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Seneca

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Exemplaria<br />

<strong>Seneca</strong><br />

Estratto distribuito da Biblet<br />

Giulia Colomba Sannia S190<br />

Collana di autori e testi latini<br />

La saggezza dell’uomo<br />

e l’orrore del mondo<br />

®<br />

Estratto della pubblicazione


Exemplaria<br />

<strong>Seneca</strong><br />

Giulia Colomba Sannia<br />

Collana di autori e testi latini<br />

La saggezza dell’uomo<br />

e l’orrore del mondo<br />

®


Estratto della pubblicazione


Estratto distribuito da Biblet<br />

Estratto della pubblicazione<br />

A Renato,<br />

che conosce<br />

la saggezza


Copyright © 2006 Esselibri S.p.A.<br />

Via F. Russo 33/D<br />

80123 Napoli<br />

Azienda certificata dal 2003 con sistema qualità ISO 14001: 2004<br />

Tutti i diritti riservati<br />

È vietata la riproduzione anche parziale<br />

e con qualsiasi mezzo senza l’autorizzazione<br />

scritta dell’editore.<br />

Per citazioni e illustrazioni di competenza altrui, riprodotte in questo libro,<br />

l’editore è a disposizione degli aventi diritto. L’editore provvederà, altresì, alle<br />

opportune correzioni nel caso di errori e/o omissioni a seguito della segnalazione<br />

degli interessati.<br />

Prima edizione: febbraio 2006<br />

S190<br />

ISBN 88-244-7985-5<br />

Ristampe<br />

8 7 6 5 4 3 2 1 2006 2007 2008 2009<br />

Questo volume è stato stampato presso<br />

Arti Grafiche Italo Cernia<br />

Via Capri, n. 67 - Casoria (NA)<br />

Coordinamento redazionale: Grazia Sammartino<br />

Grafica e copertina:<br />

Estratto distribuito da Biblet<br />

Impaginazione: Grafica Elettronica


Premessa<br />

In un bell’articolo del 1983, intitolato Il Latino che serve, attualissimo nella disarmante sincerità<br />

con cui è scritto, lo scrittore Luigi Compagnone affermava: «Io ho amato e amo il Latino…Se<br />

ho amato e amo il Latino non è per merito mio. Il merito è della fortuna che come primo<br />

insegnante di materie letterarie mi dette un professore che si chiamava Raffaele Martini… La<br />

sua lezione era un colloquio vivo, un modo chiaro e aperto di farci capire il Latino che per<br />

noi non fu mai una lingua morta. Perché lui sapeva rendere vivo tutto il vivo che è nel Latino.<br />

E nessuno non può non amare le cose vive che recarono luce alla sua adolescenza […]. In<br />

una società in cui le parole di maggior consumo sono immediatezza, praticità, concretezza,<br />

utilitarismo, la caratteristica del Latino è costituita dal “non servire” a nessunissima applicazione<br />

immediata, pratica, concreta, utilitaria… [Il Latino] fa intravedere che al di là delle<br />

nozioni utili c’è il mondo delle idee e delle immagini. Fa intuire che al di là della tecnica<br />

e della scienza applicata, c’è la sapienza che conta molto di più perché insegna l’armonia del<br />

vivere e del morire. È una disciplina dell’intelligenza, che direttamente non serve a nulla, ma<br />

aiuta a capire tutte le cose che servono e a dominarle e a non lasciarsi mai asservire ad esse<br />

[…]. La disgrazia più inqualificabile [per gli studenti] è essere stati inclusi negli studi classici<br />

senza averne tratto nessun vantaggio intellettuale, la vera disgrazia è aver fatto gli studi<br />

classici ritenendoli e mal sopportandoli come il più grave dei pesi… [perché] al tempo della<br />

scuola tutto si è odiato, […] tutto è stato condanna e sbadiglio».<br />

Come dare, dunque, ai ragazzi un Latino che serve ed evitare che il suo studio sia noia<br />

e peso, un esercizio poco proficuo, un bagaglio di conoscenze sterili, di cui liberarsi presto,<br />

non appena si lascia la scuola, se non addirittura, subito dopo la valutazione?<br />

C’è una sola via che conduce all’amore per il Latino e quella via è costituita dalla lettura<br />

dei testi in lingua originale, ma di quei testi che nei secoli hanno resistito alla selezione<br />

e in tutte le epoche sono apparsi imprescindibili. Non possiamo illuderci che la biografia<br />

di un autore, un contesto storico, una pagina critica, un frammento di Nevio, un brano di<br />

Ammiano Marcellino possano avere lo stesso valore e la stessa funzione di una pagina di<br />

Lucrezio o di Tacito, di Catullo o di Cicerone. Quella sapienza che insegna l’armonia del<br />

vivere e del morire, la quale costituisce il portato più alto della cultura classica, passa<br />

d’obbligo attraverso la lettura di testi di altissima qualità. È la lingua latina, con la<br />

perfezione geometrica della sua struttura, con l’armonia delle sue assonanze, con la<br />

raffinatezza dei suoi accorgimenti retorici, a comunicare emozione e rigore logico, senso<br />

del bello e razionalità, accendendo l’interesse dell’adolescente posto di fronte ai grandi<br />

interrogativi della vita.<br />

Aver studiato il Latino, significherà, perciò, per i ragazzi, non tanto aver imparato la<br />

biografia di Cicerone o di Plauto o di Ovidio, o il contesto storico in cui essi hanno vissuto,<br />

ma aver meditato sulle loro parole. In tutte le epoche le loro opere sono state lette e rilette,<br />

Estratto della pubblicazione<br />

5


icercate dagli umanisti in tutte le biblioteche d’Europa, riportate all’esatta lectio filologica,<br />

preservate dall’oblio dai monaci medioevali perché ricopiate con amore.<br />

Ci sono saperi che soltanto la scuola può dare, chiavi di lettura che solo da adolescenti<br />

si ricevono e che, una volta perduti o ignorati, non si recupereranno mai più. Uno studente,<br />

che non abbia letto nella lingua originale Virgilio o Lucrezio o Agostino o Tacito (come<br />

se non avrà letto Dante, Boccaccio e Ariosto), che non abbia acquisito sensibilità di lettore<br />

attraverso la consuetudine con le analisi testuali, mai più potrà provare il brivido di<br />

emozione che la parola poetica comunica. Forse nel tempo, se e quando un’arricchita<br />

sensibilità adulta gli farà avvertire il bisogno di tornare al passato, ricercherà in traduzione<br />

italiana qualche autore particolarmente amato, come <strong>Seneca</strong> o Catullo. Ma, perché si<br />

manifesti questo desiderio, la scuola dovrà aver trasmesso almeno il senso dello studio del<br />

latino, focalizzando l’attenzione su quello che è grande ed essenziale, evitando di far<br />

disperdere energie ed interesse sull’inutile.<br />

Ci piace citare, a sostegno di quanto si è detto, le parole di Nuccio Ordine.<br />

Nel Convegno tenutosi a Roma dal 17 al 19 marzo 2005 sul tema «Il liceo per l’Europa della<br />

conoscenza», promosso da EWHUM (European Humanism in the World), Nuccio Ordine ha<br />

usato parole che confermano, senza saperlo, quanto andiamo sostenendo da anni sulla<br />

didattica del Latino e che sentiamo il dovere di riportare per la profondità e la chiarezza del<br />

pensiero espresso:<br />

«Conoscere significa “imparare con il cuore”. E ha ragione Steiner a ricordarci che […]<br />

presuppone un coinvolgimento molto forte della nostra interiorità. In assenza del testo,<br />

nessuna pagina critica potrà suscitarci quell’emozione necessaria che solo può scaturire<br />

dall’incontro diretto con l’opera. […]. Nel Rinascimento (i professori) si chiamavano “lettori”,<br />

[…] perché il loro compito era soprattutto quello di leggere e spiegare i classici. […] Chi<br />

ricorderà a professori e studenti che la conoscenza va perseguita di per sé, in maniera gratuita<br />

e indipendentemente da illusori profitti? Che qualsiasi atto cognitivo presuppone uno sforzo<br />

e proprio questo sforzo che compiamo è il prezzo da pagare per il diritto alla parola? Che<br />

senza i classici sarà difficile rispondere ai grandi interrogativi che danno senso alla vita<br />

umana? […]. Non è improbabile che le stesse biblioteche – quei grandi “granai pubblici”, come<br />

ricordava l’Adriano della Yourcenar, in grado di “ammassare riserve contro un inverno dello<br />

spirito che da molti indizi mio malgrado vedo venire”, – finiranno a poco a poco, per<br />

trasformarsi in polverosi musei. E lungo questa strada in discesa, chi sarà più in grado di<br />

accogliere l’invito di Rilke a “sentire le cose cantare, nella speranza di non farle diventare<br />

rigide e mute”? “Io temo tanto la parola degli uomini./Dicono sempre tutto così chiaro:/ questo<br />

si chiama cane e quello casa,/ e qui è l’inizio e là è la fine/ […] Vorrei ammonirli: state<br />

lontani./ A me piace sentire le cose cantare./Voi le toccate: diventano rigide e mute./ Voi mi<br />

uccidete le cose”».<br />

Sulla base di questi presupposti teorici nasce l’antologia latina in fascicoli della collana<br />

Exemplaria che comprende autori e temi di tutta la letteratura latina. Ogni singolo volume<br />

costituisce l’ossatura della storia letteraria e al tempo stesso una sorta di passaggio obbligato<br />

della cultura, perché tutta la letteratura posteriore e tutta la cultura occidentale hanno avuto<br />

come fermo punto di riferimento questi autori. Ed essi sono diventati exemplaria appunto<br />

(da cui il titolo della collana), perché modelli da accettare o rifiutare, ma comunque con<br />

i quali necessariamente confrontarsi per capire il presente.<br />

La scelta dei testi è stata guidata, quindi, dall’esigenza di focalizzare l’attenzione degli<br />

studenti sia sulla personalità dell’autore, sulla sua poetica, sul genere letterario privilegiato<br />

6 Premessa<br />

Estratto distribuito da Biblet


Estratto distribuito da Biblet<br />

e sia, soprattutto, dal desiderio di suscitare l’amore per una lettura che aiuti a capire se<br />

stessi e la vita.<br />

È importante capire bene la struttura dei volumetti per poterla utilizzare al meglio. Ogni<br />

autore è introdotto dal paragrafo Perché leggerlo?, che consiste nella spiegazione, in<br />

sintesi, delle qualità per le quali quell’autore è diventato famoso e merita lo studio.<br />

La vita e il contenuto delle opere hanno, poi, un piccolo spazio in quanto sono solo<br />

funzionali alla migliore ricezione dei testi. Non manca un paragrafo sul genere di appartenenza<br />

o sul tema topico relativo.<br />

Ogni singolo brano quindi è introdotto da una presentazione più o meno breve, per<br />

fornire immediatamente agli studenti le informazioni sul contenuto, seguito dalle note al<br />

testo, che propongono sempre la traduzione e commenti di carattere morfosintattico,<br />

mitologico e storico-culturale, e dall’analisi testuale che permette di cogliere il messaggio<br />

poetico dell’autore, attraverso le strutture formali, stilistiche e letterarie, sia in rapporto ai<br />

generi che alle connessioni intertestuali e intersegniche.<br />

A conclusione di ogni percorso didattico i Laboratori prevedono prove di verifica delle<br />

abilità e delle competenze acquisite sul modello della tipologia A (Analisi testuale) della<br />

prima prova (italiano) all’Esame di Stato, con la scansione consueta del Ministero, in<br />

comprensione, analisi, approfondimento. Poiché si tratta di lingua latina, l’analisi si divide<br />

in analisi morfosintattica sulle concordanze, sui casi ecc. e analisi semantica, sullo stile<br />

e sul linguaggio. L’approfondimento, talvolta, fa riferimento anche alla tipologia B o D<br />

dell’Esame di Stato (saggio breve o trattazione generale). Lo scopo è stato quello di abituare<br />

gli studenti a un metodo che sappia distinguere le fasi del lavoro: comprendere, analizzare,<br />

sintetizzare, approfondire ecc. Non si è voluto rinunciare a momenti di creatività: si vedano<br />

gli esercizi “dare un titolo”, o “creare uno schema”, i confronti “intersegnici” ecc. Questo<br />

tipo di esercizi nella prassi didattica si è sempre rilevato molto gradito agli studenti e<br />

utilissimo a stimolare la loro capacità di osservazione e la loro creatività.<br />

Una coppa circondata da una coroncina di alloro contraddistingue alcuni testi e<br />

prove di verifica di particolare complessità, che possono essere riservati a quegli alunni che<br />

mostrano il desiderio di approfondire o ampliare lo studio dell’argomento e vogliano<br />

perseguire l’eccellenza.<br />

Non mancano le Pagine critiche che offrono le interpretazioni di noti studiosi su aspetti<br />

e tematiche riguardanti l’autore e la sua opera.<br />

I brani antologici sono accompagnati talvolta dai confronti intertestuali e intersegnici e dalla<br />

rubrica Incontro tra autori in cui si confrontano due autori su differenti versioni di un<br />

mito o differenti interpretazioni di un personaggio storico. Personaggi storici, come Cesare,<br />

Bruto, Catilina, o mitici, come Orfeo, Medea, Cassandra, tanto per fare solo qualche nome<br />

molto noto, oppure alcuni episodi famosi, ritornano nelle opere di autori diversi ed ogni<br />

autore li “legge” differentemente, secondo la sua sensibilità e il suo intento poetico. Il titolo<br />

della rubrica richiama una terminologia che si dice ucronica, da oúk + krónos («senza<br />

tempo»), cioè come se essi potessero, per assurdo, incontrarsi al di là delle loro epoche<br />

storiche e del contesto in cui vissero, per esprimere ciascuno di loro, nell’opera letteraria,<br />

il proprio pensiero sullo stesso tema.<br />

Chiude ogni singolo fascicolo il Vocabolario dei termini tecnici.<br />

Estratto della pubblicazione<br />

Premessa<br />

7


Estratto distribuito da Biblet<br />

Estratto della pubblicazione


Indice<br />

Premessa p. 5<br />

Introduzione » 12<br />

Il pensiero filosofico<br />

1. Perché leggerlo? » 14<br />

2. Il genere letterario di appartenenza: il testo filosofico » 15<br />

3. La vita » 16<br />

T1 De brevitate vitae I, 1-4: La vita non è breve » 18<br />

Incontro tra autori: Orazio e <strong>Seneca</strong>: La fugacità del tempo (Ode I, 9; Ode I, 11) » 21<br />

Pagine critiche: Il tempo e la saggezza (A. Traina) » 26<br />

Il tempo: un tema topico (a cura dell’autrice) » 27<br />

T2 Epistula ad Lucilium 41, 1-8: Il divino è in noi » 28<br />

Incontro tra autori: Dante, Borges e <strong>Seneca</strong>: L’incontro con Dio (Paradiso 33; Aleph) » 33<br />

T3 Epistula ad Lucilium 47, 1-5, 10-11: Gli schiavi sono uomini » 40<br />

C1 Confronto intertestuale tra Epistula ad Lucilium 47 e Satyricon, 71, 1-3, di<br />

Petronio: Gli schiavi » 44<br />

C2 Confronto intertestuale tra Epistula ad Lucilium 51 e testimonianze letterarie<br />

su Baia: Un luogo corrotto » 46<br />

Pagine critiche: Baia (A. Maiuri) » 50<br />

T4 Epistula ad Lucilium 59, 14-18: Solo il saggio è felice » 52<br />

Incontro tra autori: Lucrezio e <strong>Seneca</strong>: La felicità (De rerum natura II, 1-61) » 54<br />

C3 Confronto intertestuale tra Epistula ad Lucilium 59 e Zibaldone, 165-166,<br />

di Giacomo Leopardi: Che cosa rende felici » 58<br />

T5 Epistula ad Lucilium 95, 51-53: La fratellanza » 59<br />

T6 De vita beata XVI, 1-3: La felicità » 62<br />

Incontro tra autori: Bufalino e <strong>Seneca</strong>: La felicità (Argo il cieco) » 65<br />

Pagine critiche: La felicità (a cura dell’autrice) » 66<br />

Laboratorio » 68<br />

Prova di verifica 1 - Confronto intertestuale: La fratellanza in <strong>Seneca</strong> e in Giacomo Leopardi » 68<br />

Prova di verifica 2 - Epistula ad Lucilium I, 7, 1-3 » 69<br />

Prova di verifica 3 - Epistula ad Lucilium XLIX, 2-5 » 70<br />

Prova di verifica 4 - Epistula ad Lucilium XIV, 95, 47-49 » 72<br />

Prova di verifica 5 - Naturales questiones VI, 32, 9-10 » 73<br />

Prova di verifica 6 - Confronto intertestuale: Scienza e superstizione in <strong>Seneca</strong> e in Bayle » 74<br />

9


Prova di verifica 7 - Confronto intersegnico tra: Opere ed erma di <strong>Seneca</strong> e scultura di<br />

Augusto p. 76<br />

Prova di verifica 8 - Confronto intertestuale: Opere di <strong>Seneca</strong> e Costantino Kavafis<br />

“Un vecchio” » 78<br />

Il teatro tragico<br />

1. Perché leggerlo? » 80<br />

2. Il genere letterario di appartenenza: la tragedia » 80<br />

T1 Medea V, sc. 2ª e 3ª, 893-1027: L’infanticidio » 82<br />

Incontro tra autori: Christa Wolf e <strong>Seneca</strong>: L’infanticidio di Medea (Medea, Stimmen) » 87<br />

T2 Thyestes V, sc. 3ª, 976-1009: Il banchetto » 91<br />

Pagine critiche: Il perfetto equilibrio tra i due protagonisti del Tieste (A. La Penna) » 95<br />

La tendenza all’eccesso del teatro senecano (E. Paratore) » 96<br />

Un giudizio positivo sul teatro senecano (V. Faggi) » 98<br />

Laboratorio » 100<br />

Prova di verifica 1 - Confronto intertestuale: Tieste in <strong>Seneca</strong> e in Ludovico Dolce » 100<br />

Prova di verifica 2 - Phaedra, 592-612, 634-71 » 102<br />

Metrica » 108<br />

Vocabolario dei termini tecnici » 112<br />

Legenda:<br />

T = testo con analisi<br />

C = confronto intertestuale o intersegnico<br />

= testi o verifiche di particolare complessità per l’eccellenza<br />

10<br />

Estratto distribuito da Biblet


Estratto distribuito da Biblet<br />

<strong>Seneca</strong>:<br />

•Il pensiero filosofico<br />

•Il teatro tragico<br />

Estratto della pubblicazione


12<br />

La saggezza dell’uomo,<br />

l’orrore del mondo<br />

Introduzione<br />

Ma come è possibile – a volte ci si chiede, sgomenti – che nel mondo ci sia tanto orrore?<br />

Come è possibile conciliare la grandezza dello spirito umano che sa creare e dominare il<br />

mondo, che sa tendere al divino, che sa nutrire pensieri saggi e nobili, che sa amare e<br />

soffrire, sognare e gioire, con l’abiezione repellente che si annida nella mente dell’uomo<br />

e genera mostruosità quotidiane?<br />

Se lo deve essere chiesto forse anche <strong>Seneca</strong>. Non sono soltanto le sue opere a dircelo<br />

con chiarezza. È il suo ritratto conservato al Museo Nazionale di Napoli, qui proposto nel<br />

logo, che sembra racchiudere questo interrogativo, attraverso l’angoscia degli occhi perduti<br />

nel vuoto, la bocca serrata nel silenzio. Una domanda senza risposta. Il saggio stoico,<br />

l’affascinante maestro di filosofia, l’ultimo grande scrittore di humanitas, che ha creduto<br />

nella natura “divina” dell’uomo, deve, poi, avere avvertito il brivido della consapevolezza,<br />

quando ha capito che un’anima grande non basta a salvarsi e non basta a salvare gli altri<br />

mentre resta fisso il tormento di assistere al male che dilaga quotidiano. Sempre, duemila<br />

anni fa, come oggi. Dice Georges Bataille, nel famoso saggio La letteratura e il male: «Il<br />

Male che si esprime [nella letteratura] ha per noi […] valore sovrano. Tuttavia questa<br />

concezione non esige un’assenza di morale: essa esige piuttosto una “ipermorale”. Questa<br />

ipermorale attraversa le opere di <strong>Seneca</strong>. Quanto più intorno a sé giganteggia il demoniaco,<br />

tanto più dentro di sé si deve nutrire il divino».<br />

Non ci sono, quindi, vie di mezzo, per <strong>Seneca</strong>: o ci si eleva verso l’ideale severo dello<br />

stoicismo e si impara a vivere e morire, o ci si degrada nella depravazione miserabile.<br />

Questa creatura, sublime e miserabile insieme, che è l’uomo, che può scegliere, libero e<br />

sovrano di se stesso, come dirà mille e quattrocento anni dopo Pico della Mirandola, di<br />

essere angelo o demone, abita tutte le pagine di <strong>Seneca</strong>.<br />

Noi leggiamo le sue opere filosofiche e restiamo incantati di fronte alle sue parole<br />

illuminate: vi troviamo messaggi di serenità, di equilibrio, di pace. È il trionfo della ragione.<br />

Poi leggiamo le sue tragedie e ci sentiamo inorridire di fronte alla crudeltà che si asserpa<br />

nell’animo nei personaggi e si traduce in gesti, che – bisogna purtroppo ammetterlo – oggi<br />

non ci sembrano né assurdi, né irreali, perché vi ci siamo assuefatti, abituati dalla cronaca<br />

quotidiana a rivederli e risentirli ripetuti ancora, ancora, senza spiegazione. Ed è il trionfo<br />

dell’irrazionale mostruoso.<br />

Troviamo, dunque, da un lato, il sapiente dall’intensa spiritualità che ci insegna a vivere,<br />

che ci aiuta a non sprecare il tempo, ci invita ad arricchire l’anima di sentimenti elevati,<br />

ad affinare la nostra sensibilità, per renderla sempre più profonda, a correggere i vizi, a<br />

tendere instancabilmente verso il bene, credendo nella natura fondamentalmente buona<br />

dell’uomo. Ci dice parole di conforto e di speranza, di pace e di amore, nobilissime parole<br />

laiche, quasi precristiane.<br />

La saggezza dell’uomo, l’orrore del mondo<br />

Estratto distribuito da Biblet<br />

Estratto della pubblicazione


Estratto distribuito da Biblet<br />

La saggezza dell’uomo, l’orrore del mondo<br />

• Introduzione<br />

Poi, dall’altro lato, nelle sue tragedie, troviamo anche, – passi l’ossimoro, – «un’umanità<br />

disumana» che si perde nella vertigine del male, che si fa trascinare verso azioni mostruose,<br />

quasi sempre dirette verso i più deboli, entra nella spirale della perversione che non<br />

conosce limiti. Dalle opere filosofiche alle tragedie, il passaggio assume un significato<br />

emblematico: è la disperante consapevolezza che, talvolta, non ci sono argini che frenino<br />

il male, non soccorrono né sapienza, né cultura, né intelligenza, per evitare di perdersi.<br />

Così, sono i grandi personaggi della tragedia greca che diventano icone del male, spinti<br />

all’estremo da un’infelicità che non conosce altro desiderio se non quello che nasce<br />

dall’ossessione di ricambiare, in forma morbosamente esasperata, il male ricevuto. Si dice<br />

che ogni scrittore scriva una sola opera, anche quando la sua produzione letteraria è<br />

cospicua, per intendere che sempre unico è il suo messaggio anche nella varietà degli<br />

argomento o dello stile. Per <strong>Seneca</strong>, invece, sembra quasi di assistere allo sdoppiamento<br />

dell’autore tra opere filosofiche e teatro.<br />

Eppure, se ci riflettiamo a fondo, le due produzioni si saldano perfettamente. Se, infatti,<br />

Medea, Fedra, Tieste, Atreo, Edipo, ci mostrano che la saggezza del singolo si perde nello<br />

scenario degli orrori, noi, proprio di fronte alle loro azioni, riusciamo, comunque, a conservare<br />

nel cuore la grandezza del messaggio filosofico delle Lettere a Lucilio e degli altri suoi<br />

trattati. Ci sembra allora di poter ricordare sempre non le parole di odio dei personaggi<br />

tragici, ma le parole del saggio che ci dice: «non sprecare la vita, la vita è lunga per chi sa<br />

usarla bene, l’amore dà significato al vivere, fermati, riposa, medita, non correre, non<br />

affrettarti ingiustificatamente, sappi scendere nel fondo del tuo cuore e di quello di chi ti sta<br />

vicino». L’individuo, per <strong>Seneca</strong>, può e deve coltivare sempre la sua dignità, rispondendo<br />

delle sue azioni non alla società, ma alla sua coscienza. Bisognerà aspettare il cristianesimo<br />

per poter saldare il destino di salvezza del singolo con quello dell’umanità tutta.<br />

Estratto della pubblicazione<br />

13


La saggezza dell’uomo, l’orrore del mondo<br />

Il pensiero filosofico<br />

1. Perché leggerlo?<br />

<strong>Seneca</strong> era così affascinante, – narra Svetonio (53) –, da provocare la rabbia e l’invidia di Caligola.<br />

Oggi, noi ritroviamo quel fascino straordinario nelle sue opere. Si dice, infatti, che <strong>Seneca</strong> ha<br />

inventato «la scrittura dell’interiorità». È per questo motivo che la sua vastissima produzione<br />

letteraria, specie quella filosofica, di stampo stoico (Epistulae ad Lucilium, De brevitate vitae, De<br />

vita beata, De ira ecc.), si presenta al lettore moderno ricca di grande suggestione. Egli si pone<br />

l’obiettivo di insegnare a vivere in modo sapiente e nobile: scava, allora, nell’animo umano, ne<br />

studia il mistero, si chiede le ragioni dei comportamenti, le radici delle scelte, l’origine del diffuso<br />

male di vivere e dell’imperdonabile spreco del tempo. Il lettore si ritrova sempre in quello che<br />

<strong>Seneca</strong> scrive: scopre, guidato da lui, le pieghe più segrete della coscienza, i suoi lati più oscuri,<br />

la vergogna delle proprie miserie, gli errori di una condotta non governata dalla sapientia. Ma<br />

sente anche, nella parola illuminata del filosofo, la fiducia nella possibilità, data ad ogni individuo,<br />

di elevarsi dalle meschinità e di correggere i propri vizi, per potersi protendere verso quel<br />

destino di perfezione a cui sa di essere chiamato. E non importa se i critici hanno rimarcato la<br />

contraddizione tra il modo di vivere dello scrittore, non sempre così nobile, e la nobiltà assoluta<br />

del suo messaggio.<br />

La profondità morale dell’indagine psicologica, che emerge dalle sue opere, è tale che fu addirittura<br />

ipotizzato un suo contatto, attraverso S. Paolo, con il cristianesimo, la religione che<br />

insegnerà a guardare nelle coscienze. Ma <strong>Seneca</strong>, nella intensa spiritualità delle sue parole, resta<br />

comunque uno spirito laico, che crede nella grandezza del singolo e nella sua capacità di salvarsi,<br />

come uomo, da solo, senza l’aiuto di nessun dio. Non a caso egli crede nell’otium, nella quieta<br />

meditazione filosofica, come strumento di perfezione interiore. Anche <strong>Seneca</strong>, come Cicerone,<br />

perciò, insegna a vivere e, direbbe lui, soprattutto insegna a morire: tota vita discitur mori, «per<br />

tutta la vita si impara a morire», come egli stesso dimostrò quando gli fu imposto da Nerone il<br />

suicidio.<br />

Saper vivere e saper morire significa, pertanto, accettare il proprio destino e conservare appieno la<br />

propria dignità. Un pensiero il suo, quindi, legato all’humanitas ciceroniana, ma ancora più intensamente<br />

elevato, perché, accanto alla dignità dell’individuo, egli pone come valore supremo la<br />

filantropia, un amore universale che – traguardo incredibile per quei tempi – arriva ad estendersi<br />

perfino agli schiavi: Servi sunt, immo homines. Basterebbe la complessità delle sue riflessioni a fare<br />

di lui un grande scrittore, ma è il suo stile che lo rende così particolare: è uno stile nuovo, come<br />

nuovo è il suo pensiero, con un andamento mutevole che mescola concinnitas e variatio, prolissità<br />

e formule epigrafiche, ritmo pausato e velocitas, dando alla pagina un’inconfondibile connotazione<br />

drammatica.<br />

14<br />

La saggezza dell’uomo, l’orrore del mondo<br />

Estratto distribuito da Biblet


2. Il genere letterario di appartenenza: il testo filosofico<br />

La saggezza dell’uomo, l’orrore del mondo<br />

• Il pensiero filosofico<br />

I testi filosofici latini più interessanti sono quelli di <strong>Seneca</strong>, di Cicerone e di Quintiliano.<br />

<strong>Seneca</strong> nelle opere filosofiche non adopera più il dialogo, perché si rivolge direttamente al suo<br />

destinatario (Lucilio, Paolino ecc.) il quale, in realtà, rappresenta il lettore ideale, cioè ogni uomo,<br />

che egli vuole trascinare, commuovere, coinvolgere, grazie alla passione delle argomentazioni. È<br />

evidente, perciò, la profonda diversità da Cicerone: la filosofia senecana non propone un pacato<br />

ragionamento, chiede solo l’ascolto. È la forza della verità che deve travolgere la coscienza; occorre<br />

flectere, movere, non più delectare, per docere.<br />

Lo stile riflette, in modo vistoso, questa disposizione ideologica e così, ad un procedimento sintattico<br />

ampio e sinuoso, subentra, improvviso, spezzando il ritmo del discorso, la sententia, la frase<br />

brevissima, secca come un’epigrafe, balenante come un’illuminazione improvvisa. La paratassi e<br />

l’asindeto rafforzano questo effetto desultorio dello stile: i connettivi soliti (enim, igitur, et) vengono<br />

eliminati e sostituiti da nessi anaforici (servi sunt, immo homines, immo contubernales ecc.). È come<br />

se il linguaggio subisse una sorta di climax per accumulazioni ed aggiunte progressive, finché non<br />

giunge alla forza e all’evidenza della frase conclusiva, che diventa una sorta di aprosdóketon<br />

(battuta finale). È chiaro che tutti gli strumenti della retorica, dalla concinnitas alla variatio, dalle<br />

figure retoriche alla modulazione fonico-tonale, contribuiscono a creare la particolarità di quello<br />

stile affascinante e fratto (abruptum) che Quintiliano (Institutio oratoria II, 7, 10) tanto criticava:<br />

rerum pondera minutissimis sententiis…fregisset (aveva spezzato la serietà degli argomenti in<br />

brevissime sentenze).<br />

Alcuni critici hanno rilevato come proprio questo stile teso, nervoso, inquieto, rifletta perfettamente<br />

l’irrazionalità e le passioni che assalgono ogni uomo, facendogli combattere una dolorosa e tragica<br />

lotta interiore. L’uso del lessico, in particolare, così mutevole nell’oscillazione tra l’antico e il<br />

quotidiano, diventa molto significativo per far cogliere questa lacerazione interiore: da un lato, note<br />

espressioni del parlato sono disseminate ampiamente nel testo (per esempio: ita dico, non est quod,<br />

quid dicam?), come se quel che si dice fosse diretto all’uomo semplice, dall’altro lato la paronomasia<br />

(il gioco di parole), la metafora ardita, la litote, il lessico pregnante e così via, indicano il riflesso di<br />

un pensiero alto e nobile, quale quello stoico, non accessibile a tutti. Ognuno, dunque, sembra<br />

teoricamente dire il lessico, è chiamato alla grandezza del messaggio, ma, in pratica, l’uomo singolo,<br />

nella sua realtà, si rivela debole a perseguirlo.<br />

<strong>Seneca</strong>, così, come scrive Alfonso Traina 1 , crea il «linguaggio dell’interiorità» attraverso due metafore:<br />

l’interiorità come possesso e l’interiorità come rifugio.<br />

Cicerone si dedica alle opere filosofiche durante il suo forzato distacco dalla politica, perché cerca,<br />

come egli stesso dichiara, nella filosofia quella saggezza, quella «medicina per l’anima», che le<br />

amarezze e i dolori di quel periodo gli richiedono. Non gli interessa, perciò, la speculazione filosofica<br />

in sé, ma la sua funzione pragmatica di sostegno al vivere quotidiano. È fondamentalmente la<br />

concezione dell’humanitas del Circolo degli Scipioni che Cicerone fa sua e arricchisce di straordinaria<br />

efficacia, ampliandone la portata fino a farla conciliare con l’impegno per lo Stato. La struttura<br />

dei testi, pertanto, seguendo la forma dialogica di tipo platonico-aristotelico, in alcune opere<br />

prevede il contrasto tra il personaggio principale, che espone la tesi dell’autore, e altri personaggi<br />

che esprimono tesi contrarie; in altre, come nelle Tusculanae, il dialogo è limitato a due personaggi:<br />

1 TRAINA A., Lo stile drammatico di <strong>Seneca</strong>, Patron, Bologna, 1987.<br />

Estratto della pubblicazione<br />

15


• Il pensiero filosofico<br />

l’Auditor, che apprende, ponendo solo poche obiezioni o domande; il Magister, che educa, spiega,<br />

illustra la tesi.<br />

Lo stile, come egli spiega nel Brutus (322), è ben diverso da quello dell’oratoria, dal momento che<br />

lo scopo è solo docere e delectare («insegnare e divertire»), non probare («convincere»). La lingua dei<br />

filosofi, dice, neque nervos neque aculeos oratorios ac forenses habet («non ha né la tensione né<br />

la forza pungente dell’oratoria») poiché l’intento è quello di «placare gli animi», sedare animos, «non<br />

eccitarli», non incitare. Perciò mollis est oratio philosophorum et umbratilis…nihil iratum habet, nihil<br />

invidum, nihil atrox, nihil miserabile, nihil astutum…sermo potius quam oratio dicitur («lo stile dei<br />

filosofi è dolce e pacato…non ha nulla di violento, nulla di aggressivo, nulla di terribile, nulla di<br />

patetico, nulla di allusivo, … si può definire colloquio piuttosto che discorso»).<br />

Nonostante queste dichiarazioni, il livello stilistico dei testi ciceroniani è molto alto. Il lessico si<br />

allarga a comprendere grecismi e neologismi del campo filosofico, come già aveva fatto Lucrezio,<br />

ma la vera novità consiste, soprattutto, nell’estensione di significato attribuibile al lessema consueto:<br />

le forme visum-videri, ad esempio, sostituiscono al comune significato di «vedere» quello di<br />

«percezione» e «percepire», pensiero, cioè, che nasce dalla «cosa vista».<br />

La sintassi, quando è in un contesto esplicativo, per dare chiarezza, è semplice, ricca di coordinate;<br />

quando, invece, c’è l’esordio (momento solenne) o qualche digressione topica (ad esempio l’elogio<br />

della filosofia in Tusculanae V, 2, 5), si distende in ampie volute, con prevalenza dell’ipotassi.<br />

Così pure, quando deve sostenere una tesi filosofica o confutare quella altrui, Cicerone usa per la<br />

probatio e la refutatio le stesse tecniche argomentative delle orazioni.<br />

Nell’Institutio oratoria Quintiliano si propone di dare precetti pedagogici avendo come modello<br />

ideale di oratore il vir bonus dicendi peritus, come diceva Catone, e come modello di stile la scrittura<br />

ciceroniana. Ma questa venerazione per il grande maestro, nonostante le sue intenzioni, non si<br />

traduce in uno stile identico a quello di Cicerone.<br />

La perfetta struttura geometrica creata dalla concinnitas classica spesso si spezza, per dar luogo a<br />

piccole coordinate, all’ellissi del verbo, al periodo breve ad effetto, alla costruzione ad sensum, tutti<br />

elementi stilistici questi che ricordano lo stile senecano da lui, invece, criticato. L’uso di accorgimenti<br />

retorici, come le antitesi e le anafore, gli omoteleuti e i poliptoti, dimostrano una grande cura per<br />

la forma, la quale, tuttavia, non diventa artificiosa, pedante, vuota, perché è sempre sorretta da un<br />

convinto e appassionato intento educativo. Egli è, e resta, un maestro che crede nella forza della<br />

sua missione sui giovani e nella possibilità di insegnare loro nel modo migliore. Di qui, perciò, anche<br />

l’estrema semplicità e chiarezza delle sue argomentazioni, sorrette dalla sua esperienza e dalla sua<br />

serietà di educatore.<br />

3. La vita<br />

Complessa e articolata la vita di <strong>Seneca</strong> di cui<br />

Tacito ci dà notizie molto precise e dettagliate.<br />

Lucio Anneo <strong>Seneca</strong>, figlio di <strong>Seneca</strong> il retore,<br />

nacque il 4 a.C. a Cordoba, in Spagna, e si<br />

recò a Roma per compiere gli studi. Qui conobbe<br />

le teorie filosofiche della setta dei Sesti,<br />

dalle quali apprese uno stile di vita ascetico,<br />

l’isolamento dalla vita politica, le pratiche<br />

16<br />

La saggezza dell’uomo, l’orrore del mondo<br />

Estratto distribuito da Biblet<br />

vegetariane. Già di salute cagionevole, si indebolì<br />

a tal punto che dovette andarsene in<br />

Egitto a curarsi.<br />

Tornato a Roma negli ultimi anni del governo<br />

di Tiberio, si dedicò alla carriera forense, divenendo<br />

così brillante e famoso da suscitare<br />

l’invidia di Caligola che non lo mandò a morte<br />

solo perché convinto che la salute cagionevole


gli avrebbe riservato pochi anni ancora di<br />

vita.<br />

Quando salì al trono Claudio, nel 41, <strong>Seneca</strong>,<br />

fu relegato in Corsica, forse per l’ostilità di<br />

Messalina, con l’accusa di adulterio con la<br />

sorella di Caligola. Rimase in esilio otto anni<br />

soffrendo aspramente il contrasto tra la vita<br />

brillante della capitale e la solitudine selvaggia<br />

in cui si ritrovava. Si dedicò allora alla<br />

filosofia stoica che gli insegnava come sopportare<br />

le ferite del destino con la fermezza<br />

d’animo e come la forza e la serenità interiore<br />

non dovessero dipendere dal mondo esterno.<br />

Tuttavia egli non seppe resistere alla tentazione<br />

di umiliarsi pur di ottenere il ritorno a<br />

Roma e scrisse la Consolatio ad Polybium in<br />

cui le adulazioni a Polibio il potente liberto di<br />

Claudio e all’imperatore dimostrano, come dice<br />

Concetto Marchesi, che «quell’uomo di mondo,<br />

ammirato e invidiato fu preso da cupa<br />

disperazione. Là egli solo era lo spettatore<br />

consapevole della propria rovina […]: e l’anima<br />

umana può perdere le sue armi quando<br />

non sia vigilata da occhi mortali» (Storia della<br />

letteratura latina, vol II, Principato, Messina,<br />

1958).<br />

Nel 48 Messalina fu uccisa e, l’anno dopo, la<br />

seconda moglie di Claudio Agrippina, sorella<br />

di Giulia Livilla, richiamò <strong>Seneca</strong> a Roma,<br />

conferendogli anche il titolo di pretore, come<br />

narra Tacito, sia per affidargli l’educazione del<br />

figlio Claudio Nerone, l’erede al trono, sia per<br />

accattivarsi il pubblico che aveva sempre considerato<br />

il filosofo l’uomo più affascinante e<br />

colto di Roma. <strong>Seneca</strong> educò Nerone assecondandone<br />

le tendenze artistiche e l’indole libera<br />

ed eccentrica, nella convinzione che, quando<br />

il giovane discepolo fosse salito al trono, si<br />

sarebbe fatto guidare per realizzare il governo<br />

“illuminato” e saggio che i filosofi, come Platone<br />

prima di lui, credevano possibile.<br />

Nel 54 alla morte di Claudio, Nerone aveva<br />

appena 17 anni. <strong>Seneca</strong> e Burro si occuparono<br />

insieme di guidare il giovanissimo imperatore:<br />

<strong>Seneca</strong>, per quanto riguardava il modello di<br />

governo saggio e clemente simile a quello del<br />

principato Augusteo, e il prefetto del pretorio<br />

La saggezza dell’uomo, l’orrore del mondo<br />

• Il pensiero filosofico<br />

Burro, per quanto riguardava la milizia e i<br />

costumi. In realtà il principato si andava trasformando<br />

in una monarchia assoluta paternalistica<br />

di tipo ellenistico, nella quale la filantropia<br />

e la clemenza erano soltanto strumenti<br />

propagandistici per il consenso popolare. Era<br />

<strong>Seneca</strong> in questo periodo a indirizzare la politica<br />

imperiale e aveva la responsabilità effettiva,<br />

se non nominale, del governo. Il trattato<br />

De clementia esprime la sua visione filosofica<br />

del potere, che conciliava autorità e libertà,<br />

«clemente, ma forte», in accordo tra governati<br />

e governante.<br />

A poco a poco, però, <strong>Seneca</strong> si accorse che<br />

Nerone, insofferente di controllo e avido di<br />

potere, gli sfuggiva di mano: l’imperatore fece<br />

avvelenare il fratellastro Britannico e ordinò il<br />

matricidio senza che né <strong>Seneca</strong> né Burro potessero<br />

impedirglielo. Nel 62, alla morte di<br />

Burro, forse avvelenato, divenne prefetto del<br />

pretorio il crudele Tigellino e <strong>Seneca</strong> decise di<br />

ritirarsi dal governo. Aveva sperimentato il<br />

fallimento del suo progetto di monarchia illuminata<br />

e la condotta amorale e stravagante di<br />

Nerone lo indusse a tornare agli studi filosofici<br />

che lo avevano affascinato da giovane.<br />

Nel 65 fu scoperta la congiura dei Pisoni contro<br />

Nerone: <strong>Seneca</strong> non ne aveva fatto parte<br />

attiva, ma certamente ne era al corrente e<br />

addirittura si diceva che, dopo aver ucciso<br />

Nerone, i congiurati proponessero di nominare<br />

o Pisone o lui, il vecchio filosofo, al governo.<br />

I congiurati furono tutti obbligati a suicidarsi.<br />

<strong>Seneca</strong>, ricevuto l’ordine, morì con la stessa<br />

dignità di Socrate, mostrando fino alla fine un<br />

comportamento sereno e forte. Tacito commenta:<br />

«La sua morte fu per il principe una<br />

vera gioia». (Annales XV, 60-65)<br />

Le opere<br />

Opere filosofiche, durante l’esilio in Corsica:<br />

Consolatio ad Polybium, per la morte del fratello<br />

di Polibio e per ottenere il ritorno a Roma.<br />

Consolatio ad Marciam, per consolare Marzia<br />

la figlia del filosofo Cremuzio Cordo, per la<br />

perdita di un figlio.<br />

17


• Il pensiero filosofico<br />

Consolatio ad Helviam, per consolare la madre<br />

Elvia del suo esilio.<br />

Opere filosofiche dopo il ritorno a Roma:<br />

De ira, sulla necessità di restare sempre imperturbabili.<br />

De vita beata, sulla felicità che viene dalla<br />

virtù e non dal benessere.<br />

De providentia, sulla prova a cui sono chiamati<br />

i buoni dalla divina provvidenza che<br />

consente il male per sperimentare la forza dei<br />

migliori.<br />

De constatia sapientis, sulla serenità di cui<br />

gode il saggio che non si fa turbare da eventi<br />

esterni.<br />

De otio, sulla necessità di avere momenti di<br />

vita contemplativa.<br />

De tranquillitate animi (dialogo): sulla necessità<br />

che la visione del male e dell’immoralità<br />

non turbino la pace dell’animo.<br />

De brevitate vitae, sulla nostra incapacità di<br />

usare il tempo, in quanto freneticamente occupati,<br />

sentiamo la vita breve, mentre è lunga<br />

se ben spesa.<br />

De clementia, sul modo con cui attuare un<br />

governo giusto.<br />

18<br />

T1<br />

La saggezza dell’uomo, l’orrore del mondo<br />

Estratto distribuito da Biblet<br />

De brevitate vitae I, 1-4: La vita non è breve<br />

De beneficiis (7 libri), sulle regole sociali che<br />

dovrebbero sottendere al rapporto di dare e<br />

avere, senza che vi sia, come avviene spesso,<br />

l’ingratitudine.<br />

Naturales quaestiones (7 libri), su tutti i fenomeni<br />

naturali.<br />

Epistulae ad Lucilium (20 libri, 124 lettere),<br />

dirette all’amico Lucilio e composte tra il 61 e<br />

il 65: sono la completa espressione del suo<br />

pensiero filosofico.<br />

Opere teatrali:<br />

Apokoloky;nthosis (inzuccamento): satira menippea<br />

(misto di prosa e versi) in cui egli pone<br />

in ridicolo l’imperatore Claudio di cui immagina<br />

il giudizio negli Inferi, dopo la sua espulsione<br />

dall’Olimpo, fino a diventare lo schiavo<br />

di un liberto. Il titolo forse significherebbe<br />

«deificazione di una zucca vuota».<br />

Tra le tragedie vi sono una praetexta di argomento<br />

romano, Octavia sull’infelice moglie di<br />

Nerone, di incerta attribuzione e 9 cothurnatae<br />

di argomento greco: Hercules Oeteus, Hercules<br />

furens, Phoenissae, Troades, Oedipus, Medea,<br />

Phaedra, Agamemnon, Thyestes. Come si vede<br />

trattano i più noti ed inquietanti miti greci.<br />

Il De brevitate vitae è tra le più affascinanti operette filosofiche di <strong>Seneca</strong>, sia per la semplicità e la<br />

chiarezza espositiva, sia per l’importanza del tema, la fuga del tempo, che, come dice Alfonso Traina 1 ,<br />

percorre come un brivido «tutta la sua produzione e, forse, tutta la letteratura europea».<br />

Qui <strong>Seneca</strong> invita, come sempre (anche nelle Lettere a Lucilio), a saper usare bene il tempo, a non<br />

sprecare la vita, per potersene allontanare un giorno senza rimpianti, “come un convitato sazio”. La<br />

sua tesi è che, tuffandosi freneticamente negli impegni, si dimentica quasi di vivere. Gli occupati sono<br />

sempre ansiosi, inquieti, affannati, incapaci di respirare l’«attimo fuggente». A costoro egli contrappone<br />

gli otiosi, quelli che hanno capito il valore prezioso del tempo e non permettono, perciò, né a<br />

sé stessi né agli altri, di farne spreco. Sono loro che sanno sentire il ritmo della vita e coglierne la<br />

struggente bellezza.<br />

Sul tema del tempo, affermazioni secche e lapidarie percorrono tutta l’opera di <strong>Seneca</strong> e si fissano nella<br />

memoria con la forza di un aforisma, facendo come da sottofondo alla lettura testuale: Vis scire quam<br />

non diu vivant? Vide quam cupiunt diu vivere (Ep. XI: «Vuoi saper quanto non vivano a lungo? Guarda<br />

quanto desiderano vivere a lungo»); omnia tamquam mortales timetis, omnia tamquam immortales<br />

concupiscitis (Ep. III: «temete tutto come mortali, tutto come immortali desiderate»); tamquam semper<br />

victuri vivitis (Ep. VII: «vivete come se doveste vivere in eterno»); vivere tota vita discendum est…tota vita<br />

discendum est mori (Ep. VII: «bisogna imparare a vivere in tutta la vita…in tutta la vita bisogna imparare<br />

a morire»); non ille diu vixit, sed diu fuit (Ep. VIII: «quello non è vissuto a lungo, è stato a lungo»).<br />

Estratto della pubblicazione


La saggezza dell’uomo, l’orrore del mondo<br />

• Il pensiero filosofico<br />

È questo lo «stile drammatico» di <strong>Seneca</strong> di cui parla Traina a proposito della tensione tra lingua<br />

dell’interiorità e lingua della «predicazione».<br />

[1] Maior pars mortalium, Pauline, de naturae malignitate conqueritur quod in exiguum<br />

aevi gignimur, quod haec tam velociter, tam rapide dati nobis temporis spatia decurrant,<br />

adeo ut exceptis admodum paucis, ceteros in ipso vitae apparatu vita destituat. Nec<br />

huic publico, ut opinantur, malo turba tantum et imprudens volgus ingemuit; clarorum<br />

quoque virorum hic affectus querellas evocavit. [2] Inde illa maximi medicorum<br />

exclamatio est: «vitam brevem esse, longam artem»; inde Aristotelis cum rerum natura<br />

exigentis, minime conveniens sapienti viro lis: «aetatis illam animalibus tantum indulsisse,<br />

ut quina aut dena saecula educerent, homini in tam multa ac magna genito tanto<br />

citeriorem terminum stare». [3] Non exiguum temporis habemus, sed multum perdidimus.<br />

Satis longa vita et in maximarum rerum consummationem large data est, si tota bene<br />

collocaretur; sed ubi per luxum ac neglegentiam diffluit, ubi nulli bonae rei inpenditur,<br />

ultima demum necessitate cogente, quam ire non intelleximus transisse sentimus. [4] Ita<br />

est: non accipimus brevem vitam, sed facimus, nec inopes eius sed prodigi sumus. Sicut<br />

1. Maior pars…evocavit: «La maggior<br />

parte dei mortali, o Paolino, si lamenta<br />

della crudeltà della natura poiché siamo<br />

[stati] generati per un’esistenza breve,<br />

poiché questi spazi di tempo a noi concesso<br />

tanto velocemente, tanto rapidamente<br />

scorrono che, fatta eccezione di<br />

pochi, la vita inganna tutti gli altri proprio<br />

nel momento della sua pienezza. E a<br />

questo comune male, come credono, non<br />

ha rivolto il suo lamento solo la massa<br />

sprovveduta degli uomini; questo stato<br />

d’animo ha provocato parole di rammarico<br />

anche di uomini colti».<br />

Mortalium: non hominum per la pregnanza<br />

tragica del lessema, quindi «uomini<br />

destinati a morire»; Pauline: è forse<br />

Pompeo Paolino, prefetto dell’annona dal<br />

48 al 55, padre di Paolina, la moglie di<br />

<strong>Seneca</strong>, più giovane di lui di vent’anni;<br />

conqueritur: ricorda l’incipit del Bellum<br />

Iugurthinum di Sallustio: Falso queritur<br />

de natura sua genus humanum quod<br />

imbecilla, atque aevi brevis («a torto si<br />

lamenta l’umanità poiché debole e caduca»);<br />

in exiguum: complemento di fine,<br />

regge il genitivo partitivo aevi; quod…<br />

quod…tam…tam: doppia anafora, questa<br />

figura retorica, al posto della congiunzione,<br />

opera quello che il Traina definisce<br />

«la sostituzione del legame logico col<br />

legame ritmico»; rapide: avverbio, da<br />

rapio (= «trascinare via»), esprime, quindi,<br />

questo strappo violento del tempo,<br />

rilevato anche dal verbo de+curro, detto<br />

di acque che precipitano giù; dati: participio<br />

passato concordato con il genitivo<br />

temporis; destituat: al congiuntivo perché<br />

esprime opinione altrui e significa<br />

letteralmente «abbandona»; vitae vita: il<br />

poliptoto dà forza all’espressione.<br />

La modale ut opinantur limita il significato<br />

dell’aggettivo publico: non è vero<br />

che è «comune», dice <strong>Seneca</strong>, sono «loro»<br />

a pensare che lo sia; imprudens: da in<br />

(«che nega») + prudens (= «che non prevede»);<br />

ingemuit: regge il dativo huic<br />

malo; affectus: vox media per «stato<br />

d’animo», qui con connotazione negativa;<br />

evocavit: da ex+voco, «chiamare dal<br />

fondo», «far emergere lamenti».<br />

2. Inde illa…stare: «Di qui quella nota<br />

esclamazione del famoso medico: “La vita<br />

è breve, la scienza è lunga”; di qui anche<br />

l’atto di accusa, per nulla consono ad<br />

una persona così saggia, di Aristotele che<br />

discuteva sulla natura: “Quella è stata<br />

generosa solo verso gli animali nella<br />

durata della vita, tanto che vivono cinque<br />

o dieci generazioni, all’uomo, invece,<br />

destinato a tante e così importanti opere,<br />

è fissato un limite molto più breve”».<br />

Maximi medicorum: è riferito ad Ippocrate;<br />

si noti il chiasmo che contrappone<br />

vita e ars:<br />

vitam brevem<br />

longam artem<br />

La massima che segue è una massima<br />

peripatetica. Il soggetto lis, posto in clausola,<br />

è molto rilevato; exigentis: è<br />

genitivo accordato con Aristotelis, da<br />

exigo «ponderare», «discutere»; conveniens:<br />

regge il dativo viro ed è accordato<br />

Estratto della pubblicazione<br />

con lis. Aetatis: partitivo retto da tantum;<br />

genito: dativo accordato con homini; in<br />

tam multa ac magna: complementi di<br />

fine; citeriorem: comparativo di citra,<br />

letteralmente «più in qua»; stare: «star<br />

fisso»; quina: numerale distributivo «a<br />

cinque per volta», come deni, ae, a, cioè<br />

«a dieci per volta».<br />

3. Non …perdidimus: «Non abbiamo poco<br />

tempo, ma molto lo lasciamo perdere».<br />

Il perfetto perdidimus indica un’azione<br />

completata, il suo risultato: di qui la<br />

definizione di «perfetti risultativi».<br />

Satis…sentimus: «La vita è sufficientemente<br />

lunga e ci è stata data ampiamente<br />

per compiere grandi azioni, se<br />

l’usassimo tutta bene; ma quando scorre<br />

via nella dissipazione e nello spreco,<br />

quando non è spesa per alcuna opera<br />

meritevole, e infine, quando la prossimità<br />

della morte ci incalza, ci accorgiamo<br />

che è passata ormai quella che non abbiamo<br />

capito che passava».<br />

Il periodo ipotetico misto vuole sottolineare<br />

il contrasto tra ciò che abbiamo e ciò<br />

che facciamo di essa; in consummationem:<br />

complemento di scopo. Diffluit: ha<br />

ancora il significato metaforico di «scorrere»<br />

dell’acqua, tratto dal proemio sallustiano:<br />

vires tempus ingenium defluxere;<br />

inpenditur: è costruito col dativo<br />

bonae rei; cogente necessitate: ablativo<br />

assoluto; ultima necessitate: è forma<br />

eufemistica della morte; quam: sta per<br />

eam quam.<br />

4. Ita est… multum patet: «Così è: non<br />

riceviamo una vita breve, ma la rendia-<br />

19


• Il pensiero filosofico<br />

amplae et regiae opes, ubi ad malum dominum pervenerunt, momento dissipantur, at<br />

quamvis modicae, si bono custodi traditae sunt, usu crescunt, ita aetas nostra bene<br />

disponenti multum patet.<br />

mo tale, non siamo poveri di essa, ma<br />

scialacquatori. Come ampie e regali ricchezze,<br />

quando sono giunte nelle mani<br />

di un cattivo padrone, in un istante vengono<br />

dissipate, invece, benché siano limitate,<br />

se sono state affidate ad un buon<br />

custode, con l’uso crescono, così la no-<br />

Analisi<br />

20<br />

La saggezza dell’uomo, l’orrore del mondo<br />

stra vita, a chi sa bene usarla, si stende<br />

tutta dinanzi a lui».<br />

I verbi accipimus e facimus chiudono al<br />

centro vitam brevem per dare maggior<br />

efficacia all’antitesi. Notare la concinnitas:<br />

momento dissipantur…usu crescunt,<br />

che rileva l’opposizione tra malum<br />

dominum e bono custodi; quamvis<br />

modicae: sottintende sint, concessiva;<br />

bene disponenti: dativo di vantaggio del<br />

participio presente del verbo dispono;<br />

patet: verbo di grande efficacia, perché<br />

significa «aprirsi»: è la vita che si «apre»<br />

a chi sa accettarla e usarla bene.<br />

testuale T1 De brevitate vitae I, 1-4: La vita non è breve<br />

Il testo è costituito da quattro blocchi argomentativi che seguono un rigoroso<br />

procedimento filosofico:<br />

• l’enunciazione del problema: tutti si lamentano della brevità della vita;<br />

• gli esempi di due illustri personaggi come Ippocrate e Aristotele che cadono<br />

in questo errore;<br />

• l’enunciazione della tesi: la vita non è breve se spesa bene;<br />

• l’esemplificazione della tesi con paragone tratto dal mondo reale: la ricchezza<br />

dipende da chi la amministra.<br />

Anche sul piano strutturale, la centralità della tesi è rimarcata dalla perfetta<br />

proporzione delle parti, per cui il nodo concettuale, non exiguum temporis<br />

habemus sed multum perdidimus, occupa anche la parte centrale del testo che<br />

ha andamento curvilineo:<br />

Non exiguum<br />

Maior pars multum patet<br />

A quest’ordine strutturale corrisponde un’accorta distribuzione delle figure retoriche,<br />

specialmente il chiasmo, che è accompagnato dal ritmo binario della<br />

concinnitas:<br />

vitam brevem tam velociter non exiguum temporis habemus<br />

↓ ↓ ↓<br />

longam artem tam rapide sed multum……… perdidimus<br />

ire non intelleximus non accipimus<br />

↓ quam ↓ brevem vitam<br />

transisse sentimus sed facimus<br />

non inopes ad malum dominum pervenerunt<br />

↓ eius sumus ↓<br />

sed prodigi bono custodi traditae sunt


La saggezza dell’uomo, l’orrore del mondo<br />

• Il pensiero filosofico<br />

È molto indicativo che il chiasmo, che è figura di contrasto, sia utilizzato per citare<br />

il giudizio di Ippocrate, in cui c’è, appunto, l’idea di una contraddizione, mentre<br />

il parallelismo esprime il pensiero di <strong>Seneca</strong>: c’è una perfetta «corrispondenza», non<br />

opposizione, tra la sofferenza umana per la brevità della vita e il suo spreco. Se<br />

non la si spreca, infatti, la vita non è breve. Questa perfetta simmetria fa contrasto,<br />

invece, con la variatio iniziale: gignimur (indicativo)…decurrant (congiuntivo).<br />

Traina parla di «gradazione discendente di certezza», poiché vi si potrebbe cogliere<br />

la differenza tra la reale brevità (exiguum aevi) dell’esistenza e il soggettivo<br />

scorrere del tempo (temporis spatia). Così l’uso del perfetto perdidimus, contrapposto<br />

al presente habemus, serve a rimarcare come <strong>Seneca</strong> avverta la perdita<br />

irrecuperabile, definitiva, che è costituita dal trascorrere del tempo. Nella funzione<br />

didascalica del testo, l’uso del lessico, di grande forza semantica, acquista, quindi,<br />

un particolare valore. Così l’espressione apparatu vitae indica quella disposizione<br />

fiduciosa, ottimista, di chi si illude di prepararsi alla vita a suo piacimento, come<br />

e quando voglia, solo perché si trova in un momento di benessere.<br />

Anche la cura del verbo indica la sottile distinzione tra il «capire» (intelleximus)<br />

che manca all’uomo e il «sentire» (sentimus) a cui facilmente ci si abbandona. Non<br />

basta, non serve, dice <strong>Seneca</strong>, avere emozione e rammarico per il fluire del<br />

tempo, bisogna, invece, comprendere lucidamente (disponenti bene) che è proprio<br />

questa relativa brevità della vita a richiedere di saperla spendere bene (si tota<br />

bene collocaretur). Anche il verbo colloco (cum+loco), come dispono, presuppone<br />

una sorta di ordine mentale pratico con cui rendere satis longa la vita.<br />

Questa vita, infine, non è altro che una ricchezza sconosciuta e regale (il<br />

paragone con amplae e regiae opes è chiarificatore), che aspetta solo un padrone<br />

accorto che sappia bene amministrarla. Solo allora, conclude <strong>Seneca</strong>, essa patet:<br />

il verbo, che significa «essere aperto», chiude il capitoletto con straordinaria<br />

efficacia. Il lessema, perciò, esprime questo dispiegarsi ad infinite possibilità,<br />

questo «aprirsi» della vita di fronte all’uomo saggio che sappia percepirne il valore,<br />

grande e assoluto. Non servono molte argomentazioni a chiarire l’evidenza<br />

palmare di questa constatazione: la sintassi costituita da brevi coordinate e da<br />

semplici enunciati indica proprio la lucida semplicità della tesi senecana: siamo<br />

noi i padroni del nostro tempo, non certo inopes («poveri»), ma possessori<br />

inconsapevoli di un patrimonio prezioso che andrebbe usato saggiamente.<br />

Incontro tra autori<br />

Estratto distribuito da Biblet<br />

Orazio e <strong>Seneca</strong>: La fugacità del tempo<br />

Il senso della fugacità del tempo, dell’incertezza del domani, richiama i temi cari ad Orazio.<br />

Tra il poeta e <strong>Seneca</strong>, però, esiste una profonda differenza: Orazio invita a non curarsi del<br />

futuro, a cogliere i piaceri fuggitivi che il presente può offrire, con animo tranquillo, non<br />

turbato da ansietà e da timori; per <strong>Seneca</strong>, invece, come si è visto, cogliere il presente,<br />

vivere protinus, significa non indugiare a rientrare in se stessi, lasciando da parte inutili<br />

pensieri, e accettare la vita con piena consapevolezza.<br />

Estratto della pubblicazione<br />

21


• Il pensiero filosofico<br />

Ode I, 9<br />

È inverno e fa freddo: Orazio invita a bere un buon vino, godendo del presente, senza fare progetti<br />

sul futuro. Il modello è il frammento di Alceo che tratta lo stesso argomento.<br />

Metro: strofe alcaica<br />

22<br />

Vides ut alta stet nive candidum<br />

Soracte, nec iam sustineant onus<br />

silvae laborantes, geluque<br />

flumina constiterint acuto.<br />

Dissolve frigus ligna super foco 5<br />

large reponens atque benignius<br />

deprome quadrimum Sabina,<br />

o Thaliarche, merum diota.<br />

Permitte divis cetera, qui simul<br />

stravere ventos aequore fervido 10<br />

deproeliantes, nec cupressi<br />

nec veteres agitantur orni.<br />

Quid sit futurum cras, fuge quaerere et<br />

quem fors dierum cumque dabit lucro<br />

adpone, nec dulces amores 15<br />

sperne puer neque tu choreas,<br />

donec virenti canities abest<br />

morosa. Nunc et campus et areae<br />

lenesque sub noctem susurri<br />

conposita repetantur hora, 20<br />

nunc et latentis proditor intimo<br />

gratus puellae risus ab angulo,<br />

pignusque dereptum lacertis<br />

aut digito male pertinaci.<br />

Traduzione<br />

Guarda la neve che imbianca tutto/ il Soratte e gli alberi che gemono/ al suo peso, i fiumi rappresi/ nella<br />

morsa del gelo.// 5. Sciogli questo freddo, Taliarco,/ e legna, legna aggiungi al focolare;/ poi senza calcolo<br />

versa vino vecchio/ da un’anfora sabina.// Lascia il resto agli dei: quando placano/ 10. sul mare in burrasca<br />

la furia dei venti,/ non trema piú nemmeno un cipresso,/ un frassino cadente./<br />

Smettila di chiederti cosa sarà domani,/ e qualunque giorno la fortuna ti conceda/ 15. segnalo tra gli utili.<br />

Se ancora lontana/ è la vecchiaia fastidiosa/ dalla tua verde età, non disprezzare, ragazzo,/ gli amori teneri<br />

e le danze. Ora ti chiamano/ l’arena, le piazze e i sussurri lievi/ 20. di un convegno alla sera,// il riso<br />

soffocato che ti rivela l’angolo/ segreto dove si nasconde il tuo amore,/ il pegno strappato da un braccio/<br />

o da un dito che resiste appena.<br />

(M. Ramous)<br />

La saggezza dell’uomo, l’orrore del mondo<br />

Estratto della pubblicazione


Analisi<br />

Estratto distribuito da Biblet<br />

La saggezza dell’uomo, l’orrore del mondo<br />

• Il pensiero filosofico<br />

testuale Orazio: Ode I, 9<br />

Osserva Francesco Arnaldi 1 : «È tra le più belle odi del canzoniere: si è detto che<br />

qui inverno e neve non sono semplicemente fatti naturali, ma stati d’animo. Io<br />

credo che la bellezza dell’ode sia proprio nella sua olimpica serenità per cui non<br />

c’è che l’acuto (v. 4), il benignius (v. 6), forse il dissolve frigus (v. 5) che<br />

indichino una diretta partecipazione del poeta, come se egli volesse discretamente<br />

avvertirci che quel che dirà è per Taliarco, re dei conviti, non per sé […]. Tutto<br />

il resto è lontano da lui, spettacolo ormai contemplato più che realtà vissuta».<br />

Vediamo, dunque, come quella che Arnaldi definisce «olimpica serenità» si possa<br />

cogliere nel testo.<br />

La struttura, costituita da sei strofe, scandisce il discorso in due momenti che<br />

corrispondono a tre strofe ciascuno, tagliate al centro dal verso 13 – quid sit<br />

futurum cras fuge quaerere (che cosa avverrà domani, non chiedertelo) – che<br />

condensa il messaggio oraziano, quello che percorre tutte le sue opere: vivi il<br />

presente, senza affanno per il domani.<br />

I due momenti, però, non hanno uno stesso ritmo e una stessa tonalità ed è<br />

molto importante capire il valore di questo mutamento tonale, affidato soprattutto<br />

all’uso della sintassi.<br />

La prima parte, infatti, presenta una trama sintattica che coincide con la trama<br />

metrica, per cui ognuna delle tre strofe racchiude un intero periodo. È questo un<br />

procedimento letterario che, di solito, corrisponde a una maggiore razionalizzazione<br />

del pensiero: il tono è pacato, il discorso vuole essere chiaro, semplice e diretto.<br />

Non a caso l’incipit di ogni strofa anticipa e sigla il suo contenuto:<br />

• Vides: appare l’immagine della natura irrigidita dal gelo invernale;<br />

• Dissolve frigus: si raccomanda il calore del fuoco e il buon vino;<br />

• Permitte divis: si spiega che sono gli dei a decidere la vita della natura e<br />

dell’uomo.<br />

Il freddo, il bianco Soratte, la fatica dei rami piegati sotto il peso della neve, le<br />

acque rapprese dal gelo, creano un effetto visivo molto potente, legato soprattutto<br />

alle allitterazioni dei fonemi dentali /t/ e /d/ che, per così dire, «irrigidiscono» il<br />

suono e inceppano la lettura, quasi icone del freddo: Vides ut alta stet candidum;<br />

Soracte sustineant constiterint.<br />

È l’inverno, con l’arida visione della natura che esso porta e con il suo velato<br />

messaggio di morte.<br />

Ma a questa visione dell’inverno Orazio contrappone subito dopo il «calore<br />

dell’intimità di una casa», con il «foco» e la «diota» i due oggetti, rilevati entrambi<br />

dalla clausola, il focolare e l’anfora di vino, evidente simbolo di vita, che<br />

riscaldano il corpo e il cuore. Nell’atmosfera protettiva e accogliente dello spazio<br />

chiuso, che si oppone fortemente allo spazio aperto della prima strofa, allora è<br />

possibile calare anche la massima epicurea che vede la natura mossa da forze<br />

materiali e sconosciute (divis) che, così come l’agitano in tempeste spaventose<br />

(ventos aequore fervido deproeliantes), poi la placano (stravere) in scenari distesi<br />

e tranquilli.<br />

1 Arnaldi F., Orazio. Odi ed Epodi, Principato, Messina, 1967.<br />

Estratto della pubblicazione<br />

23


• Il pensiero filosofico<br />

Ode I, 11<br />

24<br />

Tutto questo, per Orazio è cetera («le altre cose») che bisogna lasciare (permitte)<br />

agli dei, per il semplice fatto che sfugge al dominio razionale dell’uomo, che<br />

poco può contro di esso.<br />

Nella seconda parte, invece, la sintassi rompe i confini metrici e si stende in<br />

ampie volute, che spezzano la strofa e torcono il periodo con complessi costrutti.<br />

Lo sguardo di Orazio, ora, non si posa più su un paesaggio o sull’intimità della<br />

casa; ora egli guarda la vita degli uomini nelle sue attrazioni più emozionanti:<br />

l’amore, le danze (amores, choreas), gli appuntamenti segreti nella piazza (campus<br />

areae, hora composita), le parole sussurrate (susurri), la notte che inizia (sub<br />

noctem) e l’eterno gioco della donna che finge ritrosia, mentre, nascosta (intimo<br />

ab angulo), ride (risus) per farsi trovare dall’uomo amato e gli cede il pegno<br />

d’amore (pignus dereptum…digito male pertinaci).<br />

È per un giovane (Taliarco) che egli evoca tutte queste immagini e, quindi, in<br />

qualche modo, ci dice che il suo è un ricordo, un po’ distaccato, ma anche un<br />

po’nostalgico di una stagione passata. Forse egli è giunto a quell’età in cui le<br />

passioni si sono lievemente appannate, ma non spente del tutto, per cui è possibile<br />

rievocarne il fascino senza farsene travolgere. Ecco che allora, mentre l’eleganza dei<br />

versi mostra quella serenità di cui parlano i critici, qualcosa comunque sfugge ad<br />

essa e un guizzo di inquieta nostalgia passa ancora nelle parole, in quell’anafora<br />

di nunc, che sembra voler fermare l’attimo ora…ora; oppure nell’incastro che<br />

intreccia la risata alla ragazza e al suo angolo nascosto: latentis proditor intimo/<br />

gratus puellae risus ab angulo, in cui la metonimia del risus ci fa apparire una<br />

creatura giovane, capace di godere il presente come Orazio voleva.<br />

Questa famosissima ode di Orazio più delle altre tocca il tema profondamente sentito dal poeta, del<br />

passare del tempo e della necessità di vivere intensamente.<br />

Metro: asclepiadeo maggiore<br />

Tu ne quaesieris, scire nefas, quem mihi, quem tibi<br />

finem di dederint, Leuconoe, nec Babylonios<br />

temptaris numeros. Ut melius quidquid erit pati,<br />

seu pluris hiemes seu tribuit Iuppiter ultimam,<br />

quae nunc oppositis debilitat pumicibus mare 5<br />

Tyrrhenum: sapias, vina liques et spatio brevi<br />

spem longam reseces. Dum loquimur, fugerit invida<br />

aetas: carpe diem, quam minimum credula postero.<br />

Traduzione<br />

Non chiedere, o Leucònoe, (è illecito saperlo) qual fine/ abbiano a te e a me assegnato gli dèi, e non scrutare gli<br />

oroscopi babilonesi./ Quant’è meglio accettare quel che sarà!/ Ti abbia assegnato Giove molti inverni,// 5. oppure<br />

ultimo quello che ora affatica il mare/ Tirreno contro gli scogli, sii saggia, filtra vini, tronca/ lunghe speranze<br />

per la vita breve. Parliamo, e intanto fugge l’astioso/ tempo. Afferra l’oggi, credi al domani quanto meno puoi.<br />

(L. Canali)<br />

La saggezza dell’uomo, l’orrore del mondo<br />

Estratto distribuito da Biblet<br />

Estratto della pubblicazione

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