Scarica l'itinerario di Terracina - Cultura Lazio

4. Chiesa di Santa
Maria delle
Grazie
Via di Porta
Romana
Orari: 8.00-12.00
15.00-18.00
0773.701100
3. Chiesa del
Purgatorio
Corso Anita
Garibaldi
Orari: 8.00-12.00
15.00-18.00
0773.701100
2. Chiesa
di San Giovanni
Via Santa Lucia
Visita a richiesta
0773.701100
13. Chiesa
dell’Istituto
Antonelli
Via Terracina 152
Orari:
8.30-9.30
festivi 9.30-10.30
0773.727093
10. Chiesa
dell’Annunziata
Via dell’Annunziata
Visita a richiesta
0773.707277
5. Santuario
della Madonna
della Delibera
Piazza
della Delibera
Orari: 6.00-12.00
15.30-19.00
0773.703049
Regione Lazio, CTR, Volo 1990, 1:10.000
NN. 414070 - 414080 - 414110 - 414120
13
4
itinerari
culturali
Tirocini e valorizzazione del territorio
6. Chiesa di
San Domenico
Via di
San Domenico
Visita a richiesta
0773.707277
3
2
5
1
9
6
10
8
12
11
1. Duomo
Piazza
del Municipio
Orari: 8.00-12.00
15.30-18.30
0773.701100
7
7. Cimitero
Via Anxur
Orari: apr./sett.
feriali 8.00-19.00
festivi 8.00-13.00/
16.00-19.00
ott./mar.
feriali 8.00-18.00
festivi 8.00-13.00/
15.00-17.00
Festività 8.00-14.00
0773.709044
9. Arredo urbano
Piazza Santa
Domitilla, Via
dell’Annunziata,
Corso Anita
Garibaldi
8. Chiesa di
San Francesco
Via San Francesco
Visita a richiesta
0773.701100
11. Chiesa
del Santissimo
Salvatore
Via Roma
Orari: 8.30-12.00
16.00-19.30
0773.703955
12. Monumento
ai caduti
Piazza Garibaldi

itinerari
culturali
Tirocini e valorizzazione del territorio
Il progetto Tirocini e stages formativi e di ricerca ha preso avvio nel 2000 con
una serie di convenzioni attivate tra atenei del Lazio e la Direzione Regionale
Cultura, Sport e Turismo della Regione Lazio e si è dimostrato fin dagli esordi
una concreta risposta alle esigenze formative degli studenti tanto delle
Scuole di specializzazione che dei corsi di laurea.
Sulla base di un ampio spettro di proposte, elaborate dai funzionari delle
strutture regionali in collaborazione con i docenti universitari, gli studenti
arricchiscono l’esperienza di studio con l’attuazione di iniziative di conoscenza
e valorizzazione del territorio, proprie della programmazione culturale
della Regione Lazio.
Partendo dalla catalogazione dei beni culturali, rampa di lancio per qualsiasi
intervento culturale sul territorio, sono stati scelti i comprensori di Calcata,
Collevecchio, Faleria, Mazzano Romano e Terracina per realizzare gli
Itinerari culturali. Tirocini e valorizzazione del territorio, un esperimento di
percorsi al di fuori dei circuiti turistici più frequentati del Lazio, appropriati
alla collaborazione tra mondo accademico ed istituzionale.
Con la attiva partecipazione dei Comuni interessati e, per Terracina, della
Diocesi, è stato avviato un progetto di segnaletica fissa e mobile
da collocare all’interno o all’esterno delle ‘emergenze’
individuate nel catalogare il territorio, con informazioni
sintetiche sul singolo manufatto scelto e una selezione
di notizie e immagini di ciò che è scomparso, modificato,
o non più visibile.
Al gruppo di studenti delle Università “La Sapienza”,
“Roma Tre” e “Tuscia” impegnati in questo tirocinio
è stato affidato il non facile compito di muoversi su
due binari: l’uno, più consono alla loro esperienza, di
rielaborazione di quanto catalogato dagli istituti competenti
e da altri gruppi di tirocinanti, per comporre dei
testi essenziali adatti alla cartellonistica; l’altro, nuovo
per gli studenti, ma proprio dell’attività lavorativa di
una struttura territoriale qual è la Regione Lazio,
incentrato sull’intero iter esecutivo del progetto, non
esclusi i rapporti con la ditta vincitrice dell’appalto,
la scelta di immagini e la composizione grafica
dei pannelli, la correzione delle bozze e ogni aspetto
pratico dell’attività, rendendo così operativa la
ricerca e lo studio, peculiari della vita universitaria.
A Terracina è stato sviluppato un itinerario che ha il
suo perno nel Duomo e si disloca lungo la direttrice
Appia con le chiese di San Giovanni, del
Purgatorio e di Santa Maria delle Grazie, vira
a nord con la tappa del Santuario della
Madonna della Delibera, sale a San
Domenico, al Cimitero; ritorna quindi a San
Francesco e all’Annunziata dopo una sosta ai
reperti intorno a Piazza Santa Domitilla,
scende infine nell’addizione moderna della
città, al Salvatore, al Monumento ai caduti, per
concludersi all’Istituto Antonelli.
Regione Lazio Università degli Studi di Roma
“La Sapienza”
Comune di Terracina
REGIONE LAZIO
Assessorato alla Cultura, Spettacolo, Sport
Assessore Giulia Rodano
Direzione Regionale Cultura, Sport e Turismo
Direttore Alessandro Voglino
Area Valorizzazione del Territorio e del Patrimonio Culturale
Dirigente Flaminia Santarelli
Università degli Studi di Roma I “La Sapienza” - Scuola di Specializzazione
in Storia dell’Arte Medievale e Moderna
Direttore Marina Righetti
Progetto Itinerari culturali. Tirocini e valorizzazione del territorio. Terracina
a cura di Anna Pasquetti - Area Valorizzazione del Territorio e del Patrimonio
Culturale
in collaborazione con l’Università degli Studi di Roma I “La Sapienza” - Scuola di
Specializzazione in Storia dell’Arte Medievale e Moderna
Tutor per la Regione Lazio Anna Pasquetti
Tutor per l’Università degli Studi di Roma I “La Sapienza” Valter Curzi
Revisione delle schede OA di catalogo: Laura Bartoni, Eliana Billi, Francesca
Falsetti, Belinda Granata, Sveva Mandolesi, Cinzia Rutili, Claudia Zaccagnini,
Sabrina Zizzi - Scuola di Specializzazione in Storia dell’Arte Medievale e
Moderna dell’Università degli Studi di Roma I “La Sapienza”; Letizia Bencini -
Collaboratore della Regione Lazio
Ricerche e testi: Giorgia Corso (6, 12), Alessandro Cosma (5, 13), Iara G.
Daniele (7, 9, 10), Valeria Fumagalli (2, 8), Giorgia Pellini (1.1), Isabella
Rossi (3, 4, 11.1, 11.2), Arianna Roccoli (1.2, 1.3) - Scuola di
Specializzazione in Storia dell’Arte Medievale e Moderna dell’Università
degli Studi di Roma I “La Sapienza”
Si ringraziano:
Stefano Nardi - Sindaco di Terracina
Maria Rosaria Saccucci - Assessore alla Cultura del Comune di Terracina
Gigliola Marrocco, Antonio Bassi e Carlo Moretti - Comune di Terracina
S.E.R. Monsignor Giuseppe Petrocchi - Vescovo della Diocesi di Latina,
Terracina, Sezze, Priverno
Don Giuseppe De Nardis e Ferruccio Pantalfini - Diocesi di Latina, Terracina,
Sezze, Priverno
Marina Righetti - Direttore della Scuola di Specializzazione in Storia dell’Arte
Medievale e Moderna dell’Università degli Studi di Roma I “La Sapienza”
Don Gianni Checchinato - Parroco del Duomo di Terracina
Suor Maria Carla Carboni - Istituto Antonelli di Terracina
Regione Lazio - Direzione Regionale Cultura, Sport e Turismo
Area Valorizzazione del Territorio e del Patrimonio Culturale
00147 Roma, Viale del Caravaggio 99
tel 06.51688406-fax 06.51688172
e-mail: fsantarelli@regione.lazio.it
Realizzazione: Arethusa
Grafica Furio Ortenzi
Coordinamento redazionale Paolo Emilio Urbanetti
Diocesi di Latina,
Terracina, Sezze, Priverno
Regione Lazio Università degli Studi di Roma
“La Sapienza”
Comune di Terracina
Diocesi di Latina,
Terracina, Sezze, Priverno
itinerari
culturali
Tirocini e valorizzazione del territorio
Terracina

Regione Lazio Comune di Terracina Università degli Studi di Roma
“La Sapienza”
Itinerari culturali
Tirocini e valorizzazione del territorio
1.1 Duomo
La chiesa di San Cesareo sorge sul podio marmoreo di un tempio romano di età
augustea, identificato come Capitolium della città, di cui conserva ancora le
strutture lungo i fianchi nord e ovest (a). L’edificio classico dominava, chiudendolo
ad ovest, il Foro Emiliano, che sin dall’altomedioevo si qualificò come centro
della cittadella fortificata e su cui sorsero numerose costruzioni in età medievale
tra le quali, oltre alla cattedrale, il palazzo comunale.
Le più antiche notizie relative alla basilica sancti Caesari vanno rintracciate
in un passo del Liber Pontificalis, in cui viene fatto
riferimento ad una donazione effettuata da papa Leone IV
(847-855), probabilmente connessa alla consacrazione
della primitiva chiesa. L’esistenza di un edificio di culto
è così documentata almeno dal IX secolo, ma non è
certo che il perimetro ricalcasse quello della chiesa
attuale, rimanendone a testimonianza solamente alcuni
frammenti di arredo liturgico.
La cattedrale risale invece all’XI secolo, quando fu
ricostruita e consacrata dal suo vescovo, il benedettino
Ambrogio da Milano, il 24 novembre del 1074. La chiesa
e le sue pertinenze furono quindi concesse a Desiderio, abate
di Montecassino. La fabbrica romanica venne completata tra il
XII e il XIII secolo da un prezioso arredo liturgico, dal portico e dal campanile,
lavori verosimilmente conclusi tra il 1245, anno in cui è datato il candelabro
per il cero pasquale, e il 1257, considerato termine ante quem per l’ultimazione
della torre campanaria.
L’edificio, vincolato nella pianta dalla conformazione del podio del tempio classico,
di cui occupa interamente la lunghezza e solo in parte la larghezza, è una
costruzione basilicale con tre navate (b) separate da due file di sei colonne e terminanti
in tre absidi poste a conclusione di un presbiterio sopraelevato (e).
Diocesi di Latina,
Terracina, Sezze, Priverno
L’articolazione della planimetria è da mettere in relazione con le fondazioni cassinesi
in Terra di Lavoro e segnatamente con la chiesa di Sant’Angelo in Formis.
L’impianto originario è stato tuttavia alterato dagli interventi settecenteschi che,
oltre ad addizionare le cappelle laterali che affiancano la primitiva struttura, rimossero
il soffitto a capriate per far posto ad un’ampia volta a botte ed eliminarono
due colonne su entrambi i filari a divisione delle navate, per creare arcate doppie
in corrispondenza della prima e ultima campata (e).
All’esterno, la chiesa prospetta sulla piazza del Municipio
(ex Foro Emiliano) attraverso un portico che poggia sulla
gradinata del tempio romano. Preceduto da diciotto gradini
e oltrepassato da altri sette al suo interno, il portico
è sostenuto da sei colonne in granito rosso e grigio
di spoglio e di diverse dimensioni con capitelli ionici
medievali. I basamenti marmorei delle colonne sono
affiancati da coppie di animali - scimmie con strumenti
musicali, caproni e veltri, pecore e leoni - mutile
e dalla superficie abrasa.
Sui sostegni poggia la trabeazione, interrotta al centro dall’apertura
di un arcone e ornata da un fregio mosaicato e da
una cornice con motivi di ispirazione classica.
Il portico, edificato tra il secondo ed il terzo decennio del XIII secolo,
mostrava in origine una copertura con volte a crociera, mentre ora presenta un tetto
a capriate, dovuto ai restauri del 1926. In tale occasione sono stati inoltre realizzati
gli archi ciechi ribassati al di sopra dell’architrave (mentre alcune immagini
precedenti al 1926 mostrano una serie di arcate ogivali) (c), secondo la tipologia
comune ad esempi romani e laziali (es.: San Giorgio al Velabro) nonché l’arcone
centrale con coronamento rettilineo che interrompe la trabeazione (es.: duomo di
Civita Castellana) (d).
a b
c
d
Foto da DI GIOIA 1982 Foto da DI GIOIA 1982 Foto da DI GIOIA 1982
13
Regione Lazio, CTR, Volo 1990, 1:10.000
NN. 414070 - 414080 - 414110 - 414120
4
3
2
5
1
9
6
10
8
12
11
7
1. Duomo
2. Chiesa di San Giovanni
3. Chiesa del Purgatorio
4. Chiesa di Santa Maria
delle Grazie
5. Chiesa della Madonna
della Delibera
6. Chiesa di San Domenico
7. Cimitero
8. Chiesa di San Francesco
9. Arredo urbano
10. Chiesa dell’Annunziata
11. Chiesa del Santissimo
Salvatore
12. Monumento ai Caduti
13. Chiesa dell’Istituto
Antonelli
Foto da PARLATO-ROMANO 1992

Regione Lazio Comune di Terracina Università degli Studi di Roma
“La Sapienza”
Itinerari culturali
Tirocini e valorizzazione del territorio
1.1 Duomo
La prima colonna a sinistra del varco d’ingresso al portico ha incisa un’iscrizione
in greco, recante la formula rituale del Polychrónion, cerimonia civile
bizantina che comportava la presenza dell’imperatore, circostanza che è stata
messa in relazione al passaggio di Costante II nel 662. Sulla stessa colonna si
trova anche un’iscrizione in latino, che ricorda un intervento di risanamento del
Foro: MUNDIFICATUS EST FORUS ISTE TEMPORE DOMINI GEORGI CONSUL ET DUX.
Quest’ultima oscillerebbe tra il VII e il IX secolo, ed è stata datata
all’VIII secolo da chi vi vede un riferimento al duca di Napoli
Giorgio (720-740).
Lungo l’architrave è incassato un fregio a mosaico, ben
conservatosi nella parte destra, mentre nella metà
sinistra è visibile solo il rincasso per l’alloggiamento
della malta e delle tessere. La tecnica musiva
impiega tessere marmoree minute e bianche sullo
sfondo, in contrasto cromatico con i più grandi inserti
in pasta vitrea delle figurazioni.
Grazie alle iscrizioni che corrono sulla trabeazione è
possibile ipotizzare che nella parte sinistra del fregio fossero
narrati episodi della vita di san Cesareo e di altri martiri
di Terracina, le cui reliquie sono custodite nella chiesa:
PALATIUM TRAI IMPR VALES SILVINIAN. EPS […] SILVI [TERRA]CINA LEON-
TIUS S. CESARIUS S. CES […] LEONI.
Sul lato destro sono invece rappresentati animali fantastici, demoni e scene belliche,
che dovevano costituire un unico contesto narrativo assieme alle perdute
figurazioni, probabilmente allusivo ad un episodio leggendario avvenuto a
Terracina e legato alle Crociate e alla caduta di Gerusalemme (1187).
All’interno del portico due portali immettono nell’edificio. Quello centrale è costituito
da elementi di una trabeazione antica, quello laterale reca frammenti classici rilavorati.
Due lapidi in corrispondenza ricordano i lavori patrocinati da Benedetto XIII
(1729) e la visita compiuta da Pio VI (1785) alla loro ultimazione.
Attualmente inglobata nella fronte sinistra del portico, ad essa successivo, la torre
campanaria (f) sorgeva in origine isolata dall’edificio, comunicando con questo
probabilmente grazie ad un ballatoio, che dava accesso al primo piano.
Il basamento, praticabile, insiste sul podio del tempio antico e sulla sua gradinata e si
articola in quattro pilastri in pietra calcarea su cui si impostano archi ogivali e una copertura
voltata a crociera. I quattro piani superiori, in cortina laterizia, sono movimentati da
archeggiature cieche incrociate e finestre bifore e trifore ad arco a tutto sesto o acuto. Le
originali ceramiche invetriate sono state sostituite durante il restauro del 1926.
e
Il coronamento a spioventi della cella campanaria non risponde verosimilmente
al progetto originario, che doveva prevedere il passaggio dalla pianta quadrata a
quella ottagona, similmente a quanto avviene nel campanile di Sant’Erasmo a
Gaeta (g), opera realizzata tra il XII e il XIII secolo, che può considerarsi
l’esemplare più vicino a quello terracinese. Anche qui, infatti, lo stacco tra base
e alzato di materiali e tecniche costruttive mostra il connubio tra il tipo di
basamento di matrice campana - ma che trova episodi significativi
anche in area laziale - e il rivestimento in laterizio, proprio
degli esemplari romani.
Nonostante ciò, il campanile di San Cesareo si differenza da
quello di Sant’Erasmo, innanzitutto per i caratteri formali,
che derivano dalle indicazioni mutuate dal vicino cantiere
cistercense di Fossanova, da cui trae la tecnica muraria e
i particolari tipologici e costruttivi delle volte del piano
terreno. La realizzazione della struttura va quindi collocata
tra la fine del XII secolo (probabilmente all’epoca dell’episcopato
di Tedelgario, 1192-96) e la metà del XIII
(documento del 1257 da cui si evince che la cella campanaria
era stata portata a termine).
f
Foto da DI GIOIA 1982
g
Foto da DI GIOIA 1982
Diocesi di Latina,
Terracina, Sezze, Priverno
Foto da DI GIOIA 1982

Regione Lazio Comune di Terracina Università degli Studi di Roma
“La Sapienza”
Itinerari culturali
Tirocini e valorizzazione del territorio
1.2 Duomo
a
La planimetria della chiesa rispetta nel complesso
l’impianto dell’XI secolo, con portico
e interno a tre navate, scandite da una
serie di colonne sostenenti arcate, terminanti
nel presbiterio rialzato con tre absidi. Tale
impostazione deriva dalla basilica di
Montecassino (a) ricostruita tra
il 1066 e il 1071 dall’abate
Desiderio, modello
di riferimento per
Foto da D’ONOFRIO - PACE 1981
diversi edifici in
territorio campano che ne ricalcano fedelmente la
pianta o la semplificano. È il caso della chiesa di
Sant’Angelo in Formis (b), rilevante come confronto
diretto per il duomo terracinese. Eretta anch’essa
sul podio di un antico tempio, si discosta dal San
Cesareo solo per il libero espandersi delle tre absidi
oltre il perimetro della cella, soluzione resa possibile a
Sant’Angelo dalla favorevole situazione topografica.
Palmare il confronto, pure per l’impiego delle absidi incluse, è
con la Santa Menna a Sant’Agata dei Goti (c) e con la Santa Lucia di
Gaeta (d) che presentano anche l’ultima coppia di arcate del colonnato interno
impostata direttamente sul presbiterio sopraelevato.
A significativa testimonianza della vicenda medievale dell’edificio rimangono
la decorazione pavimentale e gli arredi sacri; mentre la schola cantorum è
b c d
13
Regione Lazio, CTR, Volo 1990, 1:10.000
NN. 414070 - 414080 - 414110 - 414120
Foto da D’ONOFRIO 1974 Foto da D’ONOFRIO - PACE 1981 Foto da VENDITTI 1967
4
3
2
5
1
9
6
10
8
12
11
1. Duomo
2. Chiesa di San Giovanni
3. Chiesa del Purgatorio
4. Chiesa di Santa Maria
delle Grazie
5. Chiesa della Madonna
della Delibera
6. Chiesa di San Domenico
7. Cimitero
8. Chiesa di San Francesco
9. Arredo urbano
10. Chiesa dell’Annunziata
11. Chiesa del Santissimo
Salvatore
12. Monumento ai Caduti
13. Chiesa dell’Istituto
Antonelli
documentata fino al 1580.
e
Il pavimento presenta motivi geometrici
giocati in prevalenza sull’uso
di rotae, quadrati e losanghe,
inseriti in fasce a meandro e intrisi
di minuti elementi decorativi
replicati in una variegata
policromia che
vede l’uso combinato di marmi antichi e paste vitree.
È ben conservato fino all’altezza dell’ambone; nel
tratto successivo sino al presbiterio risulta invece
manomesso dall’inserimento di diversi frammenti
erratici, probabilmente provenienti da un arredo
verticale smembrato, qui utilizzati per sopperire
alle lacune provocate dall’usanza di praticare
sepolture all’interno dell’edificio. Fra questi è una
lastra, con pavoni affrontati ai lati di un alberello
carico di frutti, che trova significativo confronto nel
paliotto della chiesa romana di San Cesareo sull’Appia (e)
dove all’interno del linguaggio romano cosmatesco, prevalentemente
aniconico, compare il tema degli animali affrontati realizzato
in una complessa policromia.
Il pulpito, di tipo a cassa rettangolare poggiante su architrave sorretto da quattro
colonne di granito antiche su animali stilofori e da un sostegno centrale su base a
dado ottagonale, presenta pannelli lavorati a intarsio di marmi e paste vitree.
7
Diocesi di Latina,
Terracina, Sezze, Priverno
Foto SOPR. POLO MUSEALE ROMANO

Regione Lazio Comune di Terracina Università degli Studi di Roma
“La Sapienza”
Itinerari culturali
Tirocini e valorizzazione del territorio
1.2 Duomo
Sotto il lettorino, la raffigurazione di Abyssus in forma di volto barbuto, analogo
ai manufatti del duomo di Salerno e della cattedrale di Sessa Aurunca (f),
si configura come una peculiarità dei pulpiti di area campana. Allo stesso linguaggio
iconografico sono riconducibili i due capitelli della fronte, che presentano
rispettivamente telamoni angolari e coppie di cornucopie posti sempre
a sostegno dell’abaco.
Il vicino candelabro, impreziosito da fasce di tarsie in pasta vitrea,
ha un basamento quadrato con una coppia di leoncini accovacciati
che sostiene la colonna tortile, il capitello corinzio
- copia medievale dall’antico - il globo e la coppa reggicero;
reca l’iscrizione CRUDELES OPE. / A.D. MCCXLV
MEN. OCT. DIE ULTIMA e si appoggia su un dado marmoreo
aggiunto in epoca successiva. Il candelabro
per il cero pasquale è legato alle cerimonie liturgiche
del Sabato Santo e richiama simbolicamente la
columna ignis che guidò il popolo d’Israele attraverso
il deserto e nel passaggio del Mar Rosso verso la liberazione,
divenuta espressione della liberazione dell’intera
umanità dal peccato. Si tratta dell’unico pezzo eseguito da un
lapicida che si distingue all’interno della maestranza, attiva nella
chiesa, per la sua formazione più strettamente romana e trova confronti
per le sue varie parti nei ceri di Santa Cecilia in Trastevere, San Lorenzo fuori
le mura (g), Santi Cosma e Damiano, San Clemente a Roma e nell’esemplare
della cattedrale di Anagni.
La realizzazione del candelabro, che reca la data 1245, conclude probabilmente la
campagna di lavori medievali della chiesa. Gli altri arredi interni, quali il pavimento
e i pannelli intarsiati erratici - presenti anche nel presbiterio oltre che nella
parte finale del litostrato della navata centrale - sono stati ricondotti dalla critica
più recente ad una maestranza locale, attiva nell’edificio tra il terzo e il quarto
decennio del Duecento e incline alla commistione e alla autonoma rielaborazione
di motivi e tecniche esecutive di origine campana, romana, bizantina e islamica.
Ne sono esempio l’impiego di tipologie architettoniche e di temi iconografici e
decorativi di matrice campana, la predilezione per la linea spezzata e per complicati
intrecci di sapore islamico (pulpito), l’uso della linea curva (pavimento) tipica
sia del linguaggio bizantino sia di quello romano cosmatesco tesa tuttavia a
creare percorsi frazionati che non definiscono chiaramente l’asse longitudinale del
cammino e che, per questo, rivelano un più deciso apporto di natura orientale.
Questi manufatti e la produzione ad essi più vicina, come il pulpito e la cattedra epi-
g h
Foto SOPR. POLO MUSEALE ROMANO Foto SOPR. POLO MUSEALE ROMANO
scopale di San Pietro a Fondi e il pulpito e il candelabro di San Pietro a Minturno
(h), appartengono ad un gruppo di opere del basso Lazio importanti per la loro funzione
di mediazione degli elementi campani meridionali in area romana.
Alla fase decorativa medievale sono riconducibili anche i cibori sopra i due altari
laterali, analoghi all’esemplare presente in San Lorenzo fuori le mura a Roma:
colonne di reimpiego con capitelli medievali fogliati sorreggono una trabeazione
formata da materiale di recupero e antiche lastre angolari recanti iscrizioni;
al di sopra un giro ottagonale di colonnine con capitelli
tronco-conici o a crochets sostiene un coronamento piramidale.
La loro datazione è ancora oggetto di discussione:
secondo una prima ipotesi appartengono alla stessa fase
di lavoro degli arredi liturgici pur essendo opera di una
diversa maestranza; nell’altra ipotesi la struttura inferiore
è del XII secolo, mentre l’ordine superiore viene
ricondotto a un restauro duecentesco.
Altre due opere risentono di un linguaggio tardomedievale.
L’affresco con la Vocazione di santa Brigida, databile
alla fine del XIV secolo, è emerso a seguito di saggi
stratigrafici sotto l’intonaco settecentesco dell’abside sinistra
ed è pertinente alla decorazione tardogotica dell’edificio.
La c.d. tavola dell’Assunta, conservata nella cappella del Sacramento e
dipinta su entrambi i lati (sul recto una Madonna con Bambino, sul verso un Cristo
in trono), è attribuibile ad una scuola pittorica attiva a cavallo tra Trecento e
Quattrocento nel Lazio meridionale e in particolare a Terracina, nel Santuario della
Delibera 5 e nelle chiese di San Domenico 6 e San Francesco 8 , in cicli pittorici
ormai distrutti.
f
Diocesi di Latina,
Terracina, Sezze, Priverno
Foto da GANDOLFO 1999

Itinerari culturali
Tirocini e valorizzazione del territorio
1.3 Duomo
L’età moderna ha completamente modificato l’aspetto del duomo (a).
Al Settecento si devono l’alterazione dei colonnati e la rimodellazione in stucco
dei capitelli delle colonne, tutte di reimpiego, di granito rosso o grigio, l’aggiunta
delle cappelle laterali e del coro quadrangolare e la realizzazione di nuove
coperture in sostituzione dell’originario soffitto a capriate lignee.
Le cappelle laterali, tre per lato, sono diverse sia per planimetria sia per dimensioni.
In quella del Battistero vi era un dipinto, trafugato nel 1991, con
il Battesimo di Cristo (b) databile al 1710, copia di un’opera di
Carlo Maratta che risultava collocata alla fine del XVII secolo
nel presbiterio di Santa Maria degli Angeli a Roma. La
cappella di san Giuseppe ospitava una Sacra Famiglia
(c) della seconda metà del XIX secolo, anch’essa rubata
nel 1989; nell’ambiente si trovano dal 1994 due
opere provenienti dalla chiesa di San Francesco 8 .
Quella dell’Addolorata aveva un dipinto settecentesco
con Santa Brigida (d) di un ignoto pittore locale,
anch’esso sottratto dalla sua sede nel 1991.
Nella zona presbiteriale, l’altare maggiore conserva le
reliquie dei martiri Cesareo, Giuliano, Felice ed Eusebio
ritratti sul paliotto entro un’ambientazione architettonica.
Di nuovo elementi architettonici fanno da sfondo alla scena graffita
sul paliotto dell’altare sinistro che reca la raffigurazione di San Silviano benedicente,
santa Silvia e santa Rufina. In ultimo, l’esemplare dell’altare destro presenta
Sant’Eleuterio mentre benedice la città di Terracina, arroccata sullo sperone
roccioso su cui si erge il c.d. tempio di Giove e circondata dalla cinta muraria
al cui interno è ben evidente il San Cesareo. I tre pannelli, ascrivibili al 1729
ca., sono stati certamente realizzati dallo stesso artista locale, considerate le
stringenti analogie stilistiche e tipologiche. Al Settecento appartiene anche il
baldacchino posto sopra l’altare centrale in sostituzione di un ciborio medievale
verosimilmente analogo ai due ancora in situ. I sostegni in marmo bianco,
a
Regione Lazio Comune di Terracina Università degli Studi di Roma
“La Sapienza”
Foto da DI GIOIA 1982
b
Foto ARCHIVIO CRD
aventi capitelli compositi in stucco e fusti scanalati e per un terzo rudentati, provengono
dalla scomparsa chiesa di Santa Maria de Posterula.
Sulla volta della navata centrale un dipinto murale con San Cesareo in Gloria è
attribuibile ad una bottega romana della fine del XVIII secolo; i lacunari che lo circondano
sono stati eseguiti intorno al 1898 da Virginio Monti (1852-1942) e dalla
sua bottega. Allo stesso pittore sono da ascrivere: nell’arco trionfale i tre riquadri
con oggetti liturgici e con San Pietro ordina sant’Epafrodito
vescovo di Terracina, rappresentata sullo sfondo; nella volta del
coro, gli episodi della vita di Urbano II (1088-1099) raffiguranti
l’Elezione al soglio pontificio; la Gloria di
sant’Urbano; Pietro l’Eremita chiede al Papa di liberare
Gerusalemme dagli infedeli. Nativo di Genzano,
l’artista, membro dell’Accademia dei Virtuosi del
Pantheon, fu un esponente insieme al cognato
Eugenio Cisterna del gusto accademico-eclettico proprio
dei pittori attivi durante il pontificato di Pio IX
(1846-1878). Gli stessi decorarono anche la chiesa della
Madonna della Delibera 5 e la chiesa del Salvatore 11 .
Il coro ha il pavimento ornato da maioliche napoletane settecentesche
a motivi floreali e stellari inscritti in schemi romboidali.
Su tre lati ospita stalli lignei, risalenti al XVIII secolo, che incorniciano
nella parete di fondo la cattedra episcopale medievale recentemente ricomposta
con marmi di altri arredi. Le pareti laterali sono ornate da un ciclo di affreschi
a monocromo, con pontefici e santi vescovi, attribuito a Sebastiano Conca
(1680-1764) o alla sua scuola: papa Vittore III che depose le insegne pontificie
nella cattedrale di San Cesareo nel 1087; Sant’Epafrodito, primo vescovo di
Terracina; San Valentino, vescovo di Terracina martirizzato al tempo di Giuliano
l’Apostata (361-363) e, infine, papa Urbano II eletto pontefice nel conclave qui
tenutosi nel 1088. Allo stesso pittore è tradizionalmente attribuito anche il dipinto
murale con San Silviano dell’absidiola sinistra, in cattivo stato di conservazione.
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1. Duomo
2. Chiesa di San Giovanni
3. Chiesa del Purgatorio
4. Chiesa di Santa Maria
delle Grazie
5. Chiesa della Madonna
della Delibera
6. Chiesa di San Domenico
7. Cimitero
8. Chiesa di San Francesco
9. Arredo urbano
10. Chiesa dell’Annunziata
11. Chiesa del Santissimo
Salvatore
12. Monumento ai Caduti
13. Chiesa dell’Istituto
Antonelli
Foto ARCHIVIO CRD

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Itinerari culturali
Tirocini e valorizzazione del territorio
2. Chiesa di San Giovanni
La chiesa di San Giovanni, un tempo dedicata a san Lorenzo, viene
menzionata per la prima volta in un atto al tempo di papa Gregorio
IX (1227-1241), quando il presbitero Stefano, priore della chiesa,
concedeva a un tal Giovanni Gimundo un’abitazione ubicata nelle
vicinanze dell’edificio. Sappiamo dalle fonti che nel XVI secolo l’edificio
si trovava in stato di abbandono. Nel 1623 un signore
locale, Simone de Tassis, istituiva la Confraternita di
san Giovanni, alla quale nel 1635 veniva consegnata
la chiesa. L’edificio, con la nuova dedica a
san Giovanni, fu sottoposto in quell’occasione
a radicali lavori di restauro, svoltisi sotto la
direzione di Virgilio Assorati. Gli altari da
uno, dedicato ai santi Lorenzo, Giovanni
Battista ed Evangelista, divennero quattro:
della Santa Croce, della Vergine Madre e di
san Giuseppe, di sant’Anna e di san Michele
Arcangelo. Nel 1733 il Vescovo faceva demolire
alcune case presso la chiesa per favorire la visione
del prospetto laterale destro.
L’edificio chiesastico, compresso all’interno dell’abitato medievale,
si addossa a nord-est alla cinta muraria cittadina. L’esterno si presenta
semplice nelle forme e nella decorazione. Staccato dal corpo
della chiesa e visibile solo dal camminamento di ronda delle mura,
si erge il campanile (a), unica parte dell’edificio conservatasi nelle
forme d’epoca medioevale.
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La chiesa all’interno è composta da un’aula unica longitudinale coperta
da una volta a botte a sesto ribassato lunettata, con il presbiterio, di
pianta rettangolare e rialzato, sormontato da una cupola ellittica. Fra le
lesene che decorano le pareti si trovano quattro altari minori in stucco.
A destra gli altari di sant’Antonio, con una statua policroma del santo
del XX secolo, e quello della Vergine Madre, con un dipinto del
XIX secolo raffigurante la Vergine, sant’Anna e Gesù
Bambino (b); a sinistra l’altare del Sacro Cuore, con
una scultura del XX secolo, e della Santa Croce,
con una tela databile al XIX secolo.
Nella sagrestia inoltre si conservano:
due busti lignei
dipinti rappresentanti
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san Pietro e san Paolo
(c), opere del XVIII
secolo; una lapide di
marmo rettangolare (d), in
origine murata nella parete
destra interna del presbiterio, che
ricorda la concessione del canonicato alla chiesa
da parte di Pio VI nel 1783; un dipinto del
XVIII secolo di un ignoto autore locale raffigurante
i santi Pietro e Paolo (e). Completano
l’arredo della chiesa un pulpito e un confessionale
in legno ascrivibili al XIX-XX secolo.
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Diocesi di Latina,
Terracina, Sezze, Priverno
1. Duomo
2. Chiesa di San Giovanni
3. Chiesa del Purgatorio
4. Chiesa di Santa Maria
delle Grazie
5. Chiesa della Madonna
della Delibera
6. Chiesa di San Domenico
7. Cimitero
8. Chiesa di San Francesco
9. Arredo urbano
10. Chiesa dell’Annunziata
11. Chiesa del Santissimo
Salvatore
12. Monumento ai Caduti
13. Chiesa dell’Istituto
Antonelli
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3. Chiesa del Purgatorio
La chiesa fu iniziata a metà ‘700 fuori Porta Maggio, l’antica Porta
Maior di epoca romana, nel quartiere urbano di Borgo Cipollata,
costituitosi nei secoli XVII-XVIII. L’edificio sorse sui resti di una
preesistente struttura duecentesca intitolata a san Nicola e già in
rovina alla fine del Cinquecento. A partire dal 1733 la Compagnia
della Buona Morte - confraternita di laici dedita all’assistenza
dei condannati alla pena capitale - che aveva sede nella
vicina chiesa di San Giovanni 2 iniziò a raccogliere
offerte per la costruzione di un nuovo tempio,
terminato tuttavia solo nel 1787, come documenta
il cartiglio in facciata. In origine, infatti,
il nome del nuovo edificio doveva essere
‘dei Suffragi’. I lavori ricevettero un impulso
determinante dall’interesse di Pio VI
(Giovanni Angelo Braschi, 1775-1799) per
Terracina, cardine del progetto di bonifica
delle Paludi Pontine. Il papa visitò la nuova
chiesa il 1 maggio 1786.
L’edificio, collegato al tratto urbano della Via Appia
pre-traianea - l’attuale corso Anita Garibaldi - da una gradinata,
prospetta su uno slargo che dà ampio risalto alla facciata.
Questa si articola in quattro paraste sormontate da un timpano mistilineo
al cui interno spicca l’imponente raffigurazione della Morte con
falce e clessidra, simbolo della Compagnia. L’immagine è circondata
dall’iscrizione HODIE MIHI CRAS TIBI (oggi a me, domani a te) inserita in
un cartiglio. La composizione generale e la decorazione architettonica
in stucco appartengono al gusto rococò.
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La chiesa a pianta centrale con copertura a cupola, unico esempio di
questo tipo a Terracina, è composta da una sala circolare inserita in
un corpo di fabbrica quadrangolare, con piccoli ambienti di raccordo
agli angoli. Nel corso del XIX secolo furono aggiunti il finto lanternino
e le decorazioni pittoriche trompe-l’œil con raffigurazioni
macabre di teschi e scheletri. Alla base della cupola corre l’i-
scrizione SANCTA ET SALUBRIS EST COGITATIO PRO
DEFUNCTIS EXORARE (è un santo e salutare pensiero
pregare per i defunti) tratta dal secondo libro dei
Maccabei, a segnalare la titolazione della chiesa
e la sua funzione.
L’interno, scandito da otto paraste decorate in
finto marmo, conserva parte dell’originario
pavimento in maioliche policrome, un’acquasantiera
a muro, due cantorie e due confessionali,
tutte opere di artigianato locale eseguite
nella seconda metà del Settecento, contestualmente
ai lavori di costruzione dell’edificio.
Sull’altare maggiore, in marmo, è conservata una
tela del XVIII secolo raffigurante la Madonna che intercede
per le anime del Purgatorio presso la Trinità (a), attribuita
ad un pittore di ambito romano.
Gli altari laterali sono decorati in stucco. Quello di sinistra conserva
una tela ottocentesca estremamente deteriorata raffigurante Tobia e
l’angelo (b) di autore ignoto. Quello di destra custodiva un dipinto,
poi trafugato, di scuola romana rappresentante la Visione di san
Francesco di Paola (c), datato alla prima metà del secolo XVIII.
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2. Chiesa di San Giovanni
3. Chiesa del Purgatorio
4. Chiesa di Santa Maria
delle Grazie
5. Chiesa della Madonna
della Delibera
6. Chiesa di San Domenico
7. Cimitero
8. Chiesa di San Francesco
9. Arredo urbano
10. Chiesa dell’Annunziata
11. Chiesa del Santissimo
Salvatore
12. Monumento ai Caduti
13. Chiesa dell’Istituto
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4. Chiesa di Santa Maria delle Grazie
La chiesa costituiva la parrocchia del borgo formatosi fuori porta
San Gregorio - l’attuale porta Romana - in seguito al notevole
aumento demografico che interessò la città tra XI e XII secolo. Nel
1163 papa Alessandro III riconsacrò un precedente edificio altomedievale
col nome di Santa Maria della Basilica Nuova. Di queste
antiche strutture non rimane nulla: la chiesa fu totalmente rinnovata
nel XVII secolo dal vescovo di Terracina Cesare
Ventimiglia, originario di Benevento. Questi fece
invertire l’orientamento e costruire gli altari ed
un pulpito. Tale intervento è infatti ricordato
nell’iscrizione che corre sia lungo l’architrave
del portale in facciata, sia lungo quello della
sacrestia, entrambi in calcare poroso e opera
di maestranze locali: DO CAES EX COMITIB
VINTIMIL BENEVET S EPS TAR (Cesare, dei
conti di Ventimiglia, Beneventano, vescovo di
Terracina [dedica] a Dio). Gli interventi del
prelato, che fu in carica tra il 1632 e il 1645, si
estesero anche al sobborgo circostante e all’episcopio:
la stessa epigrafe si trova ripetuta lungo gli
stipiti al numero civico 11 e in due architravi ai numeri 5 e
10 della adiacente via di Porta Romana, nonché presso l’edificio al
civico 18 di piazza Duomo.
Nel suo aspetto originario la chiesa doveva presentare sulle pareti
una decorazione pittorica quattrocentesca di cui sono sopravvissute
le immagini deteriorate ed in parte ridipinte di Sant’Antonio Abate
con donatori (a) e di San Michele Arcangelo. Gli affreschi, eseguiti
tra la fine del XIV secolo e la metà del successivo, furono scoperti
in seguito ai restauri effettuati negli anni Sessanta e sono stilisticamente
avvicinabili alle opere conservate nelle chiese di San
Domenico 6 e di Sant’Antonio. Quest’ultima, oggi distrutta, ma
ancora in parte accessibile nel 1912, conservava un ciclo pittorico
datato allo stesso periodo (b). Il gusto vivamente popolare dei due
dipinti documenta un chiaro intento devozionale.
Sulla parete a destra dell’ingresso si conserva un’acquasantiera
a muro, opera di artigianato locale, datata
tra XV e XVI secolo.
Sulla parete sinistra si trova un’iscrizione frammentaria
a caratteri gotici dipinta ad affresco
(secc. XIV-XV). Il cattivo stato di conservazione
non permette un’analisi globale dell’opera
che, probabilmente, era collegata ad un’immagine
votiva collocata nella zona sottostante.
La calotta absidale è decorata da un affresco
molto danneggiato raffigurante Dio padre in
Gloria. Tra le pesanti ridipinture tardo-ottocentesche,
si scorgono ancora alcuni frammenti datati
dubitativamente al XVII secolo (c).
All’arredo della chiesa apparteneva una pisside ottocentesca,
oggi trafugata, opera di artigianato meridionale (d).
Nel 1965 Dino e Laura Ferruzzi, allora presidenti dell’Istituto
Antonelli 13 , finanziarono il restauro dell’edificio e donarono l’attuale
altare marmoreo nel presbiterio.
L’adiacente sepolcro circolare di epoca romana era anticamente rivestito
in opera quadrata ma parte delle murature oggi visibili risale a
rifacimenti medievali.
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10. Chiesa dell’Annunziata
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13. Chiesa dell’Istituto
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MUSEALE POLO SOPR.
Foto A. COSMA Foto da ROSSI 1912
Foto A. COSMA Foto

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5. Chiesa della Madonna della Delibera
Secondo la tradizione il culto della Madonna della Delibera a
Terracina risalirebbe almeno al Medioevo; tuttavia scarse risultano le
notizie riguardo la fondazione dell’edificio e la sua storia fino al
XVIII secolo. Da una descrizione del 1730 sappiamo che la chiesa era
interamente decorata ma l’unica testimonianza rimastaci è l’affresco,
molto venerato, con la Vergine, san Giovanni Battista e san
Cesareo, patrono di Terracina, che si trova oggi sulla parete
di fondo. L’opera, molto ridipinta, sembra risalire al
XVI secolo ma è sovrapposta ad un’immagine più
antica, di cui restano due piedi, due donatori
inginocchiati (a) e una scritta in caratteri gotici
in cui si legge la data 1417 (b).
All’inizio del Settecento il Santuario era sicuramente
officiato da un cappellano stipendiato dal
Comune finché nel 1728 Benedetto XIII lo legò
al Capitolo della Cattedrale; la custodia, invece,
era affidata ad un eremita che viveva in una piccola
abitazione annessa alla chiesa. Nel 1889 fu intrapresa
la ricostruzione completa dell’antico edificio per
volontà del conte Agostino Antonelli, membro di un’importante
famiglia locale e particolarmente devoto alla Madonna
della Delibera, alla quale dedicò addirittura un componimento poetico in
cui la definiva la patrona di Terracina. La chiesa, a tre navate, venne progettata
dall’ingegnere Filippo Liberati, mentre la decorazione pittorica,
conclusa nel 1896, fu affidata al pittore Virginio Monti, già attivo per
l’Antonelli nella chiesa del Santissimo Salvatore 11 e in quella dell’Istituto
Antonelli 13 . Il programma iconografico è incentrato sulla celebrazione
del dogma dell’Immacolata Concezione, proclamato da Pio IX l’8 dicem-
a
Foto ARCHIVIO CRD
bre 1854. Intorno all’antico affresco il Monti dipinse infatti l’Immacolata
circondata da santi mentre, sul resto della parete, compaiono angeli con gli
attributi che qualificano Maria nelle litanie lauretane e iscrizioni tratte
dall’Ecclesiastico - o Siracide - al cap. 24, uno dei testi fondamentali per il
culto dell’Immacolata. La celebrazione della Vergine prosegue poi nella
navata, dove gli angeli nei pilastri sorreggono iscrizioni in suo onore e i
gigli alludono alla sua purezza, e si conclude nella volta dove
la scena dell’Incoronazione della Vergine sottolinea ancora
il suo concepimento senza macchia.
All’interno della chiesa è da ricordare la quarta
cappella a destra, che celebra la figura di Leone
XIII Pecci (1878-1903), il papa che nel 1899
consacrò la chiesa donando l’altare maggiore.
La pala, attribuita al Monti, lo raffigura davanti
a san Carlo da Sezze con lo sfondo di
Carpineto Romano, paese di nascita di Leone
XIII, e della basilica di San Pietro, che invece
allude al suo ruolo di pontefice. Sul piviale del
papa compare lo stemma della famiglia Pecci visibile
anche sulla volta insieme a quello della famiglia
Antonelli. Sopra la porta è posta una copia della Deposizione
di Rubens, oggi alla Galleria Borghese a Roma.
Attribuita ancora al Monti è la pala con la Vergine, santi e un cardinale
sul primo altare a destra e la pala con la Vergine, san Giuseppe e il
Bambino con in mano il Sacro Cuore nella quarta campata di sinistra.
Nel 1910 il convento e l’annesso Santuario furono affidati ai Cappuccini,
tra i quali si ricorda padre Biagio Trani da Monte San Biagio, ucciso dai
tedeschi il 5 aprile 1944, al quale è stata intitolata una via di Terracina.
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Antonelli

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6. Chiesa di San Domenico
Secondo la tradizione, fu lo stesso san Domenico, di passaggio a
Terracina, a fondare la chiesa che da lui prende il nome.
Probabilmente è stato invece Alberto da Terracina, vescovo di Fondi
dal 1289 al 1300, a fare edificare la chiesa e il convento per l’ordine
mendicante, alla fine del XIII secolo. Fu scelta una forma semplice
nell’impianto e priva di decorazioni sfarzose, conforme ad un
gusto mutuato forse dalle fondazioni cistercensi.
Il complesso fu retto dai domenicani fino al 1667,
ma già nel 1652 papa Innocenzo X aveva soppresso
il convento, a causa delle scarse rendite.
La comunità tornò a fiorire nel 1778 e la chiesa
fu restaurata e abbellita, per cadere nuovamente
in abbandono nel 1873, quando i
monaci vennero definitivamente allontanati
e i loro beni espropriati. Le strutture abitative
in disuso si degradarono progressivamente,
fino alla attuale rovina.
L’aspetto originario della chiesa è stato alterato
nel tempo da numerosi rifacimenti, ma il restauro
attuato nel 1952-57 dall’architetto Giuseppe Zander ha
portato al parziale ripristino delle forme medievali, apprezzabili
soprattutto all’esterno.
La chiesa presenta una semplice facciata a capanna, un tempo arricchita
da un portico di cui rimane una parziale impronta; il portale, ora tamponato,
è sormontato dal protiro pensile (a) che incornicia una lunetta secondo
una tipologia non canonica per le chiese conventuali dei secoli XII e
XIII, ma simile piuttosto alle soluzioni del romanico pugliese e campano.
L’elegante rosone (b) ad archetti intrecciati trova i confronti più prossimi
in esempi del basso Lazio, quali Santa Maria in Flumine a
Ceccano, San Lorenzo ad Amaseno e l’Abbazia di Valvisciolo.
L’antico campanile, che ospitava una campana bronzea del 1334, è
stato sostituito da una nuova torre campanaria nel 1717.
L’interno dell’edificio (d), ad aula, coperto da capriate lignee, presenta un
pavimento dalla forte pendenza che conduce al transetto, ora alterato dall’aggiunta
di due cappelle. Lo spazio del coro, con terminazione rettilinea
aperta su tre cappelle, era forse originariamente coperto
con volte a crociera, come sembrano suggerire le colonne
addossate ai pilastri di sostegno, ora prive di funzione;
si conservano ancora i capitelli medievali,
scolpiti con motivi vegetali (c). La chiesa era
anticamente ornata da sculture e affreschi, di cui
non restano che rare tracce sulla parete in controfacciata,
databili ai secoli XIII e XIV.
È andata perduta anche la settecentesca
decorazione in stucco policromo, che esisteva
ancora all’inizio del secolo scorso, come
documenta una fotografia del 1912 (e).
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8. Chiesa di San Francesco
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7. Cimitero
L’area occupata oggi dai fabbricati del cimitero civico insiste sui resti di un’antica
villa romana del I secolo a.C., di cui è ancora visibile sul lato meridionale
della chiesa un grande muro in opera poligonale lungo quasi trentacinque metri.
L’occupazione in età romana del sito è inoltre confermata dal rinvenimento nel
sottosuolo di alcuni ambienti, probabilmente destinati alla raccolta dell’acqua, e
di numerose iscrizioni funerarie, in molti casi dedicate a liberti.
Nonostante la vicinanza al cosiddetto tempio di Giove Anxur, il
sito fu dimenticato per secoli, fino a quando, intorno alla
metà del XVIII secolo, vi si insediò una comunità di
Passionisti, che lo trasformò in uno dei primi ritiri dell’ordine,
fondato nel 1728. La scelta del sito fu
indubbiamente determinata dall’isolamento del
luogo, ideale per una comunità eremitica dedita
principalmente alla contemplazione, e dalla presenza
di acqua. Al convento fu annessa la chiesa oggi
detta del Cimitero, costruita nel 1757 per volere del
vescovo Gioacchino Oldo, come ricorda una delle
due iscrizioni conservate nel portico, alla sinistra dell’ingresso.
L’altra iscrizione commemora la visita alla
chiesa da parte del pontefice Pio VI (1775-1799), avvenuta
pochi anni dopo, nel 1781, nel corso dei lavori per il recupero della
Piana Pontina e della Via Appia.
La destinazione cimiteriale dell’area fu decisa in seguito all’editto napoleonico
di Saint-Cloud del 1804, esteso all’Italia pochi anni dopo, che vietava, per
motivi igienici, la sepoltura dei morti nei pressi delle chiese urbane e autorizzava
solo quella nei cimiteri extraurbani. Sebbene a partire dagli anni Venti del
XIX secolo si possa rintracciare nei Registri dei Defunti qualche sporadica
1. Duomo
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5. Chiesa della Madonna
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6. Chiesa di San Domenico
7. Cimitero
8. Chiesa di San Francesco
9. Arredo urbano
10. Chiesa dell’Annunziata
11. Chiesa del Santissimo
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12. Monumento ai Caduti
13. Chiesa dell’Istituto
Antonelli
tumulazione nel Camposanto, bisognerà attendere gli anni Settanta dello stesso
secolo perché l’uso del cimitero diventi regolare, e si cessi di seppellire i
propri morti nelle chiese urbane, in particolare in San Francesco, San
Domenico e Santa Maria delle Grazie. Agli anni finali del XIX secolo corrispondono
infatti le datazioni di almeno due dei monumenti sepolcrali più antichi
e interessanti del cimitero, sistemati alla destra del viale principale: le
tombe Sogliera (a) e Sarti (b), rispettivamente del 1888 e del 1891.
Non si può escludere che inizialmente le sepolture fossero
praticate anche all’interno della chiesa, benché ciò avvenisse
principalmente per i padri Passionisti.
La facciata principale della chiesa è articolata in due ordini,
tripartiti verticalmente da paraste, e caratterizzata dall’ingresso
principale voltato ad arco e da due finestre
nell’ordine superiore. L’interno, preceduto dal portico, è
a pianta centrale scandito da quattro nicchie, una delle
quali utilizzata per l’ingresso, e coperto da una cupola.
Fino al 1991 nella chiesa si conservavano tre tele di
grandi dimensioni, oggi trasferite su tavola e sistemate
nel Palazzo del Vescovado per le precarie condizioni dell’edificio
che le conteneva. Una di esse, raffigurante San
Michele arcangelo (c) con la spada che schiaccia la testa del demonio
e realizzata nel corso del XVIII secolo, rappresenta una copia dell’opera
di Guido Reni conservata nella chiesa dei Cappuccini a Roma e celebrata da
tutta la storiografia artistica settecentesca come simbolo della teoria del Bello
Ideale. L’altra tela, sempre del XVIII secolo e realizzata in ambito locale, rappresenta
l’insolito soggetto, diffusosi in età barocca, di San Giuseppe col
Bambino (d). La terza opera, con una Pietà (e), è del XIX secolo.
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8. Chiesa di San Francesco
La chiesa di San Francesco, fondata secondo la tradizione dallo stesso
santo di Assisi intorno al 1222, sorge dove un tempo si trovava l’antica
acropoli d’età repubblicana. Nel 1705, come è documentato da una visita
apostolica, furono apportate all’edificio pesanti modifiche, che ne stravolsero
completamente le forme originarie. Ulteriori rifacimenti si resero
necessari nel 1874, quando nel complesso dei Minori fu trasferito
l’Ospedale Civico, rimastovi fino all’inizio degli anni Novanta
dello scorso secolo. Nel dopoguerra, in seguito ai gravi
danneggiamenti subiti durante l’ultimo conflitto mondiale,
la chiesa fu sottoposta a nuovi restauri.
All’esterno la facciata dell’edificio è schermata da
un porticato di recente costruzione, mentre inserito
fra il presbiterio e il chiostro svetta il campanile
a canna quadrata con copertura conica.
L’interno è a navata unica, sormontata da una
volta a botte ribassata lunettata, scandita da
coppie di nervature di rinforzo in corrispondenza
di paraste sottostanti. Lungo il corpo longitudinale
della chiesa si aprono tre cappelle per lato, di
pianta mistilinea e coperte da una volta a vela ellittica
con pennacchi, ad eccezione delle prime due cappelle a nord,
che presentano invece una volta a botte. Il presbiterio è soprelevato e
coperto da una volta a vela ellittica con pennacchi di raccordo, che in
corrispondenza dell’altare maggiore presenta un’apertura da cui è visibile
l’arco d’imposta dell’originaria copertura del XIII secolo. Il coro,
unica parte della chiesa mendicante conservatosi nelle forme gotiche
originarie, è di pianta quadrangolare, chiuso da una volta a crociera
ogivale esapartita impostata su mensoloni.
Nelle pareti del presbiterio sono murate a destra una lastra tombale,
in origine terragna, che per i caratteri paleografici e stilistici sembrerebbe
appartenere ad un conventuale del XV secolo; nella parete
sinistra un tabernacolo per gli olii santi, formato da due colonnine
a spirale sormontate da capitelli a crochets a sostegno di un arco
trilobo ogivale, decorato negli angoli superiori da due rosette. Sul
lato destro del coro si trova una bifora archiacuta, probabile
elemento di comunicazione fra la chiesa e i vicini
edifici conventuali o, come nel caso dell’abbazia
cistercense di San Martino al Cimino (a),
ciborio a muro. All’interno delle arcate si conservano
lacerti di affreschi raffiguranti uccelli
e leoni affrontati in tondi, databili per lo
stile al XIV-XV secolo.
Un polittico ligneo dipinto risalente al XVI
secolo, con Dio padre benedicente fra angeli
nella lunetta e il Presepe nel pannello inferiore
(b), decorava l’altare della prima cappella a destra.
Nella terza cappella di sinistra si trovava un dipinto
di un ignoto artista locale raffigurante un’Immacolata
Concezione del XIX secolo (c). Entrambe le opere furono trasferite
nel 1994 nella cappella di san Giuseppe nel duomo di San
Cesareo 1 , dove sono oggi visibili.
Nello stesso anno una tela con una Crocifissione (d) del XIX secolo
fu trasportata dalla sacrestia del San Francesco nella cappella
dell’Ospedale Civile Alfredo Fiorini, dove si trova attualmente. Nella
sagrestia si conservava anche un corredo di pianete (e) risalenti ai
secoli XIX e XX.
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Terracina, Sezze, Priverno
1. Duomo
2. Chiesa di San Giovanni
3. Chiesa del Purgatorio
4. Chiesa di Santa Maria
delle Grazie
5. Chiesa della Madonna
della Delibera
6. Chiesa di San Domenico
7. Cimitero
8. Chiesa di San Francesco
9. Arredo urbano
10. Chiesa dell’Annunziata
11. Chiesa del Santissimo
Salvatore
12. Monumento ai Caduti
13. Chiesa dell’Istituto
Antonelli

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Tirocini e valorizzazione del territorio
9. Arredo urbano
La ricchezza storico-artistica di Terracina è testimoniata, oltre che dai più importanti
monumenti ecclesiastici e civili ancora esistenti, dalla conservazione in vari punti del contesto
urbano di arredi e sculture medievali, spesso di provenienza ignota, o di edicole
moderne murate negli edifici e disseminate per la città e il territorio.
Alcuni reperti interessanti sono stati sistemati agli inizi del Novecento in Piazza Santa
Domitilla, una volta giardino del Palazzo della Bonifica Pontina, addossati al muro che ne
delimita il lato meridionale. Si tratta di un pastiche composto da tre frammenti marmorei,
assemblati in modo da costituire la cornice di una porta, e da una
lastra quadrangolare conservati almeno fino alla fine del XIX secolo in
un magazzino del Palazzo della Bonifica. Solo l’elemento orizzontale,
sul quale poggia una cornice modanata non pertinente, è
decorato da una banda a disegni geometrici ottenuti con tessere
musive rosse, blu, oro e avorio.
I due frammenti verticali, invece, identici tra loro, conservano
solo l’alloggiamento per una decorazione simile,
oggi perduta. La partitura musiva, un disegno molto diffuso,
non consente che una generica datazione alla produzione
più matura dei marmorari romani, operanti nel
Lazio meridionale, e in particolare nella cattedrale di
Terracina 1 , nella prima metà del XIII secolo.
Del tutto estranea alle cornici deve invece ritenersi la lastra
in pietra da esse inquadrata e accostata al muro. Questa è delimitata
ai margini da un bordo liscio leggermente sguinciato e decorata
all’interno da una rete di cerchi annodati e intrecci a losanghe, tessuti
da un nastro bisolcato, con terminazione a doppia punta sui lati. Si tratta del
frammento di un pluteo, con una decorazione dalla stesura regolare e spaziata che
rimanda ad esempi di transenne romane e laziali tra la fine dell’VIII secolo e la prima
metà del IX. Per questo motivo, non è escluso che fosse originariamente pertinente
all’arredo liturgico dei maggiori edifici di culto terracinesi, per i quali è ben documentata
una fase di VIII-IX secolo.
Su Via dell’Annunziata, in direzione di Via Roma, si incontrano due leoni marmorei
posti ai lati di quella che era un tempo la Porta Albina, abbattuta nel 1822 insieme ad
©BIBLIOTECA APOSTOLICA VATICANA. C. LABRUZZI ©BIBLIOTECA APOSTOLICA VATICANA. C. LABRUZZI
1. Duomo
2. Chiesa di San Giovanni
3. Chiesa del Purgatorio
4. Chiesa di Santa Maria
delle Grazie
5. Chiesa della Madonna
della Delibera
6. Chiesa di San Domenico
7. Cimitero
8. Chiesa di San Francesco
9. Arredo urbano
10. Chiesa dell’Annunziata
11. Chiesa del Santissimo
Salvatore
12. Monumento ai Caduti
13. Chiesa dell’Istituto
Antonelli
un gruppo di case, per allentare la fitta trama del tessuto urbano e favorire una migliore
circolazione dell’aria in città. I due leoni si differenziano per tipologia e dimensioni,
al punto da doversi ritenere originariamente appartenenti a contesti separati. Il
leone di sinistra, per chi proviene da Piazza Santa Domitilla, accovacciato sulle quattro
zampe, era forse sistemato presso una delle porte d’ingresso alla città, in coppia
con quello ancora oggi conservato alla sinistra di Porta Romana (a e d), raffigurato
nella stessa posizione. Per il leone di destra, seduto sulle zampe posteriori, non
esistono indicazioni; non si può escludere che si trovasse già nell’attuale
collocazione, presso l’antica porta, oppure che provenga dal cantiere
del duomo 1 .
Infatti, nonostante la scarsa leggibilità delle tre sculture, fortemente
segnate dalla secolare esposizione all’aperto, sono
comunque riconoscibili i caratteri propri della produzione
romana cosmatesca - posizione dei felini, definizione
delle criniere, influenze classiche ed egiziane - ripresa
anche dalle maestranze attive nella cattedrale nella
prima metà del XIII secolo.
Perfettamente integrata tra i pezzi dell’arredo urbano, è l’edicola
votiva collocata nella sostruzione settentrionale del
duomo, all’incrocio tra Corso Anita Garibaldi e la Contrada
Posterula. L’opera, appartenente ad una diffusa tipologia di edicole
votive tardo settecentesche, si compone di una cornice ovale
riccamente modellata e contenente l’immagine dipinta a olio
dell’Immacolata, inquadrata da quattro lesene che sostengono un architrave,
a sua volta sormontato da una piccola cupola a protezione dell’immagine sacra.
L’edicola appariva in forme completamente diverse in un’acquatinta di Carlo Labruzzi del
1788 (b): una cornice ovale, con volute a cartoccio, racchiudeva un’immagine della
Madonna Immacolata circondata da angeli. L’ipotesi di un rifacimento successivo al
1789, che ha interessato sia la struttura architettonica che l’immagine dipinta, ha trovato
conferma con il restauro compiuto da Giulio Poggiali nel 1997, nell’ambito del quale è
emerso che l’odierno dipinto su tela ne ha sostituito uno murale precedente, ormai completamente
perduto, e raffigurante con qualche variante lo stesso soggetto (c).
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10. Chiesa dell’Annunziata
La chiesa, costruita nella prima metà del XIII secolo, rappresentava
nel Medioevo la parrocchia dell’antico Borgo Murato, fuori
Porta Albina. Più tardi, nel 1473, pur rimanendo sotto la giurisdizione
del Comune di Terracina, fu assegnata in beneficio da papa
Sisto IV della Rovere (1471-1484) al presbitero Nicola
Trumbatore. Ma fu solamente a partire dal 1537 che, con l’affidamento
della chiesa ai Celestini prima e ai Carmelitani
poi, si procedette alla costruzione di un monastero,
probabilmente collegato alla chiesa da una porta
sul suo lato sinistro, ma oggi scomparso.
Essendo in gravi condizioni di degrado, nel
1705 l’edificio subì un intervento di ristrutturazione,
come mostrano alcuni particolari
della decorazione architettonica ancora oggi
visibile, per essere poi definitivamente
abbandonato già prima dell’ultima guerra.
L’elemento più significativo dell’intero edificio
è rappresentato dall’architrave del portale,
sostenuto da due mensole fogliate, e decorato
lungo tutta la superficie da un intreccio di tralci
viminei in rilievo, che fuoriesce dalle bocche di due animali
fantastici posti alle estremità. La decorazione è sormontata da
un’iscrizione in caratteri gotici con il nome dell’autore: MAGI[STER]
A[N]DREAS DE PIPERNO ME FECIT. Si tratta di uno scultore originario
di Priverno noto soltanto per aver eseguito il portale di questa chiesa,
probabilmente intorno al terzo o quarto decennio del XIV secolo,
e con risultati piuttosto attardati, data la dipendenza compositiva
dell’opera dall’archivolto centrale del portico del duomo (b e c)
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nella stessa Priverno (attribuito alla metà del secolo XIII). Un
esempio molto vicino, caratterizzato dalla stessa semplicità di
linea, si ritrova nuovamente a Priverno, nella chiesa di
Sant’Antonio (a), che conserva un architrave firmato nel 1336 da
un certo Toballo de Ianni, affine, anche nei caratteri epigrafici,
all’opera di Andrea.
Alla facciata appartiene anche un piccolo campanile a
vela, la cui campana bronzea è custodita nel locale
Museo Civico.
All’interno (d) l’edificio mostra ancora il suo
originario impianto gotico a navata unica con
il presbiterio, leggermente rialzato, introdotto
da un grande arco a sesto acuto e coperto
da una volta a crociera ogivale, in cui si
riconoscono tracce degli affreschi duecenteschi
con medaglioni dipinti sugli spicchi
della volta. Lacerti di affreschi si conservano
inoltre nelle due piccole cappelle con altare,
anch’esse rialzate, che si aprono lungo la parete
sinistra, e in corrispondenza dei semplici altari in pietra
che si addossano alla parete destra. Gli altari erano un
tempo dedicati tra gli altri a san Carlo Borromeo, san Biagio, san
Crescenzio, san Rocco e alla Vergine del Monte Carmelo. La dedica
di quest’ultimo, un tempo decorato da un’opera raffigurante la
Madonna del Carmelo, san Michele Arcangelo e il divo Alberto
dell’Ordine del Carmelo, è da mettere in relazione con la presenza
in questo luogo dell’Ordine dei Carmelitani, attestata dagli inizi
del XVIII secolo. Il tetto a capriate è stato restaurato nel 1989.
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Terracina, Sezze, Priverno
1. Duomo
2. Chiesa di San Giovanni
3. Chiesa del Purgatorio
4. Chiesa di Santa Maria
delle Grazie
5. Chiesa della Madonna
della Delibera
6. Chiesa di San Domenico
7. Cimitero
8. Chiesa di San Francesco
9. Arredo urbano
10. Chiesa dell’Annunziata
11. Chiesa del Santissimo
Salvatore
12. Monumento ai Caduti
13. Chiesa dell’Istituto
Antonelli

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11.1 Chiesa del Santissimo Salvatore
Nell’ambito della costruzione del nuovo quartiere di Borgo Pio (o ‘La
Marina’), papa Pio VI Braschi (1775-1799) commissionò a Giuseppe
Valadier il progetto di un complesso da dedicare a san Pio V che inglobasse,
in un unico corpo, una chiesa, un convento e una scuola (a). Del
progetto faceva parte anche l’attuale piazza Garibaldi che, sebbene terminata
solo nel secolo successivo, doveva rappresentare il primo spazio
pubblico moderno della città e l’elemento centrale nella
qualificazione urbana del Borgo Pio.
Come ricordato dalla lapide murata nel pilastro sinistro
al termine della navata centrale, i lavori furono
interrotti dopo la posa in opera della prima
pietra, il 15 maggio del 1795, a causa dell’invasione
napoleonica e della conseguente prigionia
del papa in Francia. Il progetto fu ripreso
soltanto nel 1830 quando la Sacra
Congregazione del Buon Governo incaricò l’architetto
neoclassico di origini emiliane Antonio
Sarti di edificare un nuovo tempio dedicato al
Salvatore. La chiesa fu consacrata nel 1843. Sebbene
sul timpano compaia la data 1845, i lavori si conclusero
solo nel 1847, coprendo l’intero arco di pontificato di
Gregorio XVI (1831-1846) ricordato, infatti, sopra il portale centrale,
come artefice dell’edificio. In qualità di prefetti della Sacra
Congregazione s’interessarono della fabbrica i cardinali Ercole
Dandini, Agostino Rivarola e Ludovico Gazzoli, mentre si adoperaro-
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Foto da ROCCI 1996
no finanziariamente per essa i membri della potente famiglia terracinese
degli Antonelli.
Il progetto del Sarti, premiato all’Esposizione Universale del 1864, è
composto da un pronao neoclassico con colonne corinzie e da un interno
a tre navate con cappelle laterali, cupola all’incrocio del transetto e
presbiterio con deambulatorio colonnato in stile neopalladiano.
Esecutore materiale dei lavori fu l’ingegner Luigi Mollari,
sotto la cui supervisione operarono diverse maestranze:
squadre di sbozzatori e scalpellini per la lavorazione
della locale pietra calcarea utilizzata come
materiale da costruzione e compagnie di stuccatori
per le opere di finitura degli interni e degli
esterni.
Come dimostra un’importante scenografia del
1845, Sarti aveva previsto non solo la realizzazione
di sculture angeliche agli angoli del timpano
ma anche la merlatura della zona retrostante
il pronao e l’inserimento di due fontane nella
piazza antistante (b). Tali elementi, tuttavia, non
furono mai realizzati. In origine, inoltre, le colonne del
prospetto erano ricoperte da uno strato d’intonaco colorato
che conferiva al calcare un aspetto marmoreo: lo scialbo venne in
seguito rimosso lasciando a vista i rocchi di pietra.
Oggi la chiesa del Santissimo Salvatore si presenta ricostruita nelle
parti danneggiate dai bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale.
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1. Duomo
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5. Chiesa della Madonna
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8. Chiesa di San Francesco
9. Arredo urbano
10. Chiesa dell’Annunziata
11. Chiesa del Santissimo
Salvatore
12. Monumento ai Caduti
13. Chiesa dell’Istituto
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Foto da ROCCI 1996

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11.2 Chiesa del Santissimo Salvatore
Nella I cappella a destra, detta della Pietà, commissionata intorno al
1915 da Agostino Antonelli al pittore Virginio Monti e alla sua bottega,
già attiva per lo stesso committente nella chiesa della Madonna
della Delibera 5 e in quella dell’Istituto Antonelli 13 , si trovano
dipinti ispirati ad episodi del Vangelo. Sulla parete sinistra Cristo e l’adultera
e, nella lunetta, Cristo guarisce un paralitico; sulla parete di
fondo la Resurrezione; alla parete destra la Resurrezione di
Lazzaro, unica tela datata (1915) e, nella lunetta, Cristo
guarisce un indemoniato; nei pennacchi della cupola,
gli Evangelisti e, sui pilastri, i Dottori della
Chiesa. Entro clipei sono dipinti i ritratti dei due
fondatori della Terracina moderna, i papi Pio
VI e Gregorio XVI.
Sui pilastri d’ingresso compare lo stemma della
famiglia Antonelli, costituito da uno scudo
coronato all’interno del quale campeggia un tritone
ed una stella cometa. All’interno è conservato
il gruppo scultoreo della Pietà di Cincinnato
Baruzzi, discepolo ed erede
a
della bottega di Canova. Alla morte
del maestro, nel 1821, il modello in gesso
dell’artista, pensato per la chiesa di Saint Sulpice
a Parigi, fu tradotto in marmo lunense dal suo
allievo. La statua fu acquistata nel 1832 per
essere posta sull’altare maggiore della chiesa,
dove rimase fino al 1903.
Al Monti è attribuita anche la tela della
Madonna del Rosario nella III cappella. In
primo piano, le figure di san Domenico e di
santa Teresa ricordano ed evidenziano il legame
storico degli ordini domenicano e carmelitano
con la chiesa.
La IV cappella ospitava, fino al 1991, anno in cui
fu trafugata, una scultura in alabastro raffigurante
una Madonna col Bambino (a) proveniente
dalla distrutta chiesetta settecentesca di Santa
Maria di Porto Salvo, di giuspatronato della famiglia
Aiello. Già datata al XIV-XV secolo, era
Foto ARCHIVIO CRD
invece probabilmente una versione settecentesca di un modello più antico.
Sull’altare è la tela raffigurante la Trinità con la Madonna e san
Giuseppe, datata al secondo quarto del XX secolo.
La I cappella a sinistra, dedicata alla Madonna del Carmine, fu decorata
nei primi anni del XX secolo da Virginio Monti e bottega su commissione
della famiglia Antonelli. Sulla parete sinistra la
Pentecoste e, nella lunetta, la Resurrezione della figlia di
Giairo; in basso, la Madonna del Carmine e le anime
purganti attribuita a Gabriele Capirchio; sulla
parete di fondo Dio Padre tra angeli; sulla parete
destra la Disputa di Gesù con i dottori nel
tempio e, nella lunetta, Cristo e il centurione;
in basso, la Madonna del Carmine consegna
lo scapolare a san Simone Stock, attribuita al
Capirchio; nei pennacchi della cupola,
Personaggi biblici e, sui pilastri, Santi.
Nella II cappella, il Sacro Cuore, tela firmata e
datata 1934 dal pittore Angelo Mariani e, nella III
cappella, ancora un’opera del Monti, raffigurante la
Crocifissione, firmata e datata 1912.
Posta sull’altar maggiore nel 1832, la Pietà del Baruzzi fu
sostituita nel 1903 dal Salvatore (b) di Raffaele Zaccagnini, modello in
gesso della scultura eretta nello stesso anno sulla vetta del monte
Guadagnolo. Acquistato dall’Antonelli per la chiesa neoclassica, fu
distrutto dai bombardamenti (c) ed è oggi sostituito dall’opera con lo
stesso soggetto di Pietro Nagni, realizzata nel 1968. Lungo il transetto
e le navate laterali sono collocate le quattordici stazioni della Via
Crucis, opera di Umberto Bartoli (1888 - 1977). Realizzati per la chiesa
tra il 1954 e il 1959, i rilievi, caratterizzati da un forte timbro arcaizzante,
sono ricavati da tronchi di legno di tiglio.
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1. Duomo
2. Chiesa di San Giovanni
3. Chiesa del Purgatorio
4. Chiesa di Santa Maria
delle Grazie
5. Chiesa della Madonna
della Delibera
6. Chiesa di San Domenico
7. Cimitero
8. Chiesa di San Francesco
9. Arredo urbano
10. Chiesa dell’Annunziata
11. Chiesa del Santissimo
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12. Monumento ai Caduti
13. Chiesa dell’Istituto
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12. Monumento ai Caduti
Dopo la fine della Prima Guerra Mondiale, grazie all’iniziativa di un
comitato di ex combattenti e parenti delle vittime, i cittadini di
Terracina rendono omaggio ai caduti con un monumento commemorativo
eseguito a spese del Comune e inaugurato nel 1921.
Autore dell’opera è l’artista romano Duilio Cambellotti (1876-1960),
che inventa per il monumento di Terracina una forma originale e
sobria, una semplice stele in peperino alla quale sono
addossate quattro lesene, a formare una specie di
torre, sulla quale sono incisi i nomi caduti.
La stele, priva della retorica trionfalistica che
si ritrova in molti monumenti coevi, allude
piuttosto al valore dei caduti e al dramma
della guerra, tramite le figure e i simboli che
la completano.
Le aquile addossate alla stele (a) - è andata
perduta quella del lato sinistro - simbolo antico
di vittoria, sono un riferimento alla gloria e
all’eroismo dei combattenti; il loro sacrificio è
evocato dalla pira funebre posta sulla sommità, propria
dei riti riservati agli eroi nell’antichità. Al culmine è
collocata un’ara in marmo decorata da un mosaico di colore rosso,
che richiama il sangue delle vittime.
I tre volti femminili dolenti sulla fronte principale alludono invece al
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tragico dolore suscitato in ogni tempo dalla perdita delle vite umane
causata dalla guerra: sulla sinistra è raffigurata una madre con accanto
il suo bambino; al centro è una donna anziana, a destra una giovane.
Lo scultore ha realizzato un modello in gesso di queste figure, note
come Le dolorose.
Il tripode bronzeo collocato davanti al monumento ricorda
una lampada votiva, simbolo della devozione dei cittadini:
vi sono figure di guerrieri, vicine a quelle di
gusto liberty che comparivano già in alcuni bozzetti
per scene teatrali. Delle tre figure di animali
presenti in origine, simili a quelle applicate
sulle ‘conche’ nella prima produzione
dell’artista, una è andata perduta; restano
l’aquila e il cavallo.
Il monumento fu danneggiato durante la
Seconda Guerra Mondiale e Cambellotti lo
restaurò personalmente nel 1948, mentre era impegnato
nella realizzazione di altri due monumenti
commemorativi, per Priverno e Borgo Hermada (b).
L’artista è anche autore di due bassorilievi in gesso, raffiguranti
bufali e cavalli in corsa, entrambi esposti a Roma nel 1911 nell’ambito
della mostra dell’Agro Romano. Il secondo rilievo, intitolato
Cavalli della Palude Pontina (c), è stato tradotto in bronzo solo
nel 1984 in un unico esemplare, esposto a Latina in occasione del
cinquantenario della fondazione del capoluogo pontino ed attualmente
conservato a Terracina, all’ingresso del Palazzo del Comune.
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della Delibera
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10. Chiesa dell’Annunziata
11. Chiesa del Santissimo
Salvatore
12. Monumento ai Caduti
13. Chiesa dell’Istituto
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13. Chiesa dell’Istituto Antonelli
La chiesa, sorta sul sito di un’antica edicola risalente al XIII secolo, era
anticamente dedicata a San Sebastiano e costituiva la parrocchia del
Borgo della Posterula. Caduta in rovina nei secoli successivi, riacquistò
importanza il 13 luglio del 1721 quando, come ci ricorda una lapide
murata all’interno della chiesa, vi fu riscoperta un’antica immagine
del Salvatore cui vennero subito attribuiti poteri miracolosi.
Attraverso le offerte popolari venne così eretta una nuova
chiesa, consacrata nel 1723 e nella cui abside trovò
posto l’antica immagine che oggi si presenta però
mutila - doveva comprendere anche la figura della
Vergine di cui resta solo una mano - e ampiamente
ridipinta.
Con l’inizio del XIX secolo la chiesa venne
affidata alla confraternita dei Sacconi - così
chiamata perché i suoi membri indossavano
una tunica bianca con un cappuccio a forma di
sacco - che vi costruì un cimitero per la sepoltura
dei confratelli e dei membri delle famiglie benestanti
della città. La confraternita, inoltre, era devota
al Sacro Cuore di Gesù e alla loro commissione si possono
far risalire il dipinto di Cesare Fracassini raffigurante
l’Apparizione del Sacro Cuore di Gesù alla beata Margherita Alacoque
(1864-66 circa) e la pala con il Sacro Cuore di Gesù tra angeli, una
volta sull’altar maggiore e oggi nella sala riunioni dell’Istituto.
Nel 1870, in seguito alla soppressione degli enti ecclesiastici, la chiesa
cadde nuovamente in rovina finchè nel 1885 la famiglia Antonelli, già
attiva a Terracina nei lavori per la Madonna della Delibera 5 e per il
Santissimo Salvatore 11 , ne promosse la ricostruzione. Si racconta infat-
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ti che il conte Gregorio Antonelli, mosso a compassione da una giovane
orfanella che chiedeva l’elemosina nei suoi possedimenti, decise di destinare
parte dei suoi averi alla cura degli orfani. La memoria di questo episodio
è tramandata da una scultura della bambina in atto di mendicare (a);
posta fino al 1960 sulla colonna di granito a sinistra del portale di accesso
alla chiesa, è oggi nel cortile interno dell’Istituto. Le volontà di
Gregorio furono raccolte ed eseguite dal figlio Agostino che,
fondato l’Istituto, fece erigere nel chiostro il monumento
sepolcrale in onore del padre (1885) (b) e promosse la
ristrutturazione della chiesa con la costruzione della
cappella Antonelli. Questa presenta sull’altare un
trittico attribuito a Virginio Monti con
l’Immacolata Concezione, la Presentazione di
Maria al Tempio e la Famiglia della Vergine,
mentre ai lati si trovano i busti dei genitori,
Gregorio e Giuseppina, e le lapidi commemorative
della figlia Lucia e dello zio Giacomo
Antonelli. Questi, cardinale e segretario di stato di
Pio IX, è celebrato in chiesa anche nel dipinto con la
sua consacrazione eseguito dal Monti nel 1913. Alla committenza
degli Antonelli erano probabilmente legati anche il
mosaico che decorava il frontone (c) del portale d’ingresso e le vetrate
figurate della cappella (d) e della porta d’accesso al cimitero, distrutti
durante la guerra ma ricordati dalle foto d’epoca.
Nel 1960 Dino e Laura Ferruzzi, allora presidenti dell’Istituto, promossero
un restauro della chiesa e fecero costruire la Cappella dei
Santi, a sinistra dell’ingresso, cui donarono il dipinto caravaggesco con
San Francesco in preghiera databile al XVII secolo.
b c d
Foto A. COSMA
13
Regione Lazio, CTR, Volo 1990, 1:10.000
NN. 414070 - 414080 - 414110 - 414120
Foto ISTITUTO ANTONELLI
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Foto ISTITUTO ANTONELLI
7
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