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IL “DOPPIO RITRATTO” DI FRANCESCO BAROZZI. LA ...

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ANNARITA ANGELINI<br />

Il “doppio ritratto” di Francesco Barozzi. La traduzione<br />

del Commento di Proclo a Euclide<br />

Un uomo quindi, nato e formatosi<br />

nelle cosiddette scienze esatte, non<br />

comprenderà facilmente, dall’altezza<br />

della sua ragione intellettiva, che ci<br />

possa anche essere una fantasia<br />

sensibile esatta, senza la quale non sarebbe pensabile l’arte<br />

(J.W. Goethe, 1790) 1<br />

Non è raro, per un pittore del Cinquecento, prestare il proprio<br />

volto all’immagine di un altro personaggio suggerendo l’identificazione<br />

tra sé e il personaggio ritratto: nel Giudizio universale Michelangelo<br />

offre il proprio viso alla pelle scuoiata di San Bartolomeo; Raffaello<br />

celebra se stesso come Apelle nella Stanza della Segnatura, Giorgione<br />

si rappresenta quale biblico David; Dürer e ancora a Raffaello nella<br />

Trasfigurazione, assumono le sembianze di Cristo o fanno assumere a<br />

Cristo le proprie 2 . Qualcosa di analogo fanno i filosofi e i letterati –<br />

da Leon Battista Alberti a Giordano Bruno – i quali dissimulano loro<br />

1 J.W. Goethe, Metamorfosi delle piante, tr. it. a c. di S. Zecchi, Guanda,<br />

Parma 1983, p. 150.<br />

2 “Io, Albrecht Dürer di Norimberga, all’età di 28 anni, con colori eterni ho<br />

creato me stesso a mia immagine”: così nell’iscrizione che il pittore pone<br />

accanto all’Autoritratto con pelliccia del 1500 (Monaco, Alte Pinakothek) nel<br />

quale si raffigura con elementi dell’iconografia di Cristo. Nella Trasfigurazione<br />

(Pinacoteca Vaticana) tradizionalmente considerata l’ultima opera di Raffaello,<br />

il viso di Cristo ha le sembianze di Raffello, con la barba, quale viene<br />

rappresentato da Giulio Bonasone, Vasari e nel Doppio ritratto del Louvre.<br />

L’autoritratto attribuito a Giorgione sotto le sembianze di David con la testa<br />

di Golia, è databile intorno al 1509-1510 (Braunschweig, Herzog Anton<br />

Ulrich Museum).<br />

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Philosophia III (2/2010 - 1/2011)<br />

stessi ed elementi autobiografici entro le loro opere attraverso pseudonimi,<br />

alter-ego, mitici personaggi e autori della tradizione, con l’intenzione<br />

più di mostrarsi e identificarsi che non di nascondersi.<br />

Più che a uno scambio di ruoli, la cultura rinascimentale abitua a<br />

una metamorfosi presente/passato, il cui protagonista o motore è l’autore<br />

moderno (indifferentemente artista, letterato, filosofo), consapevole<br />

non solo di meritare l’ammissione al convito della tradizione, ma<br />

anche di essere capace di riportare in vita, nel presente, le auctoritates<br />

del passato, sia pure con le indispensabili trasformazioni, omissioni,<br />

aggiornamenti. La simmetria tra sé e l’altro è ancora più consueta nell’imponente<br />

attività di traduzione e restituzione di testi classici, che<br />

interessa la cultura rinascimentale: auctor ed editor intrattengono un<br />

dialogo nel quale non è sempre facile separare la parola dell’autore da<br />

quella dell’interprete. Più che mai vicino alla fonte per il possesso di<br />

una lingua antibarbara, l’editor si sente abilitato a interferire con la<br />

fonte “audacius vertere… omissa supplere et effusa substringere”;<br />

autorizza se stesso non solo a interpretare il senso delle parole dell’autore,<br />

ma anche ad affrontare “circa eosdem sensus certamen atque<br />

emulationem” 3 . È proprio la restituzione ad sensum più che ad verbum<br />

del pensiero e dell’immagine degli antichi, secondo la lezione di<br />

Manuele Crisolora, ad autorizzare identificazioni, sovrapposizioni,<br />

metamorfosi, transfert. Gli esempi non mancano: come l’Apelle-Raffaello<br />

della Scuola d’Atene ha le sembianze del pittore moderno che<br />

ne riconosce l’autorità e in pari tempo ne eredita il lascito, così Ermolao<br />

Barbaro nelle Castigationes si mimetizza con la prosa essenziale di<br />

Plinio al fine di ricrearne le stesse condizioni linguistiche e stilistiche<br />

e, per il tramite di quelle, rinnovarne le istanze culturali ed enciclopediche<br />

4 . Se le intenzioni che portano gli artisti a sovrapporsi, o a mime-<br />

3 Cfr. la lettera di dedica a Sisto IV premessa a H. Barbaro, Paraphrasis in<br />

posteriora Aristotelis in physica, Tarvisii, per B. Confalonerium et Morellum-<br />

Gerardinum de Salodio, 1481, pp. 9-10; ed. critica di V. Branca, Ermolao<br />

Barbaro, Epistolae, Orationes et Carmina, Libreria editrice “Bibliopolis”,<br />

Firenze 1943, vol. I, VIII.<br />

4 Sulla relazione che Barbaro stabilisce con Plinio, alla Introduzione di G.<br />

Pozzi in Hermolai Barbari Castigationes plinianae in Pomponium Melam,<br />

Antenore, Padova 1973, vol. I, p. CLXI.<br />

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Annarita Angelini - Il “doppio ritratto” di Francesco Barozzi<br />

tizzarsi, nei soggetti dei loro ritratti non sono svariate 5 , anche gli<br />

‘autoritratti’ disegnati dalla filologia umanistica sulle fonti riproposte<br />

non hanno tutti gli stessi tratti e le stesse istanze, né presentano lo stesso<br />

grado di complessità. Decifrare appieno il sensus che l’editor ha<br />

voluto vedere e far vedere attraverso il proprio lavoro filologico, non<br />

è più facile di quanto non sia decifrare il significato trasmesso da<br />

un’opera d’arte: nell’uno e nell’altro caso sfuggente non è solo il contenuto<br />

interpretato o rappresentato (la fonte restituita o il soggetto<br />

dipinto), ma anche la forma attraverso la quale quel particolare contenuto<br />

viene espresso attraverso un segno (grafico o grammaticale)<br />

tanto da risultare identificabile, inseparabile e ‘concomitante’ con<br />

quello 6 . Come lo stile dell’artista, così la grammatica del filologo umanista<br />

non si sovrappone al contenuto concettuale che veicola, ma si<br />

impone come strumento per mezzo del quale quel contenuto si costituisce<br />

e si fissa. Si costituisce e si fissa nel presente, nell’atto della<br />

determinazione concettuale del soggetto (dell’umanista come dell’artista),<br />

anche quando l’origine, la fonte, è collocata nel passato.<br />

5 Il ritrarsi di Dürer nei panni di Cristo, onde celebrare la virtù formativa<br />

della pittura, non ha lo stesso significato della “doppia” trasfigurazione di<br />

un Raffaello ormai prossimo all’abbandono di questa vita. Un’intenzione<br />

politica è riconoscibile nell’autoritratto di Piero della Francesca dormiente<br />

tra i soldati a guardia del Santo Sepolcro nell’affresco della Resurrezione,<br />

eseguito tra il 1450 e il 1463 (Sansepolcro, Museo Civico); un’intenzione<br />

spirituale è facilmente ipotizzabile nell’identificazione di Michelangelo con<br />

il martirio di San Bartolomeo, nel Giudizio universale.<br />

6 Concomitante e inseparabile nel senso che la forma grammaticale o lo stile<br />

non intervengono a esprimere un contenuto già dato, ma quel contenuto si<br />

forma a mano a mano che si fissa entro un precisa forma. Tale concomitanza,<br />

applicata al lavoro editoriale degli umanisti, permette non solo di interpretare<br />

la complementarità di filologia e filologia, ma anche di riconoscere,<br />

nelle diverse fasi e tappe della translatio studiorum rinascimentale, l’originalità<br />

e la modernità (vale a dire la contemporaneità) delle quali si carica il<br />

testo o l’autore restituito, tradotto, o commentato. Il parallelo filologia/pittura,<br />

del quale mi servo qui con l’intento di chiarire più che di documentare<br />

storicamente o di ‘ornare’ retoricamente l’excursus sull’edizione di F.<br />

Barozzi, utilizza il concetto di “simbolo” e di “forma simbolica” di E. Cassirer,<br />

Filosofia delle forme simboliche (1923), tr. it., La Nuova Italia, Firenze<br />

1976, cfr. in part., vol. I, pp. 20-21.<br />

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Philosophia III (2/2010 - 1/2011)<br />

Ambigua o difficile da interpretare è la presenza del pittore nel<br />

Doppio ritratto di Raffaello conservato al Louvre. Raffaello barbuto<br />

(come tornerà a essere nella Trasfigurazione) rivolge lo sguardo<br />

verso lo spettatore, mentre tiene una mano appoggiata sulla spalla<br />

del personaggio in primo piano. Il personaggio in primo piano<br />

cerca con lo sguardo l’artista che gli sta alle spalle e intanto indica<br />

con la mano qualcosa o qualcuno fuori del quadro. Raffaello guarda<br />

nella direzione indicata dalla figura in primo piano; questa cerca<br />

con lo sguardo Raffaello e da Raffaello è cercato con la mano 7 .<br />

Gli occhi dell’uno (Raffaello) e le mani dell’altro (il personaggio<br />

in primo piano) guidano verso un esterno assente dalla rappresentazione<br />

ma presente nell’evocazione di entrambi tanto da lasciare<br />

intendere che il vero protagonista del quadro non sia all’interno<br />

della tela, bensì all’esterno; ma allo stesso tempo con gli occhi (del<br />

personaggio in primo piano) e con la mano (di Raffaello), le due<br />

figure si collegano tra loro così strettamente da sovrapporsi e dissolversi<br />

l’una nell’altra: dissolvenza e sovrapposizione enfatizzate<br />

per via della somiglianza degli attributi dei due ritratti: la barba, la<br />

camicia bianca, il mantello scuro. Il ritratto di un’assenza o di un<br />

convitato di pietra ottenuto non attraverso due ritratti in un solo<br />

quadro 8 , ma attraverso un “doppio ritratto” o, se si preferisce,<br />

attraverso il ritratto di “Raffaello e il suo doppio”.<br />

7 Olio su tela, il Doppio ritratto venne eseguito tra il 1518 e il 1519. Mentre il<br />

personaggio sul fondo è inequivocabilmente Raffaello, sull’identificazione<br />

della figura in primo piano le ipotesi sono diverse. L’atteggiamento di familiarità<br />

espresso dalla mano sulla spalla non lascia dubbi sul fatto che debba<br />

trattarsi di persona vicina al pittore: forse un allievo, oppure il maestro di<br />

scherma di Raffaello giacché si riconosce, accanto alla mano sinistra, l’elsa<br />

di una spada, oppure ancora l’amico Giovan Battista Branconio al cui palazzo<br />

romano Raffaello aveva lavorato proprio nel 1518.<br />

8 Si confrontino, per riconoscere la peculiarità del Doppio ritratto del Louvre,<br />

altri ritratti ‘doppi’. Attribuito a Raffaello il ritratto dei veneziani Beazzano<br />

e Navagero, noto anch’esso come Doppio ritratto (Roma, Galleria Doria<br />

Pamphili), databile intorno al 1516. Qui i due personaggi, i cui sguardi non<br />

si incontrano, sono ritratti in primo piano, senza altra relazione reciproca<br />

oltre quella della contiguità. Doppio ritratto è anche il titolo dell’olio su tela<br />

attribuito a Giorgione (Roma, Museo Nazionale di Palazzo Venezia), data-<br />

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Annarita Angelini – Il “doppio ritratto” di Francesco Barozzi<br />

Se proseguiamo sul filo della formula ut pictura poësis, una condizione,<br />

o un nesso funzionale, paragonabile a quello del Doppio<br />

ritratto del Louvre, sembra potersi rintracciare nell’edizione cinquecentesca<br />

del Commento di Proclo al primo libro degli Elementi<br />

di Euclide. Il testo greco era accessibile a stampa dal 1533, pubblicato<br />

da Simon Grynaeus in appendice alla prima edizione greca<br />

degli Elementi 9 , ma la fortuna del Commento è legata soprattutto<br />

all’edizione latina che Francesco Barozzi, professore di matematiche<br />

a Padova, pubblicò nel 1560 10 .<br />

Come Barozzi segnalava, rispetto all’edizione di Basilea, condotta<br />

su un solo manoscritto, per di più lacunoso e corrotto, la versione<br />

latina era stabilita su un codice “vetustissimus” trovato a Candia e<br />

confrontato con altri quattro manoscritti, due dei quali bolognesi,<br />

uno veneziano e uno padovano 11 . Anche se a separarle è meno di un<br />

trentennio, sotto il profilo filologico le due edizioni non sono nemmeno<br />

paragonabili. Potremmo dire che il Proclo latino di Barozzi è<br />

bile al 1502 (le datazioni oscillano tra 1500 e il 1510). I due giovani ritratti<br />

concorrono a determinare un’intonazione complessivamente riflessiva, ma<br />

le figure sono sostanzialmente indipendenti l’una dall’altra, rivolte verso lo<br />

spettatore.<br />

9 Procli editio prima quae Simonis Grynaei opera addita est Euclidis Elementis,<br />

Basileae, apud J. Hervagium, 1533.<br />

10 Procli Diadochi Lycii Philosophi Platonici ac Mathematici Probatissimi in Primum<br />

Euclidis Elementorum librum Commentariorum ad universam mathematicam<br />

disciplinam principium eruditionis tradentium libri IIII. A Francisco<br />

Barocio Patritio Veneto summa opera, cura ac diligentia cunctis mendis expurgati:<br />

Scholiis, et Figuris, quae in graeco codice omnes desiderabantur aucti, primum<br />

iam Romanae linguae venustate donai, et nunc recens editi, Patavii,<br />

excudebat Gratiosus Perchacinums, 1560.<br />

11 Ibidem, dedica Clarissimo Danieli Barbaro Patriarchae Aquileiensi Designato,<br />

Franciscus Barocius (cc. 2r-3v]: “primum Bononiam profectus sum, ubi<br />

inveni duo exemplaria manuscripta, alterum in bibliotheca S. Salvatoris […]<br />

alterum in bibliotheca excellentissimi viri Fabricii Garzoni […] duo adhuc<br />

vidi graeca exemplaria, unum Venetiis in bibliotheca Sanctorum Ioannis et<br />

Pauli, alterum Patavii, ex biblioteca Ioanni Vincenti Pinelli”. Dei cinque<br />

codici, due sono identificati: Bologna, Biblioteca Universitaria, MS 2293;<br />

Milano, Biblioteca Ambrosiana, MS A164 sup.<br />

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Philosophia III (2/2010 - 1/2011)<br />

uno di quei documenti (peraltro non rari) che dimostrano quanto la<br />

filologia fosse parte essenziale della formazione del matematico-umanista;<br />

come sia esistito cioè, insieme a un umanesimo letterario e filosofico,<br />

ben ricostruito dalla storiografia degli ultimi due secoli, un<br />

umanesimo matematico, o un umanesimo del Quadrivio, che rispetta<br />

gli stessi criteri, grammaticali, razionali, critici, dell’altro.<br />

È fuori dubbio come, nel platonismo di Marsilo Ficino sia<br />

impossibile separare il filologo dedito alla mirabile opera di traduzione<br />

di Platone e dei neoplatonici, dal filosofo della Theologia platonica<br />

o del De vita. La traduzione di Platone, sempre ineccepibile<br />

sotto il profilo grammaticale e attenta, ove possibile, al confronto<br />

tra le diverse lezioni trasmesse dai codici, è una traduzione teoricamente<br />

orientata dal pensiero ficiniano; allo stesso modo l’elaborazione<br />

filosofica delle opere cosiddette originali di Ficino non sarebbe<br />

stata concepibile senza il lavoro di restituzione grammaticale<br />

condotto sul testo dei dialoghi tradotti per Cosimo de’ Medici 12 . La<br />

stessa simmetria tra linguaggio e pensiero, tra filosofia e filologia<br />

coinvolge il lavoro di Francesco Barozzi. Le competenze matematiche<br />

e l’orientamento filosofico del professore di Padova, si lasciano<br />

riconoscere nella restituzione latina del testo, nelle specifiche<br />

scelte lessicali, nella sintassi argomentativa: un lavoro di ineccepibile<br />

filologia umanistica, ideologicamente ed epistemologicamente<br />

orientato. Allo stesso tempo, la competenza grammaticale con la<br />

quale l’umanista affronta il testo di Proclo e, indirettamente, quelli<br />

di Euclide e di Platone, diventa determinante nell’elaborazione di<br />

una filosofia della matematica e di una teoria della conoscenza<br />

esemplata sugli stoicheia euclidei, quale è quella sottesa al commento<br />

e alle altre opere pubblicate tra il 1558 e il 1586.<br />

Il paragone con Ficino non è casuale e non finisce qui: attraverso<br />

la geometria neoplatonica Barozzi sembra volere declinare,<br />

entro l’ambito del Quadrivio, istanze concordiste e sincretiche analoghe<br />

a quelle avanzate da Ficino. Si direbbe che anche il matema-<br />

12 Per limitarsi all’ambito prossimo a Barozzi, basta segnalare le traduzioni di<br />

Plinio, Aristotele, Temistio dovute a Ermolao Barbaro.<br />

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Annarita Angelini – Il “doppio ritratto” di Francesco Barozzi<br />

tico padovano intenda ricostruire l’aurea catena di un sapere<br />

perenne che si era sviluppato con coerenza e continuità dall’antichità<br />

greca fino all’epoca presente: una concordia philosophorum et<br />

mathematicorum che da Euclide, Platone, Archimede, i matematici<br />

alessandrini, i neoplatonici, Simplicio e i commentatori greci di<br />

Aristotele, raggiungeva e trovava compimento nella rinascita umanistica<br />

delle matematiche. Sebbene Barozzi non lo citi, il suo Proclo<br />

latino aveva un antecedente nel De expetendis di Giorgio Valla,<br />

pubblicato a Venezia nel 1501 e, segnatamente, nei capitoli XIV-<br />

XXIV del primo libro dedicati alle matematiche, con ogni probabilità<br />

noti al commentatore padovano 13 .<br />

Se però Ficino, con la sua opera, diede voce, nel Quattrocento,<br />

a un Platone che gli somiglia come il San Bartolomeo della Sistina<br />

somiglia a Michelangelo o l’Apelle della Scuola di Atene somiglia a<br />

Raffaello, la relazione che Barozzi stabilisce con Proclo sembra<br />

richiamare il Doppio ritratto del Louvre; e non solo per la simmetria,<br />

piuttosto che l’identificazione o la metamorfosi, tra il commentatore<br />

neoplatonico e l’umanista, ma anche per l’incombenza di<br />

una voce fuori campo che orienta la reciproca relazione. Non con<br />

il disegno, alla maniera di Raffaello, ma con il mezzo filologico,<br />

Barozzi gioca con la fonte e con il commento, ma gioca con “esattezza”<br />

dei pittori prospettici del suo tempo alterando ad libitum la<br />

distanza tra Proclo e Euclide, tra sé e Proclo, tra Euclide e se stesso,<br />

sullo sfondo del dibattito cinquecentesco de certitudine mathematicarum.<br />

Barozzi scruta la fonte seguendo l’indicazione di Proclo<br />

come Raffaello cerca all’esterno del quadro seguendo la mano del<br />

personaggio che gli sta appresso; come Raffaello con la mano<br />

appoggiata sulla spalla dell’amico, così anche il matematico padovano<br />

conferma ed è confermato dalla mediazione di Proclo ottenendone<br />

a propria volta consenso e richiesta di senso.<br />

13 Georgii Valla Placentini De expetendis et fugiendis rebus opus…, Venetiis, in<br />

aede Aldi Romani, 1501. Debbo la segnalazione dei capitoli matematici del<br />

De expetendis a Walter Tega che sta attendendo a un lavoro sull’enciclopedia<br />

di Valla; cfr. L. Maierù, La diffusione di Proclo, commentatore di Euclide,<br />

nel Cinquecento, Letteraria Editrice, Soveria Mannelli 1999, pp. 49-68.<br />

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Philosophia III (2/2010 - 1/2011)<br />

2. Quando ci si accinga all’analisi del “Proclo latino” di Barozzi<br />

non si può prescindere dalla particolarità di un’opera che<br />

potremmo chiamare un meta-meta-testo.<br />

Diciannove secoli trascorrono tra il testo e il commento del<br />

commento: un tempo lunghissimo, denso di equivoci e di incidenti.<br />

In questo, come, del resto, nella maggioranza dei casi in cui si<br />

affronti la ripresa di una fonte antica, la distanza storica è completamente<br />

sfasata rispetto al tempo della tradizione (o della trasmissione)<br />

del testo.<br />

Con tutta probabilità, la versione degli Elementi a disposizione<br />

di Proclo è anteriore alla redazione di Teone di Alessandria; se così<br />

fosse, si tratterebbe di una versione del trattato euclideo più vicina<br />

al testo originale di quanto non fossero le edizioni circolanti del Cinquecento.<br />

L’Euclide-Teone sul quale Barozzi collaziona il meta-testo<br />

di Proclo non è quindi lo stesso Euclide commentato dal filosofo del<br />

V secolo e, verosimilmente, è un testo più recente. Gli otto secoli<br />

che, cronologicamente, separano l’opera di Euclide da quella di<br />

Proclo, si riducono, per quanto attiene alla tradizione del testo degli<br />

Elementi giunto a Barozzi, a qualche decennio: agli anni cioè che<br />

separano la versione di Teone dalla redazione del commento di Proclo.<br />

Se la versione utilizzata da Proclo fosse, come sembra probabile,<br />

anteriore all’elaborazione teoniana, allora Barozzi si sarebbe trovato,<br />

senza saperlo, di fronte al paradosso di un meta-testo (il commento<br />

neoplatonico condotto su una versione degli Elementi precedente<br />

la fine del IV sec. a.C.) anteriore al testo stesso (l’edizione teoniana<br />

degli Elementi databile alla fine del IV secolo). Quello di<br />

Barozzi è il commento cinquecentesco, in latino, di un commento<br />

del V secolo dell’era cristiana, scritto in greco, che si riferisce a un<br />

testo del III secolo a.C. (gli Elementi di Euclide), al quale tuttavia il<br />

meta-commentatore (Barozzi) poteva accedere attraverso antigrafi<br />

sicuramente diversi rispetto a quelli utilizzati dal commentatore<br />

(Proclo), e quasi certamente derivati da copie teoniane esemplate in<br />

epoche successive la stesura del primo commento 14 .<br />

14 Francesco Barozzi può confrontare il commento di Proclo con il testo di<br />

Euclide pubblicato da Grynaeus et con le versioni latine degli Elementi pub-<br />

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Annarita Angelini – Il “doppio ritratto” di Francesco Barozzi<br />

A questo primo incidente, tanto più grave perché non siamo in<br />

grado neppure oggi di confrontare l’Euclide di Proclo con quello<br />

di Barozzi dal momento che non sono giunte a noi copie pre-teoniane<br />

degli Elementi 15 , se ne aggiunge un altro. Benché Proclo<br />

avesse correttamente collocato nel tempo e nello spazio l’autore<br />

degli Elementi riconoscendo in lui il geometra di Alessandria, vissuto<br />

nel III secolo 16 , gli “euclidei” del Rinascimento seguivano la<br />

blicate tra il 1482 e il 1560: [Giovanni Campano da Novara] Elementa in<br />

artem geomatriae et Campani commentationes, Venetiis, Erhard Radlot 1482<br />

(1486 2 , 1491 2 , etc.); [Bartolomeo Zamberti] Euclidis megaresis philosophi<br />

platonicj mathematicarum disciplinarum Janitoris:… expositione Theonis<br />

insignis matematici… voluta in Campani interpretatione: ordinata digesta et<br />

castigata sunt, Venetiis, edibus Ioannis Taccuini 1505 (tra le altre edizioni:<br />

Paris, 1516; Paris, 1537, ecc.); Euclidis Megarensis philosophi acutissimi<br />

mathematicorumque omnium sine controversia principis Opera a Campano<br />

interprete fidissimo translata… Lucas Paciolus theologus insignis… iudicio<br />

castigatissimo detersit, Venetiis impressum per Paginum de Paganinis, 1509;<br />

O. Finé, In sex priores libros Geometricorum Elementorum Euclidis Megarensis<br />

demonstrationes… una cum interpretatione latina Bartholomaei Zamberti<br />

Veneti, Parisiis, apud Simonem Colinaeum, 1536 (1544 2 1551 3 ); Euclides<br />

elementa mathematica, Parisiis, apud L. Graudinus, 1545 con prefazione<br />

di Pierre de la Ramée (1549 2 , 1558 3 ); [J. Magnien] Euclidis Elementorum<br />

libri XV graece et latine…, Lutetiae, apud. Guglielmum Cavellato, 1557; J.<br />

Peletier, In Euclidis Elementa geometrica Demonstrationum libri sex, Lugduni,<br />

apud Ioan. Tornaesinum et G. Gazeium, 1557 e all’edizione italiana di<br />

Niccolò Tartaglia, Euclide megarense philosopho… diligentemente rassettato,<br />

et alla integrità ridotto.. Vinegia, per Venturino Roffinelli, 1543. Per tutti<br />

questi casi si tratta di edizioni e traduzioni condotte sulla versione degli Elementi<br />

approntata da Teone di Alessandria, alla fine del IV secolo. Sulle edizioni<br />

cinquecentesche degli Elementi, si veda M. Steck, Bibliographia Euclideana,<br />

Gerstenberg Verlag, Hildeseim 1981.<br />

15 Nessun esemplare pre-teoniano ci è pervenuto (fatta eccezione di una parte<br />

del Ms. Vaticano 190); per questo è impossibile stabilire quanto l’edizione<br />

di Teone sia fedele al testo originario di Euclide. Si tratta verosimilmente di<br />

un testo semplificato a fini didattici, il quale sembrerebbe inoltre registrare<br />

una serie di correzioni apportate precedentemente, soprattutto in ambito<br />

stoico, cfr. Euclidis Elementa, in Euclidis Opera Omnia, a c. di J.L. Heiberg<br />

et H. Menge, Teubner, Leipzig 1883-1888, pp. XXIV-XCVIII.<br />

16 “Visse al tempo del Primo Tolomeo, perché Archimede, che visse subito<br />

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