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Aspetti logici, linguistici e comunicativi - Biblioteca Universitaria di ...

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Università della Svizzera Italiana<br />

Facoltà <strong>di</strong> Scienze della comunicazione<br />

Lugano<br />

<strong>Aspetti</strong> <strong>logici</strong>, <strong>linguistici</strong> e <strong>comunicativi</strong><br />

Memoria <strong>di</strong> licenza<br />

<strong>di</strong><br />

Sara Greco<br />

Matr. Nr. 98-980-675<br />

Relatore: Prof. Eddo Rigotti<br />

Anno Accademico 2001-2002


Ringrazio tutti coloro che hanno contribuito a questo lavoro e che, soprattutto,<br />

hanno vissuto con me questi quattro anni:<br />

Massimiliano Greco.<br />

Fausto Greco e Maria Greco.<br />

I miei nonni.<br />

Zia Nice.<br />

Carlo Morasso.<br />

Maddalena Fiordelli e Cristina Polledri.<br />

Alessandra Alesani, Laura Borselli e Irene Cucchi.<br />

Alessia Ricci e Melania Zucchi.<br />

Stefano Alberto e Nicola Corti.<br />

Davide Cavalli, Francesco Giuliani e Pietro Piccinini.<br />

Davide Banchini, Dario Busnelli e Luca Fiore.<br />

Elisabetta Bertolone, Francesca Fanni e Chiara Rizzo.<br />

Maria Alberto, Stefano Aval<strong>di</strong>, Marta Berselli, Davide Bolchini, Giuseppe<br />

Brambilla, Andrea Broggi, Martina Crosta, Fabrizio De Luigi, Vera Demaldé,<br />

Pietro Franceschini, Alessandro Inversini, Martino Lapini, Francesco Maino,<br />

Paola Mantegazzi, Elisabetta Masini, Sara Massara, Pietro Meschini, Umberto<br />

Motta, Francesca Rovati, Francesca Savarese, Gregorio Schira, Maria Regina<br />

Setola, Mariagrazia Silvaroli, Mattia Spanò, Chiara Succi, Thi Bang Trinh Tran.<br />

Franco Amati, Maria Luisi e Paolo Pontello.<br />

Giacomo Ceriani, Emanuela De Fazio, Paolo Segalini e tutta l’«auletta».<br />

Terese Black e la sua famiglia.<br />

Paola Bertolino, Sebastian e Erica Hügel, Christoph Matyssek, Kathleen<br />

Schleinitz e Frielo, Sophie e Maria Stolberg.<br />

Prof. Eddo Rigotti e prof. Marco Colombetti.<br />

Dott. Andrea Rocci e dott.sa Sara Cigada.<br />

2


In<strong>di</strong>ce<br />

Sara Greco<br />

Anno Accademico 2001/2002<br />

Memoria <strong>di</strong> Licenza - Relatore: Prof. Eddo Rigotti<br />

La presupposizione: aspetti <strong>logici</strong>, <strong>linguistici</strong> e <strong>comunicativi</strong><br />

In<strong>di</strong>ce<br />

0. Introduzione: presupposizione e comunicazione......................................... 5<br />

0.1 “The invisible man”: quando la presupposizione risolve un caso <strong>di</strong><br />

omici<strong>di</strong>o .......................................................................................................... 5<br />

0.2 Definizione generale ............................................................................ 8<br />

1. La presupposizione: storia del problema................................................... 10<br />

1.1 Le pietre miliari nello stu<strong>di</strong>o della presupposizione ............................ 10<br />

1.1.1 Frege .......................................................................................... 11<br />

1.1.2 Russell ........................................................................................ 16<br />

1.1.3 Strawson..................................................................................... 19<br />

1.2 Gli sviluppi dello stu<strong>di</strong>o della presupposizione dopo Strawson .......... 24<br />

1.2.1 Il test della negazione ................................................................. 27<br />

1.2.2 Le “problematic properties” ......................................................... 32<br />

1.3 La definizione pragmatica <strong>di</strong> presupposizione ................................... 34<br />

1.4 Definizioni <strong>di</strong> presupposizione e logica .............................................. 41<br />

1.5 Ulteriori sviluppi.................................................................................. 47<br />

1.5.1 Presupposizione e <strong>di</strong>namica comunicativa ................................. 47<br />

1.5.2 Seuren: i pre<strong>di</strong>cati come fonte delle presupposizioni.................. 52<br />

2 La comunicazione verbale......................................................................... 56<br />

2.1 La comunicazione come azione......................................................... 56<br />

2.2 Senso e sensatezza........................................................................... 59<br />

2.3 Le presupposizioni come tratti imposti dai pre<strong>di</strong>cati ai loro posti<br />

argomentali................................................................................................... 62<br />

2.4 Presupposizioni dei pre<strong>di</strong>cati e presupposizioni dei parlanti .............. 63<br />

3 Esempi: la presupposizione nella comunicazione ..................................... 65<br />

3.1 Il linguaggio comico............................................................................ 65<br />

3


Sara Greco<br />

Anno Accademico 2001/2002<br />

Memoria <strong>di</strong> Licenza - Relatore: Prof. Eddo Rigotti<br />

La presupposizione: aspetti <strong>logici</strong>, <strong>linguistici</strong> e <strong>comunicativi</strong><br />

In<strong>di</strong>ce<br />

3.1.1 Il Mittente e alcuni aspetti del contesto non sono congrui con i<br />

tratti imposti dal connettivo........................................................................ 68<br />

3.1.2 La sequenza non è congrua con la funzione assegnatale dal<br />

connettivo.................................................................................................. 71<br />

3.1.3 Contrad<strong>di</strong>zione con ciò che è noto in un contesto ...................... 72<br />

3.1.4 Banalità: ripetizione <strong>di</strong> ciò che in un contesto è già risaputo....... 74<br />

3.2 Argomentazione e manipolazione...................................................... 76<br />

3.2.1 Sfruttamento del presupposto e manipolazione.......................... 77<br />

3.2.2 “Lo sanno tutti”: la manipolazione legata al verbo sapere........... 82<br />

3.2.3 Argomento <strong>di</strong> autorità e presupposizione.................................... 85<br />

3.2.4 L’endoxon: le premesse implicite dei ragionamenti entimematici 88<br />

3.3 Il tema dei presupposti culturali.......................................................... 94<br />

3.4 Presupposizione e propedeuticità ...................................................... 99<br />

4 Conclusioni.............................................................................................. 103<br />

4


Sara Greco<br />

Anno Accademico 2001/2002<br />

Memoria <strong>di</strong> Licenza - Relatore: Prof. Eddo Rigotti<br />

La presupposizione: aspetti <strong>logici</strong>, <strong>linguistici</strong> e <strong>comunicativi</strong><br />

Introduzione<br />

0. Introduzione: presupposizione e comunicazione<br />

0.1 “The invisible man”: quando la presupposizione risolve<br />

un caso <strong>di</strong> omici<strong>di</strong>o<br />

Per introdurre il problema della presupposizione in modo molto generale<br />

chiederemo l’appoggio <strong>di</strong> un piccolo prete dell’Essex, nato dalla fantasia dello<br />

scrittore G. K. Chesterton, che ne raccoglie le avventure nel famoso volume<br />

Father Brown Stories 1 . Padre Brown, il nostro personaggio, si trova ad avere a<br />

che fare con enigmi polizieschi che parrebbero insolubili, ma che sempre<br />

svelano il loro intricato mistero all’occhio attento del prete detective. In uno dei<br />

racconti, dal titolo “The invisible man”, un tale, <strong>di</strong> nome Isidoro Smythe, riceve<br />

continue minacce <strong>di</strong> morte in lettere e messaggi inviati dal suo rivale in amore.<br />

Giovanni Angus, un giovane che ha appena fatto la conoscenza <strong>di</strong> Smythe,<br />

decide <strong>di</strong> adoperarsi per sottrarlo al pericolo. Per questo, egli decide anzitutto <strong>di</strong><br />

lasciare Smythe al sicuro nel suo stesso appartamento e <strong>di</strong> occuparsi<br />

personalmente delle indagini sulle minacce che egli ha ricevuto. Per assicurarsi<br />

che sia protetto, <strong>di</strong>spone quattro sentinelle <strong>di</strong> fronte e dentro al palazzo dove si<br />

trova l’appartamento <strong>di</strong> Smythe, affinché sorveglino l’entrata e non lascino<br />

passare estranei. Poi si reca a cercare l’amico investigatore Flambeau per<br />

chiedergli consiglio sul caso. Padre Brown, a sua volta amico <strong>di</strong> Flambeau, si<br />

trova fortuitamente a casa dell’investigatore quando Angus si precipita da lui;<br />

per questo viene coinvolto nel tentativo <strong>di</strong> salvare Smythe dalle minacce del<br />

rivale. Flambeau, preoccupato dal racconto che Angus fa della vicenda, decide<br />

<strong>di</strong> recarsi subito da Smythe e affrontare con lui il pericolo. Quando il curioso trio<br />

arriva a destinazione, contro ogni aspettativa, si trova <strong>di</strong> fronte la scena <strong>di</strong> un<br />

delitto ormai avvenuto; le quattro sentinelle giurano tuttavia che nessuno sia<br />

entrato nel palazzo. Quello che parrebbe un mistero dai tratti sovrannaturali<br />

viene risolto brillantemente da Padre Brown, che in<strong>di</strong>vidua l’assassino in<br />

qualcuno che sia potuto entrare e uscire dal palazzo senza dare nell’occhio: il<br />

1 Cfr. G.K. Chesterton (1994).<br />

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Sara Greco<br />

Anno Accademico 2001/2002<br />

Memoria <strong>di</strong> Licenza - Relatore: Prof. Eddo Rigotti<br />

La presupposizione: aspetti <strong>logici</strong>, <strong>linguistici</strong> e <strong>comunicativi</strong><br />

Introduzione<br />

portalettere. Così il piccolo prete spiega la sua intuizione <strong>di</strong> fronte ai suoi<br />

interlocutori attoniti, che non comprendono come sia possibile che qualcuno si<br />

sia introdotto in casa della vittima passando davanti agli occhi <strong>di</strong> ben quattro<br />

attenti osservatori:<br />

Non avete mai osservato come la gente non risponda mai a quello che chiedete?<br />

Rispondono a quello che volete <strong>di</strong>re, o a quello che essi credono che vogliate <strong>di</strong>re.<br />

Supponete, dunque, che una signora chieda ad un’altra, in una villa <strong>di</strong> campagna:<br />

“Non c’è nessuno con lei?” La signora non risponde: “Sì, c’è il maggiordomo, tre<br />

servi, la mia cameriera, ecc.” quantunque la cameriera sia nella stanza, e il<br />

maggiordomo <strong>di</strong>etro la sua se<strong>di</strong>a; ma risponde: “Nessuno è con me, sono sola!”<br />

intendendo <strong>di</strong>re che nella casa non v’è alcuno <strong>di</strong> quelli dei quali suppone che<br />

l’interrogante chieda. Ma supponete che un me<strong>di</strong>co, in caso <strong>di</strong> epidemia, doman<strong>di</strong>:<br />

“Chi c’è con lei?”, allora la signora si ricorderà subito del maggiordomo, della<br />

cameriera e <strong>di</strong> tutti gli altri in casa. Tutta la lingua è usata così: nessuno risponde<br />

letteralmente alle vostre domande, neppure quando la risposta è veritiera. Allorché<br />

quei quattro uomini, onestissimi, <strong>di</strong>ssero che nessuno era entrato nella casa, non<br />

volevano significare che proprio nessuno era entrato: volevano <strong>di</strong>re: nessuno che<br />

potesse essere sospettato riguardo la persona da voi cercata. Un uomo, però, è<br />

entrato e uscito dalla casa, ma essi non se ne sono accorti neppure.<br />

- Un uomo invisibile? – Chiese Angus, alzando le sue rosse sopracciglia.<br />

- Un uomo mentalmente invisibile, - <strong>di</strong>sse Padre Brown. 2<br />

Nel <strong>di</strong>alogo tra Angus e le quattro sentinelle si lascia troppo spazio all’implicito,<br />

ciò che si rivela fonte <strong>di</strong> un’incomprensione la cui <strong>di</strong>namica è descritta<br />

perfettamente dalle parole <strong>di</strong> Padre Brown. In primo luogo, le sentinelle hanno<br />

creduto <strong>di</strong> non dover interpretare il <strong>di</strong>vieto <strong>di</strong> far entrare chiunque nel palazzo in<br />

2 Cfr. G.K. Chesterton (1994 : 92-93): "Have you ever noticed this - that people never answer<br />

what you say? They answer what you mean - or what they think you mean. Suppose one lady<br />

says to another in a country house, `Is anybody staying with you?' the lady doesn't answer `Yes;<br />

the butler, the three footmen, the parlour-maid, and so on,' though the parlour-maid may be in<br />

the room, or the butler behind her chair. She says ‘There is nobody staying with us’, meaning<br />

nobody of the sort you mean. But suppose a doctor inquiring into an epidemic asks, `Who is<br />

staying in the house?' then the lady will remember the butler, the parlour-maid, and the rest. All<br />

language is used like that; you never get a question answered literally, even when you get it<br />

answered truly. When those four quite honest men said that no man had gone into the<br />

Mansions, they <strong>di</strong>d not really mean that no man had gone into them. They meant no man whom<br />

they could suspect of being your man. A man <strong>di</strong>d go into the house, and <strong>di</strong>d come out of it, but<br />

they never noticed him."<br />

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Sara Greco<br />

Anno Accademico 2001/2002<br />

Memoria <strong>di</strong> Licenza - Relatore: Prof. Eddo Rigotti<br />

La presupposizione: aspetti <strong>logici</strong>, <strong>linguistici</strong> e <strong>comunicativi</strong><br />

Introduzione<br />

modo assoluto: domandando <strong>di</strong> tener d’occhio qualunque persona sospetta 3 ,<br />

Angus starebbe in realtà chiedendo <strong>di</strong> impe<strong>di</strong>re l’accesso al palazzo non a tutti,<br />

ma soltanto ad eventuali sospetti, benché nulla del genere venga esplicitato nel<br />

loro <strong>di</strong>alogo. Questo tipo <strong>di</strong> inferenza, legato alla Massima <strong>di</strong> quantità <strong>di</strong> Grice,<br />

porta le sentinelle sia ad interpretare il comando <strong>di</strong> Angus in modo<br />

indebitamente restrittivo, come si è visto, sia a comunicare allo stesso Angus, al<br />

suo ritorno, che nel palazzo non è entrato nessuno, intendendo “nessuno <strong>di</strong><br />

importante”. Il ruolo della presupposizione in questo esempio si evidenzia nelle<br />

premesse implicite del ragionamento delle sentinelle. Esse ritengono che,<br />

rispetto ad un pericolo <strong>di</strong> omici<strong>di</strong>o, esistano persone o categorie <strong>di</strong> persone al <strong>di</strong><br />

sopra <strong>di</strong> ogni sospetto. Il portalettere fa parte appunto <strong>di</strong> una categoria <strong>di</strong><br />

persone insospettabili. A partire da questo presupposto i quattro si comportano<br />

come se egli fosse un “uomo invisibile”, ovvero non ne tengono conto<br />

nell’adempiere il loro compito <strong>di</strong> sorveglianza. Tale assunzione, non esplicitata<br />

e quin<strong>di</strong> non verificata, si rivela un pregiu<strong>di</strong>zio che porterà a conseguenze<br />

tragiche. Il ragionamento delle sentinelle si può riassumere in questi passaggi:<br />

1. Nel palazzo non devono entrare persone sospette.<br />

2. Vi sono persone e categorie <strong>di</strong> persone non sospette.<br />

3. Il portalettere non è sospetto.<br />

4. Il portalettere può entrare nel palazzo.<br />

Dove 2 e 3 sono presupposti implicitamente accettati dalle sentinelle<br />

pre<strong>di</strong>sposte da Angus, mentre 1 è l’assunzione derivata dalla richiesta <strong>di</strong> Angus<br />

ristretta inferenzialmente solo alle persone sospette.<br />

Da quanto detto, sembra che ciò che i parlanti esplicitano nelle conversazioni<br />

non esaurisca la <strong>di</strong>mensione del significato. Vi è una notevole quantità <strong>di</strong><br />

fenomeni appartenenti al dominio dell’implicito, che tuttavia giocano un ruolo<br />

"An invisible man?" inquired Angus, raising his red eyebrows. "A mentally invisible man," said<br />

Father Brown”. Trad. it p. 108.<br />

3 Cfr. G.K. Chesterton (1994 : 86): Angus precisamente chiede alle sue sentinelle <strong>di</strong> “keep count<br />

of any kind of stranger coming up those stairs”.<br />

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Sara Greco<br />

Anno Accademico 2001/2002<br />

Memoria <strong>di</strong> Licenza - Relatore: Prof. Eddo Rigotti<br />

La presupposizione: aspetti <strong>logici</strong>, <strong>linguistici</strong> e <strong>comunicativi</strong><br />

Introduzione<br />

essenziale nella comunicazione. Tra questi fenomeni si situa la<br />

presupposizione che, come esemplificato nel racconto tratto da Father Brown<br />

Stories, può avere una responsabilità determinante in <strong>di</strong>verse situazioni.<br />

L’importanza del fenomeno della presupposizione e la sua rilevanza nella<br />

comunicazione ci incuriosisce al punto <strong>di</strong> ritenere che valga la pena <strong>di</strong><br />

approfon<strong>di</strong>re la genesi e lo sviluppo degli stu<strong>di</strong> su questo tema.<br />

0.2 Definizione generale<br />

Parlare <strong>di</strong> presupposizione significa accostarsi ad un fenomeno <strong>di</strong> importanza<br />

critica all’opera in <strong>di</strong>versi campi della comunicazione. Per un primo approccio al<br />

problema, seguiremo la definizione <strong>di</strong> Dorothea Franck, secondo la quale, con il<br />

termine ‘presupposizioni’ (Präsuppositionen) si intendono in generale<br />

‘presupposti autoevidenti’ (selbverständliche Voraussetzungen, Frege 1892)<br />

che un parlante assume con un’asserzione. Tali presupposti non vengono<br />

esplicitati, ma sono coinvolti nella comunicazione, <strong>di</strong> cui costituiscono lo sfondo,<br />

e devono essere noti sia a chi parla che a chi ascolta. Le presupposizioni sono<br />

una parte delle con<strong>di</strong>zioni che devono essere sod<strong>di</strong>sfatte perché<br />

un’asserzione possa essere adeguata in un dato contesto 4 .<br />

Le presupposizioni non fanno quin<strong>di</strong> parte <strong>di</strong> ciò che viene esplicitamente detto<br />

nella comunicazione verbale; esse si collocano piuttosto nella più “misteriosa”<br />

componente implicita che entra in gioco negli scambi <strong>comunicativi</strong>. Questo<br />

lavoro nasce come tentativo <strong>di</strong> rilevare e descrivere la presenza della<br />

presupposizione nella comunicazione, il funzionamento e le conseguenze <strong>di</strong><br />

questo fenomeno, con l’intento <strong>di</strong> identificare alcuni degli ambiti in cui esso<br />

riveste un ruolo <strong>di</strong> importanza critica. Nel primo capitolo affronteremo la storia<br />

4 Cfr. D. Franck (1972 : 11): “Unter ‘Präsuppositionen’ versteht man im Allgemeinen bestimmte<br />

‘selbverständliche Voraussetzungen’ (Frege 1892), <strong>di</strong>e ein Sprecher mit einer Äußerung macht:<br />

sie werden nicht ausdrücklich behauptet, vielmehr als Annahmen über den vorausgesetzen<br />

Hintergrund der Kommunikation mit in <strong>di</strong>e Äußerung eingebracht und müßen vom Hörer auch<br />

als solche erschließbar sein. Die Präsuppositionen sind ein Teil der Be<strong>di</strong>ngungen, <strong>di</strong>e erfüllt<br />

sein müßen, damit eine Äußerung in einem gegebenen Kontext angemessen sein kann”.<br />

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Sara Greco<br />

Anno Accademico 2001/2002<br />

Memoria <strong>di</strong> Licenza - Relatore: Prof. Eddo Rigotti<br />

La presupposizione: aspetti <strong>logici</strong>, <strong>linguistici</strong> e <strong>comunicativi</strong><br />

Introduzione<br />

del problema dalla sua origine agli stu<strong>di</strong> più recenti e tenteremo <strong>di</strong> identificare<br />

quali siano le definizioni più comprensive dal punto <strong>di</strong> vista delle <strong>di</strong>namiche<br />

comunicative effettivamente in atto. Il tema della presupposizione è stato<br />

oggetto <strong>di</strong> analisi facenti capo ad ambiti teorici <strong>di</strong>versi, dalla filosofia del<br />

linguaggio alla logica e alla linguistica; il nostro intento, che verrà ulteriormente<br />

specificato nel secondo capitolo, è quello <strong>di</strong> adottare il punto <strong>di</strong> vista della<br />

comunicazione verbale utilizzando un metodo rispettoso <strong>di</strong> ciò che avviene <strong>di</strong><br />

fatto negli scambi <strong>comunicativi</strong>. Nel terzo capitolo, affronteremo in modo<br />

esemplificativo alcuni degli ambiti nei quali la presupposizione assume<br />

un’importanza decisiva: in particolare, analizzeremo esempi tratti dal linguaggio<br />

comico, da testi <strong>di</strong> natura argomentativa e dai connessi temi dei presupposti<br />

culturali alla base delle comunità e della propedeuticità come presupposto <strong>di</strong> un<br />

certo livello <strong>di</strong> sapere (scolastico e non). Come già accennato, non si tratta <strong>di</strong><br />

fornire una spiegazione esaustiva del fenomeno, ma <strong>di</strong> saggiare un terreno<br />

fertile <strong>di</strong> spunti per le conseguenze che può determinare nella comunicazione.<br />

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Sara Greco<br />

Anno Accademico 2001/2002<br />

Memoria <strong>di</strong> Licenza - Relatore: Prof. Eddo Rigotti<br />

La presupposizione: aspetti <strong>logici</strong>, <strong>linguistici</strong> e <strong>comunicativi</strong><br />

Capitolo primo<br />

1. La presupposizione: storia del problema<br />

Un’indagine sullo sviluppo delle definizioni che sono state date della<br />

presupposizione è un punto <strong>di</strong> partenza d’obbligo per chi si proponga <strong>di</strong><br />

stu<strong>di</strong>are la rilevanza <strong>di</strong> questo fenomeno nei <strong>di</strong>versi ambiti <strong>comunicativi</strong> in cui<br />

esso opera. Il nostro proposito è quello <strong>di</strong> rinvenire, nel mare magnum degli<br />

stu<strong>di</strong> sulla presupposizione, alcune coor<strong>di</strong>nate fondamentali, in vista<br />

dell’identificazione <strong>di</strong> un nucleo teorico fondante per lo stu<strong>di</strong>o della<br />

presupposizione nelle <strong>di</strong>namiche comunicative.<br />

1.1 Le pietre miliari nello stu<strong>di</strong>o della presupposizione<br />

I fondamenti storici dello stu<strong>di</strong>o della presupposizione possono essere fatti<br />

risalire all’ambito della filosofia del linguaggio e della logica prima ancora che<br />

alla linguistica. In effetti, dalla logica provengono i primi gran<strong>di</strong> stu<strong>di</strong>osi che<br />

hanno affrontato questo tema tra la fine dell’Ottocento e la prima metà del<br />

Novecento: G. Frege, B. Russell e P. F. Strawson. Una caratteristica dei primi<br />

stu<strong>di</strong> sulla presupposizione sta nel loro essere limitati al tema del riferimento<br />

definito e alla connessa analisi delle presupposizioni <strong>di</strong> esistenza: ci si<br />

concentra su questo campo specifico poiché proprio nell’analisi dei problemi<br />

della referenza e del riferimento si evidenziano alcuni ostacoli interpretativi che<br />

costituiscono un limite al metodo della logica classica e risultano tuttavia <strong>di</strong><br />

notevole interesse per la filosofia del linguaggio. L’espressività del linguaggio<br />

naturale, che ammette enunciati che presuppongono il riferimento ad entità<br />

in<strong>di</strong>viduali inesistenti, risulta un problema per la logica classica, che lavora su<br />

enunciati che devono necessariamente avere un valore <strong>di</strong> verità. Sebbene i tre<br />

stu<strong>di</strong>osi che pren<strong>di</strong>amo in considerazione siano giunti a conclusioni tra loro<br />

molto <strong>di</strong>fferenti, comune è l’intento <strong>di</strong> progettare un linguaggio logico immune<br />

dalle imperfezioni della comunicazione verbale. In questo senso, si potrebbe<br />

affermare che i <strong>logici</strong> siano quasi “inciampati” nella presupposizione come un<br />

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Sara Greco<br />

Anno Accademico 2001/2002<br />

Memoria <strong>di</strong> Licenza - Relatore: Prof. Eddo Rigotti<br />

La presupposizione: aspetti <strong>logici</strong>, <strong>linguistici</strong> e <strong>comunicativi</strong><br />

Capitolo primo<br />

fenomeno che <strong>di</strong>sturbava il tentativo <strong>di</strong> costruzione <strong>di</strong> un linguaggio logico<br />

finalizzato a scopi scientifici 5 .<br />

1.1.1 Frege<br />

Il primo ad occuparsi della presupposizione è Gottlob Frege, il cui famoso<br />

articolo Über Sinn und Bedeutung (“Senso e denotazione”), che risale al 1892,<br />

racchiude in stato embrionale molte delle riflessioni che verranno sviluppate dai<br />

suoi successori. Il primato temporale <strong>di</strong> Frege in questo campo è<br />

universalmente riconosciuto e <strong>di</strong>ffuso è anche il giu<strong>di</strong>zio secondo il quale nella<br />

sua opera sarebbero stati toccati, anche se in maniera non sistematica, i punti<br />

salienti del problema 6 .<br />

In Über Sinn und Bedeutung Frege si sofferma in modo particolare sul<br />

significato dei nomi propri e delle espressioni nominali ad essi analoghe. Le<br />

espressioni <strong>di</strong> questo tipo si collocano in una posizione <strong>di</strong> importanza primaria<br />

rispetto al <strong>di</strong>battito sul riferimento, in quanto svolgono la funzione <strong>di</strong> designare<br />

univocamente un oggetto o un in<strong>di</strong>viduo che ha una certa proprietà. A<br />

proposito <strong>di</strong> queste espressioni e degli enunciati che le contengono, e<br />

contengono perciò un riferimento definito, si apre, nell’ambito della filosofia del<br />

linguaggio, un filone <strong>di</strong> ricerca che svelerà quasi subito la sua connessione con<br />

il fenomeno presuppositivo e, con il tempo, il ruolo determinante della<br />

presupposizione negli scambi <strong>comunicativi</strong>.<br />

5 Cfr. D. Franck (1972 : 19): “Russells Analyse ist aller<strong>di</strong>ngs auch nicht als Beschreibung von<br />

Sprechhandlungen in natürlichen Sprache, sondern als Beitrag zur Konstruktion einer zu<br />

wissenschaftlichen Zwecken normierten logischen Sprache gedacht”.<br />

6 Cfr. S.C. Levinson (1983 : 169): “The first philosopher in recent times to wrestle with such<br />

problems was Frege, the architect of modern logic. In elliptical <strong>di</strong>scussion that allows<br />

considerable freedom of interpretation, he raised many of the issues that were later to become<br />

central to <strong>di</strong>scussions of presuppositions”.<br />

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Sara Greco<br />

Anno Accademico 2001/2002<br />

Memoria <strong>di</strong> Licenza - Relatore: Prof. Eddo Rigotti<br />

La presupposizione: aspetti <strong>logici</strong>, <strong>linguistici</strong> e <strong>comunicativi</strong><br />

Capitolo primo<br />

Frege, nell’analizzare il significato dei nomi propri 7 , <strong>di</strong>stingue due componenti:<br />

da una parte, il senso descrittivo (Sinn) del termine; d’altra parte la denotazione<br />

(Bedeutung) 8 , cioè l’oggetto concreto al quale si fa riferimento. Un esempio<br />

celeberrimo preso in considerazione da Frege stesso è la comparazione tra i<br />

nomi propri Morgenstern (stella del mattino) e Abendstern (stella della sera),<br />

che hanno la stessa denotazione - si riferiscono infatti al pianeta Venere - ma<br />

senso <strong>di</strong>verso. Senso e denotazione sono relativamente in<strong>di</strong>pendenti, tanto è<br />

vero che i due termini non sono perfettamente equivalenti e sostituibili in ogni<br />

contesto per chi non sappia che essi si riferiscono allo stesso oggetto nella<br />

realtà.<br />

Nel momento in cui le espressioni utilizzate per compiere un riferimento definito<br />

vengono inserite all’interno <strong>di</strong> un enunciato assertivo del tipo “la stella della sera<br />

è la più bella del firmamento” sorgono problemi che Frege coglie e descrive con<br />

precisione servendosi della <strong>di</strong>stinzione tra Sinn e Bedeutung da lui stesso<br />

introdotta. In un enunciato <strong>di</strong> questo tipo, infatti, si asserisce una caratteristica<br />

(“è la più bella del firmamento”) <strong>di</strong> un termine (“stella della sera”) <strong>di</strong> cui si<br />

comprende il significato e <strong>di</strong> cui si dà per scontato che abbia una denotazione<br />

nel mondo reale. L’esistenza reale del denotatum costituisce però un fattore<br />

critico che occorre analizzare in profon<strong>di</strong>tà. Infatti, se in linea teorica ci si<br />

attende che ad ogni nome proprio corrisponda un senso e ad esso a sua volta<br />

sia legata una denotazione, nelle lingue naturali non mancano le eccezioni a<br />

questo sistema <strong>di</strong> corrispondenze. Si potrebbe forse <strong>di</strong>mostrare che ogni<br />

espressione nominale grammaticalmente corretta ha un senso, ma certamente<br />

vi sono casi nei quali a tale senso non si associa alcun referente nel mondo<br />

reale. Riportiamo un esempio proposto in Über Sinn und Bedeutung:<br />

7 Con il termine “nome proprio” inten<strong>di</strong>amo d’ora in poi, come lo stesso Frege, appunto un nome<br />

proprio o un’espressione equivalente che contenga un riferimento definito ad un in<strong>di</strong>viduo<br />

singolo.<br />

8 Cfr. Frege (1892 : 41). Traduciamo i termini Sinn e Bedeutung con senso e denotazione. Altre<br />

possibili traduzioni sono senso e significato o senso e riferimento, ma a nostro parere il termine<br />

denotazione condensa con più precisione ciò che Frege vuole esprimere con l’uso <strong>di</strong><br />

Bedeutung.<br />

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Sara Greco<br />

Anno Accademico 2001/2002<br />

Memoria <strong>di</strong> Licenza - Relatore: Prof. Eddo Rigotti<br />

La presupposizione: aspetti <strong>logici</strong>, <strong>linguistici</strong> e <strong>comunicativi</strong><br />

Capitolo primo<br />

(1) “Ulisse approdò ad Itaca immerso in un sonno profondo” 9<br />

La frase fa riferimento all’universo dell’O<strong>di</strong>ssea <strong>di</strong> Omero; poiché non sappiamo<br />

se Ulisse in realtà sia mai esistito, il valore <strong>di</strong> verità dell’intero enunciato è in<br />

dubbio. Il rischio è infatti <strong>di</strong> pre<strong>di</strong>care una qualità (“approdò ad Itaca immerso in<br />

un sonno profondo”) <strong>di</strong> un nome proprio vuoto, che non denota alcunché. La<br />

nostra comprensione del senso (Sinn) del termine “Ulisse”, non garantisce in<br />

effetti l’esistenza reale (Bedeutung) del grande eroe omerico. Se Ulisse non<br />

esistesse, non potremmo certamente affermare che l’enunciato sia vero, ma<br />

esso non sarebbe nemmeno falso. Infatti, la negazione <strong>di</strong> (1), nei termini della<br />

logica classica, è: “Ulisse non approdò ad Itaca immerso in un sonno<br />

profondo”. Se tuttavia si stabilisce che Ulisse è un termine che non designa<br />

alcunché, la negazione <strong>di</strong> (1) incorre nella stessa aporia dell’enunciato (1).<br />

Come nel caso precedente, si pre<strong>di</strong>ca una proprietà “a vuoto”, senza cioè<br />

poterla riferire ad un in<strong>di</strong>viduo esistente. I tentativi <strong>di</strong> Frege e dei primi <strong>logici</strong> che<br />

si occupano <strong>di</strong> presupposizione si concentrano intorno alla soluzione <strong>di</strong> questo<br />

problema, con l’intento <strong>di</strong> trovare una formalizzazione sod<strong>di</strong>sfacente degli<br />

enunciati contenenti un riferimento definito.<br />

Nello stu<strong>di</strong>o <strong>di</strong> tali enunciati, si possono identificare due <strong>di</strong>verse aree <strong>di</strong> ricerca:<br />

l’uso <strong>di</strong> tali espressioni pone infatti problemi sia in ambito logico che nel<br />

linguaggio naturale. A questo proposito, come ha messo in luce Bonomi, Frege<br />

propone due soluzioni <strong>di</strong>stinte, “ognuna delle quali ha a che fare con un<br />

problema <strong>di</strong>stinto” 10 . Da una parte, l’ambiguità <strong>di</strong> enunciati come (1) non può<br />

9<br />

Cfr. G. Frege (1892 : 47): “Odysseus wurde tief schlafend in Ithaka ans Land gesetzt”, trad. it.<br />

p. 76.<br />

10<br />

Cfr. A. Bonomi, (1975 : 15). Questa precisazione ci sembra <strong>di</strong> particolare importanza perché<br />

l’approccio della logica e quello dello stu<strong>di</strong>o della comunicazione verbale, nel concentrarsi sul<br />

fenomeno della presupposizione, propongono due punti <strong>di</strong> vista opposti da cui affrontare il<br />

problema. Se i <strong>logici</strong>, infatti, cercano una possibile definizione formale del fenomeno da<br />

collocare all’interno <strong>di</strong> un linguaggio formale che deve per sua stessa natura avere<br />

un’espressività limitata, i linguisti sono interessati a capire come opera <strong>di</strong> fatto la<br />

presupposizione in tutte le occorrenze in cui essa gioca un qualsiasi ruolo nella comunicazione.<br />

Oltre un cinquantennio dopo la pubblicazione <strong>di</strong> Über Sinn und Bedeutung, Irena Bellert<br />

ripropone la medesima <strong>di</strong>stinzione metodologica: secondo la Bellert, il linguista non si prefigge<br />

lo scopo <strong>di</strong> costruire un’architettura logica perfetta ma procede con un metodo inverso. Un<br />

sistema funzionante, quello della comunicazione verbale, non è infatti il risultato ultimo a cui<br />

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Sara Greco<br />

Anno Accademico 2001/2002<br />

Memoria <strong>di</strong> Licenza - Relatore: Prof. Eddo Rigotti<br />

La presupposizione: aspetti <strong>logici</strong>, <strong>linguistici</strong> e <strong>comunicativi</strong><br />

Capitolo primo<br />

essere accettata nel linguaggio formale; come sottolinea Frege stesso, il<br />

problema dell’esistenza reale del referente “Ulisse” non tocca l’arte o la poesia,<br />

bensì la scienza, in quanto caratteristica essenziale degli enunciati del<br />

linguaggio scientifico è la necessità che essi abbiano un valore <strong>di</strong> verità. Il<br />

linguaggio formale deve quin<strong>di</strong> essere delimitato in modo tale che tutti i nomi<br />

propri grammaticalmente corretti abbiano un referente esistente e in<strong>di</strong>viduabile<br />

e che non vengano introdotte nuove espressioni a cui manchi un referente. Per<br />

ottenere questo risultato, è necessario proporre una soluzione convenzionale,<br />

accertandosi che <strong>di</strong> ogni espressione si possa garantire a priori una<br />

denotazione. L’arbitrarietà e la rigi<strong>di</strong>tà <strong>di</strong> questa soluzione appaiono evidenti,<br />

“ma tale svantaggio sembra <strong>di</strong> scarsa entità se si pensa a ciò che si guadagna<br />

dal punto <strong>di</strong> vista della semplicità delle regole del sistema” 11 .<br />

D’altra parte, <strong>di</strong>verso è il caso delle lingue naturali, la cui esuberanza<br />

espressiva 12 va a ledere il rigore scientifico e logico. In esse è possibile ritrovare<br />

espressioni prive <strong>di</strong> denotazione, quin<strong>di</strong> enunciati privi <strong>di</strong> un valore <strong>di</strong> verità<br />

definito. Questo, secondo Frege, non può essere evitato, perché la lingua viene<br />

<strong>di</strong> fatto utilizzata in questo modo dai parlanti. Tuttavia, se nell’uso <strong>di</strong> “Ulisse<br />

approdò ad Itaca immerso in un sonno profondo” non si può pretendere che il<br />

termine Ulisse designi un in<strong>di</strong>viduo realmente esistito, è innegabile che i parlanti<br />

si aspettano che i nomi propri abbiano un referente. Tale è infatti la con<strong>di</strong>zione<br />

perché un enunciato abbia un valore <strong>di</strong> verità: la presupposizione <strong>di</strong><br />

esistenza opera quin<strong>di</strong> come un requisito per la valutabilità <strong>di</strong> un enunciato. Se<br />

tale requisito viene leso, l’enunciato risulta <strong>di</strong>fficilmente classificabile in rapporto<br />

al suo valore <strong>di</strong> verità.<br />

Il meccanismo <strong>di</strong> requisiti e attese che si crea nella comunicazione verbale<br />

comporta un rischio per l’autenticità della comunicazione, rischio che Frege<br />

deve arrivare, bensì il suo dato <strong>di</strong> partenza, che egli deve analizzare per scoprirne le regole. Il<br />

criterio <strong>di</strong> correttezza dell’analisi non è quin<strong>di</strong> la rigorosità formale del sistema costruito, ma<br />

<strong>di</strong>pende dall’adeguatezza delle descrizioni rispetto all’uso effettivo della lingua da parte dei<br />

parlanti. Cfr. I. Bellert (1969 : 226).<br />

11<br />

Così Carnap analizza la proposta <strong>di</strong> Frege. Cfr. R. Carnap, Meaning and necessity, citato in<br />

A. Bonomi (1975 : 20).<br />

14


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La presupposizione: aspetti <strong>logici</strong>, <strong>linguistici</strong> e <strong>comunicativi</strong><br />

Capitolo primo<br />

in<strong>di</strong>vidua con precisione con una delle sue intuizioni più profonde. Egli<br />

denuncia infatti i possibili casi <strong>di</strong> manipolazione (demagogischer Mißbrauch)<br />

legati all’uso <strong>di</strong> espressioni prive <strong>di</strong> un referente, come der Wille des Volkes, la<br />

volontà del popolo 13 . La volontà del popolo, o volontà generale, infatti, non<br />

esiste <strong>di</strong> per sé, ma si definisce soltanto a partire dalla volontà dei singoli: la<br />

volontà è innanzitutto “la capacità <strong>di</strong> volere, la facoltà <strong>di</strong> decidere<br />

consapevolmente il proprio comportamento in vista <strong>di</strong> un dato scopo” 14 e,<br />

come tale, è una prerogativa personale <strong>di</strong> ciascun in<strong>di</strong>viduo. Le volontà singole<br />

e personali degli uomini che fanno parte del popolo possono anche coincidere<br />

su un certo argomento, ma questo non le porta ad identificarsi con una sorta <strong>di</strong><br />

volontà generale in<strong>di</strong>pendente dagli in<strong>di</strong>vidui e quasi personificata. Nel<br />

pre<strong>di</strong>care qualcosa della volontà del popolo, tuttavia, si dà per scontata la sua<br />

esistenza, e questo che può costituire l’origine <strong>di</strong> operazioni manipolatorie.<br />

L’utilizzo manipolatorio dell’espressione la volontà del popolo è riscontrabile in<br />

<strong>di</strong>versi contesti storici, compreso quello attuale, ed è legato in modo<br />

particolarmente significativo alle ideologie nazionaliste e totalitarie del secolo<br />

passato. Frege in<strong>di</strong>vidua già a fine ‘800 la pericolosa incidenza <strong>di</strong> questo tipo<br />

<strong>di</strong> manipolazioni e invita a ricercare quale sia la fonte degli errori che portano<br />

alla manipolazione, aprendo così una delle strade a nostro parere più<br />

interessanti nello stu<strong>di</strong>o della presupposizione. Si tratta <strong>di</strong> comprendere come<br />

il fenomeno della presupposizione opera e a quali meccanismi <strong>comunicativi</strong> si<br />

lega, partendo dalla constatazione delle conseguenze critiche a cui esso può<br />

portare.<br />

12 Cfr. A. Bonomi (1975 : 20).<br />

13 Cfr. G. Frege, (1892 : 56): “Man warnt in den Logiken vor der Vieldeutigkeit der Ausdrücke als<br />

einer Quelle von logischen Fehlern. Für mindestens ebenso angebracht halte ich <strong>di</strong>e Warnung<br />

vor scheinbaren Eigennamen, <strong>di</strong>e keine Bedeutung haben. Die Geschichte der Mathematik<br />

weiß von Irrtümern zu erzählen, <strong>di</strong>e daraus entstanden sind. Der demagogischer Mißbrauch<br />

liegt hierbei ebenso nahe, vielleicht näher als bei vieldeutigen Wörtern. “Der Wille des Volkes”<br />

kann als Beispiel dazu <strong>di</strong>enen; denn daß es wenigstens keine allgemein angenommene<br />

Bedeutung <strong>di</strong>eses Ausdrucks gibt, wird leicht festzustellen sein”.<br />

14 Cfr. Dizionario Italiano Garzanti, www.piazzadante.it.<br />

15


1.1.2 Russell<br />

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Capitolo primo<br />

Nessuno meglio <strong>di</strong> Russell percepisce la problematicità del fenomeno della<br />

presupposizione <strong>di</strong> esistenza e la connessa aporia che deriva dagli enunciati<br />

contenenti un riferimento definito vuoto, ovvero privo <strong>di</strong> referente reale<br />

univocamente determinato. Per comprendere la posizione <strong>di</strong> Russell occorre<br />

ricordare il punto <strong>di</strong> partenza da cui egli si muove, ovvero il tentativo <strong>di</strong> costruire<br />

una lingua logicamente perfetta “zu wissenschaftlichen Zwecken normierten“ 15 ,<br />

regolata a fini scientifici, come osserva la Franck nel passo già citato; da questo<br />

proposito nasce la teoria delle descrizioni, che verrà <strong>di</strong> seguito brevemente<br />

illustrata. Come Frege aveva osservato, la presupposizione risulta un problema<br />

per la logica classica; Russell si prefigge l’obiettivo <strong>di</strong> risolvere tale problema,<br />

ridefinendo il significato degli enunciati contenenti un riferimento definito. Il testo<br />

da cui si può prendere spunto per comprendere la posizione <strong>di</strong> Russell è On<br />

denoting (1905).<br />

Per Russell sono <strong>di</strong> particolare importanza le frasi denotative introdotte<br />

dall’articolo determinato, come “Il padre <strong>di</strong> Carlo II”. Egli <strong>di</strong>stingue questo tipo <strong>di</strong><br />

espressioni dai nomi propri, dal momento che nelle prime è <strong>di</strong> gran lunga più<br />

interessante stu<strong>di</strong>are il meccanismo del riferimento e che esse rappresentano<br />

anche i casi più <strong>di</strong>fficili e problematici da stu<strong>di</strong>are. Consideriamo un esempio tra<br />

quelli che Russell ha utilizzato nella sua analisi e che è rimasto particolarmente<br />

famoso anche nei successivi sviluppi della <strong>di</strong>scussione sul fenomeno della<br />

presupposizione:<br />

(2) The king of France is bald<br />

L’effetto <strong>di</strong> questo enunciato è quello <strong>di</strong> produrre una sospensione del giu<strong>di</strong>zio,<br />

un momento <strong>di</strong> straniamento, perché è risaputo che la Francia è un paese che<br />

attualmente si regge su una forma <strong>di</strong> governo repubblicana; perché esso abbia<br />

un senso completo occorre invece che esista uno e un solo in<strong>di</strong>viduo<br />

15 Cfr. D. Franck (1972 : 19).<br />

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Capitolo primo<br />

identificabile come the king of France. La presenza dell’articolo determinato, in<br />

effetti, in<strong>di</strong>cherebbe unicità e identificabilità del referente, con<strong>di</strong>zione che in (2)<br />

sembra non essere sod<strong>di</strong>sfatta. Evidentemente, la sensatezza <strong>di</strong> questo<br />

enunciato <strong>di</strong>pende da fattori contestuali, in particolare dal periodo storico in cui<br />

essa viene pronunciata. Non è infatti <strong>di</strong>fficile immaginare un tempo passato nel<br />

quale la stessa frase non avrebbe suscitato alcuna sorpresa e forse essa fu<br />

davvero pronunciata in più occasioni. Dal momento che la sensatezza <strong>di</strong> questo<br />

enunciato è legata a fattori del contesto extra-linguistico, l’enunciato stesso<br />

risulta <strong>di</strong>fficilmente formalizzabile. Russell affronta tale problema con quella che<br />

<strong>di</strong>venterà famosa come Teoria delle descrizioni, proponendo una soluzione<br />

secondo la quale un enunciato <strong>di</strong> questo tipo asserisce non solo che il re <strong>di</strong><br />

Francia è saggio, ma anche che esiste uno ed un unico re <strong>di</strong> Francia. In<br />

generale, la forma <strong>di</strong> questo enunciato si può riassumere in: “Uno ed un solo<br />

termine ha la proprietà F, e questo termine ha la proprietà φ”; ovvero,<br />

assumendo che K= re <strong>di</strong> Francia e B= calvo:<br />

c’è esattamente un x tale che Kx (cioè c’è almeno un x tale che Kx e c’è al<br />

più un x tale che Kx);<br />

per tutti gli x tali che Kx vale Bx.<br />

In termini formali:<br />

(2a) xKx xy(Kx Ky x=y) x(KxBx)<br />

che si può abbreviare in:<br />

(2b) B(xKx)<br />

dove (xKx) si legge “la x tale che Kx”. Nell’asserire “ll re <strong>di</strong> Francia è calvo” si<br />

asserisce dunque nello stesso tempo che esiste uno ed un unico re <strong>di</strong> Francia:<br />

questa interpretazione crea una frattura tra la struttura grammaticale degli<br />

enunciati e la loro struttura logica profonda, che risulta latente e in un certo<br />

17


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Capitolo primo<br />

grado autonoma. Russell trasforma, <strong>di</strong> fatto, gli enunciati assertivi<br />

mo<strong>di</strong>ficandone il significato e riducendoli a descrizioni, ciò che porta ad<br />

un’eliminazione del problema iniziale più che alla sua risoluzione. Benché tale<br />

interpretazione appaia controintuitiva e sembri forse complicare l’analisi<br />

semantica, il suo vantaggio risiede appunto nell’eludere il problema<br />

dell’insensatezza dell’affermazione “the king of France is bald” pronunciata ai<br />

giorni nostri. Poiché infatti, secondo Russell, con tale affermazione si asserisce<br />

l’esistenza <strong>di</strong> un re <strong>di</strong> Francia, se egli in effetti non esiste l’enunciato è<br />

logicamente falso, ma non insensato. Dei tre enunciati uniti dalla congiunzione<br />

logica in (2a) il primo è falso; <strong>di</strong> conseguenza la congiunzione tra i tre enunciati<br />

risulta falsa ma, come già detto, non insensata. In questo modo, l’analisi delle<br />

espressioni contenenti un riferimento definito è ricondotta nell’ambito della<br />

logica classica, come era nelle intenzioni originarie <strong>di</strong> Russell.<br />

La Teoria delle descrizioni, che abbiamo qui sommariamente riportato in alcuni<br />

dei suoi aspetti salienti, non manca <strong>di</strong> cadere in contrad<strong>di</strong>zione in alcuni punti,<br />

in particolare per quanto concerne l’analisi <strong>di</strong> enunciati quali “L’attuale re <strong>di</strong><br />

Francia non esiste” o “Il circolo quadrato non esiste” 16 . Secondo l’analisi <strong>di</strong><br />

Russell, infatti, tali enunciati asserirebbero contemporaneamente l’esistenza e<br />

la non esistenza del referente in questione. Da questo punto <strong>di</strong> vista, l’approccio<br />

<strong>di</strong> Russell <strong>di</strong>mostra <strong>di</strong> non essere completamente adeguato per la<br />

formalizzazione <strong>di</strong> ogni tipo <strong>di</strong> enunciato contenente un riferimento definito.<br />

Inoltre, esso si rivela evidentemente inadeguato come descrizione del<br />

funzionamento delle lingue naturali, dal momento che si sostituisce ad una<br />

proposizione un’altra proposizione, mo<strong>di</strong>ficandone il significato. Questa<br />

operazione è <strong>di</strong>scutibile, soprattutto se ci si propone <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>are il<br />

funzionamento della comunicazione verbale. Rigotti mette in luce che:<br />

Wittgenstein osserva nelle Philosophische Untersuchungen che non ha senso<br />

ridurre ad asserti enunciativi gli altri tipi <strong>di</strong> asserti poiché si potrebbe allo stesso<br />

modo ridurre gli asserti enunciativi a proposizioni interrogative seguite dal sì o dal<br />

16 Cfr. E. Rigotti (1972 : 100-101).<br />

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Capitolo primo<br />

no a seconda che l’enunciazione sia affermativa o negativa. In altri termini si può<br />

affermare che Russell non risolve il problema, ma lo elimina 17 .<br />

Benché queste critiche siano fondate, abbiamo voluto riportare alcuni aspetti<br />

salienti della teoria delle descrizioni, in quanto a nostro parere è degno <strong>di</strong> nota<br />

l’intento da cui si origina questa analisi. Russell elimina il problema della<br />

presupposizione <strong>di</strong> esistenza, ascrivendo alla componente assertiva una parte<br />

del significato che invece è implicito e fa parte del fenomeno presuppositivo. In<br />

un certo senso, il tentativo stesso <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>are la presupposizione, anche se con<br />

l’intento <strong>di</strong> ridurla ad altri or<strong>di</strong>ni <strong>di</strong> fenomeni, ne <strong>di</strong>mostra in<strong>di</strong>rettamente<br />

l’importanza.<br />

1.1.3 Strawson<br />

L’analisi <strong>di</strong> Russell viene a più riprese ampliata, ma mai ra<strong>di</strong>calmente<br />

contestata, prima dell’intervento <strong>di</strong> Strawson, che la riprende nell’articolo On<br />

Referring, del 1950. Il riferimento a Russell era inevitabile, data l’importanza<br />

attribuita alla teoria delle descrizioni, al punto che l’articolo <strong>di</strong> Strawson prende<br />

le mosse proprio da una critica <strong>di</strong>retta alla tesi del suo predecessore, che<br />

risultava a quel tempo la più accre<strong>di</strong>tata tra i <strong>logici</strong> anche come descrizione del<br />

linguaggio naturale 18 . Le critiche mosse da Strawson andranno a toccare non<br />

solo la proposta avanzata da Russell per lo stu<strong>di</strong>o del riferimento, ma anche lo<br />

stesso proposito <strong>di</strong> fornire un’analisi della comunicazione con i soli strumenti<br />

della logica formale, dal momento che la comunicazione non è costituita<br />

soltanto da asserzioni esplicite 19 . Tuttavia, pur ritenendo il metodo e i risultati<br />

cui giunge Russell fondamentalmente inadeguati, Strawson non mette in<br />

17 Cfr. E. Rigotti (1972 : 102).<br />

18 Cfr. P.F. Strawson (1950 : 194): “Russell’s Theory of Descriptions [...] is still widely accepted<br />

among <strong>logici</strong>ans as giving a correct account of the use of such expressions in or<strong>di</strong>nary<br />

language”.<br />

19 Cfr. P.F. Strawson (1950 : 208): “the general moral of all this is that communication is much<br />

less a matter of explicit or <strong>di</strong>sguised assertion than <strong>logici</strong>ans used to suppose”.<br />

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Capitolo primo<br />

<strong>di</strong>scussione l’importanza e la rilevanza del <strong>di</strong>battito sulla natura del riferimento,<br />

rispetto al quale egli stesso propone una possibile interpretazione.<br />

Dell’analisi russelliana Strawson contesta dunque i fondamenti, cioè la<br />

possibilità stessa <strong>di</strong> ridurre gli enunciati assertivi a descrizioni e<br />

conseguentemente <strong>di</strong> includere il riferimento ad un in<strong>di</strong>viduo nel processo <strong>di</strong><br />

asserzione. A questo si unisce la considerazione metodologica riguardante la<br />

<strong>di</strong>stinzione, operata da Russell, tra una forma grammaticale ingannevole degli<br />

enunciati e una supposta forma logica latente <strong>di</strong>versa dalla prima, che<br />

giustificherebbe la riduzione degli enunciati assertivi a descrizioni: tale<br />

separazione non corrisponde alle intuizioni naturali dei parlanti nell’uso della<br />

lingua. Ritornando sulla strada in<strong>di</strong>cata da Frege, Strawson <strong>di</strong>stingue<br />

nettamente le asserzioni dal riferimento che esse contengono. Per riprendere<br />

l’analisi dell’enunciato (2), le componenti <strong>di</strong> significato in<strong>di</strong>cate da Russell sono<br />

corrette ma si posizionano per così <strong>di</strong>re su piani <strong>comunicativi</strong> <strong>di</strong>fferenti:<br />

Esiste uno ed un solo in<strong>di</strong>viduo che è re <strong>di</strong> Francia è una componente<br />

implicita, non <strong>di</strong>rettamente asserita: è piuttosto una precon<strong>di</strong>zione per la<br />

possibile verità dell’enunciato (2).<br />

Questo in<strong>di</strong>viduo è calvo è la componente assertiva, ciò che viene<br />

esplicitamente detto quando si usa l’enunciato (2).<br />

L’errore fondamentale che determina la scorrettezza dell’interpretazione <strong>di</strong><br />

Russell viene da Strawson identificato nel mancato riconoscimento <strong>di</strong> una<br />

<strong>di</strong>stinzione essenziale, che si ripropone parallelamente per le frasi (sentences),<br />

come “the king of France is bald”, e le espressioni (expressions), come “the<br />

king of France”:<br />

SENTENCE USE OF A SENTENCE UTTERANCE OF A SENTENCE<br />

EXPRESSION USE OF AN EXPRESSION UTTERANCE OF AN EXPRESSION<br />

Questa duplice tripartizione può essere illustrata grazie ad un esempio che lo<br />

stesso Strawson riporta. Se due persone <strong>di</strong>verse asseriscono “The king of<br />

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Capitolo primo<br />

France is bald”, ma vivono l’una ai tempi <strong>di</strong> Luigi XIV e l’altra ai tempi <strong>di</strong> Luigi<br />

XV, essi fanno due usi (uses) <strong>di</strong>versi della stessa frase. Se due persone <strong>di</strong>verse<br />

<strong>di</strong>chiarano “The king of France is bald” riferendosi allo stesso re, ad esempio<br />

Luigi XIV, si tratta della stessa frase e dello stesso uso ma <strong>di</strong> due enunciazioni<br />

(utterances) <strong>di</strong>verse. La medesima <strong>di</strong>stinzione che qui è stata descritta per le<br />

frasi può essere riportata in modo analogo nel caso <strong>di</strong> espressioni, usi <strong>di</strong><br />

espressioni, e enunciazioni <strong>di</strong> espressioni.<br />

A partire da questa precisazione Strawson può <strong>di</strong>stinguere il significato della<br />

frase “The king of France is bald”, che resta comprensibile in qualsiasi epoca<br />

storica, ed è legato alla frase in se stessa (sentence), dal valore <strong>di</strong> verità della<br />

frase medesima, che <strong>di</strong>pende dall’uso che se ne fa in un determinato contesto.<br />

Il significato <strong>di</strong> un’espressione o <strong>di</strong> una frase è costituito dalle regole dell’uso,<br />

<strong>di</strong>rettive generali per l’utilizzo della frase o dell’espressione in questione. La<br />

menzione o il riferimento non sono caratteristiche legate alla frase in quanto tale<br />

ma sono qualcosa per cui un parlante può utilizzare una frase o un’espressione.<br />

Solo in funzione <strong>di</strong> un uso particolare da parte <strong>di</strong> un parlante sorge la domanda<br />

sulla sensatezza <strong>di</strong> una frase o <strong>di</strong> un’espressione. Riassumendo, mentre il<br />

significato è <strong>di</strong>rettamente funzione <strong>di</strong> una frase o <strong>di</strong> un’espressione, il<br />

menzionare e il riferimento e il valore <strong>di</strong> verità sono funzioni dell’uso <strong>di</strong> quella<br />

frase o espressione 20 .<br />

Strawson propone dunque un’analisi alternativa alla teoria delle descrizioni che,<br />

tra l’altro, dovrebbe possedere il vantaggio <strong>di</strong> corrispondere in misura maggiore<br />

all’uso quoti<strong>di</strong>ano ed effettivo della lingua. Se una persona affermasse in tutta<br />

serietà “L’attuale re <strong>di</strong> Francia è calvo” e ci domandasse un giu<strong>di</strong>zio sul<br />

pensiero appena espresso, noi non risponderemmo, come a ragione mette in<br />

luce Strawson, che quanto detto è falso. Dovremmo invece mettere in<br />

<strong>di</strong>scussione la possibilità stessa <strong>di</strong> <strong>di</strong>scutere sulla calvizie del re <strong>di</strong> Francia,<br />

poiché tale paese, al momento attuale, non è retto dalla monarchia ma da un<br />

20 Cfr. P.F. Strawson, (1950 : 201): “Meaning is a function of a sentence or expression;<br />

mentioning and referring and truth or falsity are functions of the use of the sentence or<br />

expression”.<br />

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Capitolo primo<br />

regime repubblicano. In altre parole non si tratta, come vorrebbe Russell, <strong>di</strong><br />

contrad<strong>di</strong>re l’affermazione (2), ma <strong>di</strong> giustificare il fatto che l’interrogativo sul<br />

suo valore <strong>di</strong> verità semplicemente non debba essere posto. L’enunciato non<br />

perde per questo il suo significato, mentre va persa la possibilità <strong>di</strong> <strong>di</strong>re<br />

qualcosa <strong>di</strong> vero o falso perché manca il riferimento ad un in<strong>di</strong>viduo reale.<br />

Strawson definisce l’uso <strong>di</strong> espressioni o frasi perfettamente corrette e<br />

significative in un contesto in cui manca loro un riferimento definito un uso<br />

spurio 21 , che riconosce come <strong>di</strong>ffuso e soggiacente ai meccanismi dei romanzi<br />

e dei racconti fantastici. “Il re <strong>di</strong> Francia è calvo; egli vive in un castello dorato<br />

con cento mogli...” può essere riconosciuto da chiunque come incipit <strong>di</strong> una<br />

fiaba senza che il mancato riferimento ad un in<strong>di</strong>viduo reale risulti in qualche<br />

modo problematico.<br />

Vero è che, in con<strong>di</strong>zioni normali, quando viene utilizzato una frase contenente<br />

un riferimento definito, l’attesa che si crea è che esso sia utilizzato in modo<br />

corretto, cioè che esista l’in<strong>di</strong>viduo <strong>di</strong> cui si fa menzione e che egli sia<br />

univocamente determinabile grazie a in<strong>di</strong>cazioni contestuali. Così, se qualcuno<br />

ci domanda “chiu<strong>di</strong> la porta”, noi immaginiamo e atten<strong>di</strong>amo che la porta <strong>di</strong> cui<br />

si parla sia facilmente determinabile nel contesto: ad esempio perché vi è una<br />

sola porta nella stanza, o perché è l’unica porta aperta... In questo senso<br />

Russell in<strong>di</strong>vidua esattamente nella sua analisi le con<strong>di</strong>zioni che devono essere<br />

sod<strong>di</strong>sfatte perché un enunciato abbia un valore <strong>di</strong> verità 22 .<br />

Quanto detto non ci autorizza in ogni caso a <strong>di</strong>ssolvere le precon<strong>di</strong>zioni per la<br />

sensatezza <strong>di</strong> un enunciato in una parte <strong>di</strong> ciò che si asserisce con l’enunciato<br />

stesso. La presenza dell’articolo determinato nelle espressioni del tipo “the soand-so”<br />

è un segnale che si sta facendo un riferimento definito, ma non una<br />

garanzia che le con<strong>di</strong>zioni per la verità dell’enunciato siano sod<strong>di</strong>sfatte: il<br />

riferimento è un prerequisito dell’asserzione, ma fare un riferimento non<br />

21 Cfr. P.F. Strawson (1950 : 203).<br />

22 Cfr. P.F. Strawson (1950 : 197): “The way in which he arrived at the analysis was clearly by<br />

asking himself what would be the circumstances in which we would say that anyone who<br />

uttered the sentence S had made a true assertion”.<br />

22


Sara Greco<br />

Anno Accademico 2001/2002<br />

Memoria <strong>di</strong> Licenza - Relatore: Prof. Eddo Rigotti<br />

La presupposizione: aspetti <strong>logici</strong>, <strong>linguistici</strong> e <strong>comunicativi</strong><br />

Capitolo primo<br />

significa asserire qualcosa 23 . Con Bonomi 24 constatiamo che in questo modo<br />

Strawson torna sulle orme <strong>di</strong> Frege, dal momento che per entrambi la presenza<br />

<strong>di</strong> un riferimento ad un oggetto non garantisce l’esistenza dell’oggetto <strong>di</strong> cui si<br />

parla, anche se l’effettiva esistenza dello stesso è necessaria perché si possa<br />

fare un’asserzione autentica. Ci troviamo quin<strong>di</strong> <strong>di</strong> fronte ad un tipo <strong>di</strong><br />

meccanismo comunicativo appartenente alla sfera dell’implicito, per il quale<br />

Strawson identifica una parentela ma non una totale sovrapposizione con<br />

l’implicazione logica 25 . Questo meccanismo verrà in seguito definito dallo stesso<br />

Strawson come la relazione logica <strong>di</strong> presupposizione, che sussiste tra<br />

enunciati: l’esistenza degli oggetti a cui un’asserzione fa riferimento deve<br />

essere considerata un presupposto, cioè una con<strong>di</strong>zione perché l’asserzione<br />

stessa abbia un valore <strong>di</strong> verità 26 .<br />

Secondo questa definizione, un enunciato A presuppone un enunciato B se B<br />

deve essere vero perché A abbia un valore <strong>di</strong> verità: ovvero, se A presuppone<br />

B, B è conseguenza logica <strong>di</strong> A e della sua negazione ¬A. Se B risulta falso, A<br />

non può essere valutato: non è sensato domandarsi quale sia il suo valore <strong>di</strong><br />

verità. Tale interpretazione della presupposizione, intesa come relazione logica<br />

tra enunciati, verrà in seguito denominata “definizione semantica della<br />

presupposizione” e costituirà la base <strong>di</strong> molte analisi linguistiche del concetto<br />

<strong>di</strong> presupposizione: presupposizioni <strong>di</strong> un enunciato sono gli enunciati che<br />

devono essere veri perché esso sia vero o falso.<br />

23 Cfr. P.F. Strawson (1950 : 207): “So once more I draw the conclusion that referring to or<br />

mentioning a particular thing cannot be <strong>di</strong>ssolved into any kind of assertion. To refer is not to<br />

assert, though you refer in order to go on to assert”.<br />

24 Cfr. A. Bonomi (1975 : 51).<br />

25 Cfr. P.F. Strawson (1950 : 204): “To say “the king of France is bald” is, in some sense of<br />

“imply”, to imply that there is a king of France. But this is a very special and odd sense of imply.<br />

“Implies” in this sense is not certain equivalent to “entails”.<br />

26 Cfr. P.F. Strawson (1952): “This is to say, the existence of members of the subject-class is to<br />

be regarded as presupposed [...] by statements made by the use of these sentences; to be<br />

regarded as a necessary con<strong>di</strong>tion, not of the truth simply, but of the truth or falsity of such<br />

statements”.<br />

23


Sara Greco<br />

Anno Accademico 2001/2002<br />

Memoria <strong>di</strong> Licenza - Relatore: Prof. Eddo Rigotti<br />

La presupposizione: aspetti <strong>logici</strong>, <strong>linguistici</strong> e <strong>comunicativi</strong><br />

Capitolo primo<br />

1.2 Gli sviluppi dello stu<strong>di</strong>o della presupposizione dopo<br />

Strawson<br />

Il panorama degli stu<strong>di</strong> sulla presupposizione che prendono le mosse dalla<br />

definizione semantica proposta da Strawson risulta variegato e <strong>di</strong>somogeneo,<br />

ragione per cui il tentativo <strong>di</strong> tracciarne alcune linee fondamentali va incontro<br />

necessariamente a problemi <strong>di</strong> incompletezza e sommarietà. Dalla<br />

pubblicazione dei principali articoli <strong>di</strong> Strawson (On referring, Presupposition: a<br />

reply to mr. Sellars e Introduction to a logical theory), che risale agli anni tra il<br />

1950 e il 1952, alla metà degli anni settanta, quando prendono corpo le prime<br />

ipotesi a sostegno della definizione pragmatica <strong>di</strong> presupposizione, la teoria più<br />

accre<strong>di</strong>tata rimane quella <strong>di</strong> Strawson. Le ipotesi avanzate da Frege e<br />

Strawson, da una parte, e da Russell, dall’altra, sollevano domande<br />

fondamentali a proposito <strong>di</strong> questo problema, ma le lasciano in parte irrisolte.<br />

Tenteremo <strong>di</strong> identificare almeno le correnti lungo le quali si è articolato lo<br />

stu<strong>di</strong>o della presupposizione e <strong>di</strong> identificare alcuni nuclei <strong>di</strong> problemi che<br />

appaiono ricorrentemente nella letteratura. Dal momento che risulta impossibile,<br />

per ragioni <strong>di</strong> spazio, descrivere in dettaglio tutti i contributi dei <strong>di</strong>versi stu<strong>di</strong>osi<br />

presi in considerazione, proponiamo uno schema generale che illustra lo<br />

sviluppo delle teorie della presupposizione da Frege fino ai giorni nostri.<br />

LEGENDA<br />

In<strong>di</strong>ca l’autore a cui un certo stu<strong>di</strong>oso fa principalmente<br />

riferimento.<br />

Collega gli autori che si sono occupati degli aspetti <strong>logici</strong> legati<br />

alla presupposizione.<br />

Collega gli autori che hanno affrontato il tema della<br />

manipolazione connessa alla lesione dei presupposti.<br />

24


FREGE<br />

1892<br />

1900<br />

RUSSELL<br />

1905<br />

Sara Greco<br />

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Memoria <strong>di</strong> Licenza - Relatore: Prof. Eddo Rigotti<br />

Sviluppo degli stu<strong>di</strong> sulla presupposizione<br />

Fondamenti storici<br />

del <strong>di</strong>battito<br />

Definizione<br />

semantica<br />

STRAWSON<br />

1950<br />

1950<br />

BLACK<br />

1958<br />

La presupposizione: aspetti <strong>logici</strong>, <strong>linguistici</strong> e <strong>comunicativi</strong><br />

Capitolo primo<br />

Dibattito sulle posizioni<br />

Russel-Strawson<br />

NERLICH<br />

1965<br />

SELLARS<br />

1954 DUCROT<br />

1969<br />

BELLERT<br />

1969<br />

KEENAN&HULL<br />

1972<br />

KARTTUNEN<br />

1971<br />

FILLMORE<br />

1971<br />

KIPARSKY<br />

1970<br />

Definizione<br />

pragmatica<br />

STALNAKER<br />

1973<br />

WUNDERLICH<br />

1972<br />

EBERT<br />

1972<br />

FRANCK<br />

1973<br />

BONOMI<br />

1979<br />

Sviluppi<br />

recenti<br />

LEVINSON<br />

1983<br />

RIGOTTI&ROCCI<br />

2001<br />

CIGADA<br />

1999<br />

SEUREN<br />

1999<br />

2000<br />

25


Sara Greco<br />

Anno Accademico 2001/2002<br />

Memoria <strong>di</strong> Licenza - Relatore: Prof. Eddo Rigotti<br />

La presupposizione: aspetti <strong>logici</strong>, <strong>linguistici</strong> e <strong>comunicativi</strong><br />

Capitolo primo<br />

Nello schema sono in<strong>di</strong>cati tutti gli autori i cui contributi sono alla base <strong>di</strong> questo<br />

capitolo, a partire da Frege fino ai giorni nostri. Sono in<strong>di</strong>cati i perio<strong>di</strong> storici e le<br />

correnti teoriche che si sono susseguite nello stu<strong>di</strong>o della presupposizione. In<br />

particolare, dopo la pubblicazione dei lavori <strong>di</strong> Strawson, molti dei contributi<br />

degli stu<strong>di</strong>osi successivi si definiscono come approfon<strong>di</strong>mento della posizione <strong>di</strong><br />

Strawson (Bellert, Ducrot, Fillmore, Karttunen, Keenan, Kiparsky e Kiparsky) o<br />

<strong>di</strong> quella <strong>di</strong> Rusell(Black, Nerlich, Sellars). Alcuni autori approfon<strong>di</strong>scono la<br />

definizione semantica <strong>di</strong> presupposizione estendendo lo stu<strong>di</strong>o oltre i confini<br />

della presupposizione esistenziale (Fillmore, Karttunen). Dalla metà degli anni<br />

settanta circa, iniziano a <strong>di</strong>ffondersi le prime proposte per una definizione<br />

pragmatica della presupposizione (Ebert, Stalnaker, Wunderlich), <strong>di</strong> cui<br />

tratteremo nel paragrafo 1.3. A partire da questo momento, vengono proposte<br />

anche le prime raccolte <strong>di</strong> articoli e i primi stu<strong>di</strong> sullo sviluppo storico degli stu<strong>di</strong><br />

sulla presupposizione (Franck, Levinson). Negli ultimi anni, si assiste al<br />

tentativo <strong>di</strong> fornire spiegazioni del fenomeno della presupposizione che tengono<br />

conto degli aspetti positivi sia della definizione semantica che della definizione<br />

pragmatica (Bonomi, Rigotti e Rocci, Seuren) e <strong>di</strong> comprendere le conseguenze<br />

<strong>di</strong> questo fenomeno nella comunicazione verbale (Cigada, Rigotti e Rocci).<br />

A completamento <strong>di</strong> questo quadro introduttivo, riportiamo un elenco <strong>di</strong> <strong>di</strong>versi<br />

tipi <strong>di</strong> meccanismi <strong>comunicativi</strong> nei quali la presupposizione gioca un qualche<br />

ruolo. Questo elenco, che non vuole essere una classificazione definitiva ma<br />

un’esemplificazione iniziale del problema, prende spunto dalla descrizione che<br />

la Franck dà della tematica della presupposizione nell’introduzione <strong>di</strong> una<br />

raccolta <strong>di</strong> saggi sul tema pubblicata nel 1971 27 .<br />

27 Cfr. D. Franck (1972 : 33-34).<br />

26


Sara Greco<br />

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La presupposizione: aspetti <strong>logici</strong>, <strong>linguistici</strong> e <strong>comunicativi</strong><br />

Capitolo primo<br />

TIPO DI MECCANISMO ASSERZIONE PRESUPPOSIZIONE<br />

PRESUPPOSIZIONI<br />

ESISTENZIALI<br />

PRESUPPOSIZIONI<br />

FATTUALI<br />

PRESUPPOSIZIONI<br />

VALUTATIVE<br />

SUBORDINATE<br />

INTRODOTTE DA UNA<br />

CONGIUNZIONE 28<br />

PRESUPPOSIZIONI LEGATE<br />

AD ESPRESSIONI INDICANTI<br />

UN CAMBIAMENTO<br />

PRESUPPOSIZIONI DI<br />

PARTICELLE COME: DI<br />

NUOVO, ANCORA, ANCHE,<br />

SOLO, NON PIÙ<br />

PRESUPPOSIZIONI<br />

CONTROFATTUALI<br />

RESTRIZIONI SELETTIVE 30<br />

Le sorelle <strong>di</strong> Pietro dormono<br />

tutte.<br />

Maddalena ha trovato<br />

Stefano.<br />

Cristina sa che il frigorifero è<br />

vuoto.<br />

In che anno si è sposato<br />

Luigi?<br />

Cristina si scusa con<br />

Maddalena <strong>di</strong> non aver<br />

telefonato a Pietro.<br />

Fa freddo perché è inverno.<br />

Vengo purché mi veniate a<br />

prendere.<br />

Cristina ha lasciato<br />

Bruxelles.<br />

Maddalena ha smesso <strong>di</strong><br />

fumare.<br />

Pietro ha delle sorelle.<br />

Esiste Maddalena ed esiste<br />

Stefano.<br />

È vero che il frigorifero è<br />

vuoto.<br />

Luigi si è sposato.<br />

Non aver telefonato a Pietro è<br />

qualcosa che Maddalena ritiene<br />

sbagliato.<br />

È vero che è inverno.<br />

Il fatto che voi mi veniate a<br />

prendere è positivo (per<br />

me) 29 .<br />

Cristina era a Bruxelles<br />

(presupposizione locale).<br />

Maddalena fumava<br />

(presupposizione<br />

temporale).<br />

Stefano è <strong>di</strong> nuovo a Pavia. Stefano era già stato in<br />

precedenza a Pavia.<br />

Se oggi non piovesse,<br />

potremmo andare sul Bré.<br />

Oggi piove.<br />

Il vestito <strong>di</strong> Maddalena è rosso. Il vestito <strong>di</strong> Maddalena è<br />

colorato.<br />

COSTRUZIONI AGGETTIVALI La giovane Sissi è <strong>di</strong>ventata<br />

oggi imperatrice d’Austria.<br />

Sissi è giovane.<br />

VERBA EFFICIENDI Luigi ha costruito un tavolo. Il tavolo non esisteva prima.<br />

VERBA AFFICIENDI 31<br />

Luigi ha <strong>di</strong>pinto un tavolo. Il tavolo esisteva già.<br />

1.2.1 Il test della negazione<br />

Fin dai primi anni dopo la pubblicazione degli articoli <strong>di</strong> Strawson, a sostegno<br />

dell’ipotesi che la presupposizione costituisca un tipo <strong>di</strong> relazione logica<br />

28 Questa categoria ha però delle limitazioni; infatti le presupposizioni vengono a mancare in<br />

enunciati quali “Fa freddo come se fosse inverno”, o “fa freddo quasi fosse inverno”.<br />

29 Questo presupposto <strong>di</strong> positività è legato in modo particolare alla congiunzione “purché”. Non<br />

avrebbe senso, infatti, <strong>di</strong>re: *“Vengo purché mi picchiate”. Questa caratteristica <strong>di</strong>stingue<br />

“purché” da “solo se”: si può infatti <strong>di</strong>re “Vengo solo se mi picchiate”. Nel significato <strong>di</strong> “solo se”<br />

è assente la componente <strong>di</strong> positività che caratterizza “purché”.<br />

30 In altri termini, la specie presuppone il genere.<br />

27


Sara Greco<br />

Anno Accademico 2001/2002<br />

Memoria <strong>di</strong> Licenza - Relatore: Prof. Eddo Rigotti<br />

La presupposizione: aspetti <strong>logici</strong>, <strong>linguistici</strong> e <strong>comunicativi</strong><br />

Capitolo primo<br />

autonoma e particolare, si sono cercate proprietà essenziali che la <strong>di</strong>stinguano<br />

dalla conseguenza logica e da altri tipi <strong>di</strong> relazioni logiche. Il criterio operativo<br />

più comune per questo il riconoscimento della presupposizione è il cosiddetto<br />

test della negazione (negation test), secondo il quale una proposizione e la<br />

sua negazione con<strong>di</strong>vidono le stesse presupposizioni. Questo criterio deriva<br />

<strong>di</strong>rettamente dalla definizione semantica: dalla definizione <strong>di</strong> Strawson segue<br />

che le presupposizioni <strong>di</strong> un enunciato A coincidono con le presupposizioni<br />

della sua negazione ¬A. Per esemplificare il funzionamento del test, pren<strong>di</strong>amo<br />

un enunciato qualsiasi:<br />

e la sua negazione:<br />

(3a) Giuseppe ha tagliato i capelli.<br />

(3b) Giuseppe non ha tagliato i capelli.<br />

Sia in (3a) che nella sua negazione (3b) resta valido il presupposto<br />

dell’esistenza <strong>di</strong> un in<strong>di</strong>viduo <strong>di</strong> nome Giuseppe; le implicazioni <strong>di</strong> (3a) risultano<br />

invece cancellate in (3b): infatti nel caso del primo enunciato possiamo inferire<br />

che Giuseppe abbia tagliato i capelli, mentre ciò non vale per il secondo<br />

enunciato, perché questo punto è esattamente quanto l’enunciato stesso nega.<br />

Da alcuni autori 32 , il test della negazione viene per così <strong>di</strong>re esteso prendendo<br />

in esame anche gli enunciati interrogativi, nel nostro caso:<br />

(3c) Giuseppe ha tagliato i capelli?<br />

Anche con l’uso <strong>di</strong> questo enunciato, infatti, chi pone la domanda ammette<br />

implicitamente che esista un in<strong>di</strong>viduo <strong>di</strong> nome Giuseppe, univocamente<br />

identificabile grazie a nozioni contestuali, del quale si sta parlando.<br />

Naturalmente, <strong>di</strong>re che le presupposizioni resistono alla negazione non significa<br />

31 Abbiamo ritenuto opportuno inserire le categorie dei presupposti legati ai verba efficien<strong>di</strong> e ai<br />

verba afficien<strong>di</strong>, non presenti nella classificazione originale della Franck.<br />

28


Sara Greco<br />

Anno Accademico 2001/2002<br />

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La presupposizione: aspetti <strong>logici</strong>, <strong>linguistici</strong> e <strong>comunicativi</strong><br />

Capitolo primo<br />

che esse non possano essere in nessun caso contraddette: ma quello che<br />

occorre per negare una presupposizione è una ra<strong>di</strong>cale messa in <strong>di</strong>scussione<br />

dell’atto comunicativo nel suo insieme 33 . Nel nostro caso occorrerebbe obiettare<br />

drasticamente: “Ma <strong>di</strong> chi parli? Chi è questo Giuseppe? Io non conosco<br />

nessun Giuseppe!”, occorrerebbe cioè fermare il flusso comunicativo per<br />

mettere in <strong>di</strong>scussione le premesse del <strong>di</strong>alogo. Chi ascolta deve tenere conto<br />

non solo <strong>di</strong> quello che viene detto, ma anche <strong>di</strong> quello che viene presupposto,<br />

che viene imposto nello svolgersi del <strong>di</strong>scorso. Se i presupposti non vengono<br />

contestati, chi parla è autorizzato a proseguire nella comunicazione dandoli per<br />

scontati e accettati anche da chi ascolta 34 .<br />

Il meccanismo che abbiamo illustrato sembra essere il test <strong>di</strong> controllo più<br />

valido per rilevare e identificare le presupposizioni legate agli enunciati e per<br />

questa ragione è uno dei “punti fermi” citati quasi ovunque nella letteratura sulla<br />

presupposizione 35 . Tuttavia, vi sono dei limiti all’applicabilità del test della<br />

negazione 36 che derivano, a ben vedere, dal fatto che, se si intende la<br />

negazione come capovolgimento del valore <strong>di</strong> verità <strong>di</strong> un enunciato, soltanto le<br />

32<br />

Cfr. ad esempio D. Wunderlich (1972) e E.L. Keenan e R.D. Hull (1972).<br />

33<br />

Cfr. ad es. M. Sbisà, (1999), che sottolinea la <strong>di</strong>fficoltà legata al mettere in <strong>di</strong>scussione i<br />

presupposti <strong>di</strong> una conversazione: “This solution is laborious, because it involves a change of<br />

topic from what was explicitly at issue to what was merely presupposed, as well as being risky,<br />

because it amounts to openly challenging the entitlement of the speaker to issue the utterances<br />

he or she has issued, which may once again lead to a breakdown in the communicative<br />

relationship”.<br />

34<br />

Cfr. D. Wunderlich (1972 : 468): “Wenn er [der Hörer] sie [<strong>di</strong>e Präsuppositionen] nicht<br />

bestreitet, darf der Sprecher für den weiteren Verlauf der Diskussion wohl annehmen, daß er<br />

sie akzeptiert. Wenn er sie aber nicht akzeptiert, muß er sie bestreiten”.<br />

35<br />

Cfr. O. Ducrot (1969 : 246-247) per un’illustrazione <strong>di</strong> come le presupposizioni resistono alla<br />

negazione e alla domanda; C. Fillmore (1971 : 265); D. Franck (1972 : 27-30) per una<br />

spiegazione del test della negazione e della sua derivazione dalla definizione <strong>di</strong> Strawson e p.<br />

35 per una critica all’applicabilità dello stesso test; L. Karttunen (1971a : 288-291) per una<br />

<strong>di</strong>scussione degli effetti della negazione in enunciati complessi contenenti factive o implicative<br />

verbs; P. Kiparsky e C. Kiparsky (1970 : 323), dove la negazione è in<strong>di</strong>cata come uno dei<br />

possibili test per <strong>di</strong>stinguere le presupposizioni dalle asserzioni; E. Rigotti (1987 : 105): “la<br />

negazione fa da confine fra il presupposto e il resto dell’enunciato nel senso che il presupposto<br />

si lascia in<strong>di</strong>viduare come ciò che resta in<strong>di</strong>fferente alla negazione”; E. Rigotti e A. Rocci (2001 :<br />

64 e 71), dove il test della negazione è utilizzato per <strong>di</strong>mostrare la natura presupposizionale<br />

delle con<strong>di</strong>zioni imposte dai pre<strong>di</strong>cati ai loro argomenti; P. Seuren (1974 : 3312-3313), dove il<br />

test della negazione è considerato uno dei test operativi per l’identificazione delle<br />

presupposizioni; D. Wunderlich, (1972 : 467): esempi in cui la negazione intacca il contenuto<br />

dell’asserzione ma non le presupposizioni.<br />

36<br />

Queste riflessioni derivano da una conversazione avuta con il prof. Eddo Rigotti il 17<br />

settembre 2002.<br />

29


Sara Greco<br />

Anno Accademico 2001/2002<br />

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La presupposizione: aspetti <strong>logici</strong>, <strong>linguistici</strong> e <strong>comunicativi</strong><br />

Capitolo primo<br />

asserzioni sono negabili. Le domande, le frasi imperative, le promesse, le<br />

<strong>di</strong>chiarazioni, le preghiere e gli altri atti illocutivi non sono <strong>di</strong> per sé negabili. A<br />

chi <strong>di</strong>cesse “ti prometto che domani verrò da te” non si può rispondere “non è<br />

vero” ma, al limite, “non ci credo”, “non mantieni mai le tue promesse”. Sarebbe<br />

impossibile anche negare una domanda come: “Che ore sono?”. In particolare,<br />

vi sono due categorie <strong>di</strong> fenomeni che mettono in dubbio l’utilità del test della<br />

negazione come mezzo per rilevare la presenza delle presupposizioni: vi sono<br />

infatti tipi <strong>di</strong> presupposizioni che non sono trattabili con il test della negazione e,<br />

inoltre, vi sono parti del <strong>di</strong>scorso che resistono al test della negazione ma non<br />

sono presupposizioni.<br />

Un esempio della prima categoria si può ottenere semplicemente inserendo<br />

l’enunciato (3b) in un contesto più ampio, come in questo caso:<br />

(3d) Giuseppe non ha tagliato i capelli. È calvo!<br />

Si tratta <strong>di</strong> un testo complesso, perché in questo caso “non ha tagliato i capelli”<br />

non è semplicemente la negazione dell’azione <strong>di</strong> tagliare i capelli, ma nega la<br />

possibilità stessa della verità <strong>di</strong> questa azione. Giuseppe non ha tagliato i<br />

capelli nel senso che non può essere vero che abbia tagliato i capelli 37 . Nel<br />

linguaggio parlato, l’intonazione aiuterebbe a comprendere il senso particolare<br />

dell’enunciato in questo contesto; tuttavia, l’enunciato (3b) in se stesso non è<br />

facilmente analizzabile e il test della negazione non fornisce risultati univoci. Se,<br />

infatti, l’enunciato (3a) presuppone senza dubbio l’esistenza dei capelli <strong>di</strong><br />

Giuseppe, la sua negazione (3b) pone, come abbiamo visto, problemi più<br />

specifici a seconda del contesto in cui è inserita.<br />

Un altro caso in cui siamo <strong>di</strong> fronte ad una presupposizione evidente <strong>di</strong> un<br />

enunciato al quale, però non è applicabile il test della negazione, è il seguente:<br />

30


Sara Greco<br />

Anno Accademico 2001/2002<br />

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La presupposizione: aspetti <strong>logici</strong>, <strong>linguistici</strong> e <strong>comunicativi</strong><br />

Capitolo primo<br />

(4) Chi ha mangiato la marmellata?<br />

Abbiamo detto che ad una domanda non è applicabile la negazione come<br />

capovolgimento del valore <strong>di</strong> verità <strong>di</strong> un enunciato; tuttavia, benché il test della<br />

negazione non si possa applicare in questo caso, siamo <strong>di</strong> fronte ad una<br />

presupposizione evidente. L’enunciato (4), infatti, presuppone chiaramente<br />

“qualcuno ha mangiato la marmellata”.<br />

La seconda categoria <strong>di</strong> fenomeni che mettono in <strong>di</strong>scussione la vali<strong>di</strong>tà del test<br />

della negazione è costituita da parti del <strong>di</strong>scorso semplicemente “espresse” e<br />

non negabili, quin<strong>di</strong> non presupposte. Di questa categoria fanno parte alcuni<br />

avverbi modali con funzioni comunicative particolari, posti in generale prima del<br />

rema. Sono avverbi <strong>di</strong> questo tipo “fortunatamente” (che si può <strong>di</strong>re speaker<br />

oriented perché ha nel suo scope il parlante) o “intelligentemente” (che si può<br />

<strong>di</strong>re subject oriented perché ha nel suo scope ciò <strong>di</strong> cui si sta parlando).<br />

Consideriamo un esempio:<br />

(6a) Fortunatamente Luigi è venuto.<br />

“Fortunatamente” non è negabile se consideriamo la negazione <strong>di</strong> (6a):<br />

(6b) Fortunatamente Luigi non è venuto.<br />

Lo stesso vale per “intelligentemente” negli enunciati (7a) e (7b):<br />

(7a) Intelligentemente Luigi ha taciuto.<br />

(7b) Intelligentemente Luigi non ha taciuto.<br />

37 Cfr. M.C. Gatti (2000: 117): “In queste espressioni con la negazione non si capovolgono<br />

valori <strong>di</strong> verità, bensì si obietta ad una certa asserzione per l’errata presupposizione su cui si<br />

fonda e che ci si propone <strong>di</strong> correggere”.<br />

31


Sara Greco<br />

Anno Accademico 2001/2002<br />

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La presupposizione: aspetti <strong>logici</strong>, <strong>linguistici</strong> e <strong>comunicativi</strong><br />

Capitolo primo<br />

Entrambi questi avverbi resistono al test della negazione nei casi considerati,<br />

eppure essi non sono presupposti, ma “espressi” esplicitamente.<br />

Quanto detto ci porta a considerare il test della negazione come un criterio <strong>di</strong><br />

vali<strong>di</strong>tà limitata rispetto al problema dell’identificazione delle presupposizioni.<br />

1.2.2 Le “problematic properties”<br />

I problemi <strong>di</strong> vali<strong>di</strong>tà e applicabilità generali non si limitano al test della<br />

negazione ma si riscontrano anche in rapporto alle altre proprietà e<br />

caratteristiche della presupposizione che sono state in<strong>di</strong>viduate nello stu<strong>di</strong>o<br />

delle occorrenze del fenomeno e del suo funzionamento. A tali problemi si<br />

riferisce Levinson nel definire problematic properties i tratti salienti della<br />

presupposizione che dovrebbero fungere da caratteristiche identificanti 38 . In<br />

particolare, le presupposizioni appaiono essere cancellabili (defeasible) in<br />

alcuni contesti <strong>linguistici</strong> e extra-<strong>linguistici</strong>, ovvero l’aggiunta <strong>di</strong> semplici<br />

premesse rispetto ad un determinato insieme <strong>di</strong> premesse può (in alcuni<br />

contesti) portare come conseguenza la cancellazione, o annullamento, <strong>di</strong> un<br />

presupposto che altrimenti sarebbe valido nel contesto dato. Un altro problema,<br />

simile al primo, è conosciuto nella letteratura sotto il nome <strong>di</strong> projection<br />

problem e riguarda il comportamento <strong>di</strong>fficilmente sistematizzabile delle<br />

presupposizioni <strong>di</strong> enunciati semplici quando essi vengono uniti per formare<br />

enunciati complessi.<br />

La defeasibility o cancellabilità si definisce come proprietà delle presupposizioni<br />

<strong>di</strong> evaporare in certi contesti quando certe assunzioni <strong>di</strong> base vengono<br />

mo<strong>di</strong>ficate o contraddette. Un esempio para<strong>di</strong>gmatico riportato dal Levinson 39 è<br />

38 Cfr. S.C. Levinson (1983 : 185-198). Occorre rilevare che Levinson non riporta né propone in<br />

prima persona spiegazioni sod<strong>di</strong>sfacenti delle ragioni per cui le presupposizioni avrebbero un<br />

comportamento <strong>di</strong>verso in <strong>di</strong>versi contesti <strong>linguistici</strong>.<br />

39 Cfr. S.C. Levinson (1983 : 189). Levinson riprende questo esempio da E.L. Keenan, Two<br />

kinds of presupposition in natural language e D. Wilson Presuppositions and Non-truth<br />

con<strong>di</strong>tional semantics.<br />

32


Sara Greco<br />

Anno Accademico 2001/2002<br />

Memoria <strong>di</strong> Licenza - Relatore: Prof. Eddo Rigotti<br />

La presupposizione: aspetti <strong>logici</strong>, <strong>linguistici</strong> e <strong>comunicativi</strong><br />

Capitolo primo<br />

la cancellazione della presupposizione quando il contesto del <strong>di</strong>scorso cambia o<br />

si specifica, come nel caso seguente:<br />

(8a) It isn’t Luke who will betray you.<br />

presuppone, se si considera soltanto questo enunciato senza specificare con<br />

tratti più precisi il contesto <strong>di</strong> espressione, “Someone will betray you”. Notiamo<br />

che tale presupposizione rimarrebbe valida anche per la negazione <strong>di</strong> (8a), “It is<br />

Luke who will betray you”, superando in questo modo il test della negazione.<br />

Consideriamo però quanto accade quando i dati del contesto linguistico<br />

vengono accresciuti e l’enunciato (8a) risulta parte <strong>di</strong> un argomento più<br />

complesso:<br />

(8b) You say that someone in this room will betray you. Well maybe so. But it<br />

won’t be Luke who will betray you, it won’t be Paul, it won’t be Matthew, and it<br />

certainly won’t be John. Therefore no one in this room is actually going to betray<br />

you.<br />

Il significato <strong>di</strong> “it won’t be Luke who will betray you” risulta inserito in una<br />

<strong>di</strong>namica comunicativa precisa e fa parte del proce<strong>di</strong>mento eliminativo che ha lo<br />

scopo <strong>di</strong> convincere chi ascolta del fatto che nessuno lo tra<strong>di</strong>rà. Nel caso<br />

dell’argomento (8b) la presupposizione <strong>di</strong> (8a) “someone will betray you” viene<br />

a cadere.<br />

Correlato a questo problema è, come è stato già accennato, la proiezione delle<br />

presupposizioni degli enunciati semplici nella composizione <strong>di</strong> enunciati<br />

complessi 40 . Il cosiddetto projection problem presenta due aspetti opposti e<br />

insieme complementari: da una parte, le presupposizioni resistono in contesti<br />

<strong>linguistici</strong> in cui le conseguenze logiche vengono cancellate, dall’altra parte<br />

esse vengono cancellate in contesti nei quali ci si aspetterebbe che<br />

resistessero e nei quali le conseguenze logiche resistono. Ripren<strong>di</strong>amo anche<br />

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La presupposizione: aspetti <strong>logici</strong>, <strong>linguistici</strong> e <strong>comunicativi</strong><br />

Capitolo primo<br />

in questo caso un esempio <strong>di</strong> Levinson e riportiamo una serie <strong>di</strong> enunciati nei<br />

quali la presupposizione “there is a chief constable” si conserva sempre, mentre<br />

le implicazioni logiche variano <strong>di</strong> volta in volta:<br />

(9a) The chief constable arrested three men<br />

(9b) The chief constable <strong>di</strong>dn’t arrest three men<br />

(9c) It’s possible that the chief constable arrested three men<br />

(9d) The chief constable ought to have arrested three men<br />

(9e) The chief constable could have arrested three men<br />

Sul projection problem sono stati fatti numerosi stu<strong>di</strong> volti ad in<strong>di</strong>viduare quei<br />

contesti in cui si potesse prevedere con certezza che le presupposizioni <strong>di</strong> un<br />

enunciato semplice sarebbero state ere<strong>di</strong>tate nella composizione <strong>di</strong> un<br />

enunciato complesso - in questa prospettiva si colloca ad esempio la<br />

categorizzazione che <strong>di</strong>stingue tra factive e non-factive verbs, o tra implicative e<br />

non-implicative verbs 41 . Si tratta tuttavia <strong>di</strong> analisi focalizzate su tipi <strong>di</strong> contesti<br />

molto particolari e limitati e lontane dalla formulazione <strong>di</strong> una teoria generale del<br />

comportamento della presupposizione in enunciati complessi.<br />

1.3 La definizione pragmatica <strong>di</strong> presupposizione<br />

Come è stato osservato, la definizione semantica proposta da Strawson e<br />

adottata negli stu<strong>di</strong> successivi presenta alcuni punti deboli riguardanti<br />

soprattutto limiti <strong>di</strong> applicabilità:<br />

a) Innanzitutto, gli stu<strong>di</strong> sulla presupposizione sono stati tra<strong>di</strong>zionalmente<br />

condotti su enunciati assertivi - enunciati, quin<strong>di</strong>, caratterizzati da un<br />

valore <strong>di</strong> verità definito. I risultati a cui si è giunti con le analisi <strong>di</strong> questo<br />

40<br />

Cfr. C.S. Levinson (1983 : 191-198).<br />

41<br />

Cfr. ad es. C. Fillmore (1971), L. Karttunen (1971b), L. Karttunen (1971a), P. Kiparsky e C.<br />

Kiparsky (1970).<br />

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Capitolo primo<br />

tipo <strong>di</strong> enunciati non sono esten<strong>di</strong>bili in modo automatico ad altri tipi <strong>di</strong><br />

enunciati cui non si può attribuire un valore <strong>di</strong> verità: ad esempio gli<br />

enunciati interrogativi, quelli imperativi, oppure gli enunciati complessi<br />

come i perio<strong>di</strong> ipotetici.<br />

b) In secondo luogo, Strawson assume che le presupposizioni siano<br />

enunciati piuttosto che stati <strong>di</strong> cose, dati della realtà: assunzione che, ad<br />

un’analisi più approfon<strong>di</strong>ta, risulta <strong>di</strong>scutibile. Ai fini della formalizzazione<br />

logica della presupposizione è necessario che i presupposti si possano<br />

esprimere nel linguaggio naturale, dal momento che la logica si occupa<br />

<strong>di</strong> relazioni tra enunciati. Ciò che sfugge all’espressione linguistica non<br />

può essere trattato nemmeno dalla logica. Tuttavia, questa osservazione<br />

non ci autorizza a concludere che i presupposti siano a priori un insieme<br />

<strong>di</strong> enunciati. Verosimilmente, anzi, si potrebbe sostenere che le<br />

presupposizioni siano, almeno in prima analisi, un insieme <strong>di</strong> fatti o <strong>di</strong><br />

stati <strong>di</strong> cose della realtà.<br />

c) Infine, le analisi della presupposizione fino ad ora considerate sono<br />

limitate quasi solamente al tema dei presupposti esistenziali, ciò che si<br />

riscontra a partire dai lavori <strong>di</strong> Frege, Russell e Strawson, come abbiamo<br />

<strong>di</strong>scusso nel paragrafo 1.1. “L’attuale re <strong>di</strong> Francia è calvo”,<br />

probabilmente l’esempio più famoso nell’ambito degli stu<strong>di</strong> sulla<br />

presupposizione rimanda, come si è visto, al problema della<br />

presupposizione <strong>di</strong> esistenza <strong>di</strong> un re <strong>di</strong> Francia.<br />

Dalla metà degli anni settanta inizia a <strong>di</strong>ffondersi una corrente teorica che, a<br />

partire dalle <strong>di</strong>fficoltà riscontrate nell’applicazione della definizione semantica,<br />

tende a sottolineare lo stretto legame tra le presupposizioni e il contesto <strong>di</strong><br />

enunciazione nel tentativo <strong>di</strong> proporre una definizione più ampia che<br />

comprenda tutti i fattori del fenomeno. Le ipotesi nate da questo proposito sono<br />

note sotto il nome generale <strong>di</strong> definizione pragmatica della presupposizione.<br />

Secondo queste teorie, non si possono stu<strong>di</strong>are le presupposizioni degli<br />

enunciati a prescindere dai parlanti che utilizzano tali enunciati in determinati<br />

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Capitolo primo<br />

contesti <strong>comunicativi</strong>. Consideriamo a titolo esemplificativo una possibile<br />

definizione della presupposizione tratta da questo approccio teorico:<br />

Un parlante presuppone che p in un dato momento in una conversazione, se è<br />

<strong>di</strong>sposto ad agire, nel suo comportamento linguistico, come se desse per scontata<br />

la verità <strong>di</strong> p, e come se assumesse che il suo u<strong>di</strong>torio riconosca che egli la sta<br />

dando per scontata 42 .<br />

Due sono i concetti che acquistano una particolare rilevanza in questa<br />

prospettiva: l’appropriatezza (appropriateness o felicity) della comunicazione<br />

rispetto al contesto e il con<strong>di</strong>viso (mutual knowledge o common ground) che<br />

costituisce la conoscenza comune dei parlanti in una data situazione. Da<br />

questo punto <strong>di</strong> vista, occorre considerare le presupposizioni come insieme <strong>di</strong><br />

con<strong>di</strong>zioni appartenenti alle conoscenze pregresse e con<strong>di</strong>vise tra i parlanti e<br />

che gli enunciati devono rispettare perché si realizzi una comunicazione felice<br />

(appropriata). Le prime proposte nel campo della definizione pragmatica <strong>di</strong><br />

presupposizione sono programmatiche e si concentrano in primo luogo sulle<br />

ragioni per cui l’approccio pragmatico è più appropriato nella descrizione del<br />

fenomeno. Esse non forniscono tuttavia una definizione operativa <strong>di</strong><br />

presupposizione sistematicamente utilizzabile per l’identificazione delle<br />

presupposizioni nella comunicazione. Tuttavia, se le teorie pragmatiche della<br />

presupposizione perdono in precisione formale rispetto a quelle semantiche, vi<br />

sono in esse aperture al problema che meritano <strong>di</strong> essere trattenute. In<br />

particolare, ci riferiremo alla posizione <strong>di</strong> R. Stalnaker, esposta nei due articoli<br />

Presuppositions e Pragmatic presuppositions, rispettivamente del 1973 e 1974.<br />

In questi articoli emergono infatti con chiarezza i tratti salienti della definizione<br />

pragmatica <strong>di</strong> presupposizione e i punti <strong>di</strong> forza e <strong>di</strong> debolezza <strong>di</strong> tale<br />

prospettiva rispetto ai precedenti stu<strong>di</strong> semantici.<br />

Il lavoro <strong>di</strong> Stalnaker si sviluppa innanzitutto come messa in <strong>di</strong>scussione delle<br />

teorie semantiche, ciò che d’altronde sembra essere un punto <strong>di</strong> partenza<br />

inelu<strong>di</strong>bile, visto il primato <strong>di</strong> tali teorie come possibili spiegazioni della<br />

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Capitolo primo<br />

presupposizione rimasto in<strong>di</strong>scusso fino alla metà degli anni settanta. Di esse<br />

vengono criticati soprattutto tre aspetti. Innanzitutto, il fatto che le descrizioni<br />

della presupposizione fornite da filosofi del linguaggio e linguisti non abbiano<br />

raggiunto l’obiettivo <strong>di</strong> descrivere adeguatamente il fenomeno in modo astratto,<br />

ma si siano concentrate su alcuni ambiti ristretti nei quali la presupposizione<br />

esercita un’influenza in<strong>di</strong>scutibile. È il caso, ad esempio, dei factive verbs, come<br />

conoscere, rimpiangere, sapere, che presuppongono la verità della<br />

proposizione che li segue. È stato osservato che le presupposizioni sembrano<br />

essere legate a particolari aspetti della struttura linguistica <strong>di</strong> superficie, vale a<br />

<strong>di</strong>re a determinate parole o espressioni, che vengono per questo motivo<br />

denominate presupposition triggers. Vi sono <strong>di</strong>versi tipi <strong>di</strong> presupposition<br />

triggers, ad ognuno dei quali sono legate presupposizioni caratteristiche 43 ma,<br />

come osserva Stalnaker, “ciò che accomuna questi casi è soltanto l’idea<br />

intuitiva <strong>di</strong> presupposizione, insieme ad alcune vaghe generalizzazioni” 44 . Si<br />

riscontra effettivamente una carenza <strong>di</strong> nessi tra questi <strong>di</strong>versi aspetti e <strong>di</strong><br />

“osservazioni generali sulla relazione <strong>di</strong> presupposizione esemplificata dai casi<br />

[...] scoperti” 45 . Che per colmare questa carenza si debba necessariamente<br />

procedere nel senso <strong>di</strong> un affinamento della definizione semantica <strong>di</strong><br />

presupposizione non è per Stalnaker autoevidente: occorre piuttosto ricercare<br />

una spiegazione in grado <strong>di</strong> dare ragione delle aporie riscontrate negli stu<strong>di</strong> su<br />

questo tema anche a costo <strong>di</strong> definire la presupposizione in termini pragmatici e<br />

non più semantici. L’urgenza <strong>di</strong> una spiegazione complessivamente valida della<br />

presupposizione si fa tanto più cogente dal momento che tale fenomeno non<br />

appare limitato a spora<strong>di</strong>che apparizioni nella comunicazione ma sembra<br />

piuttosto giocare un ruolo decisivo in contesti più ampi e vari <strong>di</strong> quelli che erano<br />

stati identificati inizialmente.<br />

Secondariamente, l’adozione della definizione semantica non appare essere<br />

completamente adeguata alla spiegazione <strong>di</strong> tutte le <strong>di</strong>namiche in atto<br />

42 Cfr. R.C. Stalnaker (1973 : 242).<br />

43 Cfr. ad es. l’elenco redatto da L. Karttunen in C.S. Levinson (1983 : 181-185).<br />

44 Cfr. R.C. Stalnaker (1973 : 241).<br />

45 Cfr. R.C. Stalnaker (1973 : 241).<br />

.<br />

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Capitolo primo<br />

nell’operare della presupposizione. Stalnaker descrive nei suoi articoli più d’una<br />

<strong>di</strong>fficoltà connessa alla definizione semantica; noi ci concentreremo, a scopo<br />

esemplificativo, sul problema delle presupposizioni nelle frasi coor<strong>di</strong>nate 46 .<br />

Consideriamo i due enunciati:<br />

(10a) La squadra <strong>di</strong> Giulio ha vinto il torneo <strong>di</strong> calcio, e Pietro ha premiato la<br />

squadra <strong>di</strong> Giulio con una medaglia per questa vittoria.<br />

(10b) * Pietro ha premiato la squadra <strong>di</strong> Giulio con una medaglia per la vittoria<br />

al torneo <strong>di</strong> calcio, e la squadra <strong>di</strong> Giulio ha vinto il torneo <strong>di</strong> calcio.<br />

La semplice inversione dell’or<strong>di</strong>ne delle due componenti che costituiscono gli<br />

enunciati del nostro esempio fa sì che si passi da un’affermazione sensata qual<br />

è (10a) ad un enunciato come (10b) che risulta inaccettabile in contesti normali.<br />

Infatti, siamo portati a pensare che tra le due frasi che costituiscono questi<br />

enunciati vi sia per così <strong>di</strong>re una successione temporale, ciò che non viene<br />

esplicitamente in<strong>di</strong>cato, ma <strong>di</strong> fatto fa parte delle attese dei parlanti 47 . In un<br />

caso come questo, se si considerano le presupposizioni come un fenomeno<br />

legato al valore <strong>di</strong> verità degli enunciati (secondo la definizione <strong>di</strong> Strawson) si<br />

incorre in una <strong>di</strong>fficoltà: due costituenti identici, che <strong>di</strong> conseguenza dovrebbero<br />

avere identico valore <strong>di</strong> verità, portano in un primo caso ad un enunciato che<br />

può essere vero o falso e in un secondo caso ad un enunciato <strong>di</strong>fficilmente<br />

valutabile in qualsiasi contesto. Stalnaker sostiene che un approccio pragmatico<br />

a questo problema sia in grado <strong>di</strong> spiegare la <strong>di</strong>fferenza tra i due enunciati (10a)<br />

e (10b). Infatti, asserendo (10a) il parlante aggiunge al background <strong>di</strong><br />

conoscenze comuni il fatto che la squadra <strong>di</strong> Giulio abbia vinto il torneo <strong>di</strong><br />

calcio, e successivamente specifica il fatto che per questa vittoria essa abbia<br />

meritato una medaglia. L’affermazione è lineare e non lascia nulla all’implicito.<br />

Nel caso <strong>di</strong> (10b), invece, chi parla afferma innanzitutto che Pietro ha premiato<br />

la squadra <strong>di</strong> Giulio con una medaglia per vittoria al torneo <strong>di</strong> calcio. Con<br />

questo, egli presuppone che tale squadra abbia vinto il torneo. Può accadere<br />

46 Cfr. R. Stalnaker (1974 : 26-27).<br />

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Capitolo primo<br />

che chi ascolta non sappia ancora della vittoria della squadra <strong>di</strong> Giulio, e che<br />

egli apprenda questo risultato in<strong>di</strong>rettamente. In altre parole, asserendo “Pietro<br />

ha premiato la squadra <strong>di</strong> Giulio con una medaglia per il torneo <strong>di</strong> calcio”, il<br />

parlante aggiunge al novero delle conoscenze con<strong>di</strong>vise non solo il fatto che la<br />

squadra <strong>di</strong> Giulio sia stata premiata, ma anche che essa abbia vinto il torneo 48 .<br />

Se chi ascolta non interrompe la comunicazione per obiettare, ad esempio, “non<br />

sapevo che la squadra <strong>di</strong> Giulio avesse vinto il torneo <strong>di</strong> calcio!”, questa<br />

informazione può essere ritenuta parte delle conoscenze comuni dei parlanti e<br />

quin<strong>di</strong> presupposta nei successivi passaggi della conversazione. In (10b),<br />

quin<strong>di</strong>, l’affermazione “e la squadra <strong>di</strong> Giulio ha vinto il torneo <strong>di</strong> calcio” risulta<br />

insensata, poiché riba<strong>di</strong>sce inutilmente ciò che è già noto ai partecipanti allo<br />

scambio comunicativo. Poiché non occorre asserire ciò che è già presupposto,<br />

l’enunciato (10b) risulta complessivamente inaccettabile. L’ipotesi pragmatica,<br />

in questo caso, fornisce una spiegazione esauriente e lineare <strong>di</strong> un fenomeno<br />

che, affrontato a partire dalla definizione semantica <strong>di</strong> Strawson, appare<br />

secondo Stalnaker molto complesso da definire.<br />

In terzo luogo, Stalnaker sottolinea la necessità <strong>di</strong> concepire la spiegazione<br />

della presupposizione all’interno <strong>di</strong> una più generale teoria della comunicazione<br />

razionale, decisione che assume un’importanza tutt’altro che marginale, come è<br />

stato in parte evidenziato nel descrivere il problema delle frasi coor<strong>di</strong>nate.<br />

Questa notazione <strong>di</strong> merito opera nella <strong>di</strong>rezione <strong>di</strong> una definizione <strong>di</strong><br />

presupposizione che prenda le mosse dall’osservazione <strong>di</strong> ciò che realmente<br />

accade nel linguaggio naturale. Mentre i primi stu<strong>di</strong> sulla presupposizione erano<br />

fondati sull’analisi <strong>di</strong> enunciati del linguaggio estrapolati da qualsiasi contesto<br />

comunicativo, ciò che d’altronde è una delle con<strong>di</strong>zioni essenziali dell’operare<br />

della logica formale, Stalnaker riprende e approfon<strong>di</strong>sce la <strong>di</strong>stinzione che<br />

Frege aveva introdotto nel metodo <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>o del linguaggio naturale rispetto al<br />

47 In realtà, la successione temporale è implicata in, (10b), dall’uso dell’anafora “per la vittoria al<br />

torneo <strong>di</strong> calcio”, che è insensato ripetere nel secondo enunciato.<br />

48 Il fenomeno per cui si aggiungono conoscenze nuove al mondo con<strong>di</strong>viso dandole per<br />

presupposte anche se non lo sono prende il nome <strong>di</strong> sfruttamento del presupposto e<br />

costituisce un meccanismo <strong>di</strong>ffuso e potenzialmente pericoloso, che avremo modo <strong>di</strong> trattare<br />

più in profon<strong>di</strong>tà nel paragrafo 3.2.1.<br />

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Capitolo primo<br />

linguaggio formale. Come osserva la Bellert, le asserzioni del linguaggio<br />

naturale non sono mai “sospese nell’aria”, ma sono sempre interpretabili nei<br />

termini delle attitu<strong>di</strong>ni proposizionali dei parlanti 49 .<br />

In questa osservazione risiede a nostro parere uno degli aspetti più vali<strong>di</strong> delle<br />

teorie pragmatiche della presupposizione, insieme alla sottolineatura<br />

dell’ampiezza e della varietà delle occasioni comunicative nelle quali la<br />

presupposizione opera in modo determinante. Lo stu<strong>di</strong>o della presupposizione<br />

all’interno del contesto comunicativo generale permette anche <strong>di</strong> spiegare la<br />

ragione per cui, nel flusso comunicativo, l’implicito assume un ruolo così<br />

determinante e per cui nella comunicazione si fa uso della presupposizione.<br />

Poter menzionare un oggetto o un in<strong>di</strong>viduo già noto all’interno <strong>di</strong> un contesto, o<br />

più in generale poter appoggiare le proprie affermazioni su un terreno solido<br />

costituito da presupposti con<strong>di</strong>visi costituisce un enorme vantaggio dal punto <strong>di</strong><br />

vista del risparmio <strong>di</strong> tempo nella comunicazione. Se non si potesse dare per<br />

scontato quello che è noto, l’avanzare della comunicazione risulterebbe faticoso<br />

se non impossibile. La presenza della presupposizione permette l’incremento<br />

delle conoscenze nella comunicazione e, più in generale, la se<strong>di</strong>mentazione dei<br />

saperi, ciò che risulta fondamentale in qualsiasi branca del sapere accademico<br />

e <strong>di</strong> quello professionale. Il contributo apportato dalle teorie pragmatiche <strong>di</strong><br />

presupposizione che sono state fin qui descritte è stato ritenuto <strong>di</strong> importanza<br />

fondamentale, al punto che anche per le ipotesi più recenti sulla<br />

presupposizione il riferimento alla definizione pragmatica è d’obbligo. Ciò che<br />

invece resta da affrontare è il problema <strong>di</strong> identificare un’ipotesi esplicativa della<br />

presupposizione valida a livello operativo, problema che è al centro della teoria<br />

semantica mentre trova meno spazio nelle ipotesi pragmatiche.<br />

49 Cfr. I. Bellert (1969 : 227): “...we take into account the fact that utterances of natural language<br />

are never, so to speak, hung in the air, but are always interpretable in terms of what we call the<br />

propositional attitude. For no utterance used in the process of communication can be fully<br />

interpreted without our understan<strong>di</strong>ng it as a proposition which express, among other things, the<br />

speaker’s or author’s propositional attitudes, which may be beliefs, assertions, doubts, requests<br />

(for oral or any other responses) or any other attitudes”.<br />

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Capitolo primo<br />

1.4 Definizioni <strong>di</strong> presupposizione e logica<br />

Dopo aver descritto il <strong>di</strong>battito che vede contrapposte le posizioni <strong>di</strong> chi sostiene<br />

la definizione semantica e chi sostiene la definizione pragmatica <strong>di</strong><br />

presupposizione, accenneremo alle conseguenze che le <strong>di</strong>verse definizioni <strong>di</strong><br />

presupposizione comportano dal punto <strong>di</strong> vista logico 50 .<br />

Abbiamo visto che le ipotesi <strong>di</strong> Frege e Russell si basano sul tentativo <strong>di</strong><br />

descrivere la presupposizione sulla base delle categorie della logica formale<br />

classica. Rispetto a questa posizione, la definizione semantica <strong>di</strong><br />

presupposizione elaborata da Strawson comporta necessariamente un<br />

ampliamento dei confini del modello logico classico che l’analisi <strong>di</strong> Rusell<br />

lasciava invariato. Russell, infatti, unificava la componente presupposta e quella<br />

asserita da una frase (sentence), in modo da preservare la logica classica con<br />

due valori <strong>di</strong> verità:<br />

sentence<br />

Asserito <br />

Presupposto <br />

= <br />

Situazione <strong>di</strong> riferimento<br />

(S)<br />

Figura 1.1<br />

La scelta <strong>di</strong> Russell è l’unica possibilità che permette <strong>di</strong> mantenere una logica a<br />

due soli valori <strong>di</strong> verità, poiché essa unifica presupposto e asserito sullo stesso<br />

piano comunicativo.<br />

Secondo la definizione <strong>di</strong> Strawson, invece, un enunciato (use of a sentence) A<br />

presuppone un enunciato B se B deve essere vero perché A abbia un valore <strong>di</strong><br />

verità (vero o falso). Strawson <strong>di</strong>stingue quin<strong>di</strong> tra componente asserita e<br />

componente presupposta <strong>di</strong> un enunciato, secondo il modello seguente:<br />

50 Questo paragrafo nasce da un colloquio con il prof. Marco Colombetti avvenuto il 5/9/2002.<br />

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Capitolo primo<br />

Figura 1.2<br />

Dal rapporto <strong>di</strong> ciò che viene presupposto e asserito con la situazione <strong>di</strong><br />

riferimento, o supporto, cioè con a quella porzione <strong>di</strong> contesto rispetto alla quale<br />

si verifica la verità dell’enunciato, si ricavano i valori <strong>di</strong> verità dell’enunciato<br />

stesso, secondo le possibilità seguenti:<br />

= 0 S, S<br />

= 1 S, S<br />

= ⊥ S<br />

Come si vede, gli unici due valori <strong>di</strong> verità possibili nella logica classica, 1 e 0,<br />

vero e falso, non sono più sufficienti se si vuole ammettere la possibilità che ciò<br />

che viene presupposto da un enunciato possa essere falso. Il problema<br />

costituito dagli enunciati assertivi con presupposizioni false richiede infatti<br />

un’estensione della logica classica ad un modello nel quale gli enunciati<br />

possano anche non avere un valore <strong>di</strong> verità: si ammettono cioè truth-value<br />

gaps 51 , vuoti nell’attribuzione dei valori <strong>di</strong> verità. Nel caso in cui gli enunciati<br />

siano valutabili perché i presupposti non sono lesi, il valore <strong>di</strong> verità loro<br />

attribuibile è booleano (cioè 1 o 0), come nella logica classica, con l’esclusione<br />

<strong>di</strong> valori interme<strong>di</strong> tra gli estremi del vero e del falso. Questo tipo <strong>di</strong><br />

ampliamento del modello della logica classica prende il nome <strong>di</strong> logica<br />

51 Cfr. S.C. Levinson (1983 : 176).<br />

<br />

Situazione <strong>di</strong> riferimento<br />

(S)<br />

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Capitolo primo<br />

bivalente parziale (perché il valore <strong>di</strong> verità, in caso <strong>di</strong> enunciati valutabili,<br />

oscilla tra due soli valori e perché non tutti gli enunciati sono valutabili).<br />

L’estensione della logica classica che porta alla logica bivalente parziale fa sì<br />

che si combinino due or<strong>di</strong>ni <strong>di</strong>versi nella valutazione <strong>di</strong> un enunciato, il grado <strong>di</strong><br />

verità e il grado <strong>di</strong> determinatezza dell’enunciato stesso:<br />

Grado <strong>di</strong><br />

determinatezza<br />

0 1<br />

Figura 1.3<br />

In base a questo ampliamento della logica classica, occorrerà quin<strong>di</strong> mo<strong>di</strong>ficare<br />

le tavole <strong>di</strong> verità includendo la possibilità della mancanza <strong>di</strong> un valore <strong>di</strong> verità.<br />

Prenderemo in considerazione due possibili mo<strong>di</strong>ficazioni delle tavole: la prima<br />

prende spunto dalla logica trivalente <strong>di</strong> Lucasiewicz, mentre la seconda<br />

riprende il modello <strong>di</strong> Bochvar. La <strong>di</strong>fferenza fondamentale tra le due ipotesi<br />

consiste nel modo <strong>di</strong> considerare gli enunciati con valore indefinito. Per<br />

Bochvar, ad esempio, qualsiasi enunciato complesso nel quale almeno uno dei<br />

costituenti è indefinito assume necessariamente un valore <strong>di</strong> verità indefinito;<br />

per Lucasiewicz, invece, la congiunzione <strong>di</strong> un enunciato con valore <strong>di</strong> verità<br />

indefinito con un enunciato falso, ad esempio, genera un enunciato falso<br />

perché, secondo le tavole <strong>di</strong> verità della logica classica, la congiunzione con un<br />

enunciato falso non può dare altro che falsità. Presentiamo entrambe queste<br />

proposte anche se, ad una prima analisi, la seconda ci sembra più rispondente<br />

alle intuizioni naturali dei parlanti: infatti, un enunciato come “il sole è un<br />

continente e il libro legge il contrabbasso” dovrebbe più facilmente essere<br />

percepito come insensato piuttosto che come falso. Riportiamo quin<strong>di</strong> <strong>di</strong> seguito<br />

le tavole <strong>di</strong> verità nel modello <strong>di</strong> Lucasiewicz e <strong>di</strong> Bochvar:<br />

<br />

Grado <strong>di</strong> verità<br />

43


Tavole <strong>di</strong> Lucasiewicz 52<br />

¬<br />

¬<br />

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Anno Accademico 2001/2002<br />

Memoria <strong>di</strong> Licenza - Relatore: Prof. Eddo Rigotti<br />

La presupposizione: aspetti <strong>logici</strong>, <strong>linguistici</strong> e <strong>comunicativi</strong><br />

Capitolo primo<br />

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0 <br />

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0 1 1 1<br />

1 0 1 <br />

1 <br />

<br />

<br />

Figura 1.4<br />

52 In realtà, questo modello non è ripreso fedelmente dal suo autore, il quale considerava la<br />

mancanza <strong>di</strong> un valore <strong>di</strong> verità definito come un terzo valore <strong>di</strong> verità piuttosto che come un<br />

vuoto nell’attribuzione del valore <strong>di</strong> verità ad un enunciato. Tuttavia, ripren<strong>di</strong>amo da Lucasiewicz<br />

le tavole <strong>di</strong> verità qui riportate.<br />

<br />

<br />

<br />

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0 1 <br />

0 0 1 <br />

1 1 1 1<br />

1 <br />

0 1 <br />

0 1 0 <br />

1 0 1 <br />

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Tavole <strong>di</strong> Bochvar<br />

¬<br />

¬<br />

0 1<br />

1 0<br />

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⋀<br />

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Sara Greco<br />

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Memoria <strong>di</strong> Licenza - Relatore: Prof. Eddo Rigotti<br />

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La presupposizione: aspetti <strong>logici</strong>, <strong>linguistici</strong> e <strong>comunicativi</strong><br />

Capitolo primo<br />

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0 1 <br />

0 1 1 <br />

1 0 1 <br />

<br />

<br />

Figura 1.5<br />

A questo punto, è necessario mo<strong>di</strong>ficare in entrambi i modelli anche il concetto<br />

<strong>di</strong> vali<strong>di</strong>tà <strong>di</strong> un enunciato. Nella logica classica, un enunciato valido è un<br />

enunciato sempre vero (vero in tutti i possibili modelli); nella logica ampliata che<br />

stiamo considerando, valido è un enunciato il cui valore <strong>di</strong> verità non è mai 0 e<br />

almeno in alcuni casi è 1. In questo modo, si mantengono tutti gli schemi <strong>di</strong><br />

enunciati vali<strong>di</strong> della logica classica, come:<br />

p ¬p<br />

⋁<br />

Come si vede, l’ampliamento della logica classica richiesto dall’introduzione<br />

della possibilità che si abbia un valore <strong>di</strong> verità indeterminato non è uno<br />

stravolgimento della stessa; con la mo<strong>di</strong>ficazione delle tavole <strong>di</strong> verità e del<br />

<br />

<br />

<br />

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0 1 <br />

0 0 1 <br />

1 1 1 <br />

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0 1 <br />

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Memoria <strong>di</strong> Licenza - Relatore: Prof. Eddo Rigotti<br />

La presupposizione: aspetti <strong>logici</strong>, <strong>linguistici</strong> e <strong>comunicativi</strong><br />

Capitolo primo<br />

concetto <strong>di</strong> vali<strong>di</strong>tà, gli schemi <strong>di</strong> enunciati vali<strong>di</strong> nella logica classica restano tali<br />

e anche il calcolo per la verifica della vali<strong>di</strong>tà degli enunciati non deve essere<br />

mo<strong>di</strong>ficato.<br />

La formalizzazione della definizione pragmatica <strong>di</strong> presupposizione appare<br />

invece molto più complessa, per la presenza <strong>di</strong> concetti quali il common ground,<br />

che ritroviamo, ad esempio, nella trattazione <strong>di</strong> Stalnaker che abbiamo<br />

analizzato. Il common ground è la conoscenza con<strong>di</strong>visa tra i parlanti, che<br />

risulta mo<strong>di</strong>ficato ad ogni mossa comunicativa. Definire questo processo dal<br />

punto <strong>di</strong> vista formale è un’operazione che va incontro a numerose <strong>di</strong>fficoltà,<br />

perché le mo<strong>di</strong>ficazioni del common ground non sono uni<strong>di</strong>rezionali, non<br />

procedono, cioè, nell’unica <strong>di</strong>rezione dell’ampliamento delle conoscenze già<br />

con<strong>di</strong>vise nella situazione <strong>di</strong> partenza. Per la proprietà <strong>di</strong> cancellabilità delle<br />

presupposizioni, alla quale abbiamo brevemente accennato, può succedere che<br />

una parte <strong>di</strong> quanto era stato dato per scontato in un contesto venga cancellato,<br />

cioè azzerato. In questi casi, il con<strong>di</strong>viso <strong>di</strong>minuisce invece che aumentare,<br />

secondo una <strong>di</strong>namica <strong>di</strong>fficilmente delineabile. Vero è che tali <strong>di</strong>minuzioni del<br />

contesto con<strong>di</strong>viso assumono fondamentalmente un carattere <strong>di</strong> aggiustamento<br />

locale, non vanno cioè a incidere su porzioni consistenti <strong>di</strong> ciò che era già stato<br />

dato per presupposto. Generalmente, può essere cancellato un presupposto<br />

che è appena stato introdotto nel con<strong>di</strong>viso; il problema della cancellabilità delle<br />

presupposizioni dovrebbe quin<strong>di</strong> essere <strong>di</strong>scusso a partire dalla definizione<br />

degli ampliamenti e delle riduzioni del contesto, che <strong>di</strong>pendono<br />

fondamentalmente dal concetto <strong>di</strong> aggiornamento del contesto stesso. Infatti,<br />

occorrerebbe anzitutto definire quando un contesto può definirsi aggiornato,<br />

cioè quando un presupposto può definirsi assunto in un contesto con<strong>di</strong>viso.<br />

Tuttavia, poiché questo problema resta <strong>di</strong> <strong>di</strong>fficile soluzione, la costruzione <strong>di</strong> un<br />

modello logico che tenga conto della proposta pragmatica <strong>di</strong>venta un lavoro<br />

lungo e complesso che, per ragioni <strong>di</strong> tempo e spazio, non può essere<br />

affrontato qui.<br />

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1.5 Ulteriori sviluppi<br />

Sara Greco<br />

Anno Accademico 2001/2002<br />

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La presupposizione: aspetti <strong>logici</strong>, <strong>linguistici</strong> e <strong>comunicativi</strong><br />

Capitolo primo<br />

La <strong>di</strong>scussione sulla presupposizione si è concentrata per molti anni sul<br />

<strong>di</strong>battito tra sostenitori della definizione semantica e sostenitori della<br />

presupposizione pragmatica. In tempi più recenti, tuttavia, è emersa la<br />

necessità <strong>di</strong> giungere alla formulazione <strong>di</strong> ipotesi in grado <strong>di</strong> cogliere gli aspetti<br />

positivi <strong>di</strong> entrambe le correnti inserendoli nell’ambito <strong>di</strong> una spiegazione più<br />

esauriente 53 . La definizione pragmatica, a nostro parere, non sostituisce in<br />

assoluto i risultati cui ha portato l’approccio semantico. Considerare i<br />

presupposti come gli enunciati che devono essere veri perché un certo<br />

enunciato sia vero è in fondo un caso particolare dell’ipotesi pragmatica per cui<br />

i presupposti sono assunzioni che devono essere con<strong>di</strong>vise dai parlanti perché<br />

un certo atto comunicativo sia congruo. Tra tutti coloro che si sono adoperati<br />

nel senso <strong>di</strong> un’analisi comprensiva degli aspetti semantici e pragmatici,<br />

considereremo due contributi a nostro parere particolarmente significativi<br />

rispetto all’intento generale del nostro lavoro, ovvero il tentativo <strong>di</strong> comprendere<br />

il funzionamento della presupposizione nelle <strong>di</strong>namiche comunicative: in<br />

particolare, ci soffermeremo sulle ipotesi elaborate da Andrea Bonomi nei due<br />

libri Le vie del riferimento (1975) e Universi <strong>di</strong> <strong>di</strong>scorso (1979) e da Pieter A. M.<br />

Seuren negli articoli Presupposition, negation and trivalence (1999) e<br />

Presupposition (1974).<br />

1.5.1 Presupposizione e <strong>di</strong>namica comunicativa<br />

L’analisi che Andrea Bonomi conduce in Universi <strong>di</strong> <strong>di</strong>scorso si origina da una<br />

considerazione a proposito del <strong>di</strong>battito sul riferimento e sulle presupposizioni <strong>di</strong><br />

esistenza così come esso si è sviluppato storicamente. In tale <strong>di</strong>battito Bonomi<br />

accusa la presenza <strong>di</strong> un punto <strong>di</strong> vista “indebitamente restrittivo, poiché in esso<br />

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La presupposizione: aspetti <strong>logici</strong>, <strong>linguistici</strong> e <strong>comunicativi</strong><br />

Capitolo primo<br />

l’esistenza che si presume oggetto della presupposizione è l’esistenza reale” 54 ,<br />

premessa errata che porterebbe all’insorgere <strong>di</strong> problemi interpretativi e<br />

complicazioni fuori luogo. Consideriamo un esempio che Bonomi propone<br />

all’inizio del suo lavoro, e che si basa sull’analisi <strong>di</strong> una semplice credenza che<br />

tutti probabilmente con<strong>di</strong>vidono: l’affermazione che gli unicorni non esistono. In<br />

termini <strong>logici</strong>, tale affermazione viene tradotta nel seguente enunciato che lo<br />

stesso Bonomi riporta:<br />

(11a) Non esistono unicorni<br />

(11b) ¬x Ux 55<br />

Se si intende l’esistenza come esistenza nella realtà, da questa affermazione si<br />

arriva a un paradosso. Da (11b), infatti, può seguire logicamente qualsiasi<br />

enunciato, poiché un con<strong>di</strong>zionale materiale con antecedente falso, secondo le<br />

tavole <strong>di</strong> verità della logica booleana, è sempre vero. Tale principio, porta ad<br />

ammettere, nel nostro caso, che se gli unicorni non esistono allora essi hanno<br />

qualsiasi qualità: “sarebbe dunque possibile inferire per esempio che gli<br />

unicorni godono della proprietà <strong>di</strong> essere maggiori della ra<strong>di</strong>ce quadrata <strong>di</strong> 2 o<br />

<strong>di</strong> avere il <strong>di</strong>abete” 56 . Questo non solleva alcun problema in ambito logico ma<br />

non corrisponde alle nostre intuizioni su come i parlanti utilizzano le lingue<br />

naturali; infatti, agli unicorni noi attribuiamo certe determinate proprietà e non<br />

altre e, pur riconoscendo che essi non esistono nel mondo reale, ne abbiamo<br />

una concezione precisa che fa parte <strong>di</strong> un immaginario fantastico in un certo<br />

modo fissato e non può essere mo<strong>di</strong>ficata arbitrariamente. Secondo tale<br />

immagine, gli unicorni sono quadrupe<strong>di</strong> e hanno le ali, mentre non ha senso<br />

domandarsi se essi siano maggiori o minori della ra<strong>di</strong>ce quadrata <strong>di</strong> due, come<br />

non avrebbe senso porsi questa domanda riguardo a un cavallo o ad una rana.<br />

Questa <strong>di</strong>fficoltà può essere appianata, ed è appunto questa la proposta <strong>di</strong><br />

53 Cfr. S.C. Levinson (1983 : 225): “We conclude that presupposition remains, ninety years after<br />

Frege’s remarks on the subject, still only partially understood, and an important ground for the<br />

study of how semantics and pragmatics interact”.<br />

54 Cfr. A. Bonomi (1979 : 15).<br />

55 Dove U sta per la proprietà <strong>di</strong> essere unicorno.<br />

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La presupposizione: aspetti <strong>logici</strong>, <strong>linguistici</strong> e <strong>comunicativi</strong><br />

Capitolo primo<br />

Bonomi, se si considera il funzionamento effettivo della comunicazione e<br />

dell’uso delle lingue naturali: quando parlando si menzionano oggetti o in<strong>di</strong>vidui<br />

non ci si riferisce necessariamente a oggetti ed in<strong>di</strong>vidui della realtà 57 . Si utilizza<br />

il linguaggio per parlare <strong>di</strong> ambiti e domini tra loro <strong>di</strong>versi, ai quali si fa<br />

riferimento nel linguaggio stesso 58 .<br />

Il riferimento nel linguaggio naturale non presuppone quin<strong>di</strong> l’esistenza reale<br />

degli in<strong>di</strong>vidui menzionati bensì la loro appartenenza all’universo <strong>di</strong> <strong>di</strong>scorso<br />

relativo ad una data conversazione in un dato contesto. A questo proposito,<br />

Bonomi <strong>di</strong>stingue tra r-esistenza, cioè esistenza nel mondo reale, e lesistenza,<br />

ovvero identificazione in uno spazio anaforico: è questa seconda<br />

modalità <strong>di</strong> esistenza a costituire l’oggetto delle presupposizioni <strong>di</strong> esistenza,<br />

cioè la precon<strong>di</strong>zione perché un’asserzione a proposito <strong>di</strong> un in<strong>di</strong>viduo risulti<br />

sensata. In questa prospettiva, l’affermazione “il re <strong>di</strong> Francia è calvo”, ad<br />

esempio, non presuppone che il monarca francese esista nel mondo reale, ma<br />

che si stia parlando <strong>di</strong> un in<strong>di</strong>viduo univocamente identificabile in un universo<br />

specifico al quale il nostro <strong>di</strong>scorso fa riferimento – ad esempio l’universo dei<br />

personaggi <strong>di</strong> una fiaba, o il mondo onirico. D’altronde, la perplessità suscitata<br />

da enunciati <strong>di</strong> questo tipo deriva in misura non trascurabile dal loro essere<br />

esempi <strong>linguistici</strong> decontestualizzati e quin<strong>di</strong> <strong>di</strong>fficili da interpretare. In un<br />

contesto comunicativo normale, al contrario, ogni enunciato contiene un in<strong>di</strong>ce<br />

che rimanda all’universo <strong>di</strong> riferimento, un’espressione in grado <strong>di</strong> localizzare<br />

ciò <strong>di</strong> cui si parla in un mondo specifico. Consideriamo ad esempio i casi<br />

seguenti, citati dallo stesso Bonomi 59 :<br />

(12a) Cassius Clay ha pensato all’abominevole uomo delle nevi<br />

56 Cfr. A. Bonomi (1979 : 17).<br />

57 Questa è, d’altronde, una delle caratteristiche fondamentali del linguaggio, che per<br />

definizione è luogo della virtualità, cioè costruisce un frammento <strong>di</strong> mondo possibile che nasce<br />

per rappresentare la realtà ma che non coincide con essa.<br />

58 Cfr. A. Bonomi (1979 : 8): “Nell’uso del linguaggio è possibile rinviare a domini <strong>di</strong>versi (quello<br />

della realtà, ma anche quello <strong>di</strong> un esperimento mentale immaginato, o <strong>di</strong> un romanzo, ecc.),<br />

ogni enunciato del linguaggio contiene, implicitamente o esplicitamente, un riferimento al<br />

dominio rilevante”.<br />

59 Cfr. A. Bonomi (1979 : 40-41).<br />

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La presupposizione: aspetti <strong>logici</strong>, <strong>linguistici</strong> e <strong>comunicativi</strong><br />

Capitolo primo<br />

(12b) Nixon ha sognato che Cassius Clay ha schiaffeggiato l’abominevole uomo<br />

delle nevi<br />

Nel primo caso, il pre<strong>di</strong>cato pensare rimanda ad un universo <strong>di</strong> immaginazione<br />

che non richiede l’esistenza reale dell’uomo delle nevi: si può infatti pensare ad<br />

un oggetto non esistente (come un unicorno), o ad una situazione che non è in<br />

atto (si può pensare alle vacanze al mare anche se non si è al mare). In (12b),<br />

allo stesso modo, il pre<strong>di</strong>cato sognare rinvia evidentemente ad un universo<br />

onirico: Nixon non ha sognato una situazione reale ma qualcosa <strong>di</strong> fantastico,<br />

che coinvolge un in<strong>di</strong>viduo della realtà e un personaggio immaginario, ciò che<br />

tuttavia è sensato nel contesto <strong>di</strong> un sogno. Vero è che vi sono enunciati che<br />

non contengono alcun riferimento esplicito ad un universo del <strong>di</strong>scorso: questo<br />

può accadere perché l’universo <strong>di</strong> riferimento è scontato in quanto è già stato<br />

in<strong>di</strong>cato in momenti precedenti della conversazione, oppure perché “si è<br />

tacitamente assunto che il <strong>di</strong>scorso in atto ha a che fare con la realtà, e non con<br />

altri universi possibili” 60 . Il sistema <strong>di</strong> riman<strong>di</strong> dagli enunciati del linguaggio alla<br />

realtà viene formalizzato da Bonomi con il supporto della logica modale, dove il<br />

concetto <strong>di</strong> classe <strong>di</strong> modelli può servire a rappresentare gli universi <strong>di</strong><br />

<strong>di</strong>scorso 61 .<br />

Ciò che merita <strong>di</strong> essere approfon<strong>di</strong>to in questa prima annotazione <strong>di</strong> Bonomi è<br />

la collocazione, al centro dell’interesse conoscitivo delle indagini sulla<br />

presupposizione, delle <strong>di</strong>namiche in atto nel linguaggio naturale. Ci sembra <strong>di</strong><br />

ritrovare in Bonomi una particolare accuratezza nel tentativo <strong>di</strong> accostarsi allo<br />

stu<strong>di</strong>o del linguaggio naturale rispettandone il funzionamento effettivo e allo<br />

stesso tempo senza rinunciare ad una spiegazione il più puntuale e adeguata<br />

possibile, anche con l’aiuto degli strumenti della logica formale.<br />

Questo tipo <strong>di</strong> attenzione si ritrova anche in Le vie del riferimento (1975), lavoro<br />

che abbiamo già citato nei paragrafi precedenti poiché in esso Bonomi offre<br />

60 Cfr. A. Bonomi (1979 : 41).<br />

61 Cfr. A. Bonomi (1979 : 60).<br />

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Capitolo primo<br />

anche una spiegazione dettagliata delle ipotesi <strong>di</strong> Frege, Russell e Strawson. Il<br />

tema <strong>di</strong>scusso è sempre limitato al riferimento e alle presupposizioni <strong>di</strong><br />

esistenza. Abbiamo già visto che sottesa alle <strong>di</strong>fficoltà riscontrate nell’analisi <strong>di</strong><br />

questo problema è un’immagine errata del concetto <strong>di</strong> esistenza; Bonomi critica<br />

tuttavia anche l’analisi, proposta da Strawson e mai rimessa in <strong>di</strong>scussione,<br />

delle con<strong>di</strong>zioni che occorrono per compiere un riferimento definito ad un<br />

in<strong>di</strong>viduo. Secondo Strawson, infatti, per la determinazione dell’adeguatezza <strong>di</strong><br />

una descrizione contenente un riferimento ad un in<strong>di</strong>viduo definito sono<br />

pertinenti soltanto due fattori: il contenuto della descrizione e lo stato del<br />

mondo, mentre non vengono prese in considerazione le credenze del parlante<br />

che utilizza quell’espressione per compiere un determinato riferimento e in<br />

particolare le circostanze grazie alle quali tale espressione è <strong>di</strong>ventata per il<br />

parlante nome adeguato per designare un preciso oggetto. In particolare,<br />

l’analisi del riferimento è condotta astraendo le espressioni <strong>di</strong> riferimento dalle<br />

<strong>di</strong>namiche comunicative nelle quali esse vengono utilizzate per designare<br />

questo o quell’oggetto. Per completare la descrizione del funzionamento <strong>di</strong> tali<br />

espressioni, invece, occorrerebbe entrare nel merito del fatto che<br />

normalmente io, parlante, designo un certo oggetto utilizzando un certo termine il<br />

cui contenuto descrittivo è sod<strong>di</strong>sfatto da quell’oggetto perché mi aspetto che tu,<br />

ascoltatore, ti aspetti che io faccia così 62 .<br />

In altre parole, si tratta <strong>di</strong> inserire lo stu<strong>di</strong>o del riferimento nell’ambito più<br />

generale dell’analisi degli scambi verbali, tenendo conto delle premesse<br />

comunicative che riguardano i parlanti, le relazioni tra <strong>di</strong> loro e in particolare<br />

“l’intreccio delle credenze reciproche (e quin<strong>di</strong> delle aspettative) tra<br />

interlocutori” 63 . In questo senso, Bonomi <strong>di</strong>stingue tra denotazione, concetto<br />

che prende in considerazione soltanto emissioni della descrizione e stati del<br />

mondo, e riferimento, che implica invece il processo <strong>di</strong> scelta razionale dei<br />

parlanti che, in base alle premesse comunicative costituite dal sistema delle<br />

loro aspettative reciproche, decidono <strong>di</strong> utilizzare l’emissione <strong>di</strong> una certa<br />

62 Cfr. A. Bonomi (1975 : 54).<br />

63 Cfr. A. Bonomi (1975 : 56).<br />

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La presupposizione: aspetti <strong>logici</strong>, <strong>linguistici</strong> e <strong>comunicativi</strong><br />

Capitolo primo<br />

espressione per effettuare un riferimento. Questa <strong>di</strong>stinzione assume una<br />

particolare rilevanza in quanto riba<strong>di</strong>sce ancora una volta che lo stu<strong>di</strong>o del<br />

riferimento non può essere separato da un punto <strong>di</strong> vista complessivo sulla<br />

comunicazione. Così lo stesso Bonomi:<br />

In realtà, questo principio [la <strong>di</strong>stinzione tra denotazione e riferimento, ndr.] non fa<br />

altro che esplicitare un assunto essenziale al nostro punto <strong>di</strong> vista, ossia l’assunto<br />

della razionalità del parlante-ascoltatore, secondo cui il suo agire in un certo modo<br />

è funzione delle informazioni (giuste o sbagliate che siano) delle quali <strong>di</strong>spone a<br />

proposito del fatto in questione e delle credenze che lo riguardano 64 .<br />

La considerazione della razionalità dei parlanti e le loro intenzioni comunicative<br />

sono una delle conquiste della pragmatica che restano premesse inelu<strong>di</strong>bili per<br />

qualsiasi genere <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>o che abbia a che fare con la comunicazione verbale.<br />

1.5.2 Seuren: i pre<strong>di</strong>cati come fonte delle presupposizioni<br />

L’interrogativo fondamentale che costituisce il nucleo del lavoro <strong>di</strong> Seuren<br />

riguarda la fonte della presupposizione; Seuren cerca infatti <strong>di</strong> identificare<br />

un’origine comune alla base dei <strong>di</strong>versi tipi <strong>di</strong> presupposizioni osservate, ciò che<br />

offre vantaggi notevoli dal punto <strong>di</strong> vista della loro definizione, in quanto<br />

permette <strong>di</strong> lavorare con una definizione valida a livello generale. A questo<br />

proposito, Seuren osserva che gran parte dei presupposition triggers già<br />

identificati nella letteratura precedente appartengono alla categoria dei<br />

pre<strong>di</strong>cati: sembra quin<strong>di</strong> che le presupposizioni siano generate dai pre<strong>di</strong>cati, in<br />

particolare da quelle componenti del significato dei pre<strong>di</strong>cati che Seuren chiama<br />

precon<strong>di</strong>tions e che si definiscono per opposizione alle update con<strong>di</strong>tions, che<br />

invece danno origine alle implicazioni logiche. Consideriamo l’esempio del<br />

pre<strong>di</strong>cato bald, tratto da una delle varianti dell’enunciato già riportato in (2):<br />

“The king of France is bald”. La presupposizione che riguarda l’esistenza <strong>di</strong> uno<br />

ed un unico re <strong>di</strong> Francia, <strong>di</strong> cui abbiamo già ampiamente trattato nel<br />

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Sara Greco<br />

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La presupposizione: aspetti <strong>logici</strong>, <strong>linguistici</strong> e <strong>comunicativi</strong><br />

Capitolo primo<br />

considerare gli autori precedenti, deriva secondo Strawson non dall’enunciato in<br />

quanto tale ma dal pre<strong>di</strong>cato bald: ciò che costituisce un’assoluta novità rispetto<br />

alle analisi fino ad ora considerate. Bald impone sui suoi argomenti i due tipi <strong>di</strong><br />

con<strong>di</strong>zioni a cui si è già accennato, precon<strong>di</strong>tions e update con<strong>di</strong>tions, che<br />

danno origine rispettivamente alle presupposizioni (tra cui, come si è detto, la<br />

presupposizione <strong>di</strong> esistenza) e alle implicazioni, come Seuren mostra nella<br />

seguente analisi:<br />

BALD: Unary adjective pre<strong>di</strong>cate.<br />

Precon<strong>di</strong>tions: The term referent (a) exists, (b) belongs to a category<br />

whose members are normally covered with hair, pile or tread (for tyres) in<br />

prototypical places.<br />

Update con<strong>di</strong>tions: The coverage which is normally there is largely<br />

absent.<br />

Questa analisi viene verificata da Seuren per le presupposizioni <strong>di</strong> esistenza,<br />

per quelle legate ai factive verbs e per le presupposizioni categoriali (cioè, nella<br />

definizione <strong>di</strong> Seuren, <strong>di</strong>pendenti dal pre<strong>di</strong>cato principale <strong>di</strong> un enunciato). Ad<br />

esempio, nel caso <strong>di</strong> bald, una presupposizione categoriale è identificata dal<br />

punto (b), consiste nel fatto che l’argomento del pre<strong>di</strong>cato bald deve<br />

appartenere ad una categoria <strong>di</strong> soggetti che normalmente sono dotati <strong>di</strong> capelli<br />

o pelo (nel caso degli animali); per questa ragione, non è sensato un enunciato<br />

come “Australia is bald”, in quanto esso lede un presupposto categoriale legato<br />

al pre<strong>di</strong>cato.<br />

L’analisi <strong>di</strong> Seuren sembra aprire una prospettiva nuova e promettente nello<br />

stu<strong>di</strong>o della presupposizione, benché si ritrovino in essa in particolare due punti<br />

irrisolti, ai quali occorre accennare brevemente. Per quanto riguarda una quarta<br />

categoria <strong>di</strong> presupposizioni identificata da Seuren e costituita dalle<br />

presupposizioni legate ad avverbi come still e altri pre<strong>di</strong>cati più complessi dei<br />

verbi, la definizione secondo la quale le presupposizioni <strong>di</strong>pendono sempre dai<br />

64 Cfr. A. Bonomi (1975 : 60).<br />

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Capitolo primo<br />

pre<strong>di</strong>cati dovrebbe essere rifinita per coprire tutti i casi. Inoltre, identificare la<br />

fonte delle presupposizioni in un pre<strong>di</strong>cato sembra non essere un metodo<br />

adeguato a descrivere i presupposti legati a meccanismi più astratti della<br />

comunicazione, come i presupposti <strong>di</strong> una cultura o le conoscenze con<strong>di</strong>vise tra<br />

i parlanti, che spesso non hanno una manifestazione linguistica. Ciononostante,<br />

Seuren stesso in<strong>di</strong>ca la possibilità <strong>di</strong> estendere la sua analisi a pre<strong>di</strong>cati <strong>di</strong><br />

livello più alto dei verbi, in modo da allargare il raggio delle presupposizioni<br />

descrivibili in questo modo, anche se non affronta personalmente questo tipo <strong>di</strong><br />

analisi 65 .<br />

Dal punto <strong>di</strong> vista logico, la definizione <strong>di</strong> Seuren non si concilia con la logica<br />

booleana ma è compatibile con un sistema logico in cui agli enunciati sono<br />

attribuibili tre valori <strong>di</strong> verità perché si introducono due <strong>di</strong>versi tipi <strong>di</strong> falsità.<br />

Questa precisazione corrisponderebbe, secondo Seuren, all’uso della<br />

negazione nel linguaggio naturale che non si limita, come abbiamo già visto, al<br />

caso della negazione logica. In particolare, Seuren definisce i tre possibili valori<br />

<strong>di</strong> verità <strong>di</strong> un enunciato con i nomi true, ra<strong>di</strong>cally false e minimally false. La<br />

falsità ra<strong>di</strong>cale deriva dalla falsità <strong>di</strong> uno o più presupposti connessi alle<br />

precon<strong>di</strong>tions, mentre la falsità minima deriva dalla falsità <strong>di</strong> una o più<br />

implicazioni dovute alle update con<strong>di</strong>tions. Ad esempio, l’enunciato “The king of<br />

France is bald” è da considerarsi ra<strong>di</strong>calmente falso se non esiste uno ed un<br />

unico re <strong>di</strong> Francia, perché questo va a ledere il presupposto esistenziale legato<br />

al pre<strong>di</strong>cato bald; esso è invece minimamente falso se esiste un re <strong>di</strong> Francia<br />

65 Cfr. E. Rigotti e A. Rocci (2001 : 66): “Seuren ne traite pas de manière détaillée l’extension<br />

de cette analyse à tous les types de présuppositions et se limite à observer qu’elle demanderait<br />

une théorie capable d’analyser en termes de pré<strong>di</strong>cat non seulement des éléments lexicaux<br />

comme les verbes et les adjectifs, mais aussi à un niveau abstrait, d’autres entités comme les<br />

accents de contraste, les constructions clivées, les adverbes focalisateurs comme only, even,<br />

etc”.<br />

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Memoria <strong>di</strong> Licenza - Relatore: Prof. Eddo Rigotti<br />

La presupposizione: aspetti <strong>logici</strong>, <strong>linguistici</strong> e <strong>comunicativi</strong><br />

Capitolo primo<br />

ed egli è effettivamente calvo, ciò che rende false le update con<strong>di</strong>tions del<br />

pre<strong>di</strong>cato bald.<br />

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2 La comunicazione verbale<br />

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La presupposizione: aspetti <strong>logici</strong>, <strong>linguistici</strong> e <strong>comunicativi</strong><br />

Capitolo secondo<br />

Nel corso del primo capitolo abbiamo più volte riba<strong>di</strong>to che l’approccio a nostro<br />

parere più adeguato al problema della presupposizione consiste nella<br />

considerazione dello stesso all’interno <strong>di</strong> un quadro teorico più generale: quello,<br />

cioè, della comunicazione verbale. Affrontare lo stu<strong>di</strong>o della presupposizione in<br />

questa prospettiva significa proporsi come obiettivo l’identificazione delle<br />

<strong>di</strong>namiche con cui essa opera negli scambi <strong>comunicativi</strong> reali e interrogarsi su<br />

quale siano il significato e la valenza <strong>di</strong> questo fenomeno nelle occasioni in cui<br />

esso si manifesta. Ora, per accostarsi alla descrizione dell’operare della<br />

presupposizione in alcuni ambiti <strong>comunicativi</strong>, ciò che costituirà il compito del<br />

terzo capitolo, è opportuno soffermarsi per approfon<strong>di</strong>re il concetto stesso <strong>di</strong><br />

comunicazione verbale. Dal momento che a questo ambito appartengono<br />

concetti la cui definizione è tutt’altro che evidente, come azione, interazione,<br />

senso, scopo, e altri, riteniamo utile specificare il nostro approccio dal punto <strong>di</strong><br />

vista metodologico per poter proseguire nell’analisi <strong>di</strong>ssipando ogni dubbio sulla<br />

cornice teorica <strong>di</strong> riferimento. Ci occuperemo quin<strong>di</strong> <strong>di</strong> situare il concetto <strong>di</strong><br />

presupposizione all’interno <strong>di</strong> una prospettiva in grado <strong>di</strong> rapportarlo con gli altri<br />

aspetti rilevanti in gioco nella comunicazione. Riteniamo che tale prospettiva <strong>di</strong>a<br />

conto in maniera più esauriente delle caratteristiche del fenomeno stesso, ai<br />

vari livelli a cui esso opera.<br />

2.1 La comunicazione come azione<br />

L’approccio che consideriamo è pragmatico, anzitutto perché ci interessa<br />

collocare lo stu<strong>di</strong>o della presupposizione, nelle occorrenze specifiche in cui<br />

essa opera, nel quadro della comunicazione come rapporto tra mittente e<br />

destinatario. Inoltre, facciamo riferimento alla prospettiva pragmatica in quanto<br />

consideriamo la comunicazione come un insieme <strong>di</strong> azioni comunicative, in<br />

accordo con la tra<strong>di</strong>zione dello stu<strong>di</strong>o degli atti <strong>linguistici</strong> inaugurata da Austin<br />

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Capitolo secondo<br />

(1962) 66 e sviluppata da Searle (1969) 67 . Secondo Searle, parlare una lingua<br />

significa compiere atti <strong>linguistici</strong>; l’atto linguistico è l’unità minima della<br />

comunicazione 68 .<br />

Per proseguire nella nostra analisi, dobbiamo quin<strong>di</strong> anzitutto definire il concetto<br />

<strong>di</strong> azione e secondariamente specificare le peculiarità dell’azione comunicativa.<br />

azioni<br />

eventi<br />

Figura 2.1<br />

La categoria più generale all’interno della quale si può inserire il concetto <strong>di</strong><br />

azione è quella <strong>di</strong> fatto, inteso genericamente come ciò che sussiste o ha luogo.<br />

I fatti possono essere statici (come “è caldo”; “Maddalena è la sorella <strong>di</strong><br />

Chiara”) o <strong>di</strong>namici (come “Maddalena ha telefonato a Chiara” o “la temperatura<br />

sta scendendo”): in quest’ultimo caso, si può parlare <strong>di</strong> eventi, cioè <strong>di</strong> fatti che<br />

portano con sé una <strong>di</strong>namica <strong>di</strong> cambiamento, la mo<strong>di</strong>ficazione <strong>di</strong> uno stato. Le<br />

azioni si definiscono come un tipo particolare <strong>di</strong> eventi che <strong>di</strong>pendono<br />

dall’operare <strong>di</strong> soggetti in funzione <strong>di</strong> agenti 69 . Non basta quin<strong>di</strong> la presenza <strong>di</strong><br />

un soggetto coinvolto nell’accadere <strong>di</strong> un evento per dare origine ad un’azione:<br />

eventi come “Maddalena ha compiuto 22 anni” o “Chiara ha involontariamente<br />

versato del caffè sul <strong>di</strong>vano preferito <strong>di</strong> Maddalena” non possono essere<br />

66 Cfr. J.L. Austin (1962).<br />

67 Cfr. J.R. Searle (1969).<br />

68 Cfr. J.R. Searle (1969 : 40): “Il motivo per concentrarsi sullo stu<strong>di</strong>o degli atti <strong>linguistici</strong> è<br />

semplicemente questo: ogni comunicazione linguistica comporta atti <strong>linguistici</strong>. L’unità della<br />

comunicazione linguistica non è, come si è generalmente supposto, il simbolo, la parola o la<br />

frase, e nemmeno la replica del simbolo, della parola, della frase, ma piuttosto la produzione,<br />

l’emissione del simbolo, della parola, della frase nell’esecuzione dell’atto linguistico. Accettare<br />

la replica come messaggio è accettarla come replica prodotta o emessa. Più precisamente, la<br />

produzione o emissione <strong>di</strong> una replica <strong>di</strong> frase in certe con<strong>di</strong>zioni è un atto linguistico, e gli atti<br />

<strong>linguistici</strong> (<strong>di</strong> certi tipi che spiegheremo più avanti) sono le unità minime o <strong>di</strong> base nella<br />

comunicazione linguistica”.<br />

fatti<br />

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Capitolo secondo<br />

considerati azioni perché i soggetti in essi coinvolti non ricoprono il ruolo <strong>di</strong><br />

agenti. Nel primo caso, infatti, Maddalena non è causa del suo compiere 22<br />

anni; nel secondo caso, benché Chiara sia in effetti soggetto causante l’azione<br />

<strong>di</strong> versare del caffè sul <strong>di</strong>vano, l’avverbio “involontariamente” ci avverte che non<br />

si tratta <strong>di</strong> un comportamento intenzionale. Perché vi sia un’azione vera e<br />

propria, occorre che un soggetto intervenga nella realtà coscientemente e<br />

volontariamente rispetto a uno scopo rispondente ad un suo desiderio. Per<br />

esemplificare la struttura generale <strong>di</strong> un’azione, ci riferiamo allo schema in<br />

figura 2.2:<br />

Figura 2.2<br />

Il senso <strong>di</strong> un’azione coincide con il cambiamento provocato nella realtà dallo<br />

svolgersi dell’azione stessa. Anche per quanto riguarda le azioni comunicative,<br />

si può <strong>di</strong>re che il senso è il cambiamento da esse operato nella <strong>di</strong>sposizione dei<br />

partecipanti allo scambio comunicativo rispetto all’azione. Utilizzando un<br />

termine introdotto da C.S. Peirce, possiamo definire questo cambiamento <strong>di</strong><br />

69 Cfr. E. Rigotti (2002).<br />

Desiderio<br />

Soggetto agente Cambiamento<br />

Scopo (intenzione)<br />

Volizione<br />

(decisione)<br />

Prefigurazione<br />

cognitiva <strong>di</strong><br />

positività<br />

Percezione <strong>di</strong><br />

positività<br />

Catena causale<br />

(strumentazione)<br />

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Capitolo secondo<br />

<strong>di</strong>sposizione habit change 70 . Poiché, nell’azione comunicativa, il cambiamento<br />

legato al raggiungimento dello scopo prefissato è strettamente legato<br />

all’interlocutore, appare evidente che essa è un’interazione. Il concetto <strong>di</strong><br />

interazione rimanda etimologicamente all’immagine <strong>di</strong> un’azione svolta insieme<br />

ad altri; tuttavia, l’interazione si <strong>di</strong>fferenzia dalla collaborazione e dalla<br />

cooperazione in quanto lo scopo dell’interazione non è con<strong>di</strong>viso tra i<br />

partecipanti ad essa, mentre lo scopo della cooperazione e della collaborazione<br />

è per definizione comune a coloro che vi prendono parte 71 . L’habit change, il<br />

cambiamento operato dalla comunicazione, <strong>di</strong>pende dall’interlocutore a due<br />

livelli: anzitutto, la comunicazione ha successo in quanto tale se ha luogo da<br />

parte dell’ascoltatore l’uptake, la presa d’atto della avvenuta comunicazione,<br />

che cambia la sua <strong>di</strong>sposizione iniziale in quanto aggiunge un nuovo elemento<br />

alle sue conoscenze. La presa d’atto è già un intervento sulla realtà, una sua<br />

mo<strong>di</strong>ficazione. In seguito, l’interlocutore può decidere <strong>di</strong> ignorare, <strong>di</strong> non aderire<br />

alla mossa comunicativa del parlante, oppure può dargli ascolto, accettare la<br />

sua richiesta o rispondere alla sua domanda. in quest’ultimo caso il<br />

cambiamento giunge anche a coinvolgere un livello perlocutivo, un’ulteriore<br />

azione dell’interlocutore in risposta all’azione del parlante.<br />

2.2 Senso e sensatezza<br />

Abbiamo detto che il senso <strong>di</strong> un’azione (interazione) comunicativa coincide con<br />

il cambiamento da essa provocato sulla realtà, cambiamento che <strong>di</strong>pende<br />

dall’agire del parlante e dell’ascoltatore (in quanto egli prende atto della mossa<br />

comunicativa nei suoi confronti). La sensatezza <strong>di</strong> un testo si può definire come<br />

congruità dei significati <strong>linguistici</strong> con la loro funzione entro l’azione<br />

70<br />

Cfr. E. Rigotti e A. Rocci (2001 : 48): “Or, il est important de remarquer que le phénomène du<br />

sens renvoie toujours à un contexte d’interaction précis, dans lequel l’acte communicatif<br />

s’insère en creànt un effet réel. Plus précisément, le sens d’un énoncé a affaire avec un<br />

changement de la <strong>di</strong>sposition des participants par rapport à l’action, ce que Peirce, en parlant<br />

de l’”interprétant final” du signe, appellait un habit change”.<br />

71<br />

Esempi <strong>di</strong> interazione possono essere le compraven<strong>di</strong>te commerciali, dove gli scopi dei<br />

singoli partecipanti possono essere opposti.<br />

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Capitolo secondo<br />

comunicativa 72 . La sensatezza, cioè, è l’adeguatezza del testo rispetto allo<br />

scopo comunicativo che si intende raggiungere.<br />

La congruità <strong>di</strong> un testo si esplica in una gerarchia pre<strong>di</strong>cativo-argomentale,<br />

presente a <strong>di</strong>versi livelli. I pre<strong>di</strong>cati impongono sui loro posti argomentali delle<br />

con<strong>di</strong>zioni che i loro argomenti devono rispettare perché vi sia congruità. Lo<br />

schema che segue illustra questa <strong>di</strong>namica nel caso del pre<strong>di</strong>cato “legge” 73 :<br />

x:<br />

essere umano<br />

alfabetizzato<br />

Luigi<br />

x:<br />

umano(x)<br />

maschio(x)<br />

laureato in lettere(x)<br />

...<br />

Figura 2.3<br />

La stessa <strong>di</strong>namica osservata per il pre<strong>di</strong>cato lessicale “legge” opera anche nel<br />

caso <strong>di</strong> pre<strong>di</strong>cati pragmatici <strong>di</strong> livello più alto, che possono anche non avere una<br />

manifestazione linguistica. Chiamiamo connettivo sequenziale un pre<strong>di</strong>cato<br />

astratto <strong>di</strong> alto livello che ha come argomento una sequenza testuale e la mette<br />

in rapporto con il mittente e il destinatario, cioè i partecipanti all’interazione<br />

comunicativa, il cotesto costituito da altre sequenze testuali e il contesto<br />

72 Cfr. E. Rigotti (2002).<br />

73 Cfr. E. Rigotti e A. Rocci (2001 : 62).<br />

legge<br />

y:<br />

testo scritto<br />

un libro<br />

y:<br />

testo scritto(y)<br />

stampato(y)<br />

<strong>di</strong> più pagine(y)<br />

...<br />

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Capitolo secondo<br />

comunicativo 74 . Il connettivo definisce il cambiamento che il mittente intende<br />

introdurre nel mondo del destinatario con un certo testo, quin<strong>di</strong> esprime la<br />

funzione del testo e definisce le caratteristiche che le sequenze testuali devono<br />

possedere per essere congrue rispetto a tale funzione. I connettivi possono<br />

avere o non avere una manifestazione linguistica nel testo; è possibile in ogni<br />

caso inferirli analizzando il rapporto tra le sequenze testuali. Consideriamo<br />

l’esempio seguente 75 :<br />

S0: Mio figlio non guida.<br />

S+1: Ha cinque anni!<br />

In questo caso, il connettivo che unisce S0 a S+1 impone a S+1 il compito <strong>di</strong> dare<br />

la ragione dell’affermazione contenuta in S0. Pur non essendo espressa<br />

esplicitamente sul piano linguistico, questa funzione è ben riconoscibile per<br />

chiunque legga S0 e S+1, tanto è vero che verrebbe percepita come insensata<br />

una sequenza come S+2 dell’esempio seguente, che non è congrua rispetto alla<br />

funzione, imposta dal connettivo, <strong>di</strong> essere una giustificazione <strong>di</strong> S0 76 :<br />

S0: Mio figlio non guida.<br />

S+2: è sposato!<br />

74<br />

Per la spiegazione e l’esemplificazione del concetto <strong>di</strong> connettivo sequenziale riman<strong>di</strong>amo a:<br />

E. Rigotti e A. Rocci (2001 : 73): “Le connectif séquentiel prend comme argument une<br />

séquence textuelle (c’est à <strong>di</strong>re le texte ou un moment du texte relativement autonome du point<br />

de vue de la fonction communicative) et le relie aux participants de la situation de <strong>di</strong>scours<br />

(locuteur et destinataire), au contexte et - dans un texte constitué de plusieurs séquences - à<br />

d’autres séquences explictement manifestées par le texte (explicatures) ou inférées<br />

(implicatures)”.<br />

75<br />

Cfr. E. Rigotti e A. Rocci (2001 : 148).<br />

76<br />

Cfr. E. Rigotti e A. Rocci (2001 : 148).<br />

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Capitolo secondo<br />

2.3 Le presupposizioni come tratti imposti dai pre<strong>di</strong>cati ai loro<br />

posti argomentali<br />

In questa prospettiva, la definizione delle presupposizioni risulta strettamente<br />

legata alla <strong>di</strong>namica complessiva del testo comunicativo. In particolare, noi ci<br />

riferiremo all’ipotesi <strong>di</strong> Rigotti e Rocci (2001), secondo la quale:<br />

a) Tutte le presupposizioni devono essere trattate in termini <strong>di</strong> congruità, come<br />

imposte da un pre<strong>di</strong>cato ad uno dei suoi posti argomentali;<br />

b) Tutti i casi <strong>di</strong> non-senso derivano dalla violazione <strong>di</strong> un presupposto a livelli<br />

<strong>di</strong>fferenti 77 .<br />

Tale descrizione riprende l’ipotesi avanzata da Seuren 78 perché definisce le<br />

presupposizioni come con<strong>di</strong>zioni che i pre<strong>di</strong>cati <strong>di</strong> vari livelli presenti in un testo<br />

impongono ai loro posti argomentali, come esemplificato nello schema<br />

seguente (figura 2.4) 79 :<br />

Mittente<br />

... ... ... ... ...<br />

Contesto<br />

Connettivo<br />

Sequenza<br />

Figura 2.4<br />

La definizione delle presupposizioni come con<strong>di</strong>zioni imposte dai pre<strong>di</strong>cati ai<br />

loro posti argomentali copre sia le occorrenze della presupposizione legate ai<br />

77 Cfr. E. Rigotti e A. Rocci (2001 : 65).<br />

78 Abbiamo già illustrato la posizione <strong>di</strong> Seuren, cfr.par. 1.5.2.<br />

79 Cfr. E. Rigotti e A. Rocci (2001 : 75).<br />

S0<br />

Cotesto<br />

(S-1, S+1...)<br />

Destinatario<br />

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Capitolo secondo<br />

pre<strong>di</strong>cati lessicali e coperte dalla definizione semantica, sia l’idea più generica<br />

<strong>di</strong> presupposto che si associa al termine così come esso è usato nel linguaggio<br />

comune: ad esempio, quando si parla <strong>di</strong> presupposti culturali <strong>di</strong> una certa<br />

società. Cre<strong>di</strong>amo che questa ipotesi, pur essendo ancora in fase <strong>di</strong><br />

elaborazione e certamente non universalmente accettata, <strong>di</strong>mostri la sua<br />

vali<strong>di</strong>tà da due punti <strong>di</strong> vista. Anzitutto, essa incontra quella che è la tendenza<br />

da noi riscontrata negli stu<strong>di</strong> più recenti nello stu<strong>di</strong>o della presupposizione,<br />

ovvero il tentativo <strong>di</strong> inserire tale fenomeno nel quadro più ampio degli scambi<br />

<strong>comunicativi</strong>. In secondo luogo, riteniamo che l’adeguatezza <strong>di</strong> questa<br />

definizione emerga nell’analisi empirica dei casi concreti in cui la<br />

presupposizione opera nella comunicazione verbale. All’analisi esemplificativa<br />

<strong>di</strong> alcuni ambiti in cui la presupposizione può giocare un’importanza critica è<br />

de<strong>di</strong>cato il prossimo capitolo <strong>di</strong> questo lavoro.<br />

2.4 Presupposizioni dei pre<strong>di</strong>cati e presupposizioni dei parlanti<br />

Quanto detto in questo capitolo sembra escludere l’ipotesi pragmatica <strong>di</strong><br />

presupposizione, che considera le presupposizioni come gli elementi che<br />

costituiscono il common ground, o il con<strong>di</strong>viso, tra gli interlocutori. In realtà,<br />

proponendo un’ipotesi nella quale sono i pre<strong>di</strong>cati ad avere delle<br />

presupposizioni, non esclu<strong>di</strong>amo il fatto che i presupposti possano essere<br />

definiti come ciò che definisce il con<strong>di</strong>viso tra i parlanti 80 .<br />

Precisamente, il presupporre, in quanto tale, non è un atto del parlante, ma<br />

piuttosto una conseguenza del <strong>di</strong>re. Come si è visto, sono i pre<strong>di</strong>cati ad imporre<br />

le presupposizioni ai loro posti argomentali; i parlanti, che utilizzano determinati<br />

pre<strong>di</strong>cati, devono avere nel common ground delle proposizioni (che chiamiamo<br />

80<br />

Queste osservazioni nascono da un colloquio con il prof. Eddo Rigotti e il dott. Andrea Rocci<br />

avvenuto il 20 settembre 2002.<br />

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Capitolo secondo<br />

“argomenti reali”) che siano istanze delle con<strong>di</strong>zioni imposte dal pre<strong>di</strong>cato ai<br />

suoi posti argomentali 81 . Lo schema seguente illustra questa <strong>di</strong>namica:<br />

Pre<strong>di</strong>cati: P(x,y,z...)<br />

X: Q(x), R(x,y) Y: S(y), R(x,y)<br />

Z: G(z)<br />

Common ground<br />

Argomenti reali<br />

Estensione per<br />

accomodamento<br />

istanziano<br />

impongono<br />

Figura 2.5<br />

Questo rilievo ci sembra <strong>di</strong> particolare importanza perché apre una possibile<br />

interpretazione della presupposizione che coglie gli aspetti positivi <strong>di</strong> tutti gli<br />

stu<strong>di</strong> analizzati nel precedente capitolo.<br />

81 Al limite, gli argomenti reali che non fossero presenti nel con<strong>di</strong>viso si possono aggiungere<br />

tramite accomodamento (sfruttamento del presupposto).<br />

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Conclusioni<br />

3 Esempi: la presupposizione nella comunicazione<br />

Lo scopo che ci proponiamo in questo capitolo è la descrizione del<br />

funzionamento effettivo della presupposizione nella comunicazione. In<br />

particolare, abbiamo scelto <strong>di</strong> concentrarci su quattro gran<strong>di</strong> ambiti all’interno<br />

della comunicazione: il linguaggio comico, il testo argomentativo (ed,<br />

eventualmente, manipolatorio), il tema dei presupposti culturali e quello della<br />

propedeuticità. La nostra scelta non è motivata dal fatto che questi ambiti siano<br />

esclusivi rispetto alla presenza della presupposizione, ma essi ci sembrano<br />

particolarmente rilevanti per il nostro campo <strong>di</strong> analisi. Il metodo che<br />

utilizzeremo prevalentemente sarà lo stu<strong>di</strong>o <strong>di</strong> alcuni semplici testi per ognuno<br />

degli ambiti considerati. Attraverso tale stu<strong>di</strong>o non ci proponiamo <strong>di</strong> indagare in<br />

modo completo le caratteristiche del linguaggio comico o del testo<br />

argomentativo, piuttosto che il concetto <strong>di</strong> cultura o <strong>di</strong> propedeuticità; il nostro<br />

stu<strong>di</strong>o non è esaustivo, ma ha lo scopo <strong>di</strong> in<strong>di</strong>viduare l’importanza della<br />

presupposizione negli ambiti considerati, in modo esemplificativo e non<br />

sistematico.<br />

3.1 Il linguaggio comico<br />

Rigotti e Rocci (2001) in<strong>di</strong>cano nello stu<strong>di</strong>o del linguaggio comico un campo <strong>di</strong><br />

ricerca privilegiato per lo stu<strong>di</strong>o del modello della congruità presentato in Sens -<br />

Non-sens - Contresens 82 , e che noi abbiamo analizzato nel secondo capitolo.<br />

Infatti, benché il tentativo <strong>di</strong> trovare una definizione generale del comico sembri<br />

un’impresa <strong>di</strong>fficile a realizzarsi 83 , molti degli autori che si sono occupati <strong>di</strong><br />

questo tema hanno riconosciuto l’incongruità come caratteristica essenziale, o<br />

82 Cfr. E. Rigotti e A. Rocci (2001 : 77): “On peut envisager ainsi dans l’analyse des textes<br />

comiques un champ privilégié pour tester le modèle de la congruité que nous avons présenté”.<br />

83 Cfr. E. Banfi (1995 : 10): “È impossibile - o comunque assai <strong>di</strong>fficile - voler ridurre il comico (e<br />

il suo linguaggio) ai suoi minimi termini, cercare <strong>di</strong> in<strong>di</strong>viduarne gli elementi <strong>di</strong> base, gli<br />

“ingre<strong>di</strong>enti”: come non esiste la categoria astratta della “poesia”, così non esiste la categoria<br />

astratta del “comico”; anzi, nulla quanto il comico appare “contaminato” e “mescolato” con altri<br />

elementi che, dal punto <strong>di</strong> vista formale, possono essergli del tutto estranei”.<br />

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Conclusioni<br />

denominatore comune, della comicità 84 . Per Banfi, ad esempio, due sono gli<br />

ingre<strong>di</strong>enti principali del comico: da una parte, i modelli culturali <strong>di</strong> riferimento,<br />

contingenti perché <strong>di</strong>versi nello spazio e mutevoli nel tempo, che ne<br />

costituiscono l’elemento sfuggente e <strong>di</strong>fficilmente descrivibile; d’altra parte, le<br />

strategie linguistiche, che sarebbero comuni a epoche e zone geografiche<br />

<strong>di</strong>verse. Proprio sulle seconde, che rappresentano, secondo Banfi, una sorta <strong>di</strong><br />

variabile (o, forse meglio, <strong>di</strong> “invariante”) “pragmatico-universale” 85 si deve<br />

concentrare lo stu<strong>di</strong>o del funzionamento generale del comico. È indagando le<br />

<strong>di</strong>verse strategie linguistiche generatrici <strong>di</strong> comicità che si riscontra<br />

quell’incongruità che costituirebbe il fondamento del comico:<br />

“la testualità del comico si basa generalmente sulla “novità”, sull’elemento <strong>di</strong><br />

“sorpresa”, su ciò che “annulla un’attesa”, che rompe schemi comportamentali e<br />

modelli preve<strong>di</strong>bili. L’effetto sorpresa, il piccolo (o grande) shock che ne deriva<br />

rappresentano il motore del riso e, quin<strong>di</strong>, la ragione ultima del comico” 86 .<br />

Per illustrare concretamente quanto detto fin qui, consideriamo la strategia<br />

utilizzata in <strong>di</strong>versi servizi del programma televisivo italiano “Striscia la Notizia”:<br />

uno dei meccanismi che innescano la comicità consiste nell’attribuzione <strong>di</strong> voci<br />

e <strong>di</strong>aletti inventati e storpiati a personaggi (molto) famosi come il presidente<br />

americano Bush, o la regina d’Inghilterra Elisabetta... A Bush e alla First Lady,<br />

ad esempio, viene messo in bocca un poco probabile <strong>di</strong>aletto napoletano,<br />

esattamente lo stesso che i curatori del programma attribuivano al suo<br />

predecessore, Clinton, e alla sua consorte Hillary. Si tratta <strong>di</strong> una strategia<br />

molto elementare, che si fonda cioè su <strong>di</strong> un tipo <strong>di</strong> incongruità assai semplice:<br />

la delusione dell’attesa degli spettatori <strong>di</strong> u<strong>di</strong>re, associata ad un personaggio<br />

conosciuto, la sua propria voce (una voce nota, conosciuta, un accento<br />

84<br />

Cfr. E. Rigotti e A. Rocci (2001 : 76): “La plupart des chercheurs qui travaillent sur le langage<br />

comique s’accordent sur le fait que les énoncés comiques comportent une incongruité, bien<br />

qu’ils soient partagés sur la question de savoir si la raison d’être du comique est dans cette<br />

incongruité ou si l’incongruité est subordonnée à une autre fonction”.<br />

85<br />

Cfr. E. Banfi (1995 : 19-20).<br />

86<br />

Cfr. E. Banfi (1995 : 24).<br />

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Conclusioni<br />

familiare) e la sostituzione della stessa con una cadenza o un <strong>di</strong>aletto “fuori<br />

luogo”, improprio, incongruo 87 .<br />

Nel secondo capitolo abbiamo definito l’incongruità, seguendo l’ipotesi<br />

avanzata da Rigotti e Rocci in Sens - Non-sens - Contresens, come generata<br />

dalla lesione <strong>di</strong> un presupposto imposto da un pre<strong>di</strong>cato ad uno dei suoi posti<br />

argomentali. In quest’ottica proveremo ad analizzare alcuni semplici esempi <strong>di</strong><br />

testi comici, senza pretendere <strong>di</strong> arrivare ad una <strong>di</strong>mostrazione completa<br />

dell’ipotesi da noi presa in considerazione, ma per osservare in concreto il<br />

comportamento della presupposizione in questi frammenti testuali.<br />

I testi da noi presi in considerazione sono <strong>di</strong> due generi 88 : abbiamo analizzato<br />

alcune semplici e brevi barzellette in lingua italiana e alcune strisce dei fumetti<br />

<strong>di</strong> Mafalda, considerando anche in questo caso la traduzione italiana 89 . Siamo<br />

coscienti che l’analisi dei fumetti è un campo <strong>di</strong> per sé vasto; esso meriterebbe,<br />

accanto all’analisi linguistica, anche uno stu<strong>di</strong>o semiotico, dal momento che il<br />

testo dei fumetti è accompagnato da immagini. Tuttavia, il nostro scopo non è<br />

fornire un’analisi esaustiva del messaggio che emerge dalla lettura <strong>di</strong> Mafalda e<br />

delle strategie utilizzate dal <strong>di</strong>segnatore argentino Joaquin Salvador Lavado,<br />

più noto come Quino, che ha creato questo personaggio. Vorremmo<br />

semplicemente, ancora una volta, esaminare come la lesione <strong>di</strong> alcuni<br />

presupposti generi un effetto <strong>di</strong> comicità. Nell’introdurre il mondo <strong>di</strong> Mafalda,<br />

dobbiamo ricordare che questo fumetto è comico già per la paradossalità della<br />

protagonista, “arrabbiata e contestataria” 90 per definizione del suo stesso<br />

87 L’esempio è tratto da una lezione del prof. Emanuele Banfi tenuta all’Università della Svizzera<br />

Italiana nel mese <strong>di</strong> aprile 2002. Cfr. anche E. Banfi (1995 : 64-65). La banalità della strategia<br />

descritta deriva in parte dal pubblico a cui si rivolge “Striscia la Notizia”: gli autori del<br />

programma devono lavorare su attese e conoscenze comuni a un target ampio e <strong>di</strong>somogeneo.<br />

La conoscenza del presidente Bush e della sua voce è certamente con<strong>di</strong>visa da ampie fasce<br />

del pubblico italiano a cui la trasmissione vuole rivolgersi.<br />

88 Per ragioni <strong>di</strong> semplicità, abbiamo preso in considerazione solo testi creati ad hoc per essere<br />

umoristici; tuttavia, le considerazioni che faremo valgono anche per la comicità generata<br />

involontariamente.<br />

89 Cfr. Quino (2001). Il libro raccoglie tutte le strisce pubblicate su quoti<strong>di</strong>ani e settimanali<br />

argentini dal 1964 al 1973, quando la produzione delle storie <strong>di</strong> Mafalda si interrompe<br />

definitivamente.<br />

90 Cfr. Quino, (Il mondo <strong>di</strong> Mafalda), p. 550.<br />

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Sara Greco<br />

Anno Accademico 2001/2002<br />

Memoria <strong>di</strong> Licenza - Relatore: Prof. Eddo Rigotti<br />

La presupposizione: aspetti <strong>logici</strong>, <strong>linguistici</strong> e <strong>comunicativi</strong><br />

Conclusioni<br />

autore, una bambina <strong>di</strong> sei anni che si occupa <strong>di</strong> questioni “da adulti”: la politica<br />

argentina, le relazioni internazionali, le attività dell’Onu... Insieme a queste<br />

preoccupazioni c’è poi la vita <strong>di</strong> una bambina “normale”, alle prese con i<br />

genitori, gli amici, il fratellino Nando, la scuola.<br />

3.1.1 Il Mittente e alcuni aspetti del contesto non sono congrui con i<br />

tratti imposti dal connettivo<br />

Il connettivo sequenziale impone anche al mittente e al destinatario una serie <strong>di</strong><br />

tratti che essi devono rispettare perché ci sia congruità. Ad esempio, il<br />

connettivo <strong>di</strong> tipo iussivo presuppone una certa autorità del mittente sul<br />

destinatario; la lesione <strong>di</strong> questo presupposto genera un non-senso. Un figlio<br />

non può <strong>di</strong>re a suo padre “Vai a letto presto oggi, mi raccomando” perché i ruoli<br />

padre-figlio non sono simmetrici rispetto all’autorità e quin<strong>di</strong> rispetto alla<br />

possibilità <strong>di</strong> dare or<strong>di</strong>ni o consigli 91 :<br />

M: persona<br />

autorevole<br />

?<br />

Mittente:<br />

figlio<br />

Connettivo: or<strong>di</strong>ne, consiglio (connettivo iussivo)<br />

Or<strong>di</strong>ne, consiglio,<br />

esortazione<br />

“Vai a letto presto, oggi,<br />

mi raccomando”<br />

D: persona che abbia<br />

bisogno <strong>di</strong> essere accu<strong>di</strong>ta<br />

(bambino...)<br />

Destinatario:<br />

padre<br />

Figura 3.1<br />

Alla lesione <strong>di</strong> questo presupposto può associarsi un effetto <strong>di</strong> comicità;<br />

osserviamo un caso <strong>di</strong> questo tipo in figura 3.1 dove, ad essere incongrui, sono<br />

il mittente rispetto alla situazione descritta nelle prime quattro vignette:<br />

91<br />

L’esempio è tratto da una lezione del prof. Eddo Rigotti tenuta all’Università della Svizzera<br />

Italiana <strong>di</strong> Lugano nel mese <strong>di</strong> maggio 2002.<br />

?<br />

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Memoria <strong>di</strong> Licenza - Relatore: Prof. Eddo Rigotti<br />

La presupposizione: aspetti <strong>logici</strong>, <strong>linguistici</strong> e <strong>comunicativi</strong><br />

Conclusioni<br />

Figura 3.2<br />

In questa striscia, Mafalda e suo padre escono <strong>di</strong> casa; pronto per il lavoro, lui,<br />

con la cartella e il grembiule per andare a scuola, lei. I due prendono<br />

l’ascensore, si salutano e si separano. La sequenza sembra raccontare una<br />

scena quoti<strong>di</strong>ana <strong>di</strong> un padre che accompagna sua figlia e la saluta prima che<br />

vada a scuola. L’ultima vignetta, tuttavia, ribalta questa attesa mostrando<br />

un’inversione <strong>di</strong> ruoli: <strong>di</strong>cendo “In certe cose ancora non sa cavarsela da solo,<br />

poveretto!”, Mafalda lede il presupposto <strong>di</strong> autorità scambiando i ruoli padre-<br />

figlia. Mafalda, cioè, non è il mittente adeguato ad avere, data la situazione<br />

descritta in S-1, un sentimento <strong>di</strong> compassione per suo padre. Mittente e<br />

situazione iniziale (S-1) 92 sono quin<strong>di</strong> incongrui rispetto alla funzione che il<br />

connettivo sequenziale impone loro tramite l’insieme delle presupposizioni<br />

legate ai posti argomentali che esse occupano 93 :<br />

92<br />

In realtà, è la situazione contestuale descritta nelle prime quattro vignette ad essere<br />

incongrua; questa situazione viene trattata come S-1.<br />

93<br />

Cfr. E. Rigotti e A. Rocci (2001 : 74): “La fonction d’une séquence dans la hiérarchie<br />

pré<strong>di</strong>catif-argumentale qui constitue la structure sémantique du text correspond à la conjonction<br />

des présuppositions qui caratérisent la place argumentale occupée par la séquence”.<br />

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Mittente:<br />

Mafalda<br />

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La presupposizione: aspetti <strong>logici</strong>, <strong>linguistici</strong> e <strong>comunicativi</strong><br />

Conclusioni<br />

Connettivo: Quanto successo (S-1) suscita il<br />

sentimento p, per la ragione q in M<br />

M S-1: Situazione<br />

che giustifichi<br />

il sentimento p<br />

?<br />

Il padre <strong>di</strong><br />

Mafalda la<br />

accompagna e<br />

la saluta<br />

?<br />

S0:<br />

sentimento<br />

p<br />

“Poveretto”<br />

S+1: ragione<br />

q <strong>di</strong> p<br />

“In certe cose<br />

ancora non sa<br />

cavarsela da<br />

solo”<br />

Destinatario:<br />

Mafalda<br />

Figura 3.3<br />

Come vedremo anche negli esempi successivi, la lesione del presupposto<br />

obbliga il lettore a “fermarsi” e reinterpretare tutto il testo rileggendolo “da<br />

destra a sinistra”, cioè dopo aver riconosciuto la funzione ironica. Con un<br />

termine preso in prestito dal Knowledge Management, chiamiamo questo<br />

meccanismo “reframing” 94 , letteralmente re-incorniciamento <strong>di</strong> un testo in un<br />

nuovo quadro <strong>di</strong> comprensione e riferimento. Questa operazione è obbligata<br />

perché si possa avere un’interpretazione del testo al <strong>di</strong> là del non-senso 95 .<br />

94<br />

Il termine è ripreso da una lezione che il prof. Martin Eppler ha tenuto all’Università della<br />

Svizzera Italiana nel mese <strong>di</strong> marzo 2001.<br />

95<br />

Cfr. S. Attardo (1994 : 276): “The processing of a joke can be described (in theory-neutral<br />

terms) as the <strong>di</strong>scovery of a second “sense” in a text that had initially seemed to be headed in<br />

the <strong>di</strong>rection of a “normal” <strong>di</strong>sambiguation”.<br />

D<br />

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La presupposizione: aspetti <strong>logici</strong>, <strong>linguistici</strong> e <strong>comunicativi</strong><br />

Conclusioni<br />

3.1.2 La sequenza non è congrua con la funzione assegnatale dal<br />

connettivo<br />

Un’ulteriore categoria <strong>di</strong> lesione del presupposto che può generare effetti<br />

comici è l’incongruità che deriva dal ribaltamento delle attese create dal<br />

connettivo sulla funzione complessiva della sequenza. Consideriamo il caso<br />

della figura 3.2:<br />

Figura 3.4<br />

Mafalda vorrebbe con<strong>di</strong>videre con l’amico Felipe la preoccupazione per un<br />

potenziale pericolo che li riguarda entrambi: la minaccia <strong>di</strong> un massacro<br />

nucleare annunciato dal giornale ra<strong>di</strong>o - quin<strong>di</strong>, da una fonte autorevole. Da<br />

parte <strong>di</strong> Felipe non c’è uptake, oppure si può <strong>di</strong>re che c’è un uptake deviante:<br />

se al giornale ra<strong>di</strong>o è stato detto che il massacro minaccia tutti, allora si è<br />

parlato anche <strong>di</strong> lui. Poiché è la prima volta che si sente citato alla ra<strong>di</strong>o, Felipe<br />

si mostra sorpreso e lusingato, ciò che risulta paradossale dato il tipo <strong>di</strong><br />

messaggio <strong>di</strong>ffuso dalla ra<strong>di</strong>o stessa 96 . L’analisi del testo si può rappresentare<br />

in questo modo:<br />

71


M: persona a cui<br />

è stato fatto<br />

l’annuncio<br />

Mittente:<br />

Felipe<br />

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La presupposizione: aspetti <strong>logici</strong>, <strong>linguistici</strong> e <strong>comunicativi</strong><br />

Conclusioni<br />

Connettivo: “ma guarda...”<br />

M reagisce all’annuncio <strong>di</strong> D in S-1 traendone<br />

l’implicazione sorprendente e rilevante in S0.<br />

S-1: Annuncio <strong>di</strong><br />

una catastrofe che<br />

minaccia M e D<br />

Annuncio della<br />

catastrofe<br />

nucleare che<br />

minaccia tutti e<br />

richiesta <strong>di</strong> uptake<br />

S0: Implicazione<br />

sorprendente <strong>di</strong> S-1<br />

rilevante per M e per D<br />

È la prima volta che parlano <strong>di</strong><br />

me alla ra<strong>di</strong>o!<br />

3.1.3 Contrad<strong>di</strong>zione con ciò che è noto in un contesto<br />

D: persona che<br />

ha fatto<br />

l’annuncio<br />

Destinatario:<br />

Mafalda<br />

Figura 3.5<br />

Un altro tipo <strong>di</strong> lesione del presupposto che può portare a conseguenze <strong>di</strong><br />

comicità deriva dall’incongruità con una conoscenza o una credenza che, nel<br />

contesto dell’enunciazione, è considerata scontata: si tratta, cioè, della lesione<br />

<strong>di</strong> un presupposto culturale legato ad una particolare comunità <strong>di</strong> persone 97 . In<br />

ogni comunità umana vi sono cose che “non si può non sapere”: chi le mette in<br />

<strong>di</strong>scussione è “fuori dal gruppo” e, al limite, può anche far ridere. Consideriamo<br />

subito un esempio:<br />

Figura 3.6<br />

96 Nell’atteggiamento <strong>di</strong> Felipe vi è in realtà anche un secondo livello <strong>di</strong> incongruità: che la ra<strong>di</strong>o<br />

abbia parlato <strong>di</strong> una minaccia che riguarda tutti non significa infatti che abbia citato lui in<br />

particolare. A maggior ragione, quin<strong>di</strong>, la sua contentezza è ingiustificata.<br />

97 Per la spiegazione e la <strong>di</strong>scussione <strong>di</strong> questo tipo <strong>di</strong> presupposti cfr. paragrafo 3.3.<br />

?<br />

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La presupposizione: aspetti <strong>logici</strong>, <strong>linguistici</strong> e <strong>comunicativi</strong><br />

Conclusioni<br />

In questa vignetta, ambientata nella classe <strong>di</strong> Mafalda, la maestra spiega la<br />

storia della scoperta dell’America da parte <strong>di</strong> Cristoforo Colombo. Nel<br />

descrivere la tenacia <strong>di</strong> Colombo che, nonostante fosse osteggiato da tutti,<br />

continuava ad affermare la convinzione che la terra fosse rotonda, la maestra<br />

presuppone che tutti i bambini sappiano che la terra <strong>di</strong> fatto è rotonda, ciò che<br />

costituisce una conoscenza generalmente con<strong>di</strong>visa e <strong>di</strong>ffusa ai giorni nostri. Il<br />

lettore interpreta le parole della maestra con<strong>di</strong>videndo questo presupposto;<br />

perciò fa ridere la reazione <strong>di</strong> Manolito, un altro amico (e compagno <strong>di</strong> classe)<br />

<strong>di</strong> Mafalda, che <strong>di</strong>mostra <strong>di</strong> non conoscere ciò che tutti ritengono scontato. Un<br />

esempio molto simile è il seguente:<br />

Figura 3.7<br />

Susanita reagisce in modo incongruo rispetto a quello che noi tutti ci<br />

aspettiamo perché, mentre normalmente si considerano i pettegolezzi qualcosa<br />

<strong>di</strong> poco importante, per Susanita essi sono l’occupazione più importante<br />

dell’esistenza.<br />

Un caso estremo del meccanismo fin qui descritto si ha quando la comicità va a<br />

ledere un presupposto molto elementare e con<strong>di</strong>viso da tutti, cioè il rispetto<br />

della coerenza logica <strong>di</strong> ciò che si afferma, ciò che è alla base <strong>di</strong> qualsiasi tipo<br />

<strong>di</strong> comunicazione. Ve<strong>di</strong>amo un esempio nella barzelletta che segue:<br />

Un tale entra in una pizzeria e or<strong>di</strong>na una pizza <strong>di</strong>cendo: “Me la tagli solo in tre<br />

pezzi, per favore; non ce la farei mai a mangiarne sei”.<br />

Evidentemente, “non ce la farei mai a mangiarne sei” non è una buona<br />

giustificazione della richiesta <strong>di</strong> tagliare la pizza solo in tre pezzi, perché,<br />

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Conclusioni<br />

ovviamente, la quantità <strong>di</strong> pizza non cambia comunque la si tagli. La struttura<br />

della barzelletta è la seguente:<br />

Mittente: un<br />

cliente <strong>di</strong> una<br />

pizzeria<br />

M: cliente Connettivo:dà la<br />

ragione della richiesta<br />

Espressione della<br />

richiesta<br />

“Me la tagli solo in<br />

tre pezzi, per<br />

favore”<br />

Connettivo: richiesta<br />

Giustificazione<br />

della richiesta<br />

Figura 3.8<br />

La giustificazione fornita non è adeguata, cioè non riesce a fornire una ragione<br />

sufficiente per la richiesta, perché è insensata. Essa lede infatti un<br />

presupposto: la conoscenza, generalmente abbastanza <strong>di</strong>ffusa, del fatto che<br />

6/6 o 3/3 <strong>di</strong> pizza siano esattamente la stessa quantità.<br />

D: ven<strong>di</strong>tore<br />

Destinatario:<br />

pizzaiolo<br />

3.1.4 Banalità: ripetizione <strong>di</strong> ciò che in un contesto è già risaputo<br />

Un’altra categoria <strong>di</strong> comicità è quella che si basa sull’affermazione <strong>di</strong> qualcosa<br />

<strong>di</strong> scontato, <strong>di</strong> presupposto (in una certa comunità <strong>di</strong> parlanti). Non occorre<br />

infatti riba<strong>di</strong>re ciò che è già risaputo; anche perché, quando si presuppone un<br />

fatto o una conoscenza, si presuppongono anche la sua notorietà e la sua<br />

verità 98 .<br />

98 A questo proposito S. Tar<strong>di</strong>ni, parlando delle premesse sottointese in un entimema, <strong>di</strong>ce che<br />

“non viene presupposta soltanto la premessa mancante, ma anche il fatto che non è necessario<br />

?<br />

“...non ce la farei<br />

mai a mangiarne<br />

sei”<br />

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Conclusioni<br />

Significativa è l’affermazione <strong>di</strong> ciò che è scontato nella risposta alle domande:<br />

si dà una risposta banale ad una domanda che non sarebbe banale, ma viene<br />

fraintesa, come accade nella barzelletta che segue:<br />

“Mi scusi, capitano, questa è la mia prima crociera e mi stavo chiedendo se le<br />

imbarcazioni <strong>di</strong> questa stazza affondano spesso”.<br />

“No, mai più <strong>di</strong> una volta”.<br />

Chi pone la domanda si interroga sulla probabilità con la quale la nave su cui<br />

viaggia potrebbe affondare; il capitano interpreta “spesso” come “quante volte<br />

per nave” al posto che “con quanta probabilità” e risponde in modo banale,<br />

ovvio: una nave già affondata non può affondare <strong>di</strong> nuovo. La domanda, cioè,<br />

non sarebbe incongrua, ma chi risponde la interpreta come tale: da questa<br />

incomprensione deriva la banalità della risposta.<br />

La banalità, cioè l’affermazione <strong>di</strong> ciò che è risaputo o ovvio, può anche<br />

<strong>di</strong>ventare la caratteristica saliente <strong>di</strong> un personaggio comico. Tale è il caso<br />

della comicità del professor Catalano, il personaggio principale della<br />

trasmissione <strong>di</strong> Renzo Arbore Quelli della Notte (1985). Il professor Catalano<br />

vuole rappresentare la paro<strong>di</strong>a <strong>di</strong> un linguaggio ampolloso e vuoto <strong>di</strong> contenuti<br />

tipico <strong>di</strong> certi ambienti intellettuali. Consideriamo ad esempio questa sua<br />

riflessione:<br />

“Riguardo queste elezioni nessuno ha detto la cosa fondamentale. Alcuni partiti<br />

hanno avuto un progresso, altri partiti hanno avuto un regresso. Perché è<br />

successo questo? Questo è successo perché alcuni partiti hanno avuto più voti,<br />

altri partiti hanno avuto meno voti” 99 .<br />

esprimerla, o, meglio ancora, che è meglio non esprimerla; viene cioè presupposto che sia un<br />

fatto noto, risaputo”. Cfr. S. Tar<strong>di</strong>ni (1997 : 436).<br />

99 L’esempio è tratto da una lezione del prof. Emanuele Banfi tenuta all’Università della Svizzera<br />

Italiana nel mese <strong>di</strong> aprile 2002. Cfr. anche E. Banfi (1995 : 46).<br />

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Conclusioni<br />

La ripetizione <strong>di</strong> cose già dette, quin<strong>di</strong> già con<strong>di</strong>vise, è una strategia utilizzata<br />

anche dal Trio formato da Anna Marchesini, Massimo Lopez e Tullio Solenghi<br />

nella loro paro<strong>di</strong>a televisiva de I Promessi Sposi. L’espressione utilizzata dal<br />

Manzoni per introdurre la figura <strong>di</strong> Renzo al momento <strong>di</strong> presentarlo, nel<br />

capitolo II: “Lorenzo, o come <strong>di</strong>cevan tutti Renzo” 100 , viene ripetuta ogni volta<br />

che questo personaggio compare in scena, fino alla fine del racconto. Poiché<br />

non occorrerebbe, evidentemente, ripetere la presentazione <strong>di</strong> Renzo a chi già<br />

lo conosce, si crea un effetto <strong>di</strong> esasperazione che provoca comicità.<br />

3.2 Argomentazione e manipolazione<br />

Il testo argomentativo costituisce, a nostro parere, un ambito <strong>di</strong> analisi<br />

particolarmente interessante per la gravità delle conseguenze che l’operare<br />

della presupposizione in esso comporta. Definiamo argomentativo il testo che<br />

ha come suo scopo fondamentale la persuasione del destinatario 101 .<br />

L’argomentazione è un atto linguistico - essa presuppone, cioè, l’uso del<br />

linguaggio - e, insieme, un processo razionale, che fa cioè appello alla ragione<br />

e alla sua capacità <strong>di</strong> riconoscere la verità 102 . L’argomentazione è un processo<br />

<strong>di</strong>ffuso e importante nella comunicazione; è un processo a rischio, perché<br />

mette a confronto mittente e destinatario, le loro aspettative e credenze,<br />

rispetto a ciò che è più persuasivo, che convince, che viene percepito come più<br />

vero. Rigotti <strong>di</strong>ce che la retorica è un ampliamento dell’etica all’intersoggettività,<br />

nel senso che si riconosce che il bene che attrae il nostro essere attrae anche<br />

l’altro, che con<strong>di</strong>vide la nostra stessa natura 103 . Il vero e il giusto sono per<br />

natura più forti (più persuasivi) dei loro contrari 104 : a partire da questa certezza<br />

è possibile confrontarsi con il destinatario in modo autentico, persuaderlo senza<br />

100 Cfr. A. Manzoni, (1990 : 27).<br />

101 Più precisamente, secondo S. Stati, il fine <strong>di</strong> un testo argomentativo può essere anche la<br />

spiegazione. Cfr. S. Stati (2002).<br />

102 Cfr. S. Stati (2002).<br />

103 Cfr. E. Rigotti (1995 : 6).<br />

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Conclusioni<br />

ingannarlo. Si argomenta, cioè, volendo far sì che l’altro riconosca una verità o<br />

un bene che si sono già riconosciuti. Questo non esclude che, nel processo <strong>di</strong><br />

argomentazione, possa intervenire anche un utilizzo inautentico del linguaggio,<br />

un inganno, una manipolazione. Tale rischio è connaturato all’argomentazione<br />

in quanto processo che coinvolge la soggettività e la libertà degli argomentanti:<br />

spesso la manipolazione si configura proprio come abbaglio, cioè come errore<br />

del parlante più che come inganno volontario e preme<strong>di</strong>tato. Si cerca allora <strong>di</strong><br />

convincere il destinatario <strong>di</strong> un bene che non è tale, ma che si crede tale 105 .<br />

Tuttavia, è possibile <strong>di</strong>stinguere tra un uso autentico e un uso manipolatorio del<br />

linguaggio, anche se questo richiede spesso tempo ed esperienza. La<br />

conoscenza dei meccanismi che possono portare alla manipolazione può<br />

servire a questo scopo, tanto è vero che essa era considerata utile anche nel<br />

mondo antico nel senso in cui è utile ad un me<strong>di</strong>co la conoscenza <strong>di</strong> ciò che è<br />

dannoso alla salute 106 . I meccanismi manipolatori sono numerosi; alcuni <strong>di</strong> essi<br />

sono legati strettamente alla presupposizione e per questo verranno<br />

brevemente in<strong>di</strong>cati qui <strong>di</strong> seguito.<br />

3.2.1 Sfruttamento del presupposto e manipolazione<br />

Un primo esempio <strong>di</strong> manipolazione legata alla presupposizione è dovuto alla<br />

degenerazione <strong>di</strong> quello che possiamo definire sfruttamento del<br />

presupposto, un fenomeno molto <strong>di</strong>ffuso nella comunicazione. Può accadere,<br />

in taluni casi, che chi parla <strong>di</strong>a per scontata un’informazione o una conoscenza<br />

che in realtà non è con<strong>di</strong>visa dagli interlocutori. Chi ascolta, tuttavia, non deve<br />

necessariamente ritenere insensata la mossa comunicativa del parlante per la<br />

avvenuta lesione del presupposto; egli può, piuttosto, inserire anche ciò che è<br />

104<br />

Cfr. E. Rigotti (1995 : 6). Questo concetto è espresso per la prima volta in Aristotelis<br />

Rethorica, p. 9: “La retorica è utile perché la verità e la giustizia sono per natura più forti dei<br />

loro contrari”.<br />

105<br />

Da una lezione tenuta dal prof. Eddo Rigotti all’Università della Svizzera Italiana nel mese <strong>di</strong><br />

giugno 1999.<br />

106<br />

Cfr. E. Rigotti (1995: 7).<br />

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La presupposizione: aspetti <strong>logici</strong>, <strong>linguistici</strong> e <strong>comunicativi</strong><br />

Conclusioni<br />

stato presupposto nel suo mondo <strong>di</strong> conoscenze, aggiungendovi subito dopo<br />

ciò che il parlante ha asserito. Chiamiamo questo fenomeno, appunto,<br />

sfruttamento del presupposto.<br />

Quanto detto risulterà più chiaro con un esempio. Supponiamo che Paola <strong>di</strong>ca<br />

a Cristina: “sai, al matrimonio <strong>di</strong> Piero c’era anche Filippo”. Cristina non sa che<br />

Piero si è sposato; ma lo viene a sapere in<strong>di</strong>rettamente attraverso<br />

l’affermazione <strong>di</strong> Paola, e accetta tacitamente questo presupposto. Abbiamo<br />

quin<strong>di</strong> un ampliamento delle conoscenze con<strong>di</strong>vise tra Paola e Cristina che<br />

avviene a due livelli: un primo livello, implicito, che consiste nell’accettazione<br />

del presupposto; e un secondo livello, esplicito, che inserisce tra le conoscenze<br />

con<strong>di</strong>vise il contenuto dell’asserzione. Lo schema seguente illustra il processo<br />

<strong>di</strong> ampliamento del con<strong>di</strong>viso:<br />

Figura 3.9<br />

Lo sfruttamento del presupposto è un fenomeno che si riscontra spesso nella<br />

comunicazione. Esso può avvenire quando il parlante non sa che chi ascolta<br />

non è a conoscenza <strong>di</strong> ciò che egli dà per scontato, ma può anche costituire<br />

una strategia utilizzata appositamente per trasmettere informazioni ulteriori in<br />

un modo in<strong>di</strong>retto. Stalnaker tratta questo tema e osserva che “in alcuni casi, lo<br />

scopo centrale del fare un’asserzione può essere comunicare una<br />

presupposizione che quell'asserzione richiede”, quando, ad esempio, si<br />

desidera che chi ascolta prenda in considerazione elementi del contesto che gli<br />

erano sconosciuti. Un esempio a cui lo stesso Stalnaker fa riferimento 107<br />

107 Cfr. R. Stalnaker (1973 : 242).<br />

asserzione<br />

presupposizione<br />

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La presupposizione: aspetti <strong>logici</strong>, <strong>linguistici</strong> e <strong>comunicativi</strong><br />

Conclusioni<br />

descrive una situazione <strong>di</strong> <strong>di</strong>alogo tra due ipotetici colleghi <strong>di</strong> lavoro. Il primo<br />

<strong>di</strong>ce della nuova segretaria: “Jennifer è una donna attraente” e il secondo<br />

risponde: “Sì, anche suo marito la pensa così”, volendo comunicare con questa<br />

asserzione che la segretaria in questione è una donna sposata. Se<br />

un’affermazione <strong>di</strong>retta potrebbe risultare forse troppo sgarbata, attraverso lo<br />

sfruttamento del presupposto si arriva ad ottenere lo scopo desiderato.<br />

Traiamo un ulteriore esempio <strong>di</strong> sfruttamento del presupposto dal libro “Il<br />

Signore degli Anelli” <strong>di</strong> J.R.R. Tolkien 108 . L’autore introduce uno dei<br />

personaggi-chiave per le mosse iniziali del racconto, Bilbo Baggins, colui che<br />

inizialmente è in possesso dell’anello, e descrive i suoi rapporti con gli altri<br />

abitanti <strong>di</strong> Hobbiville:<br />

Ma finora guai non ve ne erano stati, ed essendo il signor Baggins generoso, la<br />

gente gli perdonava facilmente le sue stranezze e la sua fortuna. Mantenne i<br />

rapporti con i parenti (eccetto naturalmente i Sackville-Baggins) e contava<br />

molti e devoti ammiratori fra la gente umile ed or<strong>di</strong>naria 109 .<br />

L’utilizzo dell’avverbio “naturalmente” nelle prime battute del racconto, quando i<br />

lettori non conoscono ancora il mondo in cui Tolkien vuole introdurli, costituisce<br />

uno sfruttamento del presupposto. “Naturalmente”, infatti, significa “come chi<br />

legge ha ragione <strong>di</strong> dedurre da una serie <strong>di</strong> buoni motivi”, che però, in questo<br />

caso, non sono stati ancora specificati. Non sappiamo ancora, cioè, perché<br />

Bilbo Baggins naturalmente non mantenne i rapporti con il ramo della sua<br />

famiglia noto come Sackville-Baggins, ma sappiamo che vi è una ragione per<br />

questa esclusione. In questo senso, lo sfruttamento del presupposto risulta<br />

essere una strategia efficace, sia per l’aggiunta <strong>di</strong> nuove informazioni al<br />

con<strong>di</strong>viso dell’autore e dei lettori, che per la creazione <strong>di</strong> un’attesa. Chi legge è<br />

portato a domandarsi per quale ragione i rapporti tra Bilbo e i Sackville-Baggins<br />

debbano essere “naturalmente” cattivi e per questo attende il proseguire del<br />

108 Cfr. J.R.R. Tolkien (1955).<br />

109 Cfr. J.R.R. Tolkien (1955 : 47)<br />

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Anno Accademico 2001/2002<br />

Memoria <strong>di</strong> Licenza - Relatore: Prof. Eddo Rigotti<br />

La presupposizione: aspetti <strong>logici</strong>, <strong>linguistici</strong> e <strong>comunicativi</strong><br />

Conclusioni<br />

racconto. In effetti, poche pagine dopo, Tolkien dà le informazioni che i lettori<br />

aspettano, raccontando <strong>di</strong> una <strong>di</strong>atriba familiare legata all’ere<strong>di</strong>tà <strong>di</strong> Bilbo. Bilbo,<br />

adottando Frodo, un suo parente rimasto orfano, si trova con un erede<br />

legittimo, ciò che contrasta con i progetti della famiglia Sackville-Baggins:<br />

Comunque, eravamo rimasti che il povero signorino Frodo si trovò<br />

improvvisamente orfano ed abbandonato in mezzo a quegli strani Bucklandesi,<br />

come li chiamereste voi; fu cresciuto ed educato a Villa Brandy, una vera e<br />

propria caserma, dove risiedevano permanentemente non meno <strong>di</strong> un paio <strong>di</strong><br />

centinaia <strong>di</strong> parenti del vecchio Padron Gorbadoc. Bisogna riconoscere che il<br />

signor Bilbo fece un gran bel gesto riportando il ragazzo a vivere tra la gente<br />

normale.<br />

"Quelli che ci rimasero male furono i Sackville-Baggins. Avevano creduto<br />

<strong>di</strong> <strong>di</strong>ventare loro i padroni <strong>di</strong> Casa Baggins quella volta che Bilbo partì e che<br />

tutti lo credevano morto. Ed eccolo che ritorna e li caccia via, e continua a<br />

vivere anni ed anni, senza mai invecchiare un solo giorno, che sia benedetto!<br />

Ed un bel giorno spunta fuori con un erede con le carte in regola. I Sackville-<br />

Baggins non metteranno mai più piede in Casa Baggins, o perlomeno è da<br />

sperarsi" 110 .<br />

Abbiamo citato tre casi nei quali lo sfruttamento del presupposto assume una<br />

valenza positiva, in particolare è utile perché il <strong>di</strong>scorso proceda in modo più<br />

veloce, o più opportuno, o più interessante, come in quest’ultimo esempio. Ai<br />

limiti del meccanismo <strong>di</strong> sfruttamento del presupposto, però, si situa una<br />

possibilità <strong>di</strong> manipolazione. Si tratta <strong>di</strong> dare per scontato, come se fosse una<br />

conoscenza con<strong>di</strong>visa all’interno <strong>di</strong> una certa comunità più o meno ristretta,<br />

qualcosa <strong>di</strong> falso o comunque non accettato. Si dà per presupposto, cioè,<br />

qualcosa che non ha le caratteristiche <strong>di</strong> scontatezza e notorietà necessarie<br />

per esserlo.<br />

110 Cfr. J.R.R. Tolkien (1955 : 49-50)<br />

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La presupposizione: aspetti <strong>logici</strong>, <strong>linguistici</strong> e <strong>comunicativi</strong><br />

Conclusioni<br />

Una prima fonte <strong>di</strong> manipolazione legata questo tipo <strong>di</strong> operazione era già stata<br />

in<strong>di</strong>viduata da Frege, come abbiamo visto nel primo capitolo 111 . Frege<br />

sottolineava la pericolosità <strong>di</strong> espressioni, quali “la volontà del popolo”, prive <strong>di</strong><br />

un referente definito ed esistente. L’utilizzo <strong>di</strong> tali espressioni nel linguaggio<br />

naturale porta alla manipolazione, dovuta alla lesione del presupposto <strong>di</strong><br />

esistenza: si pre<strong>di</strong>ca qualcosa <strong>di</strong> un’entità inesistente <strong>di</strong> cui, però, si dà per<br />

scontata l’esistenza. Nel secondo capitolo abbiamo detto che i presupposti<br />

sono legati a con<strong>di</strong>zioni imposte dai pre<strong>di</strong>cati ai loro posti argomentali. Occorre<br />

aggiungere che anche nella semantica dei nomi vi è un aspetto legato alla<br />

presupposizione. Il nome suggerisce l’esistenza reale <strong>di</strong> quello che viene<br />

nominato: per questa ragione, parlare <strong>di</strong> “volontà del popolo” significa<br />

in<strong>di</strong>rettamente presupporne l’esistenza. Questa caratteristica della nominalità è<br />

stata scoperta già dal grammatico Prisciano, che in<strong>di</strong>ca la caratteristica<br />

fondamentale del nome come pars orationis nel suo “significare substantiam et<br />

qualitatem” 112 . Il nome in se stesso, cioè, costituisce una suggestione o istanza<br />

<strong>di</strong> esistenza 113 :<br />

si tratta <strong>di</strong> quel carattere, messo a tema nella denominazione del nome come<br />

sostantivo, per cui con il denominare qualcosa <strong>di</strong>ciamo implicitamente (o meglio<br />

presupponiamo) che quel qualcosa cosiffatto esiste, ha una sua consistenza <strong>di</strong><br />

realtà 114 .<br />

In questo suggerimento dell’esistenza <strong>di</strong> ciò che viene nominato risiede il<br />

potere del nome e la possibilità del suo uso manipolatorio, che è stata sfruttata<br />

da ideologie <strong>di</strong> ogni genere 115 . Il suggerimento <strong>di</strong> esistenza è una caratteristica<br />

legata a tutti i nomi, ma la manipolazione legata ai nomi astratti ci sembra<br />

essere più sottile. Infatti, risulta più semplice avvertire imme<strong>di</strong>atamente<br />

l’insensatezza <strong>di</strong> un’affermazione quale “l’attuale re <strong>di</strong> Francia è calvo” piuttosto<br />

111<br />

Cfr. par. 1.1.1.<br />

112<br />

Cfr. Prisciani Institutionum Grammaticarum libri XVIII,. Cit. in: S. Cigada (1999 : 165).<br />

113<br />

Cfr. S. Cigada (1999 : 167).<br />

114<br />

Cfr. S. Cigada (1999 : 168).<br />

115<br />

Cfr. S. Cigada (1999 : 220): l’autrice analizza un corpus <strong>di</strong> testi tratti da interventi <strong>di</strong> M.<br />

Robespierre nel biennio 1791-1793. Una delle espressioni utilizzate da Robespierre è “la<br />

volonté générale de la nation”, che ricorda “la volontà del popolo” <strong>di</strong> Frege.<br />

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Conclusioni<br />

che comprendere che la volontà del popolo è un concetto vuoto, al quale non si<br />

associa nessun referente nel mondo reale.<br />

Abbiamo detto che il nome costituisce un suggerimento, piuttosto che<br />

un’affermazione <strong>di</strong>retta, dell’esistenza dell’oggetto nominato. In effetti, l’utilizzo<br />

dell’espressione “volontà del popolo” non è necessariamente manipolatorio; si<br />

potrebbe infatti <strong>di</strong>re “la volontà del popolo non esiste”, oppure “la volontà del<br />

popolo è un esempio utilizzato da Frege”: in questi casi, un pre<strong>di</strong>cato <strong>di</strong> livello<br />

più alto corregge l’interpretazione <strong>di</strong> quello che viene in<strong>di</strong>cato dal nome.<br />

Parallelamente alla lesione del presupposto <strong>di</strong> esistenza, si possono trovare<br />

casi <strong>di</strong> enunciati che ledono altri tipi <strong>di</strong> presupposizioni. Citiamo come esempio<br />

una possibile domanda rivolta ad un sospetto uxoricida durante un<br />

interrogatorio: “perché ha ucciso sua moglie con un ferro da stiro?” 116 . Questa<br />

domanda-tranello presuppone in effetti, in modo manipolatorio, che il sospettato<br />

abbia effettivamente ucciso sua moglie, ciò che dovrebbe essere teoricamente<br />

ancora da verificare. Si tratta della lesione <strong>di</strong> un presupposto <strong>di</strong> tipo fattuale,<br />

che riguarda cioè il verificarsi <strong>di</strong> un determinato evento o azione.<br />

3.2.2 “Lo sanno tutti”: la manipolazione legata al verbo sapere<br />

Una <strong>di</strong>namica simile a quella dello sfruttamento del presupposto è quella della<br />

manipolazione legata all’uso <strong>di</strong> espressioni quali “lo sanno tutti”, “è noto a tutti<br />

che...”, espressioni che lo stesso Aristotele aveva in<strong>di</strong>viduato e spiegato nel<br />

terzo libro della Retorica 117 . In effetti, la manipolazione legata all’uso <strong>di</strong> queste<br />

espressioni è spiegabile in base a due elementi: una prima considerazione è a<br />

116<br />

L’esempio è tratto da una lezione tenuta dal prof. Eddo Rigotti all’Università della Svizzera<br />

Italiana nel 1999.<br />

117<br />

Cfr. Aristotelis Rethorica (1996 : 319): “Gli ascoltatori vengono impressionati anche da<br />

espressioni che i logografi utilizzano a sazietà, come “Chi non lo sa?”, “Tutti lo sanno...”, perché<br />

l’ascoltatore, per un senso <strong>di</strong> vergogna, si riconosce in accordo con l’oratore, per poter<br />

con<strong>di</strong>videre quello <strong>di</strong> cui tutti gli altri sono partecipi”.<br />

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Conclusioni<br />

carattere più strettamente linguistico, mentre una seconda osservazione<br />

coinvolge anche fattori psico<strong>logici</strong>.<br />

Anzitutto, quin<strong>di</strong>, consideriamo la struttura <strong>di</strong> espressioni quali: “lo sanno tutti”,<br />

“tutti sanno che”. Queste espressioni asseriscono che tutti (gli appartenenti ad<br />

un certo gruppo o ad una comunità) sono a conoscenza <strong>di</strong> qualcosa la cui<br />

verità è data per scontata. Infatti, in una frase come:<br />

(1) Tutti sanno che l’introduzione della moneta unica in Europa è stata un<br />

grande vantaggio.<br />

si dà per scontato, senza <strong>di</strong>mostrarlo, che l’introduzione della moneta unica in<br />

Europa sia veramente stata un grande vantaggio. Tale presupposizione è<br />

imposta dalla semantica del verbo sapere, che impone come con<strong>di</strong>zione ai suoi<br />

posti argomentali che ciò che è “saputo” sia vero:<br />

tutti<br />

x:<br />

umani(x)<br />

x:<br />

esseri umani<br />

sanno<br />

y:<br />

fatto vero<br />

che l’introduzione della<br />

moneta unica in Europa è<br />

stata un grande vantaggio<br />

y:<br />

fatto avvenuto (y)<br />

vero (y) ???<br />

...<br />

Figura 3.10<br />

Ad un livello <strong>di</strong> analisi puramente linguistica, quin<strong>di</strong>, si osserva che negare<br />

l’affermazione (1) è particolarmente <strong>di</strong>fficile per chi ascolta, perché occorre<br />

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Conclusioni<br />

mettere in <strong>di</strong>scussione non solo ciò che viene asserito, ma anche ciò che è<br />

presupposto. Infatti, obiettare “non è vero, non lo sanno tutti!” nega ciò che è<br />

asserito ma non intacca la presupposizione, non mettendo così in <strong>di</strong>scussione<br />

la vantaggiosità dell’introduzione della moneta unica in Europa. La<br />

manipolazione si gioca anzitutto dunque nel rendere <strong>di</strong>fficile a chi ascolta la<br />

negazione <strong>di</strong> quanto è stato affermato, anche solo dal punto <strong>di</strong> vista linguistico,<br />

poiché occorre, <strong>di</strong> fatto, una duplice negazione, o meglio una negazione da<br />

esercitare a due livelli.<br />

A nostro parere, tuttavia, la manipolazione più sottile legata a queste<br />

espressioni agisce a livello psicologico nel determinare l’immagine che chi<br />

ascolta si forma <strong>di</strong> se stesso rispetto alla comunità <strong>di</strong> appartenenza. La<br />

con<strong>di</strong>visione dei presupposti, infatti, è un in<strong>di</strong>catore dell’appartenenza ad una<br />

comunità, ad un gruppo; perciò mettere in <strong>di</strong>scussione qualcosa che per tutti è<br />

scontato significa “uscire dal gruppo”, mettere in <strong>di</strong>scussione un fondamento<br />

della comunità, al limite essere isolati. Per questo, opporsi ad un’affermazione<br />

come (1) <strong>di</strong>venta complesso e richiede una sicurezza non solo linguistica, ma<br />

anche personale. L’effetto <strong>di</strong> questo tipo <strong>di</strong> manipolazione è che chi ascolta, per<br />

vergogna 118 , non osa contrad<strong>di</strong>re quanto viene detto perché teme <strong>di</strong> essere<br />

escluso e finisce per accettare come vero qualcosa <strong>di</strong> non <strong>di</strong>mostrato. Allo<br />

stesso modo funzionano le domande retoriche come “non sarai mica uno <strong>di</strong><br />

quelli che crede ancora che...” 119 .<br />

118 Cfr. S. Tar<strong>di</strong>ni (1997 : 437): “Una tale <strong>di</strong>namica si fonda sulla vergogna: chi non sa quello<br />

che viene dato per scontato e noto a tutti o chi non è d’accordo su ciò che viene fatto passare<br />

come con<strong>di</strong>viso da tutti, è automaticamente escluso dalla comunità, non è degno <strong>di</strong> farne parte,<br />

viene tagliato fuori”.<br />

119 Cfr. E. Rigotti (1987 : 107): “Non è una domanda autentica neppure la presuntiva che può<br />

servire a fini manipolatori per collocare nel presupposto tesi né con<strong>di</strong>vise né con<strong>di</strong>visibili. Porto<br />

l’esempio <strong>di</strong> un vecchio cliché intimidatorio: NON SARAI MICA PER CASO uno <strong>di</strong> quelli che credono<br />

ancora che....?”.<br />

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Conclusioni<br />

3.2.3 Argomento <strong>di</strong> autorità e presupposizione<br />

Con l’espressione “argomento <strong>di</strong> autorità” si in<strong>di</strong>ca il proce<strong>di</strong>mento per cui si<br />

sostiene una determinata tesi appoggiandosi alla parola <strong>di</strong> una persona<br />

autorevole nel campo che si considera. Sull’argomento <strong>di</strong> autorità vi sono<br />

opinioni decisamente <strong>di</strong>scordanti e alcuni autori ritengono che esso sia per<br />

natura manipolatorio e lo inseriscono nelle cosiddette fallacie, cioè negli errori<br />

<strong>di</strong> ragionamento 120 . A nostro parere, vi sono casi in cui l’argomento <strong>di</strong> autorità<br />

costituisce un sostegno legittimo ad una tesi: esso non è infatti manipolatorio<br />

se l’autorità a cui ci si appoggia è effettivamente competente e autorevole nel<br />

campo considerato. Occorre inoltre aggiungere che l’argomento <strong>di</strong> autorità è<br />

utilizzato molto <strong>di</strong> frequente nelle conversazioni quoti<strong>di</strong>ane. Consideriamo il<br />

seguente esempio:<br />

(2) Aggiungi un uovo all’impasto per le orecchiette. È la ricetta della nonna<br />

Lina!<br />

La giustificazione del comando che chi parla dà al suo interlocutore, “è la ricetta<br />

della nonna Lina”, è rimandabile alla categoria dell’argomento <strong>di</strong> autorità: si<br />

presuppone che sia noto che la nonna Lina, tra noi, è la maggiore autorità in<br />

cucina - o almeno in fatto <strong>di</strong> orecchiette: per questo, è ragionevole fidarsi della<br />

sua ricetta. Analizzando questa affermazione più nel dettaglio, si osserva che<br />

questa presupposizione è imposta da un connettivo <strong>di</strong> tipo argomentativo: la<br />

seconda sequenza deve dare ragione del comando espresso nella prima<br />

sequenza; essa deve, cioè, essere una giustificazione adeguata <strong>di</strong> tale<br />

comando. Più precisamente, ad agire è un connettivo che potremmo chiamare<br />

120 Per Schopenhauer, ad esempio, l’argomento <strong>di</strong> autorità si contrappone alle motivazioni<br />

razionali ed è efficace quando si devono persuadere persone ignoranti che non sanno giu<strong>di</strong>care<br />

da sole. Cfr. A. Schopenhauer (1995 : 52): “Si ha dunque buon gioco quando si ha dalla propria<br />

parte un’autorità che l’avversario rispetta. Ma per lui ci saranno tante più autorità valide, quanto<br />

più sono limitate le sue conoscenze e le sue capacità. Se queste sono <strong>di</strong> prim’or<strong>di</strong>ne, per lui ce<br />

ne saranno pochissime, pressoché nessuna”. Più moderata la posizione <strong>di</strong> S. Stati: “Della reale<br />

forza probatoria degli appoggi basati sull’autorevolezza <strong>di</strong> qualcuno si può <strong>di</strong>scutere a lungo e<br />

senza un esito sod<strong>di</strong>sfacente; tutto <strong>di</strong>pende in fin dei conti dalle circostanze concrete<br />

dell’enunciazione”. Cfr. S. Stati (2002).<br />

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Conclusioni<br />

“connettivo dell’argomento <strong>di</strong> autorità”, che impone alla seconda sequenza la<br />

con<strong>di</strong>zione che la persona citata sia un’autorità effettiva nel contesto:<br />

Aggiungi un uovo all’impasto<br />

per le orecchiette.<br />

Connettivo dell’argomento <strong>di</strong> autorità<br />

S0: tesi da sostenere,<br />

affermazione che deve<br />

essere giustificata<br />

S0: comando, esortazione a<br />

seguire una certa ricetta per le<br />

orecchiette.<br />

S+1: giustificazione <strong>di</strong> S0 fondata<br />

sul richiamo ad una persona<br />

riconosciuta come autorevole nel<br />

contesto<br />

È la ricetta della nonna Lina!<br />

S+1: giustificazione del<br />

comando in base all’autorità<br />

riconosciuta della nonna Lina in<br />

fatto <strong>di</strong> orecchiette.<br />

Figura 3.11<br />

L’argomento <strong>di</strong> autorità può <strong>di</strong>ventare però anche fortemente manipolatorio, nel<br />

caso in cui l’autorità a cui ci si riferisce non sia veramente tale o, come spesso<br />

accade, non sia tale rispetto all’argomento <strong>di</strong> cui si tratta. Sono esempi evidenti<br />

e spesso citati 121 <strong>di</strong> argomenti <strong>di</strong> autorità manipolatori le pubblicità che fondano<br />

la loro strategia <strong>di</strong> persuasione del pubblico sull’uso <strong>di</strong> testimonial famosi ma la<br />

cui notorietà deriva da ambiti estranei a quello del prodotto o del servizio<br />

pubblicizzato. Ciò che accade (in modo fin troppo evidente), ad esempio, nel<br />

cartellone pubblicitario qui <strong>di</strong> seguito riportato:<br />

121 Cfr. S. Stati (2002): “Nella pubblicità contemporanea si fa largo uso <strong>di</strong> “testimonials” per<br />

propagandare una certa merce; tale espe<strong>di</strong>ente commerciale è un buon esempio <strong>di</strong> fallacia”.<br />

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Conclusioni<br />

Figura 3.12<br />

Il CEPU, associazione che fornisce aiuto “a tutti coloro che intendono<br />

sostenere gli esami presso le università italiane” 122 , utilizza come testimonial<br />

Bobo Vieri, noto calciatore dell’Inter. Le capacità <strong>di</strong> Vieri in campo calcistico<br />

sono in<strong>di</strong>scusse ma questo non spiega perché egli dovrebbe essere un<br />

testimonial adeguato per un’azienda che promuove corsi <strong>di</strong> sostegno<br />

universitari. L’analisi <strong>di</strong> questa argomentazione <strong>di</strong> tipo pubblicitario è simile a<br />

quella del caso precedente, poiché la strategia argomentativa è fondata in<br />

entrambi i casi sul connettivo dell’argomento <strong>di</strong> autorità 123 :<br />

122 Cfr. www.cepu.it<br />

123 Nel caso del CEPU, in verità, l’analogia tra lo stu<strong>di</strong>o e il calcio è accettabile, perché in<br />

entrambi questi campi “bravi si <strong>di</strong>venta”, come recita lo slogan riportato su questo cartellone<br />

pubblicitario. In questo senso, potremmo ammettere che Bobo Vieri sia un’autorità competente<br />

nel campo considerato, in quanto rappresenterebbe un esempio <strong>di</strong> qualcuno <strong>di</strong>ventato bravo nel<br />

calcio. Ciò che risulta veramente manipolatorio è la tacita assunzione secondo la quale è il<br />

CEPU stesso ad essere in grado <strong>di</strong> far <strong>di</strong>ventare bravo (in modo quasi automatico) chi si iscrive<br />

ai corsi promossi da questa società. Devo questa correzione alla <strong>di</strong>scussione seguita alla<br />

presentazione <strong>di</strong> questo esempio al convegno: “Manipulation in the totalitarian ideologies of the<br />

20th century”. Tale <strong>di</strong>scussione è avvenuta presso il Centro Stefano Franscini (Ascona) il 2<br />

ottobre 2002.<br />

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Iscriviti anche tu al CEPU!<br />

[sottointeso]<br />

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Conclusioni<br />

Connettivo dell’argomento <strong>di</strong> autorità<br />

S0: tesi da sostenere,<br />

affermazione che deve<br />

essere giustificata<br />

S0: esortazione<br />

(implicita) ad iscriversi al<br />

CEPU<br />

Anche Bobo Vieri si è iscritto<br />

S+1: giustificazione del comando in<br />

base all’autorità <strong>di</strong> Bobo Vieri (che però<br />

è riconosciuta nel gioco del calcio e<br />

non in ambito degli stu<strong>di</strong> universitari).<br />

3.2.4 L’endoxon: le premesse implicite dei ragionamenti<br />

entimematici<br />

Figura 3.13<br />

Il presupposto in un testo argomentativo può anche manifestarsi, in senso<br />

generale, come costituente delle premesse implicite <strong>di</strong> un ragionamento<br />

entimematico. L’entimema è, secondo Aristotele, il corrispettivo in retorica <strong>di</strong><br />

quello che il sillogismo è nella logica. A <strong>di</strong>fferenza <strong>di</strong> quest’ultima <strong>di</strong>sciplina,<br />

infatti, il campo della retorica è il probabile, il verosimile, quello che è accettato<br />

nell’opinione comune, e che quin<strong>di</strong> si ritiene veritiero, piuttosto che ciò che è<br />

scientificamente provato. L’entimema è “un’argomentazione nel linguaggio<br />

or<strong>di</strong>nario” 124 , nella comunicazione quoti<strong>di</strong>ana tra interlocutori che possono fare<br />

affidamento su un insieme più o meno ampio <strong>di</strong> conoscenze con<strong>di</strong>vise. Per<br />

questo, non tutto nel ragionamento entimematico deve essere espresso<br />

esplicitamente, ma molto può essere lasciato all’implicito e all’inferenza. In un<br />

?<br />

S+1: giustificazione <strong>di</strong> S0 fondata<br />

sul richiamo ad una persona<br />

riconosciuta come autorevole nel<br />

contesto<br />

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Conclusioni<br />

certo senso, anzi, quanto è con<strong>di</strong>viso non deve essere nuovamente espresso.<br />

Questa caratteristica va a costituire uno dei tratti fondamentali dell’entimema:<br />

l’impegno alla persuasione nasce da quell’interesse all’altro - all’interlocutore -<br />

senza cui non si costituisce la cooperazione testuale, e l’implicatura - cioè lo<br />

scarso impegno all’evidenza dei nessi - deriva dalla ‘confidenza’ (=affidamento<br />

reciproco) con l’altro che verrebbe quasi lesa dal ritorno sul con<strong>di</strong>viso 125 .<br />

La componente implicita che fa parte delle premesse del ragionamento<br />

entimematico è la presupposizione, ciò che si dà per scontato perché (come<br />

vedremo nel paragrafo 4) è risaputo all’interno <strong>di</strong> una certa comunità <strong>di</strong><br />

persone. Di seguito proporremo alcuni esempi <strong>di</strong> entimemi e ne analizzeremo<br />

la struttura presuppositiva.<br />

(3) È comunista, ma onesto<br />

Questa semplice affermazione nasconde in verità un entimema caratterizzato<br />

da premesse inesplicite che contengono giu<strong>di</strong>zi decisamente negativi nei<br />

confronti dei comunisti. La struttura <strong>di</strong> questo entimema si può <strong>di</strong>videre in due<br />

parti, legate dal connettivo sequenziale espresso da “ma” 126 :<br />

È comunista<br />

pr<br />

ma<br />

q¬r<br />

onesto<br />

Figura 3.14<br />

124 Cfr. S. Tar<strong>di</strong>ni (1997 : 435).<br />

125 Cfr. E. Rigotti, La sequenza testuale: definizione e proce<strong>di</strong>menti <strong>di</strong> analisi con<br />

esemplificazioni in lingue <strong>di</strong>verse, p. 95. Cit. in: S. Tar<strong>di</strong>ni (1997 : 435).<br />

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Conclusioni<br />

L’affermazione “è comunista” (p) porterebbe alla conclusione (r): “è <strong>di</strong>sonesto”,<br />

secondo il seguente ragionamento entimematico:<br />

a) Tutti i comunisti sono <strong>di</strong>sonesti<br />

b) A è comunista<br />

c) A è <strong>di</strong>sonesto<br />

Dove a) costituisce la premessa maggiore inespressa <strong>di</strong> questo ragionamento,<br />

il presupposto sul quale l’affermazione contenuta nell’esempio (1) si regge. Si<br />

tratta <strong>di</strong> un giu<strong>di</strong>zio dato a priori, letteralmente <strong>di</strong> un pre-giu<strong>di</strong>zio, che è un<br />

caso <strong>di</strong> presupposizione negativa. Infatti in questo caso il giu<strong>di</strong>zio sui comunisti<br />

non è espresso esplicitamente, ma trapela dalla struttura del testo.<br />

L’affermazione (q) “[è] onesto” porta invece alla conclusione (¬p): se A è<br />

onesto, non può insieme essere <strong>di</strong>sonesto. La semantica della congiunzione<br />

ma implica che (q) sia più forte <strong>di</strong> (p), e che quin<strong>di</strong> prevalga sulla conclusione<br />

che si sarebbe portati a trarre a partire da (p).<br />

Un caso simile, tratto dal film “La vita è bella” <strong>di</strong> Roberto Benigni, illustra il<br />

pregiu<strong>di</strong>zio legato alle politiche razzistiche <strong>di</strong>ffusesi in Italia alla fine del<br />

ventennio fascista. Siamo ad Arezzo, nel 1939, e Guido Orefici (Benigni),<br />

libraio <strong>di</strong> origine ebraica, passeggia con suo figlio Giosué per le vie del centro.<br />

Giosué vorrebbe comprare una torta in una pasticceria sulla cui vetrina<br />

campeggia però la scritta:<br />

(4) Vietato l’ingresso agli ebrei e ai cani<br />

Anche questa frase nasconde in verità un entimema inespresso:<br />

a) I cani non devono entrare nei negozi<br />

b) Gli ebrei devono essere considerati al pari dei cani<br />

c) Ebrei e cani non possono entrare in questo negozio<br />

126 Cfr. E. Rigotti e A. Rocci (2002a : 12)<br />

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Anno Accademico 2001/2002<br />

Memoria <strong>di</strong> Licenza - Relatore: Prof. Eddo Rigotti<br />

La presupposizione: aspetti <strong>logici</strong>, <strong>linguistici</strong> e <strong>comunicativi</strong><br />

Conclusioni<br />

Evidentemente, si tratta <strong>di</strong> un ragionamento fondato su un pregiu<strong>di</strong>zio, un<br />

presupposto evidentemente falso, che nega agli ebrei la <strong>di</strong>gnità <strong>di</strong> persone<br />

equiparandoli ad animali. Questo pregiu<strong>di</strong>zio non si esprime <strong>di</strong>rettamente ma<br />

emerge a causa dell’utilizzo della congiunzione “e”: tale congiunzione<br />

presuppone infatti l’appartenenza dei suoi argomenti a due para<strong>di</strong>gmi <strong>di</strong>versi<br />

riconducibili ad un unico para<strong>di</strong>gma <strong>di</strong> or<strong>di</strong>ne superiore. In questo caso, cani ed<br />

ebrei sarebbero due elementi compatibili e accostabili in quanto parte <strong>di</strong> una<br />

categoria superiore <strong>di</strong> “animali” in qualche modo inferiori agli esseri umani 127 .<br />

Benigni, nella scena successiva, mette in luce la manipolazione legata a questo<br />

uso della congiunzione “e” con un proce<strong>di</strong>mento ironico, facendo inventare al<br />

suo personaggio Guido insieme al figlio Giosué un nuovo cartello da appendere<br />

nella loro libreria: “Vietato l’ingresso ai ragni e ai Visigoti”. Qui l’associazione tra<br />

ragni e Visigoti è volutamente estremizzata, ciò che mette in luce, per analogia,<br />

l’assur<strong>di</strong>tà del pregiu<strong>di</strong>zio contro gli ebrei.<br />

L’ultimo esempio è tratto invece dal <strong>di</strong>battito politico. Riporto una reazione <strong>di</strong> un<br />

politico italiano <strong>di</strong> fronte ad una proposta <strong>di</strong> un suo collega, trasmessa in<br />

un’intervista al telegiornale:<br />

(5) Queste misure non hanno funzionato negli anni ’80, figuriamoci nel<br />

2002!<br />

Il ragionamento ha lo scopo <strong>di</strong> prendere posizione contro la proposta del primo<br />

politico, e <strong>di</strong> giustificare l’opposizione a tale proposta. La prima premessa<br />

(premessa generale) ha la forma <strong>di</strong> ciò che con Aristotele possiamo definire un<br />

, cioè una “legge generale su cui si appoggia l’argomentazione<br />

entimematica” 128 . Si tratterebbe, cioè, <strong>di</strong> una massima che non occorre<br />

esprimere in quanto è scontata, accettata dai più, presupposta:<br />

127 Cfr. E. Rigotti (1987 : 115-116) per l’analisi del valore della congiunzione “e”.<br />

128 Cfr. S. Tar<strong>di</strong>ni (1997 : 438).<br />

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La presupposizione: aspetti <strong>logici</strong>, <strong>linguistici</strong> e <strong>comunicativi</strong><br />

Conclusioni<br />

(a) Più una situazione è complessa, <strong>di</strong>fficile o grave, più le misure per<br />

rime<strong>di</strong>arvi dovranno essere drastiche, ra<strong>di</strong>cali, complesse, serie.<br />

La seconda premessa, cioè la prima premessa particolare, è implicita ed è<br />

costituita da una considerazione sulla situazione specifica dell’Italia.<br />

(b) La situazione italiana degli anni ’80 e la situazione o<strong>di</strong>erna si trovano su<br />

una <strong>di</strong> queste scale (<strong>di</strong> complessità o gravità) e la situazione o<strong>di</strong>erna occupa<br />

sulla scala una posizione più alta <strong>di</strong> quella del 1980.<br />

1980 COMPLESSITÀ/GRAVITÀ<br />

oggi<br />

Figura 3.15<br />

Si noti che non è specificato esattamente su quale scala (cioè rispetto a quale<br />

parametro) la situazione dell’Italia sia peggiorata dagli anni ottanta al momento<br />

attuale. La terza premessa, cioè la seconda premessa particolare, è espressa<br />

linguisticamente:<br />

(c) Le stesse misure non hanno funzionato negli anni ’80.<br />

Questo significa che queste misure, se adottate oggi, avranno un’utilità inferiore<br />

a quella avuta negli anni ’80, visto che la situazione è peggiorata, come si è<br />

visto in (b) e visto che ad un peggioramento della situazione deve<br />

corrispondere una maggiore ra<strong>di</strong>calità delle premesse, come assumiamo in (a):<br />

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UTILITÀ<br />

DELLE<br />

MISURE<br />

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La presupposizione: aspetti <strong>logici</strong>, <strong>linguistici</strong> e <strong>comunicativi</strong><br />

Conclusioni<br />

A partire da queste considerazioni, si può trarre la conclusione:<br />

(d) Figuriamoci se queste misure funzioneranno oggi!<br />

Figura 3.16<br />

In altre parole: queste misure, che non hanno funzionato negli anni ’80, a<br />

maggior ragione non funzioneranno oggi.<br />

COMPLESSITÀ/GRAVITÀ<br />

1980 oggi<br />

I parlanti inferiscono la struttura argomentativa qui descritta ricavandola da uno<br />

sfruttamento del presupposto che agisce a due livelli. Anzitutto, quando il<br />

destinatario riconosce un connettivo argomentativo nelle intenzioni del parlante<br />

cerca delle premesse per sod<strong>di</strong>sfarlo, anche se esse non vengono espresse<br />

esplicitamente. La struttura generale del connettivo argomentativo è infatti la<br />

seguente:<br />

Connettivo argomentativo<br />

premessa premessa conclusione<br />

P Q<br />

R<br />

Figura 3.17<br />

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Conclusioni<br />

Ad un secondo livello, il connettore “figuriamoci” serve ad evocare il tòpos<br />

scalare: esso in<strong>di</strong>ca, cioè, che le probabilità <strong>di</strong> successo delle misure che si<br />

vuole adottare sono <strong>di</strong>minuite. Il carattere manipolatorio dell’affermazione (5)<br />

<strong>di</strong>pende dal fatto che il destinatario, una volta che si è evocato il topos scalare,<br />

tende ad immaginare delle possibili scale secondo le quali interpretarlo: in<br />

questo caso, tuttavia, non è esplicitato rispetto a quali <strong>di</strong>mensioni la situazione<br />

italiana sia peggiorata dagli anni ’80 ad oggi. Non è chiaro, cioè, a quali endoxa<br />

(economici, sociali o altri) si faccia appello. Cre<strong>di</strong>amo perciò che<br />

un’affermazione come (5) trasmessa pubblicamente al telegiornale conceda<br />

uno spazio eccessivo all’implicito, e assuma troppe premesse sulla situazione<br />

politico-economica italiana senza <strong>di</strong>mostrarle 129 .<br />

3.3 Il tema dei presupposti culturali<br />

Nei paragrafi precedenti è emerso in <strong>di</strong>verse occasioni che la presupposizione<br />

è strettamente connessa ad una categoria fondamentale della vita umana,<br />

ovvero il concetto <strong>di</strong> comunità. Abbiamo detto, ad esempio, che può provocare<br />

comicità la contrad<strong>di</strong>zione con ciò che in un dato contesto è noto, scontato, ciò<br />

che è risaputo in una certa comunità 130 . A questo si lega anche la tematica degli<br />

endoxa, cioè delle premesse implicite <strong>di</strong> un entimema. Abbiamo infatti visto che<br />

tali premesse sono costituite da presupposti, conoscenze o affermazioni<br />

ritenute veritiere o affidabili in un determinato ambito comunitario 131 . Riteniamo<br />

utile soffermarci su questo tema, data l’importanza dei presupposti culturali, che<br />

definiamo come i presupposti che sono alla base <strong>di</strong> una certa comunità. Di tale<br />

importanza non occorrerebbe nemmeno portare esempi. Parole come<br />

“multiculturalità”, “<strong>di</strong>alogo interculturale”, pur nella loro vaga caratterizzazione<br />

semantica, ripropongono un problema che è sotto gli occhi <strong>di</strong> tutti: l’incontro tra<br />

culture <strong>di</strong>verse, che si fondano su valori e tra<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong>verse, può <strong>di</strong>ventare uno<br />

129<br />

L’analisi dell’esempio (5) nasce da un colloquio con il dott. Andrea Rocci. Cfr. anche O.<br />

Ducrot (1980).<br />

130<br />

Cfr. par. 3.1.3<br />

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Conclusioni<br />

scontro. Chi si occupa <strong>di</strong> me<strong>di</strong>azioni e rapporti <strong>di</strong>plomatici conosce la necessità<br />

<strong>di</strong> prendere in considerazione i valori fondamentali, i presupposti più importanti<br />

<strong>di</strong> ogni popolo o cultura coinvolta in una trattativa. In una lezione tenuta<br />

all’Università della Svizzera Italiana, il professor Dan Segre ha illustrato questa<br />

necessità applicandola ai problemi connessi con i negoziati arabo-palestinesi e,<br />

in particolare, descrivendo un esempio <strong>di</strong> negoziato riuscito: il trattato Kissinger-<br />

Rabin per l’evacuazione del Sinai. Questa occasione <strong>di</strong>plomatica segue<br />

imme<strong>di</strong>atamente la guerra del Kippur, scoppiata nel 1973 dopo l’invasione, da<br />

parte <strong>di</strong> Siria ed Egitto, dei territori <strong>di</strong> Israele. Kissinger, che rappresenta<br />

l’America e si pone come me<strong>di</strong>atore super partes, conclude il negoziato con un<br />

successo <strong>di</strong>plomatico in particolare grazie alla sua capacità <strong>di</strong> empatia: egli è<br />

cioè in grado <strong>di</strong> comprendere le parti in causa e <strong>di</strong> metterle <strong>di</strong> fronte alla loro<br />

responsabilità senza giu<strong>di</strong>carle. È capace <strong>di</strong> comprendere il <strong>di</strong>vario tra i<br />

belligeranti perché conosce i valori essenziali, i presupposti culturali più<br />

importanti <strong>di</strong> entrambi i popoli: l’onore, per gli arabi, e la sicurezza, per gli<br />

Israeliani. Una soluzione <strong>di</strong>plomatica ai rapporti tra queste due realtà non è<br />

possibile se non si prendono in considerazione questi fondamenti culturali 132 . È<br />

interessante sottolineare che, dopo quasi un trentennio, il presidente americano<br />

Bush abbia ripreso questi stessi concetti nel suo <strong>di</strong>scorso alla nazione del 4<br />

aprile 2002, in occasione dell’invio, motivato da ragioni <strong>di</strong>plomatiche, del<br />

segretario <strong>di</strong> stato Powell in Me<strong>di</strong>o Oriente: Bush parla infatti <strong>di</strong> “Israel’s right to<br />

exist” e <strong>di</strong> “<strong>di</strong>gnity of the Palestinian people” 133 .<br />

Anzitutto occorre quin<strong>di</strong> analizzare i concetti <strong>di</strong> comunità e cultura e il loro<br />

rapporto con la presupposizione. Rigotti intende la cultura come una struttura <strong>di</strong><br />

accoglienza dell’uomo: la cultura è ciò che insegna come la realtà è e come si<br />

possono <strong>di</strong>videre e categorizzare i <strong>di</strong>versi elementi che ne fanno parte: in<br />

questo senso, la cultura è la struttura del rapporto dell’uomo con la realtà 134 .<br />

131<br />

Cfr. par. 3.2.4<br />

132<br />

Questo esempio è tratto da una lezione tenuta dal prof. Dan Segre all’Università della<br />

Svizzera Italiana il 4 giugno 1999.<br />

133<br />

Cfr. G.W. Bush (2002).<br />

134<br />

Cfr. E. Rigotti, Per una definizione <strong>di</strong> ‘cultura’ in vista <strong>di</strong> una comunicazione interculturale, cit.<br />

in: S. Tar<strong>di</strong>ni (1997 : 4).<br />

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La presupposizione: aspetti <strong>logici</strong>, <strong>linguistici</strong> e <strong>comunicativi</strong><br />

Conclusioni<br />

Inoltre, la cultura introduce l’uomo in una certa tra<strong>di</strong>zione, in una storia specifica<br />

costituita da persone con cui può comunicare e con<strong>di</strong>videre una certa<br />

esperienza della realtà e un certo modo <strong>di</strong> rapportarsi ad essa: questo insieme<br />

<strong>di</strong> persone si chiama comunità. Tar<strong>di</strong>ni descrive due possibili tipi <strong>di</strong> comunità<br />

generate a partire dal fondamento della cultura come struttura <strong>di</strong> accoglienza: le<br />

comunità culturali e le communities of practice. Mentre le prime nascono dalla<br />

con<strong>di</strong>visione, da parte dei membri, <strong>di</strong> una porzione più o meno consistente della<br />

loro esperienza, cioè dalla coscienza <strong>di</strong> avere un con<strong>di</strong>viso in comune 135 , le<br />

seconde emergono nel tempo con la con<strong>di</strong>visione, da parte <strong>di</strong> un gruppo <strong>di</strong><br />

persone, <strong>di</strong> un obiettivo o <strong>di</strong> un’impresa comune 136 . Esempi <strong>di</strong> comunità del<br />

primo tipo sono gli italiani (le comunità nazionali in genere), i milanesi, gli<br />

avvocati: non è necessario che i membri <strong>di</strong> queste comunità si conoscano o<br />

interagiscano tra <strong>di</strong> loro, ma vi è un fondamento comune oggettivo, <strong>di</strong> cui essi<br />

sono coscienti, che li rende parte della stessa comunità. Delle comunità del<br />

secondo tipo, invece, sono esempi tutte le realtà presenti nell’interazione face-<br />

to-face o me<strong>di</strong>ata da mezzi tecno<strong>logici</strong> nelle quali i membri <strong>di</strong> un gruppo<br />

comunicano e quin<strong>di</strong> interagiscono tra <strong>di</strong> loro per il raggiungimento <strong>di</strong> uno scopo<br />

comune.<br />

Alla base <strong>di</strong> entrambi i tipi <strong>di</strong> culture qui brevemente descritti vi è comunque,<br />

come abbiamo accennato, una cultura come struttura <strong>di</strong> accoglienza. La cultura<br />

fornisce le categorie per guardare la realtà; essa, per così <strong>di</strong>re, definisce i<br />

presupposti secondo i quali è possibile comprendere la realtà e mo<strong>di</strong>ficarla,<br />

costituisce cioè un fondamento con<strong>di</strong>viso tra i membri <strong>di</strong> una comunità. In<br />

questo senso, la cultura è strettamente legata alla comunicazione; infatti, per<br />

ogni scambio comunicativo è necessario che vi sia un minimo <strong>di</strong> terreno<br />

con<strong>di</strong>viso, una certa parte <strong>di</strong> presupposti comuni agli interlocutori, sui quali<br />

fondare l’interazione; nello stesso tempo, ogni comunicazione va ad accrescere<br />

tale con<strong>di</strong>viso aggiungendo ad esso nuovi elementi. Tra comunicazione e<br />

presupposti culturali <strong>di</strong> una comunità vi è quin<strong>di</strong> un legame inscin<strong>di</strong>bile. Per<br />

esemplificare in modo concreto quanto detto, citiamo un breve passo del<br />

135 Cfr. H. Clark, Using language, cit. in: S. Tar<strong>di</strong>ni (1997 : 5).<br />

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Conclusioni<br />

<strong>di</strong>scorso alla nazione del presidente Bush (4 aprile 2002). In un passaggio del<br />

<strong>di</strong>scorso, Bush afferma:<br />

(6) Terror must be stopped. No nation can negotiate with terrorists. For<br />

there is no way to make peace with those whose only goal is death 137 .<br />

Da una parte, questa affermazione si basa su una con<strong>di</strong>visione <strong>di</strong> conoscenze<br />

scontate per il popolo americano e in generale per il mondo occidentale e<br />

me<strong>di</strong>o-orientale, a cui il <strong>di</strong>scorso del presidente Bush si rivolge: utilizzando i<br />

termini “terror” e “terrorists”, Bush fa riferimento ad una realtà nota ai suoi<br />

interlocutori. Questo accade, in parte, perché il presidente ha appena descritto,<br />

nelle prime battute del <strong>di</strong>scorso, i recenti attentati terroristici in Israele; in parte,<br />

per la conoscenza generale del concetto <strong>di</strong> terrorismo, rafforzata<br />

dall’esperienza dell’attentato al World Trade Center. Infatti, la data dell’11<br />

settembre 2001 segna un momento storico <strong>di</strong> cui tutti hanno avuto notizia e che<br />

ha in qualche misura cambiato la vita <strong>di</strong> tutti. Si tratta, quin<strong>di</strong>, almeno in parte,<br />

<strong>di</strong> presupposizioni ra<strong>di</strong>cate culturalmente nell’occidente: i fatti dell’11 settembre<br />

hanno associato alla parola “terrorismo”, già connotata negativamente, ad una<br />

precisa esperienza vissuta da tutti. Sullo stesso processo si fonda d’altronde<br />

anche l’incipit del <strong>di</strong>scorso <strong>di</strong> Bush: “Good morning. During the course of one<br />

week, the situation in the Middle East has deteriorated dramatically”. Bush<br />

non ha bisogno <strong>di</strong> spiegare cosa intenda per “the situation in the Middle East”<br />

perché il conflitto tra Israele e lo stato palestinese è una realtà nota a coloro a<br />

cui il <strong>di</strong>scorso si rivolge. Per tornare all’esempio che stavamo analizzando,<br />

Bush incrementa con la sua argomentazione la con<strong>di</strong>visione con i suoi<br />

interlocutori, definendo i terroristi “those whose only goal is death”, e<br />

concludendo perciò che nessuna negoziazione è possibile, per questo motivo,<br />

con i terroristi e quin<strong>di</strong> che il terrorismo deve essere fermato. Questa<br />

conclusione <strong>di</strong>venterà a sua volta un presupposto per il procedere del <strong>di</strong>scorso:<br />

136 Cfr. S. Tar<strong>di</strong>ni (1997 : 7).<br />

137 Cfr. G.W. Bush (2002).<br />

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Conclusioni<br />

ad esempio, descrivendo le rispettive responsabilità <strong>di</strong> Israele e dei Palestinesi,<br />

Bush commenta in questo modo l’operato <strong>di</strong> Arafat:<br />

(7) The Chairman of the Palestinian Authority has not consistently opposed<br />

or confronted terrorists 138 .<br />

Dove l’uso <strong>di</strong> “not consistently” (incostantemente, incoerentemente) sembra<br />

in<strong>di</strong>care che sarebbe stata necessaria, invece, un’opposizione ferma e<br />

costante. La necessità <strong>di</strong> fermare il terrorismo è data per presupposta, e deriva<br />

dall’argomento precedentemente <strong>di</strong>scusso.<br />

Il tema dei presupposti culturali era già stato affrontato da Aristotele, che aveva<br />

<strong>di</strong>scusso dettagliatamente l’importanza dei presupposti <strong>di</strong> una certa comunità<br />

presentando, nel secondo libro della Retorica, un elenco <strong>di</strong> tòpoi (luoghi), cioè<br />

<strong>di</strong> “leggi”, assunzioni generali che in una <strong>di</strong>mostrazione retorica sono<br />

solitamente lasciate all’implicito ma sulle quali il <strong>di</strong>scorso retorico stesso si<br />

fonda. I luoghi sono premesse accettate da una comunità, “la sede degli<br />

entimemi, una sorta <strong>di</strong> scompartimento da cui questi possono essere presi” 139 .<br />

La loro natura non è quella <strong>di</strong> premesse necessarie, ma piuttosto <strong>di</strong><br />

affermazioni probabili, generalmente accettabili perché legate alla ragione, a ciò<br />

che normalmente accade e che, quin<strong>di</strong>, può essere generalizzato. In questo<br />

senso, i luoghi sono comuni a tutte le forme <strong>di</strong> retorica (ai tre generi in<strong>di</strong>viduati<br />

da Aristotele: giu<strong>di</strong>ziario, deliberativo ed epi<strong>di</strong>ttico). Aristotele ne elenca <strong>di</strong>verse<br />

specie; noi citiamo, a titolo esemplificativo, il luogo del più e del meno. “Se<br />

neppure gli dèi sanno tutto, <strong>di</strong>fficilmente lo sapranno gli uomini” è l’esempio<br />

citato dallo stesso Aristotele. Questo ragionamento presuppone che gli dei sono<br />

più gran<strong>di</strong> degli uomini e che, data questa loro maggiore grandezza,<br />

dovrebbero anche avere più conoscenza. Perciò, se nemmeno gli dei<br />

conoscono tutto, a maggior ragione gli uomini non hanno questa possibilità,<br />

trovandosi ad un livello inferiore sulla scala della grandezza. Il nucleo <strong>di</strong> questa<br />

138 Cfr. G.W. Bush (2002).<br />

139 Cfr. S. Tar<strong>di</strong>ni (1997 : 438).<br />

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Conclusioni<br />

argomentazione è costituito appunto dal luogo del più e del meno, che è un<br />

presupposto accettato per la sua ragionevolezza. Questo luogo opera anche<br />

nel caso dell’affermazione: “Queste misure non hanno funzionato negli anni ’80,<br />

figuriamoci nel 2002!”, che abbiamo analizzato nel paragrafo 3.2.4. Come<br />

abbiamo detto, la premessa maggiore, inespressa, si basa su una<br />

considerazione <strong>di</strong> tipo scalare, secondo la quale al peggioramento della<br />

situazione deve corrispondere una maggiore drasticità delle contromisure<br />

adottate. A ben vedere, il luogo del più e del meno è una forma generale <strong>di</strong> cui<br />

l’argomentazione scalare è una specificazione.<br />

3.4 Presupposizione e propedeuticità<br />

Un ulteriore ambito nel quale ci sembra che la presupposizione giochi un ruolo<br />

essenziale e che, per questa ragione, inten<strong>di</strong>amo descrivere, costituisce in<br />

verità uno sguardo trasversale rispetto a quanto detto finora. In effetti, come<br />

abbiamo già detto, nello svolgersi <strong>di</strong> qualsiasi tipo <strong>di</strong> <strong>di</strong>scorso o conversazione,<br />

la presupposizione interviene in quanto costituisce il con<strong>di</strong>viso tra i parlanti. Nel<br />

corso <strong>di</strong> un’interazione comunicativa, il con<strong>di</strong>viso viene mo<strong>di</strong>ficato e<br />

generalmente aumentato in sta<strong>di</strong> successivi, dal momento che ogni asserzione<br />

aggiunge nuove conoscenze a quelle già in comune tra gli interlocutori.<br />

L’accumulo delle presupposizioni cresce proporzionalmente alla crescita del<br />

sapere, come esemplificato nello schema seguente, nel quale le conoscenze<br />

con<strong>di</strong>vise crescono ad ogni mossa comunicativa:<br />

Figura 3.18<br />

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La presupposizione: aspetti <strong>logici</strong>, <strong>linguistici</strong> e <strong>comunicativi</strong><br />

Conclusioni<br />

Per introdursi in una conversazione o in un <strong>di</strong>scorso già avviato occorre sempre<br />

recuperare i presupposti che non si conoscono, la parte <strong>di</strong> mondo che deve<br />

essere con<strong>di</strong>visa perché si possa procedere nella comunicazione. In questo<br />

senso, parliamo <strong>di</strong> propedeuticità come della <strong>di</strong>namica per cui il sapere si<br />

costruisce in base a incrementi successivi, mentre propedeutici sono i saperi (X-<br />

1) necessari per arrivare ad un certo livello X0 <strong>di</strong> sapere e che sono presupposti<br />

a quel livello. In effetti, lo stesso aggettivo propedeutico deriva dal greco pro +<br />

paidéuein, cioè propriamente “istruire prima”.<br />

Questa <strong>di</strong>namica si riscontra in generale nella costruzione del sapere nella<br />

comunicazione. Ad esempio, questo processo si ritrova nell’acquisizione <strong>di</strong><br />

familiarità <strong>di</strong> un lettore con il procedere nella lettura <strong>di</strong> un libro, quando ci si<br />

addentra nel mondo descritto, si cominciano a “conoscere” i personaggi, i<br />

luoghi, l’ambiente... Alessandro Manzoni apre il suo capolavoro, I Promessi<br />

Sposi, subito dopo l’introduzione in cui <strong>di</strong>ce <strong>di</strong> aver trovato un manoscritto<br />

seicentesco dal quale avrebbe ripreso il racconto, con la celebre descrizione<br />

della passeggiata <strong>di</strong> don Abbon<strong>di</strong>o appena prima dell’incontro con i bravi. Il<br />

primo capitolo del romanzo comincia quin<strong>di</strong> con una descrizione del paesaggio<br />

lombardo nella zona intorno a Lecco: “Quel ramo del lago <strong>di</strong> Como che volge a<br />

mezzogiorno...” Con questa apertura, Manzoni vuole creare quel minimo <strong>di</strong><br />

con<strong>di</strong>visione <strong>di</strong> mondo tra sé e i lettori che gli permetta <strong>di</strong> proseguire nella<br />

narrazione: perciò comincia a situare storicamente e geograficamente i<br />

personaggi <strong>di</strong> cui andrà a parlare nelle pagine successive. Notiamo, tra l’altro,<br />

che anche questa premessa si fonda sull’assunzione che una parte <strong>di</strong><br />

informazioni sia già con<strong>di</strong>visa dai lettori: “quel ramo del lago <strong>di</strong> Como che volge<br />

a mezzogiorno” risulta un’in<strong>di</strong>cazione sufficientemente precisa soltanto perché i<br />

lettori de I Promessi Sposi sanno <strong>di</strong> che cosa si tratta: sanno che esiste un lago<br />

<strong>di</strong> Como che si biforca in due rami <strong>di</strong>fferenti, uno dei quali, quello sulle cui rive<br />

sorge la città <strong>di</strong> Lecco, “volge a mezzogiorno”... Manzoni utilizzerà nel corso del<br />

romanzo ulteriori <strong>di</strong>gressioni ogni volta che ve ne sia bisogno, quando cioè è<br />

stato introdotto un nuovo elemento nella narrazione e i lettori devono<br />

recuperare le conoscenze propedeutiche per poterne afferrare il significato. A<br />

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Conclusioni<br />

questo scopo rispondono ad esempio le sezioni nelle quali l’autore descrive<br />

brevemente le esperienze precedenti dei personaggi: ad esempio, i capitoli IX e<br />

X con la storia <strong>di</strong> Gertrude, gli avvenimenti che portano Lodovico alla decisione<br />

<strong>di</strong> entrare in un or<strong>di</strong>ne monastico e a prendere il nome <strong>di</strong> Frate Cristoforo del<br />

capitolo IV.<br />

Il processo fin qui descritto, fondamentale in tutta la comunicazione, assume<br />

particolare rilevanza in ambito <strong>di</strong>dattico, cioè nella costruzione dei saperi<br />

nell’insegnamento. Il termine propedeutica, inteso come “complesso <strong>di</strong> nozioni<br />

introduttive e preparatorie allo stu<strong>di</strong>o <strong>di</strong> una scienza, <strong>di</strong> una <strong>di</strong>sciplina” 140 , in<br />

effetti, viene introdotto nella filosofia greca e poi romana per in<strong>di</strong>care quelle<br />

<strong>di</strong>scipline il cui stu<strong>di</strong>o era ritenuto necessario per progre<strong>di</strong>re nell’acquisizione<br />

dei saperi più complessi, come la filosofia. Nel Me<strong>di</strong>oevo le <strong>di</strong>scipline<br />

considerate la base comune richiesta a tutti gli studenti delle università sono<br />

sistematizzate nell’ambito delle sette artes liberales: le tre arti del Trivium<br />

(grammatica, retorica, <strong>di</strong>alettica) e le quattro arti del Quadrivium (aritmetica,<br />

musica, geometria, astronomia). Lo sviluppo del sapere negli ambienti <strong>di</strong><br />

appren<strong>di</strong>mento è un concetto che è stato ripreso anche dalla tra<strong>di</strong>zione<br />

pedagogica attuale, che lo descrive con il termine <strong>di</strong> cronogenesi. Secondo<br />

Chevallard 141 , ciò che fa avanzare il processo <strong>di</strong> insegnamento è la<br />

contrad<strong>di</strong>zione antico-nuovo. L’oggetto <strong>di</strong> insegnamento presenta infatti due<br />

facce per loro stessa natura contrad<strong>di</strong>ttorie: da una parte, esso si presenta<br />

inizialmente come nuovo, perché si situa al <strong>di</strong> fuori dell’universo delle<br />

conoscenze già acquisite; d’altra parte, esso deve <strong>di</strong>ventare antico: deve cioè<br />

figurare, con il tempo, all’interno delle conoscenze già acquisite, deve poter<br />

essere riconosciuto come “già noto” 142 . Se l’insegnamento ha successo, ovvero<br />

140 Cfr. Dizionario Hazon Garzanti, www.piazzadante.it<br />

141 Cfr. Y. Chevallard (1995 : 65): “Le processus d’enseignement, à cet égard, <strong>di</strong>ffère<br />

fondamentalement du processus de recherche: les problèmes n’y sont pas le ressort de la<br />

progression; celui-ci est constitué par une certaine contra<strong>di</strong>ction ancien/nouveau”.<br />

142 Cfr. Y. Chevallard (1985 : 66): “Pour qu’un objet de savoir puisse s’intégrer comme objet<br />

d’enseignement dans ce processus, il faut que son introducion, a tel instant de la durée<br />

<strong>di</strong>dactique, le fasse apparaître comme un objet à deux faces, contra<strong>di</strong>ctoires l’une de l’autre.<br />

D’une part (c’est le premier “moment”, la première “face”) il doit apparaître comme nouveau,<br />

opérant une ouverture dans les frontières de l’univers de connaissances déjà exploré [...]. Mais<br />

d’autre part, en un second moment de la <strong>di</strong>alectique d’enseignement, il doit apparaître comme<br />

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Anno Accademico 2001/2002<br />

Memoria <strong>di</strong> Licenza - Relatore: Prof. Eddo Rigotti<br />

La presupposizione: aspetti <strong>logici</strong>, <strong>linguistici</strong> e <strong>comunicativi</strong><br />

Conclusioni<br />

se vi è appren<strong>di</strong>mento, l’oggetto insegnato compie questa transizione e passa<br />

dalla novità al riconoscimento familiare. Si parla, in questo senso, <strong>di</strong><br />

obsolescenza interna degli saperi soggetti all’appren<strong>di</strong>mento. Chi guida questo<br />

processo <strong>di</strong> continua evoluzione del sapere, la cronogenesi appunto, è<br />

l’insegnante, che per definizione “sa prima, sa già, sa <strong>di</strong> più” degli allievi 143 . La<br />

cronogenesi è la linea <strong>di</strong> sviluppo del sapere relativa ad ogni singolo contesto <strong>di</strong><br />

appren<strong>di</strong>mento (ad esempio una classe scolastica). Essa si evolve in modo<br />

cumulativo, progressivo e irreversibile e crea una “storia della classe” unica<br />

costruendo, passo dopo passo, la strada dell’appren<strong>di</strong>mento. Noi potremmo<br />

<strong>di</strong>re che la cronogenesi crea un habitus all’interno della classe, crea cioè dei<br />

presupposti con<strong>di</strong>visi, appartenenti sia all’ambito delle conoscenze scientifiche<br />

sia alle <strong>di</strong>namiche <strong>di</strong> insegnamento e appren<strong>di</strong>mento. Infatti, chi fa parte <strong>di</strong> un<br />

certo contesto <strong>di</strong> appren<strong>di</strong>mento conosce le “regole tacite” <strong>di</strong> comportamento<br />

sociale e quelle riguardanti i meto<strong>di</strong> <strong>di</strong> appren<strong>di</strong>mento che si seguono in quel<br />

contesto; inoltre, egli costruisce personalmente il suo sapere insieme ad altri,<br />

così che si forma una con<strong>di</strong>visione <strong>di</strong> presupposti culturali appartenenti al<br />

gruppo <strong>di</strong> appren<strong>di</strong>mento considerato.<br />

ancien, c’est-à-<strong>di</strong>re autorisant une identification (par les enseignés) qui l’inscrive dans la<br />

perspective de l’univers de connaissances ancien”.<br />

143<br />

Cfr. Y. Chevallard (1985 : 71): “L’enseignant est donc celui qui sait avant les autres, qui sait<br />

dèja, qui sait “plus”.<br />

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4 Conclusioni<br />

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La presupposizione: aspetti <strong>logici</strong>, <strong>linguistici</strong> e <strong>comunicativi</strong><br />

Conclusioni<br />

Questo lavoro è un tentativo <strong>di</strong> osservare le caratteristiche principali della<br />

presupposizione nella comunicazione. Presupposto è tutto ciò che sta “a<br />

monte” del nostro comunicare, quello che non è esplicitato ma che c’è e<br />

costituisce la base sulla quale la comunicazione può essere costruita. Per<br />

comprendere appieno il fenomeno della presupposizione, abbiamo voluto<br />

riprendere, anche se in maniera necessariamente incompleta per ragioni <strong>di</strong><br />

tempo e spazio, le linee principali <strong>di</strong> sviluppo degli stu<strong>di</strong> su questo tema,<br />

prendendo in considerazione stu<strong>di</strong>osi appartenenti sia all’ambito della logica sia<br />

a quello della linguistica. Gli approcci con i quali il tema della presupposizione è<br />

stato affrontato sono molteplici; a noi interessa in particolare, come già detto, la<br />

prospettiva che considera il funzionamento effettivo della presupposizione nella<br />

comunicazione. Su questo tipo <strong>di</strong> approccio ci siamo concentrati nel presentare<br />

una serie <strong>di</strong> esempi <strong>di</strong> presupposizioni all’opera negli ambiti <strong>comunicativi</strong> del<br />

linguaggio comico, dell’argomentazione, dei presupposti culturali e della<br />

propedeuticità. Occorrerebbe approfon<strong>di</strong>re ulteriormente le nostre analisi, sia<br />

nel senso <strong>di</strong> un’estensione del corpus <strong>di</strong> esempi considerati, sia nella profon<strong>di</strong>tà<br />

con cui il singolo esempio è stato analizzato. Cre<strong>di</strong>amo in effetti <strong>di</strong> avere aperto<br />

possibili strade <strong>di</strong> indagine, mentre non abbiamo la pretesa <strong>di</strong> avere esaurito lo<br />

stu<strong>di</strong>o degli ambiti presi in considerazione.<br />

Nel corso dell'analisi, ci siamo imbattuti in presupposizioni <strong>di</strong> <strong>di</strong>verso genere; ci<br />

sembra utile concludere quin<strong>di</strong> con una tipologia delle presupposizioni, per la<br />

quale ripren<strong>di</strong>amo una classificazione <strong>di</strong> Rigotti 144 :<br />

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ESISTENZIALE<br />

Si presuppone l’esistenza <strong>di</strong><br />

determinati esseri<br />

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La presupposizione: aspetti <strong>logici</strong>, <strong>linguistici</strong> e <strong>comunicativi</strong><br />

Conclusioni<br />

Figura 4.1<br />

Contengono una lesione <strong>di</strong> presupposti esistenziali ad esempio “Il re <strong>di</strong> Francia<br />

è calvo” 145 o “la volontà del popolo” 146 ; un caso <strong>di</strong> lesione <strong>di</strong> un presupposto<br />

fattuale è invece “Perché ha ucciso sua moglie con un ferro da stiro?” 147 . “Gli<br />

unicorni sono maggiori della ra<strong>di</strong>ce quadrata <strong>di</strong> 2” 148 illustra invece un non-<br />

senso derivato dalla lesione <strong>di</strong> un presupposto categoriale: degli unicorni non<br />

ha senso chiedersi se siano maggiori o minori della ra<strong>di</strong>ce quadrata <strong>di</strong> 2.<br />

Naturalmente, presupposti <strong>di</strong> tipo <strong>di</strong>verso non si escludono l’un l’altro, anzi in<br />

una frase sono normalmente presenti presupposti <strong>di</strong> tipo <strong>di</strong>verso. Consideriamo<br />

un esempio proposto da Marina Sbisà in un articolo che tratta della relazione tra<br />

l’uso persuasivo della presupposizione e le ideologie 149 . Questo esempio è<br />

tratto da un quoti<strong>di</strong>ano italiano, in particolare da un’affermazione attribuita ad<br />

Umberto Bossi, leader della Lega Nord:<br />

144 Cfr. E. Rigotti (1987 : 111).<br />

145 Cfr. paragrafo 1.1.2.<br />

146 Cfr. paragrafi 1.1.1 e 3.2.1.<br />

147 Cfr. paragrafo 3.2.1<br />

148 Cfr. paragrafo 1.5.1.<br />

149 Cfr. M. Sbisà (1999).<br />

PRESUPPOSTO<br />

ONTOLOGICO CATEGORIALE<br />

Si presuppone la possibilità <strong>di</strong> alcuni<br />

mo<strong>di</strong> d’essere e non <strong>di</strong> altri<br />

FATTUALE<br />

Si presuppone che determinati<br />

fatti abbiano avuto luogo<br />

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La presupposizione: aspetti <strong>logici</strong>, <strong>linguistici</strong> e <strong>comunicativi</strong><br />

Conclusioni<br />

Sono momenti in cui è in atto una riorganizzazione, una contrapposizione tra<br />

chi vuole mantenere Roma come baricentro dello sfruttamento della Padania e i<br />

patrioti padani 150 .<br />

Analizzando questo esempio, la Sbisà in<strong>di</strong>vidua <strong>di</strong>versi tipi <strong>di</strong> presupposti che,<br />

secondo la categorizzazione da noi appena proposta potremmo analizzare in<br />

questo modo:<br />

a. Esiste qualcuno che vuole mantenere Roma come baricentro dello<br />

sfruttamento della Padania (presupposto esistenziale)<br />

b. Roma è attualmente il baricentro dello sfruttamento della Padania<br />

(presupposto fattuale imposto dal pre<strong>di</strong>cato “mantenere”).<br />

c. È in atto uno sfruttamento della Padania (presupposto fattuale)<br />

d. Esiste la Padania (presupposto esistenziale)<br />

e. Esistono dei patrioti padani (presupposto esistenziale)<br />

f. La Padania è una patria (presupposto categoriale).<br />

Ciò che ci sembra una caratteristica essenziale delle presupposizioni, che<br />

prescinde dalla categoria a cui esse appartengono, è il loro essere funzionali<br />

all’avanzare del <strong>di</strong>scorso o della conversazione. L’accumulo progressivo dei<br />

presupposti, <strong>di</strong> ciò che è scontato, forma il con<strong>di</strong>viso tra i partecipanti ad uno<br />

scambio comunicativo, che permette alla comunicazione stessa <strong>di</strong> procedere. In<br />

questo senso, la presupposizione è un mezzo per velocizzare la<br />

comunicazione 151 : non sarebbe praticamente possibile l’incremento del sapere<br />

e l’avanzare della comunicazione se non si potesse dare per scontato ciò che è<br />

stato già detto. In con<strong>di</strong>zioni normali, infatti, non tutto ciò che si aggiunge alle<br />

conoscenze con<strong>di</strong>vise dagli interlocutori può essere passato al vaglio della<br />

150 Cfr. Il corriere della Sera 4/9/1997, p. 11. L’esempio è tratto da: M. Sbisà (1999).<br />

151 Cfr. R.C. Stalnaker (1974 : 49): “The more common ground we can take for granted, the<br />

more efficient our communication will be. And unless we could reasonably treat some facts in<br />

this way, we probably could not communicate at all”; P.A.M. Seuren (2000 : 280): “The fact that<br />

they [presuppositions] are structurally (compositionally) derivable from their carrier sentence<br />

allows for their rapid post hoc incrementation (usually called ‘accomodation) without it being<br />

necessary to spend time and effort over their explicit formulation and further linguistic<br />

processing. PRESUPPOSITION THUS CONSTITUTE AN EXTREMELY POWERFUL DEVICE FOR SAVING TIME<br />

AND ENERGY IN LINGUISTIC COMMUNICATION”.<br />

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La presupposizione: aspetti <strong>logici</strong>, <strong>linguistici</strong> e <strong>comunicativi</strong><br />

Conclusioni<br />

critica e, come mette in luce Sally Jackson, questo meccanismo non mette in<br />

<strong>di</strong>scussione la razionalità complessiva della comunicazione 152 . Abbiamo<br />

osservato l’incremento cumulativo dei presupposti da <strong>di</strong>versi punti <strong>di</strong> vista:<br />

come fondamento culturale delle comunità, come strategia argomentativa,<br />

come processo propedeutico in ambito <strong>di</strong>dattico e non. Ci sembra interessante<br />

aggiungere che la presupposizione determina l’avanzamento del <strong>di</strong>scorso<br />

anche in un ambito quale quello del linguaggio comico, che a prima vista<br />

potrebbe sembrare finalizzato ad uno scopo lu<strong>di</strong>co più che comunicativo. Per<br />

Attardo, la testualità comica assolve comunque una funzione comunicativa; in<br />

particolare, ciò che determina la trasmissione <strong>di</strong> informazioni è la “base<br />

presuppositiva” del comico. Il comico può arrivare a <strong>di</strong>re, tramite sfruttamento<br />

del presupposto, quello che non potrebbe essere detto <strong>di</strong>rettamente: ad<br />

esempio, in una situazione in cui occorre far sapere a chi ascolta alcuni<br />

presupposti scontati in un certo ambiente culturale o sociale 153 .<br />

D’altra parte, la natura stessa della presupposizione, che la situa nell’ambito<br />

dell’implicito, <strong>di</strong> ciò che viene veicolato senza essere detto espressamente, le<br />

conferisce tratti <strong>di</strong> pericolosità. Infatti, ciò che sfugge al controllo, che non può<br />

essere sempre verificato perché si possa procedere agevolmente nella<br />

comunicazione, potrebbe essere falso. Questo porta, come abbiamo visto, a far<br />

sì che la presupposizione <strong>di</strong>venti potenzialmente un “alleato” dei processi<br />

manipolativi, un possibile mezzo <strong>di</strong> inganno. Lo stu<strong>di</strong>o del funzionamento della<br />

presupposizione potrebbe in questo senso contribuire ad una presa <strong>di</strong><br />

coscienza dei meccanismi manipolativi e, dunque, potrebbe risultare utile per<br />

152 Cfr. S. Jackson (2002): “Discourse occurs before a very dense backdrop of assumptions,<br />

assertions, and implications, not all of which can be examined for their acceptability or<br />

justifiability. [...] This willingness to let things pass without examination appears at first to be an<br />

obstacle to rationality, since it is antithetical to what is commonly called critical thinking. [...]<br />

Gigerenzer and his colleagues have argued very persuasively that commonsense reasoning<br />

heuristics often characterized as biases or even fallacies are in fact adaptive strategies for<br />

making reliable judgments in structured information environments (Gigerenzer 2000;<br />

Gigerenzer, Todd & the ABC Research Group 1999). They show that these “fast and frugal<br />

heuristics” may perform as well as or even better than rational standards when applied in<br />

environments that are higlhly structured”.<br />

153 Cfr. S. Attardo (1994 : 288): “Zhao (1988) has shown that jokes can convey relevant “bona<br />

fide” information as, for example, in the case of jokes about an unfamiliar situation/culture. They<br />

do so not by virtue of what they state, but by virtue of their presuppositional basis”.<br />

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La presupposizione: aspetti <strong>logici</strong>, <strong>linguistici</strong> e <strong>comunicativi</strong><br />

Conclusioni<br />

imparare a non cadere in inganno e a saper criticare i contenuti ideo<strong>logici</strong> che<br />

vengono trasmessi implicitamente 154 .<br />

154 Cfr. M. Sbisà (1999): “Thus by facilitating both presupposition explicitation and the<br />

monitoring of it, research on presuppositions can help improve rea<strong>di</strong>ng and comprehension<br />

skills in general, and in particular promote and foster criticism of implicitly transmitted ideological<br />

contents”.<br />

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Bibliografia<br />

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STRAWSON, P.F. (1950). On referring. Mind 59: 320-344. In: J.S. PETÖFI e<br />

D. FRANCK (eds.). Präsuppositionen in Philosophie und Linguistik, Frankfurt<br />

am Main: Athenäum Verlag, pp. 193-220.<br />

STRAWSON, P.F. (1952). Introduction to logical theory, London: Methuen.<br />

TARDINI, S. (1997). L’entimema nella struttura logica del linguaggio. L’analisi<br />

linguistica e letteraria 2: 419-440.<br />

TARDINI, S. (2002). Virtual communities and cultural semiotics. In corso <strong>di</strong><br />

stampa.<br />

WUNDERLICH, D. (1972). Präsuppositionen in der Linguistik. In: J.S. PETÖFI e<br />

D. FRANCK (eds.). Präsuppositionen in Philosophie und Linguistik, Frankfurt<br />

am Main: Athenäum Verlag, pp. 467-484.<br />

Piazzadante. UTET Diffusione srl. Ultima visita: settembre 2002.<br />

.<br />

111


Fonti degli esempi analizzati<br />

Sara Greco<br />

Anno Accademico 2001/2002<br />

Memoria <strong>di</strong> Licenza - Relatore: Prof. Eddo Rigotti<br />

La presupposizione: aspetti <strong>logici</strong>, <strong>linguistici</strong> e <strong>comunicativi</strong><br />

Bibliografia<br />

CHESTERTON, J.K. (1994). Father Brown stories, Londra: Penguin Popular<br />

Classics. [Trad. it. <strong>di</strong> G. Dauli, M.L. Quintavalle, E. De Carli e E. Pivetti (1958). I<br />

racconti <strong>di</strong> padre Brown, Milano: E<strong>di</strong>zioni Paoline].<br />

MANZONI, A. (1990). I promessi sposi, Cles: Arnoldo Mondadori E<strong>di</strong>tore.<br />

QUINO (2001). Il mondo <strong>di</strong> Mafalda: Le strisce gli ine<strong>di</strong>ti le testimonianze, Città<br />

<strong>di</strong> Castello: Bompiani.<br />

TOLKIEN, J.R.R. (1955). The lord of the rings, London: George Allen & Unwin.<br />

[Trad. it. <strong>di</strong> V. Alliata <strong>di</strong> Villafranca (1977). Il Signore degli Anelli, Milano:<br />

Rusconi].<br />

BUSH, G.W. (2002). President to send Secretary Powell to Middle East. Office<br />

of The Press Secretary. The white House. April 4, 2002.<br />

Whitehouse.gov. Ultima visita: settembre 2002.<br />

.<br />

Cepu.it. Gruppo Cepu. Ultima visita: settembre 2002.<br />

<br />

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