<br />

può fare facilmente un’antologia delle sue sciocchezze,<br />

si può fare anche un dizionario dei suoi<br />

colpi di genio. Sartre è stato un "maître à penser"<br />

che ha pesato enormemente sul suo secolo; almeno<br />

in Francia. Al di fuori di essa, penso molto<br />

meno, almeno per quello che riguarda i Paesi<br />

anglosassoni. Sartre comunque, non solo se ne<br />

infischiava di quello che scrivevano su di lui, ma<br />

non aveva alcun senso della posterità. Tanto è<br />

vero che ha rifiutato il Nobel.<br />

(Testo raccolto da Benedetta Gentile)<br />

Franco<br />

Sabatelli<br />

cornici antiche<br />

SARTRE, 1905-1980<br />

F igura<br />

emblematica dell’esistenzialismo<br />

francese, Jean Paul Sartre<br />

nasce il 21 giugno del 1905 a<br />

Parigi da una famiglia della borghesia<br />

intellettuale. Fu il nonno materno, Charles<br />

Schweitzer, a influenzare le prime<br />

fasi della formazione del giovane Sartre,<br />

permettendogli di attingere per le<br />

sue letture dalla biblioteca di casa. Dopo<br />

aver frequentato il liceo di La Rochelle,<br />

nel 1924 si iscrive all’École Normale<br />

di Parigi, dove studia filosofia e psicologia.<br />

Sarà proprio in questi anni (dal<br />

1924 al 1928) che conoscerà Paul Nizan,<br />

Maurice Merleau-Ponty e Raymond<br />

Aron che diventeranno per lui<br />

punti di riferimento fondamentali. A<br />

questo periodo è anche legato l’incontro<br />

con Simone de Beauvoir che rimarrà<br />

la sua compagna per tutta la vita.<br />

Dopo aver insegnato filosofia al liceo<br />

di Le Havre fino al 1933, una borsa di<br />

studio lo porta all’Istituto francese di<br />

Berlino, dove assiste alla presa del potere<br />

da parte dei nazisti e si avvicina<br />

alla filosofia di Edmund Husserl, Martin<br />

Heidegger e Max Scheler. Alla fenomenologia<br />

di Husserl e all’esistenzialismo<br />

di Heidegger si ispirerà la sua intera<br />

opera filosofica che comincia con una<br />

serie di ricerche in psicologia fenomenologica.<br />

Richiamato alle armi, nel<br />

1940 viene fatto prigioniero dai tedeschi<br />

a Padoux in Lorena e internato a<br />

Treviri. Nel 1945 Sartre decide di dedicarsi<br />

interamente alla letteratura fondando,<br />

insieme a Simone de Beauvoir,<br />

Merleau-Ponty e Aron, la rivista «Les<br />

Temps Modernes». Nei decenni che seguono<br />

cresce il suo impegno politico<br />

nelle file del Partito comunista francese,<br />

del quale diviene la voce critica.<br />

Nel 1964 gli viene assegnato il premio<br />

Nobel per la letteratura, ma, con<br />

un gesto clamoroso, Sartre lo rifiuta.<br />

Le lotte studentesche del ’68 lo coinvolgono<br />

in prima persona e, sempre<br />

più vicino all’estrema sinistra, negli<br />

anni 70 è tra i fondatori del quotidiano<br />

«Libération». Muore a Parigi, in rue<br />

Bonaparte nel quartiere latino, il 15<br />

aprile 1980. (G.Gu)<br />

LE OPERE<br />

F ilosofo<br />

di formazione, ma esperto<br />

nei più diversi generi letterari, dal<br />

saggio, al romanzo e ai testi teatrali,<br />

Jean Paul Sartre inizia la sua attività<br />

di scrittore pubblicando studi di<br />

psicologia fenomenologica, L’immaginazione<br />

(1936, traduzione italiana Bompiani,<br />

2004) e La trascendenza dell’ego<br />

(1937, Egea 1992) di evidente influenza<br />

husserliana. Sarà poi La nausea nel<br />

1938 (Einaudi) a segnare il suo ingresso<br />

nel mondo della letteratura. Romanzo<br />

e racconto filosofico allo stesso tempo,<br />

anticipa alcune delle tematiche principali<br />

della sua filosofia, attraverso la<br />

voce del protagonista Antoin Roquentin<br />

che percepisce nell’esperienza rivelatrice<br />

della nausea l’assurdità e la contingenza<br />

del reale. Gli stessi temi, se pur<br />

in una forma più letteraria, sono ripresi<br />

un anno più tardi nei cinque racconti<br />

de Il Muro, pubblicato nel 1939 (traduzione<br />

italiana Einaudi, 1995), che descrive<br />

anch’esso i limiti della condizione<br />

umana. L’essere e il nulla del 1943 (Il<br />

Saggiatore, 2002) analizza i concetti<br />

che diverranno i capisaldi dell’esistenzialismo.<br />

Dello stesso anno è la sua<br />

prima pièce teatrale drammatica, Le<br />

mosche. Testi letterari, politici e filosofici<br />

verranno pubblicati nei numeri della<br />

rivista «Les Temps Modernes». Nel<br />

1945 escono L’età della ragione (Bompiani,<br />

2001), Il rinvio (Mondadori, 2001)<br />

e l’atto unico A porte chiuse. È del ’46 il<br />

saggio L’esistenzialismo è un umanismo<br />

(Mursia, 1990) in cui Sartre cerca<br />

di indirizzare le sue idee su tesi meno<br />

pessimistiche rispetto alle precedenti,<br />

riconoscendo all’uomo la libertà di creare<br />

il proprio destino e di esserne responsabile.<br />

Ma nella sua ultima e significativa<br />

opera filosofica, la Critica della ragione<br />

dialettica del 1960 (Il Saggiatore,<br />

1963) tornano i due concetti dominanti<br />

del pensiero sartriano: l’esistenzialismo<br />

e il marxismo in un confronto critico.<br />

Nel 1964, anno del rifiuto del Nobel,<br />

esce Le parole (Il Saggiatore) (G.Gu.)<br />

milano<br />

via fiori chiari, 5<br />

tel. (02) 8052688<br />

fax (02) 809228<br />

www.sabatelli.com


C<br />

+<br />

B<br />

+<br />

Domenica 14 Agosto 2005 - N. 222 Pagina 29<br />

a pag.37<br />

di Giuseppe Tucci<br />

La nuda<br />

verità<br />

di Vienna<br />

Un’irrequietezza mai sazia<br />

mi ha condotto al<br />

vagabondaggio fin<br />

dall’infanzia, in quella mia terra<br />

marchigiana conclusa fra il<br />

mare volubilissimo e la montagna<br />

aspra della Sibilla che commossero,<br />

ancor fanciullo, il poeta<br />

a me fra tutti carissimo.<br />

[...] E che pensieri immensi,<br />

/ che dolci sogni mi spirò<br />

la vista / di quel lontano mar,<br />

quei monti azzurri, / che di<br />

qua scopro, e che varcare un<br />

giorno / io mi pensava, arcani<br />

mondi, arcana / felicità fingendo<br />

al viver mio!<br />

Da quando cominciai ad<br />

aver uso di ragione, appena<br />

mio padre me lo permise — e<br />

ricordo ancora l’attesa della<br />

prima evasione da solo compiuta<br />

— correvo senza meta<br />

fra l’intrico dei<br />

viottoli che solcano<br />

le nostre<br />

colline protese,<br />

come apparvero<br />

al Carducci, a<br />

congiungere<br />

quel mare e quei<br />

monti, quasi che<br />

in me si destasse<br />

o ravvivasse<br />

o raccogliesse la<br />

inquietudine nativa<br />

e acuta nella<br />

mia gente,<br />

che congiuntasi<br />

poi a zelo apostolico<br />

la mosse<br />

a valicare gli oceani convogliandola<br />

soprattutto verso<br />

quelle terre d’Asia dove da<br />

Matteo Ricci a Beligatti, nella<br />

Cina e nel Tibet moltissimi mi<br />

precedettero.<br />

E sempre mi è restato per<br />

questo amore dei luoghi aperti<br />

e dei vasti orizzonti un senso<br />

d’uggia e di fastidio per la<br />

casa; la quale a me è sempre<br />

apparsa come il punto di convergenza<br />

di tutte le limitazioni<br />

e fastidi e noie di cui quell’acidiosissima<br />

cosa che diciamo<br />

civiltà sempre più ci preme e<br />

intristisce: e più di una volta<br />

mi accadde di comprendere e<br />

quasi di giustificare quella subita<br />

esplosione di rabbia o di<br />

risentimento che non di rado<br />

induce i poco pazienti o i troppo<br />

violenti a tagliar corto e ad<br />

appiccar fuoco alla casa nella<br />

speranza o nell’illusione di<br />

riacquistare una libertà minacciata<br />

o perduta.<br />

Voi vedete che con questa<br />

confessione vi ho già detto che<br />

se la scienza mi ha sospinto<br />

sulle ardue e faticose vie<br />

dell’Asia, non c’è tuttavia dubbio<br />

che lo sprone della scienza<br />

secondava in me una nativa volontà<br />

d’evasione, un istintivo<br />

amore della libertà e dello spazio,<br />

il capriccio del fantasticare<br />

e del sognare che lo si soddisfa<br />

lontano dall’umano consorzio,<br />

quando si è soli fra la terra e il<br />

cielo, oggi qui domani là in un<br />

paesaggio quotidianamente<br />

nuovo, tra gente nuova, ma radicata<br />

dappertutto su questa terra<br />

antica dove anche gli uomini<br />

d’oggi sono la creazione inconsapevole<br />

di una tradizione<br />

millenaria e le vestigie del passato<br />

narrano a chi sappia interrogarle<br />

i drammi delle vicende<br />

trascorse, i sogni vani o le speranze<br />

eterne.<br />

Detto questo non vi sorprenderà<br />

se la congiunta istigazione<br />

della scienza e della libertà<br />

mi abbia condotto per quattordici<br />

volte sul Tetto del Mondo<br />

e sulle contrade vicine dal Sicchim<br />

al Caracorum, dall’Assan<br />

al Nepal, dalla giungla<br />

dell’India a Lhasa. Diciottomila<br />

chilometri percorsi a piedi<br />

di Flavia Foradini<br />

di Riccardo <strong>Chiaberge</strong><br />

diventato tutt’uno con<br />

essi, solo europeo alla lo-<br />

«Ero<br />

ro mercé, nel loro stesso<br />

paese, vivevo la loro stessa vita»:<br />

così dice di sé, «tibetano tra i tibetani»,<br />

l’orientalista Giuseppe Tucci,<br />

nel libro di cui anticipiamo uno<br />

stralcio in questa pagina. Come lui<br />

erano numerosi, negli anni Trenta<br />

del 900, gli intellettuali che si aggregavano<br />

alle carovane dei<br />

nomadi o si rifugiavano in<br />

qualche isola tropicale per<br />

guarire dalla «tumultuosa irrequietezza»<br />

dell’Occidente. Un<br />

ritorno alla natura che, come<br />

ci racconta Melania Mazzucco<br />

a pag. 31, non era privo di<br />

risvolti irrazionali e poteva anche<br />

sfociare in tragedia. Ma<br />

che differenza rispetto alla maniera<br />

di viaggiare di oggi, descritta<br />

con cruda efficacia da<br />

Michel Houellebecq nel romanzo<br />

Piattaforma (Bompiani<br />

2001): il turismo dei villaggi<br />

clonati dove si fanno e si mangiano<br />

ovunque le stesse cose,<br />

da Marrakech a Santo Domingo,<br />

gite in piroga o in mongolfiera,<br />

abbuffate di montone, gare di fuoristrada,<br />

senza mai entrare in contatto<br />

con la gente e la cultura del<br />

luogo: con quella che Elémire Zolla<br />

chiamava l’aura. Il viaggio, come<br />

lo intendeva Tucci, era soprattutto<br />

un’avventura della mente e<br />

dello spirito, uno scavalcamento di<br />

frontiere, un’immersione totale in<br />

altri universi e altre civiltà.<br />

Se domenica scorsa Remo Bodei<br />

ci ha spiegato che la paura<br />

può diventare arma politica al<br />

servizio di tiranni e fanatici, in<br />

questo numero di mezza estate vi<br />

proponiamo un’arma di difesa, il<br />

vero antidoto alla paura: la ricerca,<br />

la sete di conoscenza, la voglia<br />

di spingersi oltre il limite.<br />

Non soltanto in senso geografico,<br />

ma scientifico, artistico, religioso.<br />

Il terrorismo non fa alcuna<br />

distinzione tra Tucci e i tour<br />

operator e se ne infischia delle<br />

aure. Ci vuole immobilizzare tutti<br />

quanti, viaggiatori d’élite e turisti<br />

per caso, consumisti e scienziati,<br />

in un campo di concentramento<br />

globale. Possiamo, dobbiamo<br />

reagire in un solo modo: ricacciando<br />

indietro la paura e restando<br />

fedeli, come Ulisse, al nostro<br />

«destino itinerante».<br />

in una delle contrade più fascinose<br />

del mondo, dove l’uomo<br />

umiliato dalla immensità e dai<br />

silenzi in ogni luogo immagina<br />

o sospetta presenze divine,<br />

invisibili ma certe; e circa otto<br />

anni, come dicevo, passati in<br />

Le porte<br />

del possibile<br />

a pag.38<br />

tenda, senza tener conto delle<br />

molte settimane all’addiaccio<br />

nella pianura dell’India, nei<br />

lenti pellegrinaggi ai luoghi<br />

santi della tradizione religiosa,<br />

il vagabondaggio nella calura<br />

tropicale seguendo il serpeg-<br />

Continuano le fantacronache<br />

dal futuro<br />

dei fumettisti belgi<br />

François Schuiten e<br />

Benoît Peeters, che il<br />

nostro supplemento<br />

pubblica fino al 4<br />

settembre: una serie<br />

di ironici scenari sul<br />

mondo che ci aspetta,<br />

sotto forma di pagine<br />

illustrate di un<br />

immaginario quotidiano.<br />

Questa puntata, datata<br />

11 aprile 2037, racconta<br />

del mirabolante<br />

progetto dell’architetto<br />

Tuttsass: la Roccia Abitabile<br />

di Milapoli.<br />

Se il Barbiere<br />

diventa<br />

imprevedibile<br />

di Carla Moreni<br />

giare sinuoso degli argini delle<br />

risaie, e quando l’aria era<br />

troppo cocente, le peregrinazioni<br />

notturne al chiaro di luna<br />

e la sosta diurna sotto l’ombra<br />

larga degli alberi di mango, in<br />

quell’orizzontalità assoluta del-<br />

a pag.39<br />

la terra indiana, levigata come<br />

un mare pietrificato, in un<br />

combaciamento liscio e perfetto<br />

della terra e del cielo.<br />

Vi dico subito che non ho<br />

mai amato le spedizioni numerose:<br />

uno o due compagni al<br />

Il primo<br />

film<br />

d’animazione<br />

di G. Bendazzi<br />

massimo; un medico e un fotografo:<br />

un fotografo perché fra<br />

me e la macchina, anche una<br />

macchina così semplice come<br />

la fotografica, esiste una incompatibilità<br />

assoluta; un medico<br />

per il soccorso dei carova-<br />

nieri e soprattutto perché il<br />

medico con i suoi interventi in<br />

luoghi deserti di ogni assistenza,<br />

attenua le innate diffidenze.<br />

Ma sono andato anche solo,<br />

anzi proprio in alcune delle<br />

più lunghe e pericolose spe-<br />

a pag.39<br />

«Diciottomila chilometri percorsi a piedi dal Sicchim al Caracorum, dall’Assan al Nepal. I mezzi<br />

meccanici sono un’illusione di libertà. Con una carovana vi sentite padroni del mondo»<br />

Il Tar del<br />

Lazio ferma<br />

lo Shuttle<br />

di Gene Gnocchi<br />

SPECIALE ESPLORATORI - Guida ferragostana alle frontiere inviolate e ai grandi pionieri della conoscenza. A partire da Giuseppe Tucci e dal suo Tibet<br />

SUL TETTO DELL’ANIMA<br />

«L’uomo<br />

cominciò<br />

con l’essere<br />

un nomade.<br />

La bramosia<br />

di muoverci<br />

apre<br />

la mente»<br />

QUESTO NUMERO<br />

Il viaggio<br />

come<br />

ricerca<br />

La catena montuosa dei monti Kailas, Tibet<br />

(Corbis). A destra, Giuseppe Tucci in<br />

compagnia di una guida tibetana (foto tratta<br />

dal libro Il paese delle donne dai molti mariti,<br />

di prossima uscita da Neri Pozza editore)<br />

Studioso del subcontinente indiano<br />

e del Tibet, ma anche dell’Asia<br />

orientale come pochissimi al mondo<br />

nel secolo scorso, Giuseppe Tucci<br />

nasce a Macerata il 5 giugno 1894.<br />

Combatte nella Prima guerra mondiale,<br />

si laurea a Roma nel 1919, inizia la<br />

carriera di docente proprio in India<br />

(1925-1930), dove fra l’altro collabora<br />

con il grande poeta R. Tagore e conosce<br />

il Mahatma Gandhi. Rientrato in<br />

Italia, dopo un biennio all’Istituto universitario<br />

orientale di Napoli, dal 1932<br />

insegna all’ateneo romano. Precoci e<br />

ripetute le grandi missioni di studio da<br />

A PAGINA 40 ALL’INTERNO<br />

Bibbia<br />

e sacco<br />

sulle spalle<br />

Floreana,<br />

il diavolo<br />

in Paradiso<br />

Il Marco<br />

Polo<br />

degli arabi<br />

TRA DUE CONTINENTI<br />

lui guidate: otto nel solo Tibet, all’epoca<br />

pressoché inesplorato, concluse già<br />

nel 1948, quasi altrettante in Nepal fra<br />

il ’50 e il ’54. Seguono le campagne<br />

archeologiche in Pakistan, Afghanistan<br />

e Iran.<br />

Come i suoi viaggi, anche l’attività<br />

di studioso e di uomo di cultura ricopre<br />

estensioni vastissime: la sua produzione<br />

specialistica, ma anche saggistica,<br />

è dedicata non solo al Tibet e<br />

all’India in senso lato, ma anche alla<br />

Cina, al Giappone e all’Asia in generale,<br />

e spazia dall’archeologia alla filosofia<br />

(indiana e cinese), dall’interpreta-<br />

Mi scusi,<br />

è questo<br />

il Bar Gello?<br />

zione dei màndala, i celebri diagrammi<br />

utilizzati per la meditazione,<br />

all’edizione critica di manoscritti, alle<br />

note di viaggio. Di queste note l’editore<br />

Neri Pozza si appresta a pubblicare<br />

una raccolta sotto il titolo Il paese<br />

delle donne dai molti mariti (pagg.<br />

286, À 17,50, in libreria ai primi di<br />

settembre), di cui pubblichiamo uno<br />

stralcio in questa pagina.<br />

Europa e Asia formano per Giuseppe<br />

Tucci «fin dal delinearsi dei primi<br />

moti umani, un’unità così compatta<br />

che non sembra più il caso di seguitare<br />

a discorrerne come di due continenti<br />

a pag. 30 a pag. 31 a pag. 32 a pag. 33 pagg. 34-35<br />

Ecco<br />

la mia<br />

frontiera<br />

di G. Ravasi di M. Mazzucco di F. Cardini di L. Leonelli di Autori Vari<br />

separati». Per favorire la diffusione di<br />

questa attitudine, fonda nel 1933 insieme<br />

con Giovanni Gentile l’Istituto per<br />

il Medio ed Estremo Oriente (IsMEO),<br />

e la cui attività è continuata ora<br />

dall’Istituto italiano per l’Africa e<br />

l’Oriente (IsIAO). Recentemente è stato<br />

intitolato a Giuseppe Tucci, scomparso<br />

il 5 aprile 1984 a San Polo dei<br />

Cavalieri presso Tivoli, il Museo nazionale<br />

d’arte orientale; una convenzione<br />

lo lega appunto all’IsIAO di cui ospita<br />

le opere d’arte, provenienti in grande<br />

misura dagli scavi effettuati a suo tempo<br />

in Iran, Afghanistan e Pakistan.<br />

(Giuliano Boccali)<br />

dizioni, e quando mi avvenne<br />

di cader malato nel deserto di<br />

More a circa 4.800 metri, l’ufficio<br />

del medico che non c’era<br />

fu disimpegnato dallo stregone<br />

di un accampamento di nomadi,<br />

che o per caso o per peri-<br />

zia o per magico intervento in<br />

due giorni mi rimise in sesto.<br />

Per magico intervento, sospetto,<br />

perché egli raccoltosi in meditazione<br />

m’assicurò che io avevo<br />

piantato la tenda sopra la<br />

dimora di uno spirito sotterraneo<br />

e che pertanto questi corrucciato<br />

e offeso per la violazione<br />

involontaria, mi aveva punito<br />

con la malattia; perché, secondo<br />

i tibetani, le malattie da<br />

due cause possono nascere: o<br />

da squilibrio degli umori o da<br />

interventi di demoni.<br />

Ma torniamo a noi: quella<br />

spedizione durò oltre un anno;<br />

percorsi più di quattromila<br />

chilometri solo. Voi sapete<br />

che a molti la solitudine,<br />

a lungo andare, riesce<br />

intollerabile e più d’un<br />

viaggiatore ho incontrato<br />

che s’affrettava a tornare<br />

indietro preso quasi da<br />

vertigine innanzi a quelle<br />

voragini di silenzio e<br />

di deserto. Non a me;<br />

anzi vi dico subito che la<br />

solitudine mi è sempre apparsa<br />

la miglior consigliera<br />

e amica: estingue le diffidenze,<br />

i sospetti, quello<br />

stato di allarme continuo<br />

che, nella vita consociata,<br />

per la necessità della difesa e<br />

della vigilanza, rendono l’uomo<br />

guardingo: la vita<br />

all’aria aperta, fra gli alberi<br />

o le rocce, sotto il sole<br />

o lo stupore freddo della<br />

luna, restituisce all’uomo<br />

una serenità innocente.<br />

Queste città rimbombanti<br />

di rumori e stridori<br />

e scoppiettii, la corsa<br />

obbligata fra mura e rotaie,<br />

il necessario incedere a<br />

testa china nei lunghi corridoi<br />

delle strade che tagliano<br />

il cielo a fette, soprattutto<br />

il vivere inconsapevoli<br />

delle vicende della Gran<br />

Madre comune, privano<br />

l’uomo di resistenze fisiche<br />

necessarie, logorano<br />

i nervi, intossicano<br />

lo spirito, ingombrano<br />

la mente di curve vane.<br />

L’uomo cominciò con l’essere<br />

un nomade; questo modo<br />

antico depositato in fondo al<br />

nostro subconscio monta spesso<br />

alla superficie con i suoi<br />

capricci archetipali e con la<br />

bramosia del viaggiare che<br />

sboccia in noi con il lume della<br />

ragione e ci accompagna<br />

per tutta la vita. E ne giova<br />

perché apre la mente.<br />

Però stiamo attenti: il viaggiare<br />

con i mezzi meccanici<br />

che traduce in termini moderni<br />

il nomadismo ancestrale,<br />

se ben considerate, è soltanto<br />

illusione di libertà, soggetto<br />

com’è al vincolo degli orari,<br />

ai posti negli alberghi, ai programmi<br />

certi, onde diviene<br />

piuttosto prigionia dalla partenza<br />

all’arrivo, senza evasione<br />

di soste o divari; persino<br />

l’automobile ci incatena per<br />

l’incanto della corsa, perché<br />

occorre sempre uno sforzo<br />

per sottrarsi alla malia della<br />

velocità e ubbidire all’invito<br />

di una rovina o al richiamo di<br />

un orizzonte aperto. Ma quando<br />

avete una carovana tutto è<br />

diverso; vi sentite padroni del<br />

mondo: i padri antichi che<br />

vennero forse dall’Asia a popolare<br />

la squallida Europa, rivivono<br />

in voi, vi sentite parenti<br />

di conquistatori primordiali;<br />

oggi qui domani non sapete<br />

dove, dove c’è erba e acqua<br />

o dove vi incanta la bellezza<br />

dei luoghi, la maggior<br />

delizia per il poeta che in fondo<br />

a noi, se non siamo divenuti<br />

come i bruti torpidi e sprovveduti,<br />

sempre vigila e sogna.<br />

Soltanto allora trovate e godete<br />

la libertà.<br />

M<br />

+<br />

Y<br />

+


Pagina 38 — Domenica 28 Agosto 2005 - N. 235 PERSONAGGI<br />

Il Sole-24 Ore<br />

G IORNALISMO E TOTALITARISMI / 1<br />

Un piccolo vademecum di brani scelti per restituire ai lettori lo spirito autonomo e sagace del grande polemista<br />

Longanesi si difende dai suoi fan<br />

di Leo Longanesi<br />

Borghesi e proletari<br />

«Fino a cent’anni fa, nessuno restava<br />

offeso a sentirsi chiamare "borghese":<br />

borghese era un titolo, una condizione<br />

onorevole che nessuno rifiutava; i borghesi<br />

non si credevano aggettivi dispregiativi<br />

della storia, ma sostantivi, nobili,<br />

validi, gloriosi sostantivi. Poi la parola<br />

"proletario" li sommerse. Cinquant’anni<br />

di polemica, di insulti, di risse, di sangue<br />

costrinsero i borghesi a soffiarsi il naso<br />

nella loro bandiera. E si disse: vile borghese.<br />

La prudenza borghese, l’onestà<br />

borghese, la dignità borghese furono dipinte<br />

come soprusi fatti al povero, al<br />

proletario, al popolo sovrano. E cominciò<br />

la grande kermesse plebea, la grande<br />

stagione lirica del coro politico, l’ora<br />

delle idee cantate, il tempo canoro del<br />

socialismo» (Borghese e proletario, «il<br />

Borghese», 1º aprile 1950).<br />

Elogio della povertà<br />

«La miseria [...] è ancora l’unica<br />

forza vitale del paese e quel poco o<br />

molto che ancora regge è soltanto frutto<br />

della povertà.<br />

Bellezze dei luoghi, patrimoni artistici,<br />

antiche parlate, cucina paesana, virtù<br />

civiche e specialità artigiane sono custoditi<br />

soltanto dalla miseria. Dove essa è<br />

sopraffatta dal sopraggiungere del capitale,<br />

ecco che si assiste alla completa rovina<br />

di ogni patrimonio artistico e morale.<br />

Perché il povero è di antica tradizione e<br />

vive in una miseria che ha antiche radici<br />

in secolari luoghi, mentre il ricco è di<br />

fresca data, improvvisato, nemico di tutto<br />

ciò che lo ha preceduto e che l’umilia.<br />

La sua ricchezza è stata facile, di solito<br />

nata dall’imbroglio, da facili traffici, sempre,<br />

o quasi, imitando qualcosa che è<br />

nato fuori di qui. Perciò, quando l’Italia<br />

sarà sopraffatta dalla finta ricchezza che<br />

già dilaga, noi ci troveremo a vivere in<br />

un paese di cui non conosceremo più né<br />

il volto né l’anima» (La sua signora, 7<br />

gennaio 1957).<br />

«Popolare»<br />

«Ed eccola qui l’Italia che ci hanno<br />

dato: [...] una nazione progressista che<br />

ha collocato il suo progresso nell’aggettivo<br />

"popolare". [...]<br />

"Popolare" è l’aggettivo che giustifica<br />

ogni danno, ogni malestro, ogni infrazione,<br />

ogni corruzione.<br />

L’autorità discorre come i capi partito,<br />

in un linguaggio "popolare" miserevole,<br />

assecondando i vizi e i desideri<br />

dei più, contro i propri principi e la<br />

propria dignità: essa parla del cinema,<br />

della radio, del ballo, dell’utero, del<br />

turismo, del frigidaire, come se il mondo<br />

si reggesse soltanto su questi apparecchi,<br />

su queste novità, su queste abitudini.<br />

Il popolare, il popolare democratico<br />

è soltanto fumetto, è un modo di<br />

raccogliere consensi in maniera facile,<br />

assecondando quel che non va assecondato;<br />

è un modo di rendere facile quel<br />

che non deve essere facile: è una vile<br />

maniera di illudere i più a loro danno.<br />

E i più credono di progredire soltanto<br />

perché a loro ci si appella» (Fortuna<br />

di un aggettivo, «il Borghese», 11<br />

maggio 1956).<br />

Lo sviluppo insostenibile<br />

«Malinconia grande, che ci stringe il<br />

cuore mentre percorriamo la Riviera di<br />

Ponente, da Ventimiglia a Genova. Erano<br />

parecchi anni che non facevamo quella<br />

linea, [...] e restiamo abbruttiti da<br />

quell’impoverimento progressivo e irrecusabile,<br />

di tutta la regione litoranea. [...]<br />

Noi siamo veramente un "popolo di<br />

costruttori" [...]. Abbiamo qui costruito e<br />

costruiamo a dosso e bisdosso, senza una<br />

preoccupazione al mondo, senza un ritegno<br />

e un po’ di tutto alla rinfusa: casone<br />

in stile razionale per bagnanti, Ina-case e<br />

villini a serie per i meno abbienti, ville<br />

sfacciate per i nuovi ricchi e gallinai<br />

pretenti per i nuovi poveri, e tutto brutto,<br />

e tutto ben vicino al mare [...]. Le antiche<br />

villone del Settecento, che furono un<br />

giorno l’ornamento di questa riviera, sono,<br />

in mezzo a questo bailamme televisivo,<br />

come signore bennate decadute fino<br />

a battere il marciapiede» (Cemento e Cartone,<br />

«il Borghese», 4 marzo 1955).<br />

Beni culturali<br />

«Alla manutenzione, l’Italia preferisce<br />

l’inaugurazione» (La sua signora, 3 agosto<br />

1955).<br />

Televisione<br />

«Si discorreva, ieri sera, del più e del<br />

meno con tanto disinteresse, che alla fine<br />

ci sembrò di avere ascoltato solo un ronzio.<br />

Era il ronzio mondano di una borghesia<br />

che si avvia a rinunciare all’uso della<br />

parola, per dedicarsi soltanto alla televisione»<br />

(La sua signora, 15 marzo 1955).<br />

«Non ho mai assistito a una trasmissione<br />

televisiva e mai vi assisterò» (così<br />

Longanesi rispose a un’inchiesta di «Epoca»,<br />

13 novembre 1955).<br />

«Una bomba al tritolo reca meno danno<br />

di una trasmissione televisiva» (La<br />

sua signora, 8 gennaio 1956).<br />

Leo Longanesi<br />

(Effigie)<br />

Il cinema<br />

«Il cinematografo ha fatto luce su molti<br />

misteri e la fantasia plebea ha perduto<br />

vigore, sedotta dalla immagine di un benessere<br />

facilmente raggiungibile. Il film<br />

ha compiuto una rivoluzione sociale ben<br />

più profonda di quella di Lenin; esso ha<br />

ucciso persino gli ideali ribelli del romanticismo<br />

operaio» (La sua signora, 15<br />

marzo 1955).<br />

Libera Chiesa in libero<br />

Stato?<br />

«La Repubblica italiana, dopo dieci<br />

anni, appare sempre più nettamente come<br />

una fictio juris dietro la quale, nella<br />

pienezza del recuperato potere imperiale,<br />

lo Stato vaticano non si nasconde più»<br />

(Quale Repubblica?, «il Borghese», 25<br />

maggio 1956).<br />

A MARCORD DI REDAZIONE<br />

di Giovanni Russo<br />

Di Longanesi ho sentito<br />

sempre parlare nella redazione<br />

del «Mondo» e<br />

dagli intellettuali romani che frequentavo<br />

negli anni Cinquanta,<br />

Ennio Flaiano, Sandro De Feo,<br />

Ercole Patti e naturalmente Indro<br />

Montanelli. L’ho incontrato<br />

insieme con Mario Pannunzio e<br />

Vitaliano Brancati al Caffè Rosati<br />

di via Veneto, una sera di<br />

agosto. Ricordo che mi colpì la<br />

somiglianza fisica con altri personaggi<br />

celebri come Mino Maccari<br />

e Amerigo Batoli perché era<br />

basso di statura come loro e si<br />

muoveva con scatti nervosi. Nel<br />

«Mondo», anche se aveva una<br />

linea politica che fortemente dis-<br />

«I nostri ammiratori, Dio mio, meglio non conoscerli!». I mali italiani? Il familismo, la scarsa<br />

laicità dello Stato, la televisione, la cementificazione. E, soprattutto, la mancanza di uomini liberi<br />

Che cosa leggere<br />

Scrittore, giornalista, pittore, editore<br />

e grafico pubblicitario, Leo<br />

Longanesi (Bagnacavallo, 30 agosto<br />

1905 - Milano, 27 settembre 1957) ideò e<br />

diresse nel corso della sua breve vita<br />

alcuni dei più originali periodici di<br />

attualità culturale, dall’impaginazione<br />

innovativa e accattivante. Da ricordare,<br />

«L’Italiano» (1926-42), che nacque come<br />

foglio della federazione fascista bolognese,<br />

ma presto assunse un respiro nazionale,<br />

certificato dal trasferimento di Longanesi<br />

a Roma nel ’32; «Omnibus» (1937-39), il<br />

La Democrazia Cristiana<br />

«Vota per la Democrazia Cristiana,<br />

ma non dirlo ai vicini» («il Borghese»,<br />

1˚ ottobre 1951, in copertina).<br />

«Bisogna rassegnarsi alla Dc: è il solo<br />

partito che provveda a tutto: battesimo,<br />

matrimonio e morte» (La sua signora,<br />

20 settembre 1955).<br />

Familismo<br />

«La nostra bandiera nazionale dovrebbe<br />

recare una grande scritta: Ho<br />

famiglia» (Parliamo dell’elefante, 26<br />

novembre 1945).<br />

Gli intellettuali<br />

«I nostri letterati vanno a sinistra;<br />

essi sperano che a sinistra la fantasia<br />

sia più fertile. Il comunismo, per costoro,<br />

è un lassativo che dovrebbe smuove-<br />

sentiva dalla sua, la figura di<br />

Longanesi pesava e si sentiva in<br />

qualche modo la sua presenza.<br />

Un po’ tutti i protagonisti del<br />

settimanale erano stati suoi amici<br />

o allievi. Mario Pannunzio e<br />

Arrigo Benedetti, i due direttori<br />

più prestigiosi, avevano cominciato<br />

la loro attività giornalistica<br />

nei settimanali a rotocalco che<br />

Longanesi aveva inventato, «Oggi»<br />

e «Omnibus», dove Pannunzio<br />

scriveva le critiche cinematografiche.<br />

Avevano assorbito da<br />

lui lo stile dell’impaginazione e<br />

la ricetta, che poi doveva diventare<br />

popolare, del rotocalco a colori.<br />

Si sapeva che Ennio Flaiano<br />

non avrebbe mai scritto il<br />

romanzo Tempo di uccidere,che<br />

primo rotocalco italiano in assoluto,<br />

soppresso per ordine di Mussolini, irritato<br />

dalla sua vena troppo irriverente; e «Il<br />

Borghese» (1950-57), attorno al quale si<br />

raccolsero i delusi del fascismo e della<br />

democrazia (Giovanni Ansaldo, Henry<br />

Furst, Indro Montanelli, Giuseppe<br />

Prezzolini).<br />

Nel 1946 fondò a Milano l’omonima<br />

casa editrice, nelle cui eleganti collane<br />

troveranno ospitalità diversi libri di storia<br />

"revisionisti" ante litteram.<br />

Penna perfezionista ed epigrammatica,<br />

re la loro stitichezza» (Parliamo<br />

dell’elefante, 11 agosto 1944).<br />

I giornalisti<br />

«Un vero giornalista: spiega benissimo<br />

quello che non sa» (La sua signora,<br />

22 marzo 1957).<br />

Il post-fascismo<br />

«Dilagano in Italia tre diverse specie<br />

di paura: quella di sembrare fascista,<br />

quella di non sembrare abbastanza fascista<br />

e quella di non essere antifascisti del<br />

tutto. Se ne deduce che, per un verso o<br />

per l’altro, si gira sempre attorno a un<br />

punto fisso, cioè il fascismo. Il che dimostra<br />

che non siamo ancora riusciti a vincere<br />

il nostro "complesso della colpa". Non<br />

resta, allora, che accettare una volta per<br />

tutte il fascismo come una esperienza<br />

vinse nel 1947 il Premio Strega,<br />

se Longanesi non lo avesse fatto<br />

prigioniero in una camera a pensione<br />

di Milano, obbligandolo a<br />

sedersi alla scrivania e a scrivere<br />

il libro che egli pubblicò nella<br />

sua casa editrice. Augusto Guerriero,<br />

il famoso Ricciardetto,<br />

non sarebbe diventato il più autorevole<br />

commentatore di politica<br />

estera nel «Corriere della Sera»<br />

se Longanesi non lo avesse scovato<br />

nel ministero delle Colonie<br />

di cui era funzionario e indotto a<br />

occuparsene per «Oggi».<br />

Longanesi era stato un grande<br />

animatore, durante il regime, di<br />

iniziative editoriali e creatore di<br />

giornali come «L’Italiano», in<br />

cui con Mino Maccari che pub-<br />

blicava «Il selvaggio», si faceva<br />

la fronda al fascismo anche se<br />

era nello stesso tempo l’inventore<br />

di slogan di propaganda del<br />

regime come, durante la guerra,<br />

a proposito dell’Algeria allora<br />

francese, «Biserta, una pistola<br />

puntata contro l’Italia».<br />

Circolavano, insieme a quelle<br />

di Maccari, le sue battute ironiche<br />

su Mussolini, come questa:<br />

«Canta il gallo e Mussolini monta<br />

a cavallo», che fa pensare al<br />

cavallo bianco su cui il Duce<br />

andò a caracollare in Libia impugnando<br />

la spada di Damasco<br />

quando si illudeva di conquistare<br />

l’Egitto. Longanesi quindi<br />

aveva allevato la fronda antifascista<br />

ma dopo la guerra e la<br />

di Raffaele Liucci<br />

ammiratori, Dio mio, meglio non conoscerli!». Così<br />

recita, nel ’54, un impietoso aforisma di Leo Longanesi. Con<br />

«Inostri<br />

tutta evidenza, costui non amava i discepoli esuberanti. Eppure,<br />

dopo la sua morte (’57) e sino a oggi, fin troppi "longanesiani" hanno<br />

usato il suo nome a mo’ di testa d’ariete nelle più svariate polemiche<br />

all’ordine del giorno. Ma quanti di loro sono davvero riconducibili alla<br />

lezione del maestro? Per verificarlo, siamo andati a spulciare le annate<br />

del «Borghese» (1950-57) e i suoi libri e diari, editi a partire dal ’47.<br />

Abbiamo quindi compilato questo piccolo dizionario del Longanesi-pensiero,<br />

che forse riserverà qualche sorpresa<br />

anche ai cultori più avveduti.<br />

Caduto Mussolini, Leo aveva abbandonato<br />

quei toni allusivi e sfuggenti che gli<br />

erano valsi l’aura di "frondista" sgradito al<br />

regime littorio. In effetti, «L’Italiano» e<br />

«Omnibus» erano stati fucina di alcune tra<br />

le migliori firme dell’antifascismo democratico,<br />

da Mario Pannunzio ad Arrigo Benedetti.<br />

Sarebbe tuttavia esagerato ingigantire<br />

la reale portata dei «messaggi cifrati»<br />

lanciati dai fogli longanesiani. Riletti a posteriori,<br />

questi ultimi si rivelano — come ha<br />

osservato Enzo Forcella — un’essenziale<br />

«lezione di giornalismo, di scrittura, di costume»,<br />

ma non proprio «di consapevolezza<br />

politica». Nell’Italia democratica, invece,<br />

Longanesi si muoverà senza più sottintesi<br />

né sotterfugi. E sarà uno dei pochissimi a<br />

teorizzare, sin dall’immediato dopoguerra, una destra che non si<br />

vergognasse di definirsi tale.<br />

Si trattava di una destra conservatrice e altera, sobria e meritocratica,<br />

colta e pessimista, scettica e ironica, elegante e rigorosa, laica e<br />

non bacchettona, ambientalista e diffidente della società di massa e dei<br />

suoi umori e malumori, anti-antifascista ma spoglia di rimpianti nostalgici.<br />

Una destra comunque contraddittoria, che esisteva quasi soltanto<br />

nel cuore di Longanesi. Lo scoprirà a sue spese egli stesso nel ’55,<br />

quando, attraverso i «Circoli del Borghese», cercherà di dar vita a un<br />

nuovo movimento politico. Con risultati disastrosi. Ecco come ricorderà<br />

quell’esperienza Indro Montanelli, tra i più stretti sodali di Leo:<br />

«Abbiamo cercato una destra in cui arruolarci, ma non abbiamo<br />

trovato che dei faccendieri, delle brave vecchie signore piene di blasoni<br />

e di ricordi indaffarate a ricamare bandiere con lo scudo per mandarle<br />

al re in esilio e alcuni forsennati che vorrebbero mettersi a saltare ora,<br />

a cinquanta o sessant’anni, quelle siepi di baionette su cui imparavano<br />

quando ne avevano venti o trenta».<br />

pubblicò pochissimi articoli in confronto<br />

alle altre grandi firme italiane. La sua<br />

impronta rifulse soprattutto<br />

nell’inconfondibile impostazione grafica e<br />

tipografica dei giornali e delle collane<br />

editoriali in cui metteva mano.<br />

Chi voglia avvicinarsi a Longanesi, può<br />

cominciare dalla lettura dei suoi libri,<br />

quasi tutti usciti dopo il ’45 e ispirati a<br />

una critica corrosiva del costume<br />

democratico, con una frequente ma<br />

disillusa rivisitazione del controverso<br />

passato littorio: Parliamo dell’elefante.<br />

Sognando<br />

una Destra<br />

che non c’è<br />

storica da mettere in disparte. Ma quel<br />

che ci divide da molti è la scelta del<br />

luogo nel quale collocare questa esperienza:<br />

noi suggeriamo il museo, altri<br />

la galera» (Senza titolo, «il Borghese»,<br />

15 aprile 1950).<br />

L’antifascismo<br />

«La nostra vita politica [...] ormai si<br />

avvia verso il fascismo degli antifascisti,<br />

cioè un fascismo ritardato, più bonario<br />

ma più inconcludente, un fascismo senza<br />

nicotina, in borghese, spoglio di miti e<br />

debole, ma condannato, di giorno in giorno,<br />

a prendere il potere» (Ce grand<br />

malheur, «Gazzetta del Popolo», 20 gennaio<br />

1950, in Fa lo stesso).<br />

Lotta di classe<br />

«Non si odia più la ricchezza; si cerca<br />

soltanto di spartirla col consenso dei ric-<br />

Nostalgia per le virtù del Borghese<br />

Frammenti di un diario, 1947; In piedi e<br />

seduti (1919-1943), 1948; Il mondo cambia.<br />

Storia di cinquant’anni, 1949; Una vita,<br />

1950; Il destino ha cambiato cavallo, 1951;<br />

Un morto fra noi, 1952; Ci salveranno le<br />

vecchie zie?, 1953; La sua signora.<br />

Taccuino, 1957; Fa lo stesso (silloge di<br />

articoli), 1996.<br />

L’8 settembre prossimo, l’editore<br />

Longanesi manderà in libreria le ristampe<br />

di Parliamo dell’elefante e Ci salveranno le<br />

vecchie zie?; più avanti, sarà riproposto<br />

anche Una vita. (Raffaele Liucci)<br />

fine del fascismo cominciò a polemizzare<br />

con un antifascismo<br />

di cui s’erano dimostrati i più<br />

zelanti fautori proprio intellettuali<br />

ex fascisti. Apparve chiara la<br />

sua natura di anarchico conservatore<br />

con il settimanale «Il Borghese»,<br />

che rievocava le virtù<br />

dell’Italietta prefascista e difendeva<br />

una borghesia bistrattata<br />

dall’ideologia comunista.<br />

Pur non rinnegando un passato<br />

che avevano condiviso con<br />

lui, il gruppo del «Mondo» come<br />

quello dell’«Espresso» avevano<br />

un atteggiamento molto<br />

freddo nei confronti di Longanesi<br />

e del suo settimanale, al quale<br />

collaborava Indro Montanelli.<br />

Al «Mondo» vigeva la regola<br />

Nato nel 1905,<br />

aderì al regime<br />

ma ne fu<br />

autonomo.<br />

Smascherò<br />

le ipocrisie<br />

dell’antifascismo<br />

del dopoguerra<br />

chi. È la prima sconfitta del proletariato»<br />

(La sua signora, 15 aprile 1956).<br />

«La lotta di classe era l’unico vantaggio<br />

su cui potesse contare la borghesia;<br />

ma l’attuale inerzia di classe, è la grande<br />

valanga che nessuno più frena» (Taccuino,<br />

«il Borghese», 12 luglio 1957).<br />

Destra e sinistra<br />

«La destra? Ma se non c’è nemmeno<br />

la sinistra in Italia! [...] Qui non c’è<br />

nulla: né destra, né sinistra. Qui si vive<br />

alla giornata, fra l’acqua santa e l’acqua<br />

minerale» (La sua signora, 6 ottobre<br />

1955).<br />

La libertà<br />

«Non è la libertà che manca; mancano<br />

gli uomini liberi» (La sua signora, 8<br />

gennaio 1957).<br />

non detta per cui non si potevano<br />

nominare due personaggi,<br />

Curzio Malaparte e Leo Longanesi,<br />

e non se ne doveva parlare<br />

né bene né male, mentre la stessa<br />

regola non si applicava ad<br />

altri personaggi considerati propensi<br />

ad adulare il potere come,<br />

per esempio, Mario Missiroli.<br />

I rapporti tra Longanesi e i<br />

suoi ex allievi si ruppero quindi<br />

per ragioni politiche e per l’idea<br />

completamente diversa che essi<br />

avevano dell’antifascismo e del<br />

futuro dell’Italia, ma in Pannunzio,<br />

mentre su Malaparte prevaleva<br />

l’opinione che fosse privo<br />

di ogni coerenza morale, per<br />

Longanesi, anche se non espresso,<br />

c’era un certo rispetto per il<br />

suo anticonformismo che non lo<br />

aveva mai fatto confondere con<br />

i servitori dei potenti.<br />

Morte della patria<br />

«Non facciamoci molte illusioni: accade<br />

sotto i nostri occhi qualcosa di irrimediabile<br />

che ci trascina alla rovina. [...]<br />

Navighiamo in un mare placido, seduti<br />

in coperta a guardare i gabbiani, ma c’è<br />

un cadavere nella stiva.<br />

È il cadavere della Nazione.<br />

Noi non sappiamo più cosa sia una<br />

Nazione, lo abbiamo scordato, abituati<br />

come siamo a godere i piaceri di questa<br />

falsa concordia, di questo marcio benessere,<br />

di questo lento tramonto.<br />

La decadenza della borghesia è senza<br />

rimedio; il suo disinteresse alla vicenda<br />

nazionale trapela da ogni fatto di cronaca»<br />

(Un cadavere, «il Borghese», 30 settembre<br />

1955).<br />

Dalla parte della "ggente"<br />

«Da noi gli uomini politici si compiacciono<br />

di essere, come si dice, "alla<br />

portata di tutti", e di comparire effigiati<br />

in atteggiamenti confidenziali; e ritengono<br />

inutile, anzi passatista, anzi<br />

reazionario avere uno stile che combini<br />

la semplicità con il decoro, come faceva<br />

Mazzini [...], il quale, quando si<br />

rivolgeva a un sovrano, magari per<br />

avvertirlo ch’era il momento di cedere<br />

il trono all’appello del popolo, lo faceva<br />

sempre con le debite forme, che gli<br />

aveva insegnato la signora Maria, sua<br />

madre» (Per una repubblica bene educata,<br />

«il Borghese», 8 luglio 1955).<br />

L’uomo a una dimensione<br />

«Due anni fa, pubblicammo un breve<br />

libro in cui rintracciando in certe vecchie<br />

zie le ultime custodi di un ordine morale<br />

perduto, ci chiedevamo: "Ci salveranno<br />

le vecchie zie dall’incalzante rovina che<br />

ci minaccia?".<br />

Due anni sono passati in fretta, e il<br />

comunismo non ha conquistato lo Stato,<br />

ma è accaduto qualcosa di peggio, forse<br />

di irrimediabile; ed è che quelle zie<br />

hanno ceduto, hanno aperto il passo alle<br />

nipoti, alla radio, alla TV, al frigidaire,<br />

a Marlon Brando, al latte in scatola, al<br />

provvisorio, al facile, al futile, al morbido;<br />

anch’esse sono cadute nel grande<br />

equivoco progressista che ha travolto la<br />

borghesia: un equivoco vasto, in cui<br />

tutto si amalgama, tutto si confonde,<br />

tutto si decompone in quella vecchia,<br />

vile, stanca abitudine nazionale che è il<br />

conformismo. Questa brutta parola [...]<br />

è l’ultimo regalo che la Dc ha deposto<br />

sotto il camino nelle case borghesi. Si<br />

tratta, questa volta, del conformismo cattolico,<br />

il più pericoloso di tutti, perché<br />

pesa nella famiglia e lega la fede alla<br />

viltà, la quiete al timore, la virtù alla<br />

finzione, i titoli di rendita ai sacramenti,<br />

la villeggiatura alla canonica, la pelliccia<br />

di visone alle opere pie, la coesistenza<br />

ai giorni festivi, il Natale al Primo<br />

Maggio, la Pasqua alla Colomba della<br />

Pace» (Non ci salveranno più, «il Borghese»,<br />

13 gennaio 1956).<br />

Maledetti americani<br />

«La carne in scatola americana la mangio,<br />

ma le ideologie che l’accompagnano<br />

le lascio sul piatto» (Parliamo dell’elefante,<br />

14 gennaio 1944).<br />

Milano<br />

«Appena mettete il piede a Milano,<br />

v’accorgete che qui, in questa antica e<br />

nobile e immensa città, non si pensa in<br />

grande: vi accorgete che qui tutto è meschino<br />

e misero e pretenzioso come in<br />

un paese, che il bene e il male di Milano<br />

sono eguali a quelli di una grossa borgata;<br />

v’accorgerete subito che Milano è<br />

una vasta periferia industriale, che circonda<br />

un piccolo centro di paese; v’accorgerete<br />

che non vi sono più tradizioni, che<br />

non c’è più il carattere, l’ordine, il decoro,<br />

lo stile di una grande città: vi sono<br />

soltanto case, finestre, porte e insegne, e<br />

cittadini che s’affaccendano, e veicoli<br />

che corrono; v’accorgerete, senza fatica,<br />

che qui tutto è casuale, contraddittorio,<br />

slegato, abbandonato, senza una guida,<br />

senza un criterio, senza un motore centrale.<br />

Capite che Milano è un grosso corpo<br />

senza testa» (La scala del sindaco, «il<br />

Tempo di Milano», 10 ottobre 1950, in<br />

Fa lo stesso).<br />

Più tasse per tutti<br />

«La Democrazia Cristiana ha dimenticato<br />

che il comunismo si combatte col<br />

fisco: le più grandi rivoluzioni sociali si<br />

evitano compiendole con le tasse. Alle<br />

tasse spetta il compito di attuare quella<br />

giustizia terrena che apre le porte al Paradiso»<br />

(Prezzemolo, «Gazzetta del Popolo»,<br />

10 maggio 1951, in Fa lo stesso).<br />

Pensare contro<br />

«Oggi nel mondo delle idee [...] c’è<br />

un solo modo di agire: pensare contro.<br />

Essere favorevoli a qualcosa o a qualcuno<br />

è già un modo di rinunciare alla<br />

propria libertà. Io sono favorevole a<br />

tutti i manifesti elettorali che inveiscono<br />

contro gli avversari; ma sono avverso<br />

a tutti i manifesti in cui si elogia<br />

questo o quello» (Piccolo dizionario<br />

moderno, 1953, in Fa lo stesso).<br />

Estremisti<br />

«In Italia, tutti sono estremisti per<br />

prudenza» (La sua signora, 19 febbraio<br />

1956).


Il Sole-24 Ore PERSONAGGI<br />

Domenica 28 Agosto 2005 - N. 235 — Pagina 39<br />

G IORNALISMO E TOTALITARISMI / 2<br />

Una voce scritta per l’Enciclopedia Britannica (inedita per l’Italia) illustra le leggi generali della comicità<br />

Koestler, la logica dell’umorismo<br />

di Arthur Koestler<br />

La contrazione involontaria, simultanea<br />

e coordinata, di quindici<br />

muscoli facciali associata<br />

all’emissione di alcuni suoni spesso incontenibili,<br />

ci colpisce come un’attività<br />

priva di un qualsiasi valore utilitario e<br />

completamente slegata dalla lotta per la<br />

sopravvivenza. Il riso è un riflesso, ma<br />

è unico nel non avere uno scopo biologico<br />

apparente. Lo si potrebbe chiamare<br />

un riflesso di lusso, la cui unica<br />

funzione sembra quella di allentare una<br />

tensione. (...)<br />

La gamma delle esperienze che scatenano<br />

il riso va dal solletico fisico ai più<br />

diversi sollazzi mentali. Eppure c’è<br />

un’unità in questa varietà, un comun<br />

denominatore, un elemento specifico e<br />

specificabile che riflette la "logica", o<br />

la "grammatica" per così dire, della<br />

comicità. Alcuni esempi serviranno a<br />

caratterizzarlo:<br />

! «Un masochista è una persona che<br />

al mattino ama farsi una doccia fredda<br />

e se la fa calda».<br />

" Una signora inglese all’amica che le<br />

chiede dove sarà ormai suo marito, defunto:<br />

«Il povero caro sta in eterna<br />

beatitudine, ma preferirei che lei evitasse<br />

argomenti tanto sgradevoli».<br />

# Il medico rassicura il paziente: «La<br />

sua è una malattia molto grave alla<br />

quale sopravvive soltanto una persona<br />

su dieci. È stato fortunato a venire da<br />

me, ne sono appena morti nove dei<br />

miei pazienti».<br />

$ Dialogo in un film francese: «Signore,<br />

vengo a chiedervi la mano di vostra<br />

figlia». «Perché no? Vi siete già preso<br />

il resto».<br />

% Un nobiluomo alla corte di Luigi<br />

XV torna da un viaggio senza preavviso,<br />

entra nel boudoir della moglie e la<br />

trova tra le braccia di un vescovo.<br />

Dopo un attimo di esitazione, attraversa<br />

la stanza, si affaccia alla finestra e<br />

benedice i passanti per la strada. «Che<br />

fate, Marchese?» chiede la moglie, preoccupata.<br />

«Monsignore svolge le mie<br />

funzioni», è la risposta, «quindi io<br />

svolgo le sue».<br />

Qualcosa accomuna questi cinque<br />

esempi?<br />

Partendo dall’ultimo, una piccola riflessione<br />

rivela che il comportamento<br />

del marchese è inaspettato e al contempo<br />

perfettamente logico. Segue però<br />

una logica incongrua, quella della divisione<br />

del lavoro antica quanto la civiltà<br />

umana, mentre ci si aspetta una reazione<br />

governata da altre regole: dal codice<br />

della morale sessuale. È lo scontro improvviso<br />

tra diversi codici — o contesti<br />

associativi — a produrre l’effetto comico.<br />

Esso costringe l’ascoltatore a percepire<br />

la situazione su due piani, dotati<br />

entrambi di una propria coerenza interna<br />

e incompatibili tra loro, per cui la<br />

mente deve operare simultaneamente<br />

su due lunghezze d’onda. Finché dura<br />

questa condizione l’evento non è associato,<br />

come di regola, a un singolo<br />

quadro di riferimento, ma è "di-sociato".<br />

L’autore ha coniato la parola "di-sociazione"<br />

per distinguere tra le routine<br />

del pensiero disciplinato entro un unico<br />

universo di discorso — su un piano<br />

solo, per così dire — e le attività mentali<br />

creative che operano sempre su più<br />

piani contemporaneamente. Nell’umorismo,<br />

la creazione di un sottile motto di<br />

spirito così come l’atto ri-creativo che<br />

consiste nel coglierlo implicano un delizioso<br />

sussulto mentale dovuto a quel<br />

balzo improvviso da un piano — o da<br />

un contesto associativo — all’altro.<br />

Veniamo agli altri esempi. Nel dialogo<br />

tratto dal film francese, la "mano"<br />

della figlia viene percepita prima in un<br />

quadro di riferimento metaforico e<br />

all’improvviso in un contesto fisico. Il<br />

medico ragiona in termini di probabilità<br />

statistiche astratte le cui regole non<br />

sono applicabili ai casi individuali, con<br />

una svolta in più perché, al contrario di<br />

quanto suggerisce il buon senso, le probabilità<br />

di sopravvivenza del paziente<br />

non dipendono da eventi precedenti,<br />

ma restano una su dieci. In questa storiella<br />

si cela uno dei paradossi profondi<br />

della teoria delle probabilità, un’assurdità<br />

che tendiamo a trascurare. Quanto<br />

alla vedova che considera la morte come<br />

una "beatitudine eterna" e al contempo<br />

come un "argomento sgradevole",<br />

incarna un mal comune degli esseri<br />

umani, combattuti tra fede e ragione.<br />

Anche in questo caso, la battuta è semplice<br />

eppure ha risonanze consce e inconsce<br />

che soltanto l’orecchio interno<br />

riesce ad afferrare. Il masochista che<br />

punisce se stesso privandosi del proprio<br />

castigo quotidiano è governato da<br />

regole che ribaltano quelle della logica<br />

corrente (si ottiene una figura analoga<br />

invertendo entrambi i piani di riferimento:<br />

«un sadico è una persona gentile<br />

con i masochisti».) Anche qui, c’è un<br />

ulteriore guizzo: chi pronuncia la battuta<br />

non crede affatto che il masochista<br />

faccia una doccia calda per autopunizione,<br />

bensì finge di crederlo. Il paradosso<br />

è l’arma più efficace degli autori satirici:<br />

fingono di adottare il modo di ragio-<br />

di Piero Ignazi<br />

nare dell’avversario per smascherarne<br />

l’assurdità o la crudeltà.<br />

Questi esempi hanno in comune una<br />

situazione percepita in due quadri di<br />

riferimento coerenti ma incompatibili e<br />

si potrebbe dimostrare che la formula è<br />

valida in generale per tutte le forme di<br />

comicità e di umorismo. Però ne coglie<br />

soltanto la struttura<br />

intellettuale. Ora va<br />

esaminato l’altro<br />

aspetto fondamentale:<br />

la dinamica emotiva<br />

che infonde vita a<br />

quella struttura e<br />

spinge una persona<br />

alla risata, al riso o<br />

al sorriso complice o<br />

ammiccante.<br />

Quanto un attore<br />

comico racconta una<br />

storiella, si prefigge deliberatamente di<br />

creare tra i propri ascoltatori una tensione<br />

che va crescendo con il procedere<br />

della narrazione, senza mai arrivare al<br />

culmine. La battuta finale funge da ghigliottina<br />

verbale, decapita di netto lo<br />

sviluppo logico della vicenda e frustra<br />

l’attesa del pubblico. Improvvisamente<br />

la tensione provata fin a quel momento<br />

Deluso dal comunismo, l’esule ungherese ha attraversato gli orrori del ’900 senza abbandonare il progetto<br />

di una società migliore. Divenendo un acuto indagatore della natura umana, come in questa analisi sul riso<br />

Ci sono vite, tra coloro che<br />

maturarono nei primi anni<br />

del Novecento, degne di romanzi<br />

d’avventura. Quella di Arthur<br />

Koestler appartiene a questo genere.<br />

Nato nel 1905 a Budapest da<br />

una famiglia ebrea, già a 15 anni<br />

deve trasferirsi a Vienna perché la<br />

famiglia teme l’antisemitismo delle<br />

truppe di occupazione rumene, intervenute<br />

per schiacciare la rivoluzione<br />

comunista di Bela Kun. A 21<br />

anni, appassionatosi al sionismo revisionista<br />

di Vladimir Jobotinsky, va<br />

in Palestina dove, tra mille mestieri,<br />

centra, casualmente e per sua fortuna,<br />

quello di giornalista.<br />

Dopo pochi anni, nel 1929, deluso<br />

dall’esperienza sionista, torna in<br />

Europa e si stabilisce in Germania.<br />

Qui abbraccia<br />

la causa comu-<br />

A cent’anni<br />

dalla nascita<br />

esce la nuova<br />

edizione di<br />

«Schiuma<br />

della terra»,<br />

capolavoro<br />

autobiografico<br />

sugli anni<br />

francesi<br />

Vita avventurosa a caccia d’ideali<br />

nistaabbagliato dal miraggio<br />

della costruzione<br />

di<br />

una società<br />

perfetta, non limitata<br />

alle rive<br />

del Giordano<br />

ma estesa a tutta<br />

l’umanità:<br />

«Una immensa<br />

Sion», come<br />

scriverà più<br />

tardi. Anche il<br />

soggiorno tedesco,intervallato<br />

da lunghi<br />

viaggi per i<br />

suoi reportage,<br />

si interrompe<br />

per l’ascesa<br />

al potere di Hitler. Koestler si rifugia<br />

a Parigi. Nella capitale francese,<br />

grazie all’incontro con Willy<br />

Muerenberg, responsabile della propaganda<br />

del Cominter, Koestler si<br />

tuffa nell’attività pubblicistica a favore<br />

del comunismo. La passione<br />

politica lo spinge poi ad arruolarsi<br />

nelle Brigate internazionali all’indomani<br />

del putsch di Francisco Franco<br />

contro la Repubblica spagnola.<br />

Su suggerimento dell’amico e mentore<br />

Muerenberg, Koestler rinuncia a<br />

imbracciare il fucile e si reca in<br />

Spagna come inviato della stampa<br />

inglese. L’esperienza spagnola è decisiva<br />

per la sua carriera professionale<br />

e la sua traiettoria politica.<br />

Tanto i suoi reportage quanto il suo<br />

primo romanzo ispirato a quell’esperienza<br />

hanno vasta eco in Gran Bretagna.<br />

E proprio grazie alla notorietà<br />

acquisita riesce a evitare in extremis<br />

la fucilazione da parte dei franchisti.<br />

Sul piano politico Koestler<br />

tocca con mano il cinismo e la brutalità<br />

del comunismo di stretta osservanza<br />

moscovita (dalla liquidazione<br />

del Puom all’abbandono delle Brigate<br />

internazionali). Al suo ritorno in<br />

Francia, nell’estate del 1938, esce<br />

dal Partito. Lo scoppio della guerra<br />

e il crollo della III Repubblica francese<br />

immergono Koestler in una<br />

odissea di internamenti, liberazioni,<br />

fughe e imprigionamenti, che termina<br />

con l’approdo rocambolesco in<br />

Gran Bretagna alla fine del 1940.<br />

Un’odissea che è stata narrata con<br />

Dietro le arguzie<br />

intellettuali<br />

e il linguaggio<br />

del corpo<br />

le stesse regole profonde<br />

Che cosa leggere<br />

Arthur Koestler (Budapest, 5 settembre 1905 -<br />

Londra, 3 marzo 1983), giornalista e scrittore<br />

ebreo-ungherese naturalizzato inglese dopo il<br />

1940, è stato autore di romanzi e saggi politici e<br />

scientifici. Dopo una breve esperienza sionista, militò<br />

nel partito comunista dal 1931 al 1938. Uscito dal Pc,<br />

nel primo dopoguerra fu uno dei più attivi<br />

intellettuali anticomunisti. Morì suicida. Per Koestler<br />

il comunismo è fatto storico e esperienza individuale,<br />

analizzato in volumi autobiografici e saggi politici,<br />

soprattutto nel trittico di romanzi Spartaco (1939),<br />

Buio a mezzogiorno (1940) e Arrivo e partenza (1943).<br />

Buio a mezzogiorno (Mondadori), ispirato alla<br />

liquidazione della vecchia guardia bolscevica nei<br />

processi di Mosca (1936-38), e in particolare a<br />

straordinaria incisività nel libro<br />

Schiuma della terra, ora ripubblicato<br />

da il Mulino a cura di Ugo Berti<br />

Arnoaldi e con una introduzione di<br />

Gianni Sofri.<br />

Tra il suo ritorno dalla Spagna e<br />

la fine dell’internamento come «straniero<br />

indesiderabile» nel campo di<br />

diventa ridondante e si sgonfia in una<br />

risata. Se l’aggressione viene sostituita<br />

con l’empatia, una stessa situazione —<br />

l’ubriaco che casca lungo disteso per<br />

terra — diventa patetica invece che<br />

comica, suscita la compassione invece<br />

del riso. L’elemento aggressivo, la malignità<br />

distaccata del comico, trasforma<br />

il pathos in melodramma,<br />

la tragedia<br />

in parodia. La malignità<br />

può accompagnarsi<br />

all’affetto nella<br />

presa in giro amichevole;nell’umorismo<br />

più civile, l’elemento<br />

aggressivo<br />

può essere sublimato<br />

o addirittura inconsapevole.<br />

Ma nelle barzellette<br />

che piacciono<br />

ai bambini e alle popolazioni primitive,<br />

la crudeltà, l’arroganza e la vanagloria<br />

sono esplicite.<br />

In altri termini, il riso dà sfogo a<br />

eccitazioni emotive che sono diventate<br />

inutili, che vanno eliminate seguendo<br />

le vie di minor resistenza e il "riflesso<br />

di lusso" ha proprio la funzione di procurare<br />

tali vie. Basta dare un’occhiata<br />

Vernet sui Pirenei francesi, Koestler<br />

scrive il libro che gli darà fama<br />

internazionale, Buio a mezzogiorno.<br />

Questo libro disseziona con lucidità<br />

i meccanismi perversi di un’adesione<br />

fideistica a una causa totalizzante<br />

e descrive come essa porti all’annichilimento<br />

della persona in nome<br />

alle caricature di artisti inglesi del Settecento<br />

come William Hogarth e Thomas<br />

Rowlandson, che mostrano la brutale<br />

ilarità dei frequentatori di taverne, per<br />

capire che essi si liberano dell’adrenalina<br />

superflua contraendo in smorfie i<br />

muscoli facciali, dandosi manate sulle<br />

cosce e sbuffando aria dalla glottide<br />

mezza occlusa. I volti arrossati rivelano<br />

che le emozioni sfogate attraverso tali<br />

valvole sono la brutalità, l’invidia, la<br />

gioia maligna per le disavventure sessuali<br />

altrui. Nelle vignette di James<br />

Thurber, il disegnatore americano del<br />

Novecento, la risata crassa lascia il posto<br />

all’ammiccamento divertito e rarefatto:<br />

il flusso dell’adrenalina è stato<br />

distillato e cristallizzato in un grano di<br />

sale attico, in un raffinato motto di<br />

spirito. L’inglese witticism — frizzo, o<br />

battuta — deriva da wit nel senso originale<br />

di intelligenza e di arguzia (Witz,<br />

in tedesco).<br />

Comicità e ingegno appartengono a<br />

campi contigui che non sono separati<br />

da un confine netto: il giullare è il<br />

fratello del saggio. Lungo l’intero spettro<br />

della comicità — dalle forme più<br />

rozze a quelle più sottili, dallo scherzo<br />

violento al puzzle intellettuale, dalla<br />

Arthur Koestler,<br />

1947 circa<br />

(Interfoto)<br />

Bucharin, riprende la questione rivoluzionaria dei<br />

fini e dei mezzi, del sacrificare le ragioni<br />

dell'individuo per le ragioni dell'umanità. L’utopista<br />

rivoluzionario si fa guidare dalla logica, dunque non<br />

può conoscere la pietà: «Colui che comprende e<br />

perdona... dove può trovare un motivo per agire?».<br />

Oltrepassato il culmine della guerra fredda, Koestler<br />

passò a occupandosi di scienza e di battaglie civili,<br />

come quella per l’abolizione della pena di morte.<br />

Tra i volumi disponibili in italiano ricordiamo I<br />

gladiatori (Net), La tredicesima tribù. Storia dei cazari,<br />

dal Medioevo all’Olocausto ebraico (Utet) e, per il<br />

Mulino, oltre a Schiuma della terra, altri due volumi<br />

autobiografici, Freccia nell’azzurro (1905-1931) e La<br />

scrittura invisibile 1932-1940, eDialogo con la morte.<br />

di un fine superiore attraverso il<br />

rullo compressore di una pretesa<br />

verità assoluta. Per quanto Buio a<br />

mezzogiorno affondi la lama critica<br />

nel pervertimento degli ideali e delle<br />

illusioni di una generazione, Koestler<br />

non si abbandona mai né al<br />

rancore né al cinismo. Al contrario,<br />

frecciata al paradosso, dall’aneddoto<br />

all’epigramma — il clima emotivo mostra<br />

una trasformazione graduale.<br />

L’emozione che si sfoga nella risata è<br />

un’aggressione privata del suo bersaglio;<br />

le barzellette che piacciono ai<br />

bambini sono per lo più scatologiche; i<br />

guai sessuali, sperimentati per interposta<br />

persona, fanno<br />

sghignazzare adole-<br />

scenti di ogni età;<br />

le freddure fanno leva<br />

sul sadismo represso<br />

e la satira<br />

sull’indignazione<br />

benpensante. Le diverse<br />

forme della<br />

comicità suscitano<br />

una strabiliante varietà<br />

di umori, tra<br />

cui anche i sentimenti<br />

ambivalenti<br />

o contraddittori. Qualunque sia la miscela,<br />

è indispensabile un elemento di<br />

base: un impulso, anche flebile, di aggressione<br />

o di apprensione.<br />

L’impulso si esprime con la malignità,<br />

il disprezzo, la velata crudeltà della<br />

condiscendenza o semplicemente con<br />

un’assenza di simpatia per la vittima<br />

proprio parlando dei compagni di<br />

prigionia di Vernet — antifascisti<br />

di ogni razza e colore — ne esalta<br />

il coraggio e la generosità, la buona<br />

fede e la dedizione, mentre ha<br />

parole di disprezzo per quegli ignavi<br />

ed egoisti che non hanno mai<br />

rischiato nulla e in nulla hanno<br />

creduto.<br />

Koestler è critico implacabile<br />

del comunismo (oltre che «costituzionalmente<br />

ostile» al fascismo)<br />

ma non rinuncia all’idea che sia<br />

possibile costruire un mondo migliore.<br />

Con una certa dose di ingenuità<br />

(visto a posteriori) Koestler<br />

propone negli anni Quaranta «un<br />

esperimento mai provato (...) che<br />

sembra essere una linea promettente»:<br />

la congiunzione di Pianificazione<br />

e Democrazia. A metà degli<br />

anni Cinquanta, dopo avere pubblicato<br />

altri pamphlet<br />

come Lo<br />

Un’odissea<br />

di prigionie,<br />

liberazioni<br />

e fughe<br />

terminata<br />

con l’approdo<br />

rocambolesco<br />

in Inghilterra<br />

alla fine<br />

del 1940<br />

yogi e il commissario<br />

e avere<br />

collaborato<br />

al celeberrimo<br />

libro collettivo<br />

Il Dio che è<br />

fallito, Koestler<br />

abbandona<br />

l’impegno politico<br />

e si dedica<br />

ad altri interessi<br />

fino alla<br />

sua scomparsa<br />

avvenuta<br />

nel 1983.<br />

Cosa rimane<br />

di Koestler<br />

oggi? La denuncia<br />

della<br />

brutalità del<br />

nazifascismo e<br />

delle ferree logiche disumanizzanti<br />

del comunismo fanno parte di un<br />

patrimonio ormai acquisito. Più rilevanti<br />

per l’oggi sono le pagine autobiografiche<br />

in cui Koestler rivendica<br />

il valore di una vita dedicata a<br />

un ideale. Per Koestler le migliaia<br />

di volontari delle Brigate internazionali,<br />

«primo esperimento fatto dopo<br />

le Crociate per formare un esercito<br />

di volontari che voleva combattere<br />

per un credo internazionale», costituiscono<br />

l’esempio più alto dell’etica<br />

della responsabilità e dell’impegno<br />

individuali. Senza questa tensione<br />

etica, i Messieurs Dupont che per<br />

quieto vivere consegnarono ai nazisti<br />

un intero Paese senza colpo ferire,<br />

possono tornare a nuocere. Anche<br />

oggi siamo tentati di «distogliere<br />

lo sguardo» dai rischi incombenti<br />

per la nostra libertà. Siamo tentati<br />

di trascurare le smagliature che si<br />

allargano nel vivere civile della nostra<br />

società dal risorgere della xenofobia<br />

e del razzismo alla delega sempre<br />

più ampia a poteri sempre meno<br />

controllati affinché ci garantiscano<br />

sicurezza. Contro queste cecità e<br />

questo quieto vivere Koestler ha speso<br />

gli anni migliori della sua vita<br />

"dandosi" alle cause in cui credeva,<br />

prima il comunismo poi la democrazia<br />

e sempre l’antifascismo. L’attualità<br />

di Koestler rimanda allora a un<br />

impegno generoso per la libertà e la<br />

dignità dell’uomo.<br />

«Arthur Koestler, «Schiuma della terra»,<br />

il Mulino, Bologna 2005, pagg.<br />

260, Á 12,00.<br />

«L’emozione<br />

che si sfoga nella risata<br />

è un’aggressione<br />

privata<br />

del suo bersaglio»<br />

dello scherzo, con «un’anestesia momentanea<br />

del cuore» per dirla con il<br />

filosofo Henri Bergson.<br />

Nell’umorismo più sottile, a volte la<br />

tendenza aggressiva è così tenue che<br />

soltanto l’analisi più attenta riesce a<br />

identificarla, come il sale in una pietanza<br />

preparata con cura che altrimenti<br />

sarebbe insipida. Una<br />

ricerca del 1961 fra i<br />

ragazzini americani<br />

tra gli 8 e i 15 anni,<br />

concludeva che la<br />

mortificazione, il disagio,<br />

la beffa altrui suscitava<br />

prontamente il<br />

riso, mentre battute divertenti<br />

o spiritose<br />

passavano spesso inosservate.<br />

Le forme e le<br />

teorie della comicità<br />

avanzate in passato si<br />

prestano a considerazioni analoghe. Secondo<br />

Aristotele, il riso era intimamente<br />

legato alla bruttezza e all’abiezione.<br />

Per Cicerone, il ridicolo stava nella<br />

bassezza e nella difformità. Cartesio<br />

pensava che il riso manifestasse allegria<br />

mista a sorpresa, a odio o a entrambi.<br />

Nelle cause del riso elencate da<br />

Francesco Bacone troviamo di nuovo<br />

la difformità al primo posto. Su questo<br />

tema, una delle citazioni più frequenti<br />

è tratta dal Leviatano (1651) di Thomas<br />

Hobbes: «La passione del riso<br />

null’altro è se non l’improvvisa gloria<br />

che sorge dall’improvvisa concezione<br />

di una nostra eminenza paragonata<br />

a un’infermità altrui o a una<br />

nostra precedente».<br />

Nell’Ottocento Alexander Bain, un<br />

pioniere della psicologia sperimentale,<br />

la pensava allo stesso modo: «Non<br />

soltanto negli effetti fisici, ma ogni<br />

qualvolta che un uomo riesce ad affermare<br />

una supremazia, a superare o ad<br />

avvilire un rivale, la disposizione al<br />

riso è evidente».<br />

Per Bergson, il riso è il castigo<br />

correttivo inflitto dalla società all’individuo<br />

asociale: «Nel riso troviamo<br />

sempre l’intenzione inconfessa di<br />

umiliare e quindi di correggere il nostro<br />

prossimo». Nella risata del pubblico,<br />

Max Beerbohm, l’umorista inglese<br />

del Novecento, identificava<br />

«due elementi: delizia per la sofferenza,<br />

disprezzo per le cose inconsuete».<br />

Secondo lo psicologo americano William<br />

McDougall, «il riso è evoluto nella<br />

razza umana come un antidoto<br />

dell’empatia, una reazione che protegge<br />

dalla deprimente influenza delle<br />

manchevolezze degli altri uomini».<br />

Le definizioni dei teorici sono le più<br />

varie, ma concordano su un punto: le<br />

emozioni che si sfogano nel riso contengono<br />

sempre un elemento di aggressività.<br />

Va però tenuto presente che aggressività<br />

e apprensione sono fenomeni gemelli,<br />

al punto che gli psicologi parlano<br />

di «pulsioni aggressive-difensive».<br />

A suscitare il riso quindi, è tipicamente<br />

una situazione in cui cessa all’improvviso<br />

la paura di un pericolo immaginario.<br />

Se il riso è per sua natura uno straripare<br />

di tensioni ridondanti, ne è la manifestazione<br />

più evidente il cambiamento repentino<br />

dell’espressione di un bambino<br />

che passa dall’apprensione ansiosa alla<br />

risata felice e sollevata. All’apparenza,<br />

questa situazione non c’entra con la<br />

comicità, eppure a uno sguardo attento<br />

rivela la stessa struttura logica delle<br />

barzellette: il bambino percepisce prima<br />

il cagnolino in un contesto di pericolo<br />

e poi scopre che si tratta di un<br />

cucciolo inoffensivo. La tensione diventa<br />

d’un tratto ridondante e defluisce<br />

nel riso.<br />

Immanuel Kant aveva capito che il<br />

riso è «un’affezione che deriva da<br />

un’aspettativa tesa, la quale d’un tratto<br />

si risolve nel nulla». Nell’Ottocento,<br />

Herbert Spencer cercò di riformulare la<br />

stessa idea in termini fisiologici: «Le<br />

emozioni e le sensazioni tendono a generare<br />

movimenti fisici... quando la coscienza<br />

si trasferisce senza accorgersene<br />

dalle grandi alle piccole cose», la<br />

«forza nervosa liberata» si diffonde per<br />

i canali di minor resistenza, cioè nei<br />

movimenti corporei del riso. Freud incorporò<br />

la teoria di Spencer nella propria,<br />

ponendo l’accento sulla liberazione<br />

delle emozioni represse. Tentò anche<br />

di spiegare come mai l’energia in<br />

eccesso dovesse andare spesa in tal modo:<br />

«A quanto ne so, le smorfie e le<br />

contorsioni della bocca che caratterizzano<br />

il riso compaiono per la prima volta<br />

nel poppante soddisfatto e sazio quando,<br />

assonnato, lascia andare il seno...<br />

Sono espressioni tipiche della determinazione<br />

di non alimentarsi oltre, un<br />

"basta" per così dire, o meglio "un più<br />

che basta"... Questo senso primordiale<br />

di piacevole sazietà può aver fornito il<br />

nesso tra il sogghigno — quel fenomeno<br />

fondamentale che sottende il riso<br />

— e il suo collegamento successivo<br />

con altri processi piacevoli che allentano<br />

la tensione».<br />

In altre parole, le contrazioni muscolari<br />

del sogghigno — intese come le<br />

prime espressioni di sollievo dalla tensione<br />

— sarebbero poi servite da vie di<br />

minor resistenza. Allo stesso modo, le<br />

espirazioni esplosive del riso sembrano<br />

concepite come per "sbuffare" la tensione<br />

in eccesso con una sorta di ginnastica<br />

respiratoria e i gesti esagerati avrebbero<br />

la stessa funzione.<br />

Si potrebbe obiettare che queste reazioni<br />

massicce siano spropositate rispetto<br />

ai piccoli stimoli che le provocano.<br />

Ma va tenuto presente che il riso è un<br />

fenomeno tipo quello del grilletto, un<br />

rubinetto aperto all’improvviso da cui<br />

sgorgano in gran quantità emozioni immagazzinate,<br />

provenienti dalle fonti<br />

più diverse e spesso inconsce: sadismo<br />

represso, tumescenza sessuale, paura inconfessata<br />

e persino noia. Una scolaresca<br />

che scoppia a ridere per un incidente<br />

banale dà la misura del risentimento<br />

che ha accumulato durante una lezione<br />

soporifera. Un altro fattore che amplifica<br />

la reazione fuori misura è la contagiosità<br />

sociale che accomuna il riso ad<br />

altre manifestazioni emotive dei comportamenti<br />

di gruppo.<br />

(Dalla voce «Humour and Wit» scritta<br />

nel 1974 per l’«Encyclopædia Britannica».<br />

Traduzione di Sylvie Coyaud)


C<br />

+<br />

B<br />

+<br />

Domenica 7 Marzo 2004 - N. 66 Pagina 27<br />

a pag.31<br />

di V. S. Naipaul<br />

C LASSICIS MS<br />

Treccani,<br />

un’idea<br />

di Novecento<br />

di Carlo Ossola<br />

Il mondo nuovo esisteva solo<br />

nella mente di altri uomini. Togliete<br />

quegli uomini e vedrete<br />

che le loro idee — che dopotutto<br />

non sono irrevocabili — scompariranno<br />

con loro. Le competenze si<br />

possono anche acquisire, la cosa fragile<br />

— per gli uomini la cui vita<br />

vera, compiuta, si svolge in un altro<br />

regno dello spirito — è la fede nel<br />

mondo nuovo.<br />

Fu con queste perplessità che<br />

finalmente, il giorno della festa<br />

per l’indipendenza della Costa<br />

d’Avorio, andai con Gil Sherman<br />

a Yamoussoukro, il villaggio<br />

degli avi del presidente.<br />

L’autostrada attraversava una<br />

morbida campagna verdeggiante,<br />

e poi una successione di foreste in<br />

cui crescevano i preziosi alberi di<br />

legno duro che avevano dato impulso<br />

all’economia. (Tronchi possenti,<br />

non più di due, tre o quattro<br />

per volta, incatenati ai pesanti<br />

autocarri che li trasportavano:<br />

ceppi possenti<br />

accatastati nel<br />

porto, in mezzo a un<br />

gran viavai di scaricatori,<br />

nella baia nera di petrolio<br />

di Abidjan:<br />

poi i ceppi venivano<br />

nuovamente<br />

incatenati e caricati,<br />

uno<br />

o due per volta,<br />

nelle stive<br />

o sui ponti spogli di navi dai<br />

nomi stranieri e lontani). Il Paese<br />

era ben organizzato, industrioso, e<br />

i soldi cominciavano a distribuirsi.<br />

Erano arrivati fino alla gente che<br />

viveva nel bush e nella foresta, e<br />

ora i villaggi avevano case di cemento.<br />

In una cittadina in cui facemmo<br />

una sosta c’era persino la<br />

parodia di un albergo moderno.<br />

Dopo duecentoventi chilometri,<br />

regolarmente contrassegnati, arrivammo<br />

a Yamoussoukro. La strada<br />

era in salita. In cima, di colpo,<br />

come la pista di un aeroporto in<br />

mezzo a una distesa di terreno disboscato,<br />

apparve un larghissimo<br />

viale fiancheggiato da due file di<br />

lampioni. In lontananza si stagliava<br />

il palazzone a dodici piani<br />

dell’Hôtel Président; su un lato del<br />

palazzo si innalzavano due lastre<br />

di cemento ottagonali (con in mezzo<br />

il ristorante): pareva un gigantesco<br />

toast con gli angoli tagliati<br />

via. Ci dirigemmo verso l’albergo:<br />

prati ben curati, giardini, marmo<br />

bianco all’ingresso, marmo rosso<br />

e color cioccolato nella hall, specchi<br />

lungo gli spigoli delle colonne<br />

di marmo. Le poltrone erano di un<br />

azzurro e di un verde virulento,<br />

non riposante.<br />

La mia camera era sfarzosa, gli<br />

accessori del bagno sbalorditivi. Faceva<br />

molto freddo: l’aria condizionata<br />

andava a tutta forza. La spensi,<br />

ma finché rimasi il gelo non si attenuò<br />

mai. La grande finestra, di vetro<br />

molto spesso, era sigillata. Dava<br />

su una piscina enorme, attorno alla<br />

quale c’era un’ampia distesa lastricata<br />

con le sedie a sdraio disposte in<br />

cerchio.<br />

Dietro, e dietro gli edifici dell’Hôtel<br />

Président, che era più vec-<br />

di Luigi Sampietro<br />

chio (Yamoussoukro non aveva mai<br />

cessato di crescere), c’era un terreno<br />

erboso con zone alberate, creato<br />

dal bush. Era il famoso campo da<br />

golf, progettato da un architetto di<br />

giardini e ricco di una gran varietà<br />

di piante: un occhio straniero aveva<br />

saputo sfruttare le pittoresche possibilità<br />

di quella che a un occhio africano<br />

sarebbe parsa nient’altro che<br />

vegetazione. La foschia in lontananza<br />

era — almeno per me — simile<br />

alla foschia che la calura sprigiona<br />

sulle rive del fiume Congo. Ma a<br />

Yamoussoukro faceva più fresco<br />

che sulla costa, e la foschia era<br />

dovuta all’harmattan, il vento fresco<br />

e carico di sabbia che in quella<br />

Questa settimana, tra i molti suggerimenti che ci avete proposto,<br />

scegliamo:<br />

«AMÒ IN UN BALENO, FINÌ SOTTO UN TRE-<br />

NO», («Anna Karenina» di Lev Tolstoj) inviato da Annalucia<br />

Lomunno;<br />

«BALENIERE NEOCONSERVATORE<br />

STUZZICA BALENA DEL MALE. STUZZI-<br />

CA STUZZICA, FINISCE A SCHIFIO»<br />

(«Moby Dick» di Hermann Melville) riassunto<br />

in chiave cronachistica elaborato da Giuseppe<br />

Di Palma;<br />

«METÀ LITI, METÀ MITI» («Le metamorfosi»<br />

di Ovidio) spedito per fax da Maria Grazia<br />

Mataloni e, infine,<br />

«PRIMA EDIZIONE DEL GRANDE FRA-<br />

TELLO» («1984» di George Orwell), mandato<br />

da Lorenzo Casini.<br />

Continuate a scriverci a «Il Sole-24 Ore Domenica»<br />

- Sms, via Lomazzo, 52 - 20154 Milano,<br />

mandando un fax allo 02 3022 2011, un Sms a Radio24 al<br />

numero 349 7559055 o scriveteci una email all’indirizzo fermoposta@ilsole24ore.com<br />

a pag.33<br />

Vidiadhar Surajprasad — V. S. — Naipaul,<br />

ovvero il viaggio come romanzo.<br />

Con i suoi personaggi, i rischi, gli imprevisti.<br />

E poi i colpi di scena. I dilemmi. Che il<br />

narratore insegue fino in fondo e attorno ai<br />

quali imbastisce le sue meditazioni tropicali.<br />

Se per scrivere un resoconto giornalistico<br />

basta un po’ di brio e quello che ci si ritrova<br />

sul taccuino — le cose viste —, per scrivere<br />

un libro alla Naipaul occorre che le parole<br />

prendano una direzione e si orientino verso<br />

un centro invisibile dal quale riverbera il loro<br />

significato. Occorre che diano luogo a una<br />

storia. E una storia, si sa, è una costruzione in<br />

cui le varie parti parlano tra di loro e si fanno<br />

eco. Non è un semplice intonare la voce e dare<br />

il via a un susseguirsi di episodi. Perché una<br />

storia non è mai lineare ma gira attorno a se<br />

stessa. E non tutti gli avvenimenti possono<br />

diventare una storia.<br />

Nato a Trinidad, nel 1932, da genitori<br />

che appartenevano a una famiglia<br />

trasferitasi nei Caraibi dal Nord<br />

dell’India, Naipaul partì per l’Inghilterra<br />

nel 1950 con una borsa<br />

di studio. Iniziò a scrivere come<br />

redattore di testi radiofonici per una<br />

trasmissione, «Caribbean Voices»<br />

della Bbc, che sarebbe diventata<br />

leggendaria e a cui parteciparono<br />

via via tutti i futuri<br />

grandi scrittori della sua<br />

generazione.<br />

Naipaul si affermò con<br />

tre o quattro romanzi di ambiente caraibico,<br />

uno dei quali, Una casa per il signor Biswas<br />

(1961) gli diede la notorietà. Nel 1971 vinse il<br />

Booker Prize con In uno stato libero. A cui<br />

seguirono, tra i più famosi e controversi, libri<br />

come: The Overcrowded Barracoon (1972), Guerrillas<br />

(1975), A Bend in the River (1979), Among<br />

the Believers (1981), L’enigma dell’arrivo (1987)<br />

A Turn in the South (1989), A Way in the World<br />

(1994) e Fedeli a oltranza (1998). Nel 2001, Naipaul<br />

ha ricevuto il Nobel.<br />

I coccodrilli di Yamoussoukro, che è in uscita<br />

da Adelphi nella sfolgorante traduzione di Franca<br />

Cavagnoli (pagg. 196, Á 14,50) è una narrativa<br />

che si compone di due parti. Una, autobiografica,<br />

che ricostruisce i primi passi di Naipaul<br />

come scrittore; e un’altra, che racconta di un<br />

viaggio nella Costa d’Avorio agli inizi degli anni<br />

Ottanta. Che cosa li tiene insieme? Una «forma<br />

di isteria» — così la chiama Naipaul — e di<br />

paura, dettate dall’idea della propria estinzione.<br />

E la sua risposta è la ricerca di un centro<br />

(Finding the Centre è infatti il titolo originale) a<br />

cui si perviene, paradossalmente — attraverso<br />

la scrittura —, con l’atto stesso della ricerca.<br />

stagione soffiava sin lì dal Sahara.<br />

Il campo da golf era una grande<br />

creazione, a suo modo qualcosa di<br />

perfetto, il frutto di un lavoro prodigioso;<br />

e tuttavia si riduceva a un<br />

colpo d’occhio, dopo un po’ non<br />

bastava più. Una magnificenza di<br />

quelle dimensioni, in quella cornice,<br />

e dopo un viaggio di duecentoventi<br />

chilometri, stimolava l’appetito<br />

a ben altro: il visitatore cominciava<br />

ad addentrarsi nell’ambizione e<br />

nella fantasia del creatore. C’era<br />

una via principale molto ampia, un<br />

mercato, i quartieri dei muratori;<br />

qualcosa di assai simile a una vera e<br />

propria cittadina andava a poco a<br />

poco ad aggiungersi alla creazione<br />

C ONTRAPPUNTO<br />

di Piero Melograni<br />

del presidente. Ma il visitatore, dando<br />

rapidamente per scontato ciò che<br />

era stato creato, finiva per concentrarsi<br />

su ciò che non c’era, sul terreno<br />

ferito, gli spazi vuoti e polverosi.<br />

E, se non si voleva giocare a golf,<br />

non c’era nient’altro.<br />

Tranne i coccodrilli del presidente.<br />

Il pasto era alle cinque.<br />

Il palazzo presidenziale<br />

era poco lontano, in fondo a<br />

uno degli ampi viali. Venne buona<br />

la macchina di Gil Sherman.<br />

Sul terreno pianeggiante, nel<br />

vuoto abbagliante del pomeriggio,<br />

le proporzioni erano tutte amplificate.<br />

Le mura del palazzo parevano<br />

non finire mai. Proprio accanto<br />

a pag.35<br />

di Sylvie Coyaud<br />

c’era un lago; lo attraversava una<br />

strada rialzata con una ringhiera di<br />

metallo, fiancheggiata da giovani<br />

palme da cocco, che portava al<br />

cancello d’ingresso, pattugliato da<br />

soldati della guardia presidenziale<br />

vestiti di tuniche color prugna. Le<br />

macchine dei visitatori — prevalentemente<br />

bianche — erano parcheggiate<br />

sulla strada.<br />

Nel lago c’erano i coccodrilli.<br />

Scorgemmo il primo non appena<br />

scesi dalla macchina: confuso nell’acqua<br />

fangosa, nient’altro che<br />

una protuberanza di occhi, finché<br />

non divenne visibile il dorso spinoso.<br />

Sobbalzammo. Un africano,<br />

con tutta probabilità un funzionario<br />

(a giudicare dall’aria disinvolta e<br />

sfaccendata), disse: «Il est petit».<br />

Poi, sulla superficie dell’acqua<br />

scorgemmo ovunque occhi e dorsi<br />

spinosi, le spine simili a quelle sulla<br />

corteccia dei baobab.<br />

Da un lato della strada rialzata<br />

un argine di pietra digradava verso<br />

l’acqua. Sopra c’era una quantità di<br />

piccoli coccodrilli, assolutamente<br />

immobili, con gli occhi lucenti che<br />

parevano ciechi; avevano le fauci<br />

aperte, e la mandibola di ciascuno<br />

pareva solo una grande cavità, dalla<br />

forma stranamente semplice, stranamente<br />

pulita e asciutta, chiara, di un<br />

rosa che tendeva al giallo. Dalle<br />

fauci aperte entravano e uscivano le<br />

mosche. Sull’altro lato della strada<br />

non c’era nessun argine di pietra,<br />

La cultura italiana esiste. Parola di Pascal<br />

di Giuseppe Scaraffia<br />

Per sfatare l’accusa di inesistenza<br />

sempre più spesso rivolta<br />

alla cultura italiana, la<br />

CI, esistono svariati metodi.<br />

Metodo Pascal, non Vicedomini<br />

ma Blaise: inginocchiamoci di<br />

fronte a un autore vivente e cominceremo<br />

a credere nella sua grandezza.<br />

Quante volte uno stupido<br />

pregiudizio esterofilo ci ha impedito<br />

di capire che la Maraini è meglio<br />

della Yourcenar?<br />

Metodo Aristotele, non Onassis,<br />

ma di Stagira. La CI è motore immobile<br />

— e nessuno potrebbe ne-<br />

garlo —, immateriale — e chi ha<br />

detto che fosse densa? —, pensiero<br />

che pensa solamente se stesso, e<br />

cioè autoreferenziale.<br />

Metodo Agostino. Non Agostino<br />

di Moravia, ma quello di Ippona:<br />

il nostro cuore è inquieto finché<br />

non riposa nella CI. Chi non si è<br />

serenamente addormentato su una<br />

pagina di Citati?<br />

Metodo di Tommaso. Anche nella<br />

CI vige la trinità, Mondadori-<br />

Rizzoli-Longanesi, e agisce la provvidenza<br />

che si manifesta regolarmente<br />

coronando il concorrente<br />

più inatteso nei premi letterari.<br />

Metodo di Cartesio. La CI è<br />

razionale e si riassume nella cre-<br />

La doppia<br />

elica<br />

è donna<br />

azione delle verità matematiche —<br />

le vendite — e dell’ordine degli<br />

elementi: le classifiche dei libri<br />

più venduti.<br />

Metodo Spinoza, non Antonio,<br />

ma Baruch. La CI è potenza — e<br />

questo è innegabile — e produttività<br />

infinita di novità librarie. Per<br />

Spinoza, come per Stile Libero Einaudi,<br />

ogni cosa è cultura.<br />

Prova del miracolo: se non esistesse<br />

una poderosa CI, come potrebbe<br />

un’anglista come Nadia Fusini<br />

misurarsi con gli autori antichi<br />

con altrettanto successo?<br />

Prova provante. Gli increduli<br />

obiettano che in Italia esistono<br />

molti più autori che lettori. Errato:<br />

ognuno dei nuovi autori è alme-<br />

no lettore della propria opera e<br />

quindi diventa un lettore in assoluto.<br />

Senza contare amici e parenti,<br />

altrettanti lettori spinti dall’affetto<br />

o dalla speranza di trovare qualche<br />

imperfezione in quei volumi.<br />

Prova dell’unicità. Secondo alcuni,<br />

il fatto che la maggioranza<br />

degli acquirenti di libri ne comprino<br />

solo uno all’anno è la prova<br />

dell’impermeabilità degli italiani<br />

alla lettura. Questi sconsiderati<br />

non riflettono sul rispetto per la<br />

cultura che si esprime in una simile<br />

scelta, lungamente meditata e<br />

sul fatto che con ogni probabilità<br />

il volume acquistato viene letto e<br />

riletto, sfuggendo alle trappole di<br />

una lettura consumista.<br />

a pag.41<br />

Sanremo<br />

elasua<br />

ombra<br />

P. A. Canei, R. Piaggio<br />

Lo scrittore premio Nobel racconta il suo viaggio in Costa d’Avorio: gli eccessi di un’Africa sulla via della modernità<br />

LE FAUCI DEL PRESIDENTE<br />

Romanziere<br />

in cerca di centro<br />

La Grande<br />

Guerra<br />

a colori<br />

A Yamoussoukro, città natale del leggendario leader Félix Houphouet-Boigny,<br />

alberghi sontuosi, campi da golf e una vasca di coccodrilli famelici<br />

Un capo tribù con la sua corte in Costa d’Avorio (foto di Daniel Lainé / Corbis); a sinistra lo scrittore premio Nobel per la letteratura del 2001, V. S. Naipaul (Corbis)<br />

solo un terrapieno sabbioso punteggiato<br />

di code di coccodrillo. La sabbia<br />

era disseminata di piume bianche,<br />

come di gallina. In riva al lago<br />

c’erano altri coccodrilli. Di un colore<br />

simile a quello della sabbia, non<br />

erano distinguibili in lontananza.<br />

L’inserviente addetto al pasto dei<br />

coccodrilli era già al lavoro. Era arrivato<br />

a bordo di una Land-Rover grigia,<br />

parcheggiata sulla strada. Era<br />

chiaramente un uomo singolare, alto<br />

e magrissimo. Indossava uno zucchetto<br />

e una tunica a motivi floreali.<br />

Con lui c’era un funzionario del palazzo,<br />

un uomo di dimensioni più<br />

normali, con un completo da safari<br />

grigio a maniche corte. In una mano<br />

l’inserviente teneva un coltello lun-<br />

A<br />

go e sottile; nell’altra una latta o un<br />

secchio pieno di pezzi di carne. Cuore<br />

o polmoni, mi disse Gil Sherman:<br />

di un rosa chiaro, con qualche pezzetto<br />

di intestini di animale.<br />

L’inserviente richiamò l’attenzione<br />

dei coccodrilli percuotendo la ringhiera.<br />

Poi gettò la carne. Gli animali<br />

sull’argine di pietra erano goffi,<br />

lenti. Per prendere la carne dovevano<br />

inclinare i lunghi musi sulle pietre<br />

piatte e, così facendo, mostravano<br />

il ventre di un giallo pallido. Ma<br />

non arrivavano ai pezzi di carne che<br />

cadevano loro sul dorso o finivano<br />

negli interstizi fra le pietre. Non parevano<br />

sempre accorgersi di dove<br />

cadessero.<br />

Mentre l’inserviente lanciava la<br />

carne, il funzionario in grigio chiocciava<br />

e chiamava con voce sommessa<br />

i coccodrilli, parlando loro come<br />

a dei bambini: «Avalez, avalez».<br />

«Su, mandate giù».<br />

Più tardi, di là della strada si celebrò<br />

un altro rito. Lì c’erano i coccodrilli<br />

più vecchi e più grandi, di<br />

colore giallo, dai musi contorti e i<br />

ventri pesanti, con una dentatura<br />

che, quando era serrata, pareva una<br />

lunga ferita seghettata e ricucita alla<br />

bell’e meglio.<br />

Ora l’inserviente alto reggeva<br />

una gallina nera per le ali,<br />

facendola oscillare piano.<br />

Le strida spaventate della gallina a<br />

poco a poco si spensero: non riusciva<br />

più a muovere il collo, che ora<br />

penzolava floscio. Due vecchi coccodrilli,<br />

come avvezzi al rito, aspettavano<br />

l’uno accanto all’altro sulla<br />

sabbia. L’inserviente lanciò altri pezzi<br />

di carne che vennero inghiottiti al<br />

volo; solo quelli che caddero loro<br />

sul dorso rimasero al loro posto.<br />

Dall’acqua affiorarono alcune testuggini<br />

che si diressero a riva per<br />

prendere la propria razione. Un coccodrillo<br />

giovane, dopo aver azzannato<br />

un pezzo di carne, si allontanò<br />

fino a un isolotto sabbioso in mezzo<br />

al lago per mangiare indisturbato. A<br />

quel punto l’inserviente lanciò la<br />

gallina ai due coccodrilli più vecchi.<br />

Le mandibole aperte si chiusero<br />

di colpo. La folla trasalì. Ma l’inserviente<br />

aveva sbagliato mira, e i coccodrilli<br />

non si erano mossi. La gallina<br />

ancora stordita sbattè le ali, si<br />

riprese un po’ e salì zampettando<br />

fino in cima al terrapieno sabbioso,<br />

accanto alla strada.<br />

Ma l’alto inserviente con la tunica<br />

a motivi floreali non le permise<br />

di svignarsela. Scavalcò la ringhiera<br />

e, armato soltanto del lungo coltello<br />

sottile, superò senza fretta i<br />

coccodrilli e raggiunse la gallina,<br />

che non scappò. Dopo averla afferrata,<br />

l’uomo saltò nuovamente sulla<br />

strada, dove ricominciò a far oscillare<br />

la gallina tenendola per le ali. Il<br />

rito venne accompagnato nuovamente<br />

dal chiocciare dell’uomo in<br />

grigio in direzione dei due coccodrilli<br />

più vecchi. L’inserviente lanciò<br />

un’altra volta la gallina. Di nuovo<br />

le mandibole si serrarono di colpo;<br />

di nuovo la gallina riuscì a fuggire.<br />

Ma tutto quel chiocciare aveva<br />

richiamato sulla sabbia un coccodrillo<br />

ancora più grande e più vecchio<br />

degli altri. Aveva la punta del<br />

muso ammaccata e i denti parevano<br />

macchiati, vecchi e consunti. L’inserviente<br />

appoggiò il collo floscio<br />

della gallina sulla ringhiera e abbassò<br />

il coltello. Distolsi lo sguardo.<br />

M<br />

+<br />

Y<br />

+


C<br />

+<br />

B<br />

+<br />

infoline 800.24.00.24 www.radio24.it<br />

Domenica 1 Maggio 2005 - N. 119 Pagina 29<br />

a pag.34<br />

di Salvatore Settis<br />

Umberto Zanotti Bianco merita<br />

di essere ricordato non solo per<br />

il contributo che dette all’archeologia<br />

magno-greca, da Sibari a Paestum,<br />

ma anche perché egli rappresentò<br />

e rappresenta una figura rarissima al<br />

giorno d’oggi, quella di un grande intellettuale<br />

che non disdegnava di scendere<br />

nell’arena dei problemi quotidiani del<br />

Paese, e che vedeva come essenziali per<br />

il suo sviluppo i temi del patrimonio<br />

culturale.<br />

Quella che Zanotti Bianco ha perseguito<br />

in tutta la sua vita con ammirevole<br />

coerenza fu una battaglia contro<br />

l’ineguaglianza, soprattutto (ma non solo)<br />

tra il Nord e il Sud d’Italia. Alla<br />

radice di quel suo generoso, costante<br />

combattere per i poveri e gli oppressi<br />

(non per niente gli amici lo chiamavano<br />

"il cavaliere rose-croix") fu un giovanile<br />

empito, propriamente religioso,<br />

che lo accompagnò fino alla morte.<br />

All’inizio, fu l’educazione nel collegio<br />

barnabita "Carlo Alberto" di Moncalieri;<br />

ma il cuore del messaggio che egli<br />

vi recepì non aveva nulla di bigotto,<br />

anzi si nutriva, grazie specialmente al<br />

padre Giovanni Semeria, di una religiosità<br />

tutta volta all’agire e dei fermenti<br />

del modernismo, contestati e repressi<br />

dalla Chiesa ufficiale.<br />

L’incontro decisivo per il giovane<br />

"piemontese di Creta" (lì era nato, nel<br />

1889, da un diplomatico italiano e da<br />

madre inglese), fu però quello con Antonio<br />

Fogazzaro. Letto Il Santo, romanzo<br />

che a Fogazzaro era costato la pesante<br />

censura della Chiesa romana, Zanotti<br />

fece di tutto per incontrare lo scrittore, e<br />

finalmente lo conobbe nell’autunno<br />

1908, l’«autunno in Valsolda» che un<br />

amico di quegli anni, Tommaso Gallarati<br />

Scotti, avrebbe sapientemente evocato.<br />

Da quell’incontro, vissuto con l’intensità<br />

febbrile di un adolescente, Zanotti<br />

trasse un principio a cui avrebbe sempre<br />

tenuto fede: evitare a ogni costo «il<br />

pericolo di una vita dell’intelletto che<br />

S OTTOS OPRA<br />

Poesia,<br />

la prevalenza<br />

del beota<br />

di Les Murray<br />

sia priva di ogni azione pratica nel campo<br />

sociale e morale».<br />

Pochi mesi dopo l’incontro con Fogazzaro,<br />

la sconvolgente notizia del tragico<br />

terremoto del 28 dicembre 1908,<br />

che rase al suolo Messina, Reggio e<br />

altri comuni nell’area dello Stretto, provocando<br />

un numero di morti vicino a<br />

centomila. Fogazzaro contribuì alla gara<br />

di solidarietà che percorse allora l’Italia,<br />

e fu per suo suggerimento che Zanotti<br />

Bianco partì immediatamente per unirsi<br />

alle<br />

squadre di<br />

soccorso.<br />

Fra le macerie<br />

di<br />

Messina<br />

conobbe<br />

Gaetano<br />

Salvemini<br />

(che vi<br />

aveva perso<br />

la famiglia)<br />

e<br />

Maksim<br />

Gor’kij:<br />

due incontri,<br />

questi,<br />

che si sarebbetentati<br />

di<br />

prendere<br />

a simbolo di due importanti filoni della<br />

sua vita negli anni successivi, l’interesse<br />

per il mezzogiorno d’Italia e quello<br />

per le popolazioni slave oppresse dal<br />

governo zarista.<br />

Fu così che nacque, nel 1910, l’Associazione<br />

nazionale per gli interessi<br />

del mezzogiorno d’Italia (Animi), con<br />

la presidenza onoraria di Pasquale Villari<br />

e quella effettiva di Leopoldo<br />

Franchetti.<br />

e l’altro puntavano a una<br />

redistribuzione della proprietà<br />

L’uno<br />

agraria fra i contadini come fattore<br />

primario di rinnovamento economico<br />

e sociale. Zanotti, con Gallarati Scotti<br />

e altri, preferirono individuare come<br />

veicolo essenziale del riscatto del Sud<br />

a pag.36<br />

«Italia Nostra» compie mezzo secolo di vita.<br />

Il suo primo presidente fu Zanotti Bianco,<br />

piemontese nato a Creta, allievo di padre Semeria<br />

e amico di Salvemini. Un meridionalista del Nord<br />

che voleva riscattare le regioni più povere d’Italia<br />

con la scuola e la cultura. E che vedeva<br />

nella conservazione dei monumenti e del paesaggio<br />

un imperativo etico e un fattore di sviluppo<br />

Tra le tante proposte che avete inviato anche<br />

questa settimana al gioco «Sotto Sopra», realizzato<br />

in collaborazione con Radio24 e la trasmissione<br />

«Buongiorno Domenica», abbiamo scelto la proposta<br />

del lettore Paolo Mason di Mestre.<br />

Sopravvalutato: Antoine de Saint-<br />

Exupéry.<br />

Il cui Piccolo Principe, pur essendo<br />

una favola delicata, non è nemmeno<br />

paragonabile a Pinocchio.<br />

Sottovalutato: Carlo Collodi. Autore<br />

del più grande romanzo "toscano"<br />

dell’Ottocento, non solo per la<br />

grandezza del lessico ma anche per<br />

le allegorie profetiche: il Giudice che condanna Pinocchio,<br />

perché è innocente. I medici divisi tra il<br />

dubbio se sia vivo perché non è morto o viceversa; il<br />

gatto e la volpe che sono le banche e i fondi; la<br />

burocrazia che è proprio una lumaca, e altro.<br />

Continuate a scrivere a «Sottosopra», Il Sole-24 Ore-Domenica,<br />

via Monte Rosa 91, 20149 Milano; inviate un<br />

fax allo 0230222011; una mail a fermoposta@ilsole24ore.com<br />

oppure a ilgiocodelladomenica@radio24.it<br />

“<br />

di Alessandro<br />

Pagnini<br />

la cultura e la scuola, e si ripromisero<br />

di aprire asili, scuole, biblioteche, ambulatori<br />

medici nei villaggi più derelitti<br />

(il consuntivo finale fu di oltre 2000<br />

scuole in tutto il Sud, 649 nella sola<br />

Calabria).<br />

Dopo che, per reggere le fila dell’ufficio<br />

reggino dell’Animi, Zanotti si trasferì<br />

a Reggio (1912), gli venne subito<br />

chiaro che andavano riscattati dall’emarginazione<br />

e dall’oblio non solo i contadini<br />

calabresi, ma anche i monumenti e le<br />

memorie<br />

storiche di<br />

quella e<br />

Se l’arte, come la letteratura, è la spirituale<br />

irradiazione di un popolo attraverso<br />

i secoli, nessun imperativo sociale<br />

potrà mai giustificare l’ottenebramento di<br />

questa gloriosa tradizione: risanare non<br />

implica distruggere.<br />

Contro le molte manifestazioni di inciviltà,<br />

fermenta oggi un’ansia di rivolta, alimentata<br />

da quanto di meglio ha la nostra<br />

cultura. UMBERTO ZANOTTI BIANCO<br />

(aprile 1957)<br />

C ONTRAPPUNTO<br />

Torna Snow<br />

con le sue<br />

due culture<br />

delle altre<br />

regioni del<br />

Sud. Dello<br />

stesso<br />

1912 è la<br />

sua prima<br />

battaglia<br />

in favore<br />

dei monumentibizantini<br />

e<br />

normanni<br />

di Calabria,ignorati<br />

e negletti.<br />

Ma<br />

anche qui,<br />

in una vita<br />

che tanto si nutrì di rapporti personali<br />

quanto di idee e di ideali, vi fu un<br />

incontro decisivo, quello con Paolo Orsi<br />

(1911). Il grande archeologo di Rovereto<br />

aveva già da molto tempo deciso di<br />

dedicare la propria vita all’archeologia<br />

della Sicilia e della Magna Grecia, e fu<br />

per Zanotti una guida sicura in quelle<br />

antiche civiltà. «A me che cercavo di<br />

traversare quelle regioni chiudendo gli<br />

occhi su tutto ciò che non fosse la sofferenza<br />

del popolo, [Paolo Orsi] cominciò<br />

fin d’allora a instillare la profonda pietà<br />

dei monumenti della Calabria». Pietas è<br />

qui la parola-chiave: uno stesso senso,<br />

laicamente religioso, di rispetto e di<br />

affezione, di identificazione coi cittadini<br />

più sfortunati, ma anche con l’archeo-<br />

a pag.42<br />

logia e la storia di quei luoghi.<br />

Si capisce così come dal seno stesso<br />

dell’Animi nascesse nel 1920 la Società<br />

Magna Grecia, presieduta da Paolo<br />

Orsi e diretta da Zanotti Bianco, intorno<br />

a cui presto si raccolsero archeologi<br />

come Pirro Marconi, ma soprattutto<br />

cittadini (come Eleonora Duse, Ernesto<br />

Buonaiuti, Bernard Berenson, Lionello<br />

Venturi, Corrado Ricci). Fu in<br />

quella cornice che Zanotti ebbe un altro<br />

incontro decisivo, quello con l’archeologa<br />

Paola Zancani Montuoro.<br />

Nella presentazione della Società Magna<br />

Grecia scritta in occasione del primo<br />

decennale di attività e pubblicata<br />

nel 1931, Zanotti faceva notare che il<br />

bilancio della direzione generale alle<br />

Antichità e Belle Arti d’Italia nel 1920<br />

era di 39 milioni di lire, equivalente a<br />

quello del solo Metropolitan Museum<br />

di New York. Sono le cifre ricordate da<br />

Paolo Orsi in un discorso al Senato (di<br />

cui era membro per nomina regia) del<br />

1927. Con un bilancio tanto esiguo,<br />

quale speranza poteva mai esserci di<br />

promuovere la ricerca archeologica al<br />

Sud? Ma la Società Magna Grecia ebbe<br />

un ruolo essenziale in una raccolta di<br />

fondi e in un dispiegarsi di progetti che,<br />

per dimensioni e per qualità dei risultati<br />

nell’Italia di quegli anni, appare oggi<br />

quasi incredibile.<br />

Volte a correggere le disattenzioni<br />

del Governo, sia l’Animi che<br />

la Società Magna Grecia erano<br />

però viste con crescente fastidio, come<br />

focolai di opposizione al regime, e perciò<br />

furono costrette a chiudere e a riaprire<br />

sotto altro nome: l’Animi diventò nel<br />

1939 "Opera Principessa di Piemonte"<br />

(Maria José di Savoia fu sempre vicina<br />

a Zanotti Bianco), la Società Magna<br />

Grecia, sciolta nel 1934, rinacque poco<br />

dopo come "Società Paolo Orsi". Solo<br />

dopo la guerra l’una e l’altra impresa<br />

poterono riprendere il nome originario;<br />

e solo allora il ruolo e il significato di<br />

Zanotti Bianco furono riconosciuti in<br />

modo adeguato, con la nomina a presidente<br />

della Croce Rossa Italiana nel<br />

Il memoriale<br />

della Shoah<br />

a Berlino<br />

di Mario Platero<br />

e Walter Rauhe<br />

Umberto Zanotti Bianco<br />

(1889-1963), sociologo e<br />

archeologo, fondatore nel<br />

1955 e primo presidente di<br />

Italia Nostra,<br />

ritratto in divisa militare<br />

durante<br />

la Prima Guerra<br />

Mondiale<br />

(Fototeca<br />

Storica Gilardi)<br />

1944, e poi ad accademico dei Lincei<br />

(1947), a presidente della stessa Animi<br />

(1951), quindi di Italia Nostra (dalla<br />

fondazione, 1955), e soprattutto con la<br />

nomina a senatore a vita, dovuta al presidente<br />

Luigi Einaudi (1952).<br />

Le prime esperienze di archeologia<br />

sul campo per Zanotti furono in Sicilia:<br />

nel 1929 partecipò con Pirro Marconi<br />

agli scavi del tempio dorico di Himera,<br />

nel 1931 con Paolo Orsi e Rufo Ruffo<br />

a pag.46<br />

della Scaletta a quelli di Sant’Angelo<br />

Muxaro. Nel 1932, osò affrontare da<br />

solo, con sondaggi nella Piana di Sibari,<br />

il tema arduo della localizzazione di<br />

quell’antica città, distrutta dai Crotoniati<br />

nel 510 a.C., e seppe identificarla<br />

(come solo molti anni dopo sarebbe stato<br />

confermato) nell’area di Parco del<br />

Cavallo. Ma venne subito dopo il divieto<br />

di risiedere in Calabria, e quindi le<br />

ricerche più importanti e fortunate, quel-<br />

Il Castro<br />

in maschera<br />

di Stone<br />

di Roberto Escobar<br />

UMBERTO DI MAGNA GRECIA<br />

”<br />

di Riccardo <strong>Chiaberge</strong><br />

Un cassintegrato alla Fiera del libro<br />

In questa terra di lettori anoressici,<br />

la passione per i libri è un<br />

fiume carsico che sgorga dal sottosuolo<br />

dove e quando meno te<br />

l’aspetti. Da un paesino abruzzese<br />

arriva in redazione la supplica di<br />

Salvatore, quarantaseienne in cassa<br />

integrazione e, «per colmo di sfortuna»,<br />

operato al cuore di recente.<br />

«Non voglio mendicare nulla — scrive<br />

— ma darei chissà cosa per avere<br />

del materiale da leggere». E subito<br />

dopo confessa il suo sogno proibito:<br />

visitare la Fiera del Libro di Torino.<br />

«So bene che potrei acquistare po-<br />

chissimo, ma almeno i miei occhi<br />

vedrebbero tanti libri, riviste, e il<br />

mio fisico tornerebbe per qualche<br />

ora come prima».<br />

Il libro come terapia postoperatoria<br />

per cardiopatici: bisognerebbe<br />

proporla al neoministro Francesco<br />

Storace, che dice di volersi occupare<br />

più delle malattie che degli stili di<br />

vita. E invece lo stile conta, eccome:<br />

tanto che a qualcuno basta respirare<br />

l’aria di una libreria per sentirsi<br />

meglio. Ma Salvatore non pensa soltanto<br />

a sé: «L’amore per la pagina<br />

scritta, per l’inchiostro — continua<br />

— è secondo solo all’amore che ho<br />

verso mia figlia di dieci anni, che<br />

ama tanto leggere, e spero da gran-<br />

de non debba scrivere mai una lettera<br />

così».<br />

Non sappiamo che mestiere faccia<br />

il nostro amico, né per quali motivi<br />

sia cassintegrato. Sappiamo però che<br />

se si potesse retribuire la voglia di<br />

cultura, meriterebbe uno stipendio da<br />

supermanager. In cassa integrazione<br />

(anzi, disintegrazione: zero ore e zero<br />

salario) ci dovrebbero andare certi<br />

ragazzotti del Nord col portafogli gonfio<br />

e la testa vuota, o gli ultrà che<br />

lanciano bottiglie e lacrimogeni nei<br />

campi di calcio. Tutta gente che per<br />

nessuna ragione al mondo si fermerebbe<br />

davanti alla vetrina di una libreria,<br />

né tanto meno ci metterebbe il<br />

naso dentro, pur avendo gli euro ne-<br />

L’incontro con Fogazzaro,<br />

l’impegno sociale<br />

a Reggio Calabria,<br />

la passione per<br />

l’archeologia,<br />

gli scavi pionieristici<br />

nella piana di Sibari.<br />

E le epiche battaglie<br />

per fermare<br />

la cementificazione<br />

cessari per comprarsi non diciamo un<br />

Meridiano, ma almeno un tascabile.<br />

Viene in mente quel proverbio: chi<br />

ha pane non ha denti, chi ha denti<br />

non ha pane. Può accadere che il<br />

lettore forte sia un consumatore debole<br />

o squattrinato, come è il caso di<br />

Salvatore, o viceversa.<br />

Signori del Lingotto, pagategli il<br />

viaggio e offritegli un ingresso gratuito.<br />

Magari due, se porta con sé anche<br />

la bambina. Non contribuirà al fatturato<br />

della Fiera, ma ne arricchirà il<br />

bilancio spirituale. Ammesso che riesca<br />

a farsi largo tra le orde di teenager<br />

a caccia dell’ultimo libro di Totti.<br />

r.chiaberge@ilsole24ore.com<br />

altri servizi a pag. 34<br />

infoline 800.24.00.24 www.radio24.it<br />

Il tempio della Concordia nella valle<br />

dei templi di Agrigento<br />

(Macduff Everton / Corbis/Contrasto)<br />

le che portarono, in stretta collaborazione<br />

con Paola Zancani Montuoro, alla<br />

scoperta del complesso dell’Heraion alla<br />

foce del Sele, con la sua straordinaria<br />

decorazione figurata.<br />

Questo diretto impegno di scavatore<br />

e ricercatore dette a Zanotti Bianco armi<br />

intellettuali ancor più affilate per<br />

condurre, come presidente di Italia Nostra<br />

(dal 1955 alla morte, 1963), la battaglia<br />

in favore della conservazione del<br />

patrimonio culturale e del paesaggio,<br />

negli anni in cui cominciava quella tumultuosa<br />

crescita economica che<br />

avrebbe generato in tutta Italia disordinati<br />

e spesso distruttivi interventi<br />

edilizi, cinici abusi, lottizzazioni e<br />

cementificazioni. L’imperativo<br />

morale a cui egli sempre ubbidì<br />

(rompere il conformismo e il<br />

silenzio in nome di un senso<br />

profondo della giustizia e del<br />

diritto) si manifestò al meglio<br />

nell’attività iniziale di<br />

un sodalizio destinato a<br />

rappresentare (come fa ormai<br />

da cinquant’anni) una<br />

voce significativa in difesa<br />

del patrimonio culturale<br />

e ambientale, nello spirito<br />

dell’articolo 9 della Costituzione<br />

repubblicana.<br />

Di poco anteriore alla fondazione<br />

di Italia Nostra è la sdegnata<br />

lettera con cui Zanotti e altre personalità<br />

(fra cui Salvemini, Elena<br />

Croce, Corrado Alvaro, Carlo Levi,<br />

Gaetano De Sanctis) protestavano<br />

contro gli scempi nell’area della Via<br />

Appia antica. Pienissima fu dunque la<br />

continuità fra il giovane Zanotti, che<br />

durante la Prima guerra mondiale collaborò<br />

con Ugo Ojetti alla salvaguardia<br />

dei monumenti nelle zone di guerra, e<br />

lo Zanotti maturo che, in una situazione<br />

profondamente mutata, combatteva<br />

in tempo di pace un’ancor più dura<br />

battaglia. Per la prima volta, sorgeva<br />

con Italia Nostra un’associazione ambientalista<br />

a livello nazionale, e nessuno<br />

meglio di lui poteva esserne il presidente,<br />

grazie a un’indiscussa autorità<br />

morale, sigillata ed esaltata dalla nomina<br />

a senatore a vita a soli 63 anni.<br />

In libreria<br />

ARMANDO<br />

VERDIGLIONE<br />

La rivoluzione cifrematica<br />

pp. 678, € 30,00<br />

Il manifesto di cifrematica<br />

pp. 240, € 20,00<br />

tel. 02 8054417 fax 02 8692631 press@spirali.com<br />

www.spirali.com www.verdiglione.org<br />

www.thesecondrenaissance.com<br />

M<br />

+<br />

Y<br />

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C<br />

+<br />

B<br />

+<br />

Domenica 12 Giugno 2005 - N. 160 Pagina 29<br />

a pag.32<br />

di Amartya K. Sen<br />

Non è fuori luogo affermare<br />

che la prospettiva<br />

darwiniana, intesa<br />

come una visione generale del<br />

progresso, suggerisca di concentrare<br />

l’attenzione sull’adattamento<br />

delle specie piuttosto<br />

che sull’aggiustamento dell’ambiente<br />

in cui le specie vivono.<br />

Perciò, non ci sorprende<br />

che questa visione del progresso<br />

abbia l’effetto di incoraggiare<br />

direttamente un tipo di pianificazione<br />

consapevole, ovvero<br />

la prospettiva del miglioramento<br />

genetico. Il movimento eugenetico,<br />

fiorito intorno alla<br />

fine del diciannovesimo secolo,<br />

fu influenzato da argomentazioni<br />

darwiniane intorno<br />

alla sopravvivenza del più<br />

forte. Esso sostenne l’idea di<br />

«dare una mano» alla natura<br />

nel crescere tipi genetici migliori,<br />

principalmente limitando<br />

la propagazione delle varianti<br />

«meno adatte». Le politiche<br />

che esso ha favorito<br />

hanno spaziato dalla persuasione<br />

intellettuale alla sterilizzazione<br />

forzata.<br />

Il movimento ha avuto molti<br />

sostenitori noti, da sir Francis<br />

Galton (cugino di Darwin)<br />

a Elisabeth Nietzsche (sorella<br />

del filosofo). Per un certo periodo,<br />

il sostegno di questo tipo<br />

di manipolazione genetica godette<br />

di grande rispettabilità,<br />

ma alla fine esso fu oggetto di<br />

disapprovazione, in particolare<br />

a causa dell’agghiacciante patronato<br />

di Hitler (che, incidentalmente,<br />

versò alcune lacrime<br />

durante il funerale di Elisabeth<br />

Nietzsche, nel 1935). Mentre<br />

Darwin non fu mai un sostenitore<br />

della pianificazione genetica,<br />

l’approccio eugenetico può<br />

coesistere con la visione secondo<br />

cui il progresso deve essere<br />

giudicato principalmente in base<br />

alle caratteristiche delle specie.<br />

Coloro che considerano<br />

la visione darwiniana del progresso<br />

in grado di fornire una<br />

comprensione adeguata del<br />

progresso in generale devono<br />

porsi il problema dell’accettabilità<br />

e dei limiti della<br />

manipolazione genetica<br />

attraverso la coltivazione<br />

selettiva. Come visione<br />

del mondo, questa<br />

prospettiva del<br />

progresso deve fare i<br />

conti con le implicazioni<br />

contrarie dei valori<br />

cui abbiamo motivo<br />

di attribuire importanza,<br />

comprese l’autonomia<br />

e la libertà.<br />

Nonostante il movimento<br />

eugenetico traesse ispirazione,<br />

e un certo sostegno intellettuale,<br />

dal darwinismo, è<br />

giusto puntualizzare che l’interesse<br />

di Darwin era rivolto<br />

alla visione del progresso come<br />

ordine spontaneo e non<br />

pianificato. Nell’ambito del<br />

pensiero religioso, l’aspetto<br />

più radicale del darwinismo<br />

riguardava la negazione del<br />

D ÉJÀ V U<br />

Tutto Dante:<br />

Rifondazione<br />

classicista<br />

di Piero Boitani<br />

disegno della creazione simultanea<br />

di tutte le specie.<br />

Ma la questione generale<br />

del progresso spontaneo va<br />

ben oltre la questione dell’intenzionalità<br />

di un essere divino<br />

esterno. Se l’evoluzione garantisce<br />

il progresso, la necessità<br />

di uno sforzo intenzionale<br />

delle parti coinvolte — gli esseri<br />

umani — può essere ridotta<br />

fino a un certo livello. Inol-<br />

a pag.41<br />

tre, possiamo affermare<br />

che, cercando<br />

di causaredeliberatamenteprogresso<br />

e<br />

tentando<br />

di<br />

cambiare<br />

il<br />

mondo<br />

in cui<br />

viviamo,<br />

possiamo mettere a repentaglio<br />

l’operare spontaneo dei<br />

processi evolutivi.<br />

Se assumiamo la visione<br />

del progresso relativa alla<br />

qualità delle specie, e<br />

se accettiamo che la selezione<br />

genetica possa renderci meravigliosamente<br />

adattati, allora —<br />

possiamo domandarci — per<br />

quale motivo incoraggiare i geni<br />

meno adatti? La fede nel<br />

progresso spontaneo nega mol-<br />

C ONTRAPPUNTO<br />

Warburg<br />

e la Pompei<br />

d’America<br />

di Salvatore Settis<br />

to più dell’opera di un Dio<br />

cristiano dalla mente creatrice.<br />

Quindi, vi sono due direzioni<br />

diverse verso cui possiamo<br />

essere sospinti dalla visione<br />

darwiniana del progresso. Una<br />

propone la manipolazione genetica,<br />

mentre l’altra suggerisce<br />

un affidamento<br />

passivo allo spontanei-<br />

smo. L’elemento comune<br />

è naturalmente il silenzio<br />

sulla possibilità di aggiustare<br />

il mondo allo<br />

scopo di soddisfare i nostri<br />

bisogni. Tale mancanza<br />

di attenzione è il<br />

risultato diretto del giudizio<br />

sul progresso che si basa<br />

sulla natura delle specie, invece<br />

che sul tipo di vita che esse<br />

conducono; che avrebbe immediatamente<br />

attirato la nostra attenzione<br />

sulla necessità di aggiustare<br />

il mondo interno. A<br />

partire da questa base comu-<br />

a pag.42<br />

ne propria del darwinismo, la<br />

visione attivista procede verso<br />

la manipolazione genetica,<br />

mentre la visione più passiva<br />

suggerisce di affidarsi alla natura.<br />

Nessuna delle due ci<br />

porta a correggere il mondo<br />

esterno in cui viviamo.<br />

Questo tema si ricollega a<br />

un argomento di più ampio respiro:<br />

quello che riguarda<br />

l’enorme differenza attitudinale<br />

esistente tra l’affidarsi alla<br />

natura in generale e il cercare<br />

deliberatamente di contrastarne<br />

gli effetti inaccettabili. Que-<br />

Quei trenta<br />

gradini<br />

fino a Dio<br />

di Gianfranco Ravasi<br />

sta dicotomia può essere illustrata<br />

mediante la contrapposizione<br />

tra l’evocazione della natura<br />

di Malthus, che dà sostegno<br />

all’inattività sociale, e l’interventismo<br />

di William Godwin.<br />

In realtà, Malthus fu un<br />

La natura non favorisce le cose alle quali<br />

gli esseri umani attribuiscono valore: alleviare<br />

le sofferenze, eliminare le diseguaglianze,<br />

rendere più vivibile il pianeta<br />

vero e proprio «guru» della teoria<br />

evolutiva. Ne L’origine<br />

delle specie, Darwin spiega<br />

che, in parte, la sua teoria «è la<br />

dottrina di Malthus applicata<br />

con duplice forza all’insieme<br />

dei regni animale e vegetale».<br />

Nel suo famoso Trattato sulla<br />

popolazione, pubblicato nel<br />

1798, Malthus gettò le fondamenta<br />

per una teoria della selezione<br />

naturale legando la questione<br />

della sopravvivenza alla<br />

crescita della popolazione e alla<br />

lotta per le risorse naturali.<br />

Mentre la più grande ambizione<br />

filosofica della sua<br />

opera fu quella di mettere<br />

in discussione il pro-<br />

gressismo radicale di<br />

Godwin e Condorcet (come<br />

fu dichiarato nel titolo<br />

originale della monografia),<br />

il suo scopo immediato<br />

fu quello di impedire<br />

la legislazione in<br />

favore del cambiamento<br />

delle Poor Laws in Gran Bretagna,<br />

in favore dell’introduzione<br />

del reddito proporzionale<br />

alle dimensioni della famiglia.<br />

Una simile interferenza con un<br />

processo della natura sembrò a<br />

Malthus un modo di aggravare<br />

ulteriormente il problema; sa-<br />

pagg.44-45<br />

Trapanati<br />

dalla<br />

Biennale<br />

di Autori Vari<br />

Nel suo nuovo libro, «Razionalità e libertà», il premio Nobel Amartya Sen discute le implicazioni sociali della teoria darwiniana<br />

I GENI DEL PROGRESSO<br />

Il meccanismo dell’evoluzione bada più alla sopravvivenza e alla riproduzione delle specie che alla qualità<br />

della vita degli individui. Siamo noi a dover fare le scelte giuste per migliorare il nostro ambiente<br />

Tra le proposte pervenute al gioco «Déjà vu»,<br />

realizzato in collaborazione con Radio 24, abbiamo<br />

scelto quella del lettore Paolo Lamberti:<br />

«Italia 2005/ Atene, fine V a.C.: Soldati all'estero<br />

per esportare vanamente la democrazia. Oligarchi<br />

e demagoghi si succedono al governo.I vasi<br />

apuli (Far West) sostituiscono<br />

la produzione ceramica. Il<br />

prezzo del grano (motore della<br />

società) sale. La città è piena<br />

di profughi e immigrati.<br />

Gli intellettuali razionalisti<br />

sono morti o in esilio (Anassagora,<br />

Tucidide). I ciarlatani<br />

prevalgono sui medici (Ippocrate).<br />

I filosofi (Socrate) allevano<br />

demagoghi (Alcibiade),<br />

mercenari (Senofonte), dittatori (Crizia). Per fortuna<br />

che oggi non c'è più una Sparta!»<br />

Mandate le vostre proposte al Sole 24 Ore Domenica<br />

- Déjà vu, via Monterosa 91, 20149 Milano, un fax<br />

al numero 023022.2011 o un’email all’indirizzo fermoposta@ilsole24ore.com<br />

oppure a ilgiocodella domenica@radio24.it<br />

Edward Hicks, «The Peaceable Kingdom» (1845 circa), New York, Brooklyn Museum of Art. A sinistra, Charles Darwin (Corbis)<br />

Le galere veneziane e il fantoccio di Hitler<br />

di Riccardo <strong>Chiaberge</strong><br />

Tra i primi concorrenti a «Déjà<br />

vu» — il nostro gioco dell’estate<br />

— si segnala un lettore eccellente:<br />

Sergio Romano, che in un fondo<br />

sul Corriere di giovedì scorso ha<br />

ripreso l’ultima copertina del Domenicale<br />

di Gianni Toniolo, mettendo in<br />

luce le analogie tra la Venezia del<br />

’600 e l’Italia di oggi. Anche noi,<br />

come la gloriosa Serenissima, rischiamo<br />

di «perdere il mare», perché davanti<br />

alle sfide della modernità preferiamo<br />

galleggiare sulle «galere» del<br />

buon tempo antico, prigionieri di<br />

un’ideologia antiscientifica. E intanto<br />

sfrecciano, col vento in poppa, i velieri<br />

inglesi.<br />

Menzione speciale per l’ambasciatore<br />

Romano: ha colto perfettamente<br />

l’allusione implicita nel racconto di<br />

Toniolo. Squalifica invece per Bogdan<br />

Michalski, docente di giornalismo<br />

all’Università di Varsavia e curatore<br />

dell’edizione (purgata) di Mein<br />

Kampf in polacco, che mostra di avere<br />

un concetto assai discutibile del<br />

«Déjà vu». Gli studenti di storia e<br />

scienze politiche, scrive Michalski nella<br />

sua prefazione, dovrebbero leggere<br />

il libro di Hitler per capire la Germania<br />

attuale, animata, come allora, da<br />

una smania inestinguibile di suprema-<br />

zia sugli altri popoli. Cos’è, se non<br />

una prova di questa sindrome da «Lebensraum»,<br />

la richiesta di un seggio<br />

nel consiglio di sicurezza dell’Onu?<br />

Ecco un modo truffaldino di usare<br />

la storia, inchiodando un popolo alla<br />

pagina più oscura del proprio passato.<br />

Negli anni Ottanta, apprendiamo<br />

da un articolo di Karol Sauerland<br />

sulla Frankfurter Allgemeine Zeitung,<br />

questo Michalski aveva difeso il<br />

regime di Jaruzelski e la censura sulla<br />

stampa. Adesso brandisce il testo<br />

fondamentale del nazionalsocialismo<br />

in funzione antitedesca. Del resto,<br />

Hitler è un fantoccio polemico di sicuro<br />

effetto, e anche in Italia, in queste<br />

settimane, lo abbiamo visto aleggiare<br />

Razionalità e libertà non possono fare a meno<br />

l’una dell’altra. Eppure ci sono concezioni<br />

della razionalità che finiscono per<br />

consegnarci un’idea di libertà del tutto insoddisfacente,<br />

fino a sconfinare nella sua negazione, e<br />

visioni della libertà incapaci di cogliere il valore<br />

della riflessione razionale per le nostre scelte.<br />

Tutto il lavoro di Amartya K. Sen, l’economistafilosofo<br />

nato a Santiniketan, nel Bengala, nel<br />

1933, premio Nobel per l’Economia nel 1998, si<br />

muove, a ben vedere, intorno a questi due concetti<br />

e alla loro reciproca tensione. Lo si vedeva già<br />

in saggi celeberrimi degli anni 70 come Rational<br />

fools (folli razionali), in cui egli attaccava l’idea<br />

secondo la quale la razionalità coincide con la<br />

coerenza interna dell’ordinamento delle scelte,<br />

finendo però per considerare razionali anche<br />

comportamenti in netto contrasto con i propri<br />

desideri e valori, rispetto ai quali l’idea formale<br />

di coerenza risulta del tutto indifferente. O<br />

nell’«impossibilità del paretiano liberale», per<br />

cui il rispetto della libertà di scelta e dei desideri<br />

personali risulta incompatibile con il principio -<br />

pure improntato all’individualismo - di efficienza<br />

di Pareto. E, ancora, nella sua originale analisi<br />

del paradosso dell’impossibilità delle scelte<br />

collettive di Kenneth Arrow, sul quale Sen è<br />

tornato nella conferenza per il Nobel: una sorta<br />

di autoritratto, che ora apre il nuovo volume su<br />

Razionalità e libertà (pagg. 496, ł 34) che il Mulino<br />

manderà in libreria il 23 giugno. Ne proponiamo<br />

uno stralcio dal saggio forse più eccentrico,<br />

dedicato alla «visione darwiniana del progresso»,<br />

che rende bene la capacità di Sen si spaziare<br />

con lucidità nei diversi ambiti del sapere.<br />

Un’altra «follia razionale» denunciata da Sen<br />

è quella dell’homo oeconomicus in quanto massimizzatore<br />

dell’utilità. L’utilitarismo è infatti<br />

un’altra teoria che non riesce a cogliere il valore<br />

intrinseco di diritti e valori capaci di dare sostanza<br />

a una nozione di libertà dove non contano<br />

solo le opportunità o le alternative proposte ai<br />

singoli dall’esterno, ma anche, e soprattutto, la<br />

possibilità di questi di elaborare, attraverso la<br />

riflessione critica, l’ambito stesso delle proprie<br />

scelte e della propria capacità di azione. Di qui<br />

la costante attenzione per i rapporti tra economia,<br />

democrazia e pluralismo dei valori per la<br />

ridefinizione del benessere e della felicità. Tema<br />

che Sen affronterà in occasione delle lauree «honoris<br />

causa» che gli verranno conferite dall’Univeristà<br />

di Pavia (venerdì 17 giugno alle 10,30) e<br />

dall’univerità di Milano Bicocca (stesso giorno,<br />

ore 17). (Armando Massarenti)<br />

nei comizi e nei talk show. Ma come<br />

è insensato proiettare l’ombra del<br />

Führer su ogni cittadino tedesco, bisogna<br />

smetterla di vedere in ogni<br />

biologo la controfigura del dottor<br />

Mengele.<br />

Il gioco che abbiamo proposto ai<br />

lettori: «A quale periodo storico vi fa<br />

pensare l’Italia del 2005?» vuole stimolare<br />

tutt’altro genere di riflessioni.<br />

Se Popper ci ha insegnato che la storia<br />

non si ripete, è anche vero che gli<br />

eventi del passato sono spesso metafore<br />

del presente. Evitiamo di cercarvi<br />

soltanto conferme ai nostri pregiudizi<br />

e alle nostre paure.<br />

riccardo.chiaberge@ilsole24ore.<br />

com<br />

rebbe stato meglio, dunque, abbandonare<br />

questi tentativi deliberati<br />

di aiutare coloro che<br />

non potevano essere aiutati.<br />

Malthus di fatto sostenne<br />

— ma senza<br />

grande ottimismo<br />

— il controllo volontario come<br />

metodo di riduzione della<br />

crescita della popolazione, e<br />

qui ancora una volta (come nel<br />

caso dell’eugenetica) l’enfasi<br />

ricade sulla necessità di adattare<br />

noi stessi piuttosto che adattare<br />

il mondo che sta fuori da<br />

noi. Malthus fu coerentemente<br />

e presumibilmente ostile<br />

all’azione pubblica di assistenza<br />

ai poveri, ma anche a certe<br />

«cortesie» pubbliche come la<br />

degenza in ospedale per le ragazze<br />

madri e gli orfanotrofi<br />

per i bambini abbandonati.<br />

La dicotomia tra l’abbandono<br />

dei poveri e dei miserabili<br />

al volere della natura e la vo-<br />

lontà di ricorrere all’azione<br />

pubblica per cercare di aiutarli<br />

rimane tuttavia importante nel<br />

mondo contemporaneo. In realtà,<br />

la significatività del contrasto<br />

può essere cresciuta negli<br />

ultimi anni, con una tendenza<br />

sempre più forte a lasciare che<br />

le forze impersonali — per<br />

esempio, il meccanismo di<br />

mercato — seguano il loro corso<br />

naturale. Il fallimento della<br />

Seconda guerra mondiale è<br />

spesso interpretato non semplicemente<br />

come il fallimento di<br />

un particolare sistema di intervento,<br />

ma come l’impossibilità<br />

di miglioramenti pianificati<br />

di qualsiasi genere.<br />

La questione dell’intervento<br />

riguarda più da vicino<br />

le materie sociali<br />

(del tipo illustrato dalle differenze<br />

tra Malthus e Godwin),<br />

ma sono coinvolte anche tematiche<br />

ambientali. Considerate<br />

il problema del possibile esaurimento<br />

dello strato di ozono.<br />

È abbastanza probabile che, se<br />

lasciato a se stesso, l’assottigliamento<br />

dello strato di ozono<br />

conduca a una risposta genetica<br />

tramite il meccanismo<br />

dell’evoluzione. Per esempio,<br />

i genotipi che hanno geni meno<br />

vulnerabili possono sopravvivere<br />

meglio ai cambiamenti<br />

delle radiazioni e diventare relativamente<br />

più numerosi (ho<br />

sentito dire che noi, gente di<br />

colore, ci adattiamo più lentamente<br />

di voi, ma non ci scommetterei).<br />

La selezione naturale può<br />

sostituirci con individui più<br />

«adatti», e ciò fa parte del progredire<br />

dell’evoluzione. Ma se<br />

valutiamo le nostre vite e condanniamo<br />

le malattie e l’estinzione,<br />

desideriamo un corso di<br />

azione in grado di resistere<br />

con forza ai cambiamenti sfavorevoli<br />

dell’ambiente. Dal<br />

punto di vista degli esseri umani,<br />

per come siamo costituiti,<br />

la selezione naturale genetica<br />

può essere una prospettiva agghiacciante<br />

anziché confortevole.<br />

Non intendo esacerbare<br />

il contrasto, ma una differenza<br />

significativa a livello di<br />

attitudine risiede in questi<br />

due modi di vedere la natura<br />

e, più in generale, di vedere<br />

le condizioni ambientali in<br />

cui ci troviamo. Un aspetto<br />

del dilemma è stato articolato<br />

in maniera nota dall’incerto<br />

principe di Danimarca: «Se è<br />

più nobile nella mente soffrire<br />

/ Le fiondate e le frecce<br />

della beffarda fortuna, / Oppure<br />

prendere le armi contro<br />

un mare di guai, /E combattendoli,<br />

finirli».<br />

A questa formula non può<br />

essersi appellato Darwin, se<br />

non altro per il fatto che<br />

nell’ultima parte della sua vita<br />

egli aveva iniziato a trovare il<br />

poeta inglese alquanto sgradevole.<br />

«Ho cercato più avanti di<br />

leggere Shakespeare», Darwin<br />

dichiara nella sua Autobiografia,<br />

«e l’ho trovato talmente<br />

insopportabilmente noioso da<br />

avermi dato la nausea».<br />

In occasione della pubblicazione del libro<br />

Farmacrazia<br />

pp. 373, € 25,00<br />

incontro con<br />

THOMAS SZASZ<br />

intervistato da Armando Verdiglione<br />

martedì 14 giugno, ore 20,45<br />

Milano, Salotto di Spirali, via Gabba 3<br />

giovedì 16 giugno, ore 20,00<br />

Roma, Hotel Ambasciatori, via Veneto 62<br />

tel. 028054417 fax 028692631 press@spirali.com<br />

www.spirali.com www.fondazioneverdiglione.org<br />

www.thesecondrenaissance.com<br />

M<br />

+<br />

Y<br />

+


Pagina 38 — Domenica 13 Febbraio 2005 - N. 43 PERSONAGGI<br />

Il Sole-24 Ore<br />

D OPPIO CENTENARIO / U N SECOLO FA NASCEVANO I DUE RIVALI DELLA CULTURA FRANCESE<br />

ARON, 1905-1983<br />

F ilosofo<br />

e sociologo francese che<br />

ha segnato la storia della cultura<br />

europea della seconda metà del<br />

Novecento, Raymond Aron nasce a Parigi<br />

il 14 marzo 1905. Nel 1924 entra<br />

all’École Normale Supérieure con la volontà<br />

di eccellere in quegli studi dove<br />

invece il padre aveva fallito. Qui conosce<br />

Paul Nizan e Jean-Paul Sartre. Con<br />

quest’ultimo instaura un rapporto di<br />

profonda amicizia ma di altrettanto profonda<br />

divergenza ideologica e politica.<br />

Il suo impegno negli studi lo porta, nel<br />

1928, a ottenere il primo posto nel concorso<br />

della docenza di filosofia (lo stesso<br />

nel quale Sartre viene respinto, ma<br />

che vincerà l’anno successivo).<br />

Due anni dopo, nel 1930, lascia Parigi<br />

per un lettorato a Colonia; quindi<br />

passa all’Università di Berlino dove rimane<br />

fino al 1933 e, insieme a Sartre,<br />

assiste all’avvento del Terzo Reich. Sarà<br />

proprio questa comune esperienza a<br />

segnare il distacco tra i due giovani<br />

pensatori per il modo e il coinvolgimento<br />

differenti con cui essi la vivono. Aron<br />

interpreterà il nazismo come una conseguenza<br />

non casuale né provvisoria<br />

della disgregazione della Repubblica di<br />

Weimar. Sartre, invece, si rivelerà troppo<br />

concentrato sui propri studi per analizzare<br />

la realtà che lo circonda. Tornato<br />

in Francia nel 1938, Aron ottiene il<br />

dottorato con una tesi sulla filosofia<br />

della storia. Dal 1940 al 1944 è in Inghilterra<br />

dove lavora come caporedattore<br />

nella rivista «La France libre» vicina a<br />

De Gaulle. Dopo la guerra, la carriera<br />

accademica lo vede docente nelle più<br />

prestigiose istituzioni francesi: dall’École<br />

nationale d’administration (1945), alla<br />

École pratique des hautes études<br />

(1960), alla Sorbona (fino al 1968) e<br />

con la cattedra di Sociologia della civiltà<br />

moderna al Collège de France nel<br />

1970. Gli impegni universitari non gli<br />

impediscono però di esercitare l’attività<br />

giornalistica: è editorialista a «Combat»<br />

nel 1947 e quindi a «Le Figaro» dal<br />

1947 al 1976. Lascerà il quotidiano l’anno<br />

dopo per il settimanale «L’Express»<br />

a cui lavorerà fino alla morte avvenuta<br />

nel 1983. (Giulia Guerri)<br />

LE OPERE<br />

Intellettuale poliedrico e di ampi interessi,<br />

Raymond Aron si distingue<br />

per la sua capacità di affiancare<br />

all’impegno giornalistico la ricerca<br />

scientifica. Ed è proprio questo costante<br />

confronto fra l’attualità e la storia a<br />

caratterizzare la sua particolare visione<br />

della realtà. Esordisce nel 1935 con<br />

il saggio Introduzione alla sociologia<br />

tedesca, seguito nel 1938 dalla sua tesi<br />

di dottorato Introduzione alla filosofia<br />

della storia, in cui discute di quali siano<br />

i compiti di questa disciplina in<br />

relazione alla vita dell’individuo.<br />

I libri che risalgono al periodo accademico<br />

della Sorbona, Diciotto lezioni<br />

sulla società industriale (1963), Le lotte<br />

di classe (1964), Democrazia e totalitarismo<br />

(1965) e Le tappe del pensiero<br />

sociologico (1965, traduzione italiana<br />

Mondadori, 1989) analizzano sul piano<br />

economico, sociale e politico, la realtà<br />

delle società industriali occidentali e<br />

sovietiche. È in questi testi che Aron<br />

prende una netta posizione contro l’interpretazione<br />

marxista della storia, facendone<br />

poi un motivo costante di tutto<br />

il suo impegno intellettuale.<br />

Con L’oppio degli intellettuali del<br />

1955 (traduzione italiana Ideazione,<br />

1998) Aron pronuncia un duro atto di<br />

accusa contro la propria generazione.<br />

Essa infatti, annebbiata da dogmi e<br />

dottrine, come sotto l’effetto dell’oppio,<br />

non è più in grado di interpretare la<br />

realtà del proprio tempo, ma si nutre<br />

esclusivamente di idee astratte. Nel<br />

1982 esce il libro di interviste, Lo spettatore<br />

impegnato, e postume, nel settembre<br />

del 1983 le Memorie. Cinquant’anni<br />

di riflessioni politiche (traduzione<br />

italiana Mondadori, 1984, a cura<br />

di Oreste Del Buono e con prefazione di<br />

Alberto Ronchey). Il Mulino ha pubblicato<br />

nel 2003 Il ventesimo secolo. Guerre<br />

e società industriale. (G.Gu.)<br />

Un liberale allergico al mito della società perfetta, ma che credeva nei miglioramenti graduali<br />

Aron, pessimista della libertà<br />

di Giuseppe Bedeschi<br />

La cultura di Aron, uno dei grandi intellettuali<br />

protagonisti del Novecento<br />

(1905-1983), è stata singolarmente<br />

composita e complessa: quanto di meno "nazionale"<br />

si possa immaginare, e quanto di più<br />

aperto alle correnti più vitali della cultura<br />

europea. Recatosi, giovanissimo, in Germania<br />

con una borsa di studio nei primi anni<br />

Trenta, egli fu "sedotto" (come scrisse nelle<br />

Memorie) dalla cultura tedesca («un colpo di<br />

fulmine sconvolgente»). Dalla lettura dei filosofi<br />

tedeschi contemporanei (Husserl e Heidegger)<br />

e dei sociologi (Max Weber e Simmel)<br />

ricavò la sensazio-<br />

ne di «una straordinaria<br />

ricchezza a confronto<br />

della quale gli autori<br />

francesi mi apparirono<br />

d’improvviso mediocri,<br />

quasi miseri». Ma al tempo<br />

stesso egli aveva assorbito<br />

profondamente<br />

la lezione dei "classici"<br />

del pensiero politico<br />

francese: Montesquieu e<br />

Tocqueville in primo<br />

luogo. E poi aveva fatto<br />

proprio l’insegnamento<br />

che scaturiva dalle opere<br />

degli elitisti italiani, Mosca<br />

e Pareto.<br />

Nonostante la stupefacente<br />

vastità e profondità<br />

dei suoi interessi (filosofici,<br />

storici, sociologici<br />

ed economici), non fu mai un accademico<br />

in senso stretto, ma fu piuttosto uno studioso<br />

e un giornalista militante. La storia, del resto,<br />

lo pose assai presto di fronte a una scelta<br />

drammatica: travolto l’esercito francese dalle<br />

armate hitleriane, Aron decise di seguire De<br />

Gaulle a Londra, dove divenne caporedattore<br />

della rivista «La France libre», vicina al<br />

generale (con quest’ultimo Aron ebbe, allora<br />

e dopo, un rapporto politico profondo,<br />

anche se tutt’altro che privo di tensioni e di<br />

dissensi, come egli raccolta in pagine bellissime<br />

delle Memorie). Ritornato in Francia<br />

dopo la guerra, Aron fu per molti anni il<br />

principale editorialista del «Figaro»: anche<br />

questo fu un periodo di appassionato impegno<br />

sia nell’analisi della politica francese,<br />

sia in quella delle relazioni internazionali<br />

(«nessuno — disse Kissinger — ha avuto su<br />

di me tanta influenza come Aron»), sia nella<br />

battaglia in difesa della democrazia occidentale<br />

contro il totalitarismo sovietico.<br />

Solo nel 1955 Aron decise di dedicarsi<br />

stabilmente all’insegnamento universitario<br />

(senza interrompere, per altro, il suo rapporto<br />

col giornalismo politico). Dai suoi primi<br />

corsi alla Sorbona nacquero tre libri famosi<br />

(18 lezioni sulla società industriale, La lotta<br />

di classe, Democrazia e totalitarismo),<br />

che, nonostante la loro forma esteriore quasi<br />

di "dispense" universitarie (si trattava<br />

infatti della trascrizione stenografica di lezioni<br />

tenute sulla base di semplici appunti),<br />

fecero il giro del mondo, tradotti nelle principali<br />

lingue europee.<br />

In effetti si trattava di lezioni appassionanti,<br />

nelle quali Aron — attingendo ai<br />

concetti-chiave di Tocqueville, di Weber e<br />

di Pareto, nonché degli economisti della<br />

crescita economica, Colin Clark e Jean Fourastié,<br />

e attraverso un confronto serrato con<br />

l’opera di Marx — dava un’analisi nuova e<br />

profonda delle società industriali, sia democratiche<br />

che sovietiche.<br />

Il concetto di "società industriale", ricavato<br />

da Saint-Simon e da Comte, era appunto<br />

al centro di quelle lezioni. La prima constatazione<br />

che si imponeva ad Aron a proposito<br />

delle società industriali occidentali era che<br />

per esse si era avverata la profezia di Tocqueville,<br />

non quella di Marx. In tali società,<br />

infatti, si era sempre più affermata la democrazia<br />

nel senso tocquevilliano della parola,<br />

in quanto in esse si era verificata la scomparsa<br />

progressiva delle differenze di status e la<br />

tendenza al livellamento delle condizioni<br />

Studiando Tocqueville,<br />

Weber e Pareto,<br />

e da un confronto serrato<br />

con Marx, sviluppò<br />

una delle analisi<br />

più acute e originali<br />

della moderna società<br />

industriale. Nella<br />

versione democratica<br />

e in quella sovietica<br />

sociali, sia attraverso un costante elevamento<br />

del tenore di vita della classe operaia, sia<br />

attraverso una continua crescita delle classi<br />

intermedie (dunque non si era verificata la<br />

drammatica polarizzazione fra imprenditori<br />

e operai profetizzata da Marx).<br />

Ciò non significava, però, che le società<br />

industriali democratiche fossero quiete e tranquille.<br />

Anzi, esse erano agitate, e non potevano<br />

non esserlo, perché erano caratterizzate da<br />

una legittima rivalità fra i diversi gruppi sociali<br />

per la ripartizione delle risorse collettive.<br />

Una rivalità che diventava tanto più aspra in<br />

quanto le democrazie industriali proclamavano<br />

l’eguaglianza delle persone, nei diritti civili<br />

e politici, ma continuavano<br />

ad avere fasce<br />

di disoccupazione, di<br />

povertà, di emarginazione,<br />

nonostante la tendenza<br />

del prodotto sociale<br />

a crescere. D’altro<br />

canto, l’eguaglianza rivendicata<br />

dalla società<br />

sovietica era puramente<br />

illusoria, poiché quella<br />

società era caratterizzata<br />

da grandi differenze<br />

nella distribuzione dei<br />

redditi, nel modo di vivere<br />

e nelle forme di<br />

prestigio (e ciò in ragione<br />

di una variegata stratificazione<br />

sociale: uomini<br />

di governo e dirigenti<br />

di partito, burocrati,<br />

manager industriali,<br />

tecnici, operai, contadini). Ed era inoltre un<br />

puro mito che in Unione Sovietica il proletariato<br />

fosse al potere, e che vi fosse stato<br />

abolito lo "sfruttamento": il potere era detenuto,<br />

in realtà, da un partito politico (unico),<br />

dai suoi dirigenti e dalla sua burocrazia,<br />

dunque da una classe dirigente (che<br />

sarà chiamata più tardi "nomenklatura"), la<br />

quale decideva in modo autoritario la politica<br />

economica e la distribuzione dei redditi.<br />

Sotto questo profilo la situazione degli operai<br />

non era mutata se non in peggio rispetto<br />

alla società capitalistica, non potendo essi<br />

far valere i propri interessi in regime di<br />

monopolio sindacale e politico.<br />

Anche le democrazie industriali occidentali<br />

erano oligarchiche (come tutte le società,<br />

del resto: su questo punto Aron seguiva Pareto<br />

e Mosca). La sovranità popolare non significava<br />

infatti che la massa dei cittadini prendesse<br />

essa stessa, direttamente, le decisioni<br />

relative alla finanza pubblica e alla politica<br />

estera. L’essenza della politica è che le decisioni<br />

vengono prese per e non dalla collettività.<br />

E tuttavia le democrazie industriali avevano<br />

realizzato un grande progresso anche sul<br />

piano politico, poiché nel Novecento le minoranze<br />

dirigenti erano infinitamente più aperte<br />

di quanto fossero nell’Ottocento: la diffusione<br />

sempre più ampia dell’istruzione, il suffragio<br />

universale, la libertà di organizzazione<br />

sindacale e politica, avevano reso possibile a<br />

un numero sempre più ampio di persone<br />

l’ascesa alle élite dirigenti (politiche, sindacali,<br />

imprenditoriali, intellettuali, religiose eccetera),<br />

le quali non formano mai un blocco<br />

unico e sono spesso in contrasto tra loro<br />

(sicché sbagliavano Pareto e Mosca quando<br />

parlavano di una classe dirigente).<br />

Nella dialettica delle élite dirigenti (come<br />

nel loro continuo ricambio) Aron vedeva la<br />

principale garanzia del progresso, e non cedette<br />

mai alle lusinghe di utopie incentrate<br />

su una "città felice". Egli espresse assai bene<br />

la propria ispirazione quando disse: «Io appartengo<br />

ai teorici della politica che ritengono<br />

che non ci si trova mai a dover scegliere<br />

tra il bene e il male, ma tra gradi diseguali di<br />

male o di bene; appartengo al numero dei<br />

cosiddetti pessimisti, d’altronde a torto, perché<br />

i pessimisti del mio tipo vogliono incessantemente<br />

migliorare la società, un frammento<br />

dopo l’altro. Essi semplicemente non<br />

conoscono nessuna soluzione globale (passano<br />

per ottimisti, in generale, coloro che credono<br />

a un regime impossibile)».<br />

di Giuseppe Scaraffia<br />

al livello di Hegel? Certo<br />

l’ascesa non sarebbe troppo ar-<br />

«Elevarsi<br />

dua né troppo dura. Oltre al fatto<br />

che forse bisognerebbe faticare. L’ambizione<br />

si riassume per me in due immagini.<br />

Una è quella di un giovanotto in pantaloni<br />

di flanella bianca, il collo della camicia<br />

aperto, che si insinua come<br />

un gatto nei gruppet-<br />

ti sulla spiaggia tra le<br />

fanciulle in fiore. L’altra<br />

è quella di uno scrittore<br />

che alza il bicchiere<br />

per rispondere a un<br />

brindisi di uomini in<br />

smoking in piedi intorno<br />

a una tavola». A parlare<br />

era uno studente<br />

dell’École Normale<br />

Supérieure, la culla dell’élite francese,<br />

Jean-Paul Sartre, soprannominato S.O., satiro<br />

ufficiale, per la sensualità e la cinica<br />

aggressività. Ad ascoltarlo c’era un suo<br />

coetaneo serio e riservato, Raymond Aron.<br />

Ai balli annuali dell’École, Sartre, brutto<br />

ma spiritoso seduceva più di Aron e a<br />

lezione si faceva sgridare dai professori per<br />

le chiacchierate con i vicini. Aron prendeva<br />

affettuosamente in giro la fertilità dell’ami-<br />

co: «Come, soltanto trecentocinquanta pagine<br />

in tre giorni?». Sartre e Aron erano un<br />

duo inscindibile, parte di un gruppo di eletti<br />

che aveva bizzarramente scelto come rituale<br />

di farsi circoncidere,<br />

col risultato di arrivare<br />

a lezione piegati in due<br />

dal dolore, riuscendo appena<br />

a camminare. «Così<br />

quando andremo dalle<br />

prostitute del quartiere,<br />

almeno eviteremo la<br />

blenorragia!.»<br />

Avevano condiviso le<br />

lunghe chiacchierate e<br />

l’alcol finché l’arrivo di<br />

Simone de Beauvoir non li aveva allontanati.<br />

Aron era socialista e la coppia anarchicheggiante,<br />

ma avevano continuato a frequentarsi.<br />

Durante la guerra, mentre Sartre<br />

si limitava a scrivere, Aron era passato a<br />

Londra. Eppure già nel 1941 Sartre trovava<br />

Aron inattuale. Quel trentenne, secondo lui,<br />

«era cinquantenne in tutto, ma non aveva<br />

solo cinquant’anni, bisognava sommare tutti<br />

i suoi cinquant’anni per ottenere l’età vera.<br />

Mi chiedo se questo non sia un difetto da<br />

intellettuale ebreo, e comunque spiega la<br />

mancanza di autenticità, che è essere lo<br />

stesso in ogni situazione».<br />

Nel 1945 Aron, tornato in Francia come<br />

consigliere di Malraux, era entrato nella<br />

redazione di «Les Temps Modernes» con<br />

Sartre. Erano insieme per l’ultima volta.<br />

L’esistenzialismo cominciava la sua irresistibile<br />

ascesa, anche se Sartre si lamentava:<br />

«Non è allegro essere trattato da vivo come<br />

un monumento». Sulla rivista aveva lanciato<br />

il suo programma: «Dato che lo scrittore<br />

non può evadere, deve abbracciare strettamente<br />

la sua epoca. È la sua sola possibilità:<br />

lei è fatta per lui e lui per lei».<br />

Aron invece ebbe il coraggio di non essere<br />

la fodera intellettuale del suo tempo.<br />

Scrisse che voleva «capire o conoscere la<br />

mia epoca con la massima onestà possibile,<br />

staccarmi dall’attualità senza però limitarmi<br />

a un ruolo di spettatore». Dopo aver visto il<br />

nazismo nel 1933, aveva capito che la posta<br />

del secolo era resistere alle dittature di destra<br />

e di sinistra. Con la guerra fredda le<br />

strade dei due amici si erano definitivamen-<br />

“ Sartre, uomo<br />

del monologo, lui<br />

che parlava tanto<br />

di dialettica. La sua<br />

dottrina della<br />

libertà «nuova<br />

a ogni istante»<br />

lo sollevava da ogni<br />

responsabilità<br />

per il suo passato<br />

”<br />

Raymond Aron, «Memorie», 1983<br />

L’Ungheria sotto il tallone di ferro<br />

di Raymond Aron<br />

Il comunista<br />

e il filo-americano:<br />

due sguardi opposti<br />

sul mondo<br />

e sulla politica francese<br />

IPaesi dell’Europa orientale si trovavano,<br />

all’inizio della sovietizzazione, in<br />

condizioni analoghe (esclusa la Cecoslovacchia).<br />

Tutti, in effetti, avevano delle<br />

economie prevalentemente agricole, l’industria<br />

insufficientemente sviluppata non<br />

riusciva ad assorbire l’eccedenza di manodopera<br />

che restava nelle campagne,<br />

mezzo disoccupata. (...) Quei Paesi, ridotti<br />

alla condizione di satelliti, avevano<br />

compiti analoghi da affrontare: assorbire<br />

il surplus della popolazione contadina<br />

nell’industria, dunque investire molto e<br />

consumare poco. I governi delle "democrazie<br />

popolari" vollero affrontare questi<br />

compiti con gli stessi procedimenti: pianificazione<br />

rigida, priorità assoluta dell’industria<br />

pesante, prezzi fissati dall’ufficio<br />

del piano, collettivizzazione dell’agricoltura<br />

la più rapida possibile. (...)<br />

A questo riguardo, l’Ungheria rappresentava,<br />

mi sembra, un caso estremo. La<br />

costruzione di una industria pesante in un<br />

Paese che non ha né carbone coke né<br />

ferro era dettata dal dogma e contraria al<br />

buon senso. Più il Paese è piccolo e più lo<br />

sforzo per riprodurre su scala microscopica<br />

la struttura dell’Unione Sovietica diventa<br />

assurdo. La collettivizzazione dell’agricoltura,<br />

pochi anni dopo una riforma<br />

agraria che aveva liquidato la grande<br />

proprietà terriera d’origine feudale, doveva<br />

suscitare una resistenza feroce.<br />

Questa politica, manifestamente contraria<br />

agli interessi e alle aspirazioni del<br />

popolo ungherese, fu condotta con una<br />

brutalità spietata dal Partito comunista. In<br />

origine, questo non era un semplice strumento<br />

delle autorità d’occupazione. Operai,<br />

liberali, intellettuali avevano, all’indomani<br />

della Seconda guerra mondiale, gli<br />

uni dato la loro fede al Partito, gli altri<br />

sognato di costruire, cooperando con esso,<br />

una Ungheria nuova, autenticamente democratica<br />

e socialista, nel senso che queste<br />

parole hanno in Occidente. Ma, nella<br />

Da «petits camarades»<br />

a nemici per la pelle<br />

misura in cui si aggravavano le condizioni<br />

materiali della vita e il terrore, il regime<br />

appariva come il camuffamento o la cinghia<br />

di trasmissione del dominio russo.<br />

Tutto si svolgeva come se ci si ingegnasse<br />

per esasperare la nazione: i piani<br />

economici condannavano gli operai a<br />

salari da fame, la collettivizzazione e le<br />

consegne forzate a basso prezzo erano<br />

odiose ai contadini, la soppressione di<br />

ogni libertà di espressione costringeva<br />

gli intellettuali nel dilemma del silenzio<br />

o dell’epurazione, la polizia segreta minacciava<br />

tutti gli ungheresi e non risparmiava<br />

nemmeno gli stalinisti più risoluti,<br />

l’insegnamento del russo era obbligatorio,<br />

le uniformi dell’esercito erano simili<br />

a quelle dell’occupante, la stella<br />

rossa ornava tutti gli emblemi. A questo<br />

popolo privato della ragione di vivere,<br />

una stampa schiava ripeteva ogni giorno<br />

che esso era felice e che doveva<br />

ringraziare i Russi della sua felicità.<br />

Da «Le origini della rivoluzione ungherese»<br />

(1957).<br />

te separate. Da allora il nome di Aron brilla<br />

per la sua assenza. Non c’è tra quelli che<br />

ballano nelle "caves" di Saint-Germain,<br />

manca nei festini di Sartre e in quelli della<br />

"gauche", manca nei convegni, ai raduni e<br />

alle manifestazioni. Lo accusavano di essere<br />

freddo, ma per opporsi ci vuole un carattere<br />

riservato. Chi è assetato di platee non<br />

riesce a resistere alle tentazioni della politica<br />

di massa.<br />

Mentre Sartre iniziava quel balletto di<br />

avvicinamenti e allontanamenti con i comunisti<br />

che sarebbe durato tutta una vita, Aron<br />

studiava «quel genio di Marx» per combatterlo<br />

e aderiva alle iniziative culturali finanziate<br />

dagli Stati Uniti nel tentativo di arginare<br />

la soffocante egemonia della "gauche".<br />

Aron eccelleva nel farsi attaccare da destra<br />

e da sinistra, come nel caso della sua battaglia<br />

per l’indipendenza dell’Algeria. Non<br />

nascondeva i suoi disaccordi con de Gaulle.<br />

«Ho litigato con tutti i capi di stato della IV<br />

e della V Repubblica, tranne Giscard», constatava<br />

soddisfatto.<br />

Il tempo non aveva ancora fatto giustizia<br />

dell’ideologia di Sartre quando il caso li<br />

aveva riuniti l’ultima volta. L’isolato e il<br />

conformista si erano incrociati all’Eliseo,<br />

nel 1979. Sartre era cieco, semiparalizzato e<br />

non aveva reagito al saluto affettuoso di<br />

Aron, che l’aveva chiamato, come quando<br />

erano studenti, «petit camarade».

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