UGO FOSCOLO - Istituto Stradivari
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Classe di Italiano UGO FOSCOLO IIS STRADIVARI
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Classe di Italiano<br />
<strong>UGO</strong><br />
<strong>FOSCOLO</strong><br />
IIS STRADIVARI
Capitolo 1<br />
LA VITA
Riassunto<br />
Fase 1-Ugo Niccolò Foscolo nasce nel 1778 a Zacinto, un'isola<br />
greca che era sotto il controllo della Repubblica di Venezia.<br />
Il padre è un medico che è costretto a viaggiare spesso.<br />
Ugo inizia a studiare a Spalato e la sua infanzia è felice: conserverà<br />
sempre un ricordo molto intenso di questo periodo di<br />
grande libertà e di formazione.<br />
Fase 2 -Quando muore il padre, nel 1788, si vede costretto a<br />
seguire la madre che cerca rifugio dai parenti veneziani del<br />
marito. Qui comincia a frequentare scuole di un certo livello,<br />
ma è poco incline alla vita da studente modello, quindi decide<br />
di frequentare i "salotti letterari" molto frequenti all'epoca,<br />
dove gli aristocratici più illuminati e gli studiosi dell'epoca<br />
si ritrovano per confrontare le proprie idee. Conosce Isabella<br />
Teotochi Albrizzi, di cui si innamora, e altri importanti letterati<br />
come Pindemonte e Cesarotti. La sua prima grande opera<br />
è la tragedia "Tieste", modellata su quelle di Vittorio Alfieri.<br />
Nel 1796, all'arrivo di Napoleone in Italia, Foscolo coglie<br />
l'occasione di partecipare attivamente alla liberazione della<br />
sua patria dal giogo austriaco, arruolandosi nell'esercito napoleonico.<br />
Nel 1797, dopo il trattato di Campoformio, Foscolo<br />
è costretto all'esilio e la sua fiducia in Napoleone comincia a<br />
vacillare.<br />
2<br />
Fase 3 dal 1798- è in esilio tra Milano e Bologna. Qui comincia<br />
a scrivere le ultime lettere di Jacopo Ortis, che però vengono<br />
terminate senza il suo consenso e pubblicate nel 1799,<br />
mentre lui è in guerra. Nel 1799 a Firenze conosce Isabella<br />
Roncioni, che è già promessa sposa ma ha una storia con lui,<br />
ispirando così il personaggio di Teresa nell'Ortis.<br />
Dal 1800 è a Milano, dove ha una relazione con Antonietta<br />
Fagnoni, a cui dedica un'ode molto famosa (all'amica risanata).<br />
Si dedica anche alla stesura finale delle Ultime Lettere,<br />
che pubblica nel 1802. Nel 1803, pubblica la maggior parte<br />
dei suoi sonetti. Uno dei sonetti è dedicato alla morte del fratello,<br />
suicidatosi nel 1801, forse a causa di una accusa di furto.<br />
Fase 4- dal 1804 è nel nord della Francia al seguito di Napoleone,<br />
traduce dall'inglese il Viaggio Sentimentale di Sterne.<br />
Scrive una premessa in cui afferma che l'autore della traduzione<br />
è un certo Didimo Chierico, alter ego nuovo rispetto a<br />
Ortis, questa volta caratterizzato da una grande dose di ironia<br />
e distacco. Intanto conosce Sophie Hamilton, dalla quale<br />
ha una figlia che alcuni anni dopo incontrerà.<br />
Fase 5- Nel 1806, approfittando della debolezza degli austriaci,<br />
torna a Venezia. Qui incontra l'amico Ippolito Pindemonte<br />
col quale discute della funzione delle tombe, in polemica<br />
con l’editto di Saint-Cloud. Inizia la redazione dei Sepolcri.<br />
Nel 1808 è a Pavia, chiamato dall'università per tenere il cor-
so di letteratura italiana. La sua collaborazione dura poco,<br />
perché il corso viene chiuso per mancanza di fondi e contrasti<br />
politici.<br />
Nel 1810 si trasferisce a Milano dove frequenta i letterati più<br />
in vista, come Vincenzo Monti, ma resta deluso dalla loro arrendevolezza<br />
nei confronti del potere.<br />
Nel 1812 è a Firenze dove inizia a scrivere il poema neoclassico<br />
intitolato Le Grazie. Quando finisce l'epoca napoleonica<br />
nel 1815, l'Austria offre a Foscolo la possibilità di restare e collaborare,<br />
ma lui rifiuta e si trasferisce in Inghilterra.<br />
Fase 6- dal 1816 al 1827, anno della morte, lavora sempre<br />
più intensamente per mantenersi, ma il suo stile di vita si abbassa<br />
progressivamente. Scrive traduzioni, saggi critici, articoli.<br />
Nel 1871 la sua salma viene sepolta in Santa Croce.<br />
3
❖ A' generosi Giusta di gloria dispensiera è morte.<br />
❖ Celeste è questa | corrispondenza di amorosi sensi, |<br />
celeste dote è negli umani.<br />
❖ Il disprezzare non è da tutti.<br />
❖ Sol chi non lascia eredità d'affetti | Poca gioia ha<br />
dell'urna.<br />
❖ E noi, pur troppo, noi stessi italiani ci laviamo le<br />
mani nel sangue degl'italiani. Per me segua che può.<br />
Poiché ho disperato e della mia patria e di me, aspetto<br />
tranquillamente la prigione e la morte<br />
Niccolò Ugo Foscolo (Zante, 6 febbraio 1778 – Turnham Green,<br />
Londra, 10 settembre 1827) è stato un famoso poeta italiano.<br />
Nacque da Diamantina Spathis e Andrea Foscolo (chirurgo di<br />
Vascello e dal 1874 direttore dell'ospedale di Spalato), ebbe una<br />
sorella e due fratelli, entrambi morti suicidi. <br />
<br />
La morte del padre, nel 1788, lasciò la famiglia in difficoltà economiche.<br />
Lasciò l'isola natale, con i fratelli minori, nel 1792, per<br />
raggiungere la madre a Venezia. L'indigenza impedì al giovane<br />
di frequentare studi regolari ma, come autodidatta, egli assimilò<br />
una vastissima cultura. <br />
<br />
Venezia apparve a Ugo, come una vera patria, ricca di vita intellettuale,<br />
fervida di novità e generosa di insospettate occasioni; gli<br />
offrì, nello spazio di pochi anni, curiosità ed entusiasmo letterario,<br />
facile successo amoroso con la bellissima contessa Isabella<br />
Teotochi. <br />
<br />
La contessa amava circondarsi di uomini di lettere: Ippolito Nievo<br />
volle chiamarla Temira, dal nome dell'eroina del Tempio di<br />
4<br />
SEZIONE 1<br />
Biografia<br />
(approfondimento)
Cnido di Montesquieu, e con quel nome, Foscolo la ricorderà<br />
nell'abbozzo Sesto tomo dell'io, quale esperta introduttrice ai<br />
misteri dell'amore e attenta, allo stesso tempo, nel non lasciarsi<br />
intrappolare in una passione troppo esclusiva. <br />
<br />
Arrivarono i primi successi letterari, prima il poemetto La<br />
giustizia e la pietà, commissionatogli per celebrare il reggente<br />
di Chioggia, poi la tragedia Tieste (rappresentata per la prima<br />
volta nel 1797). <br />
<br />
Sostenitore delle idee rivoluzionarie venute dalla Francia, Foscolo<br />
divenne sospetto al governo della Serenissima e, nel<br />
1796, dovette rifugiarsi sui colli Euganei, dove pose mano, secondo<br />
la moda romantica del tempo, ad un romanzo epistolare:<br />
Laura e dove compose una tragedia di ispirazione alfieriana:<br />
il Tieste. Nei sonetti dello stesso periodo compaiono i primi<br />
motivi dell'opera foscoliana. Allontanatosi da Venezia, Foscolo<br />
si recò a Bologna, dove si arruolò tra i "cacciatori italiani"<br />
della Repubblica Cispadana. Altro piccolo trionfo è l'ode<br />
A Bonaparte liberatore, pubblicata nel maggio 1797 a spese<br />
della città di Bologna. <br />
<br />
Una breve traccia-programma stesa nel 1796, ed intitolata<br />
Piano di studi ci conferma la serietà degli interessi politici, oltre<br />
che letterari, che animavano il Foscolo. <br />
<br />
L'estate del 1797, vide la caduta della Repubblica di San Marco,<br />
e il ritorno di Foscolo a Venezia, dove assume la carica di<br />
5<br />
segretario della Municipalità, riprese le sue esortazioni con<br />
l'ode Ai novelli repubblicani «contro il furore della licenza prima<br />
motrice di tirannia», composta proprio nell'ottobre in cui<br />
Napoleone Bonaparte cedeva Venezia all'Austria nel Trattato<br />
di Campoformio. <br />
<br />
Questo "tradimento" costrinse Foscolo a rifugiarsi a Milano,<br />
chiedendo la cittadinanza della Repubblica Cisalpina. Ottenne<br />
l'incarico di redigere le relazioni dell'Assemblea legislativa<br />
sul Monitore Italiano, soppresso dopo pochi mesi (vi conobbe<br />
Parini e Monti). S’invaghì senza fortuna di Teresa Pichler, moglie<br />
di Vincenzo Monti, e fu spinto persino ad un tentativo di<br />
suicidio. Partì per Bologna, forse anche per sfuggire a quel ricordo,<br />
dove trovò impiego in tribunale, collaborò al Monitore<br />
Bolognese e al Genio Democratico, pubblicò un'opera di ampio<br />
respiro: Ultime lettere di Jacopo Ortis . <br />
<br />
Con la vittoria di Napoleone a Marengo (1800), Foscolo tornò<br />
a Milano dove fu nominato capitano ed inviato in Toscana.<br />
Qui conobbe Isabella Roncioni, già fidanzata al marchese<br />
Bartolomei. Tale situazione gli ispirò molte pagine dell'Ortis.<br />
Tornato a Milano, il poeta si innamorò di Antonietta Arese<br />
Fagnani, per la quale scrisse All'amica risanata, seconda ode<br />
celebrativa della bellezza, nella quale la Fagnani diviene dea<br />
e la Bellezza appare come unico ristoro della vita infelice. <br />
<br />
L'esercito austro-russo invase l'Italia settentrionale, e lui si arruolò<br />
come ufficiale, combattendo a Cento, alla Trebbia, a<br />
Novi, a Genova assediata. La disgrazia sopravvenuta ad una
ella signora, gli ispirò A Luigia Pallavicini caduta da cavallo.<br />
Continuò a combattere al Forte Due Fratelli e al Colle della<br />
Coronata, seguì il generale Pino in Toscana. <br />
<br />
Tra il 1801 e il 1802, a Milano, eseguì il rifacimento di Ultime<br />
lettere di Jacopo Ortis e dove fu sottoposto alla violentissima<br />
passione per Antonietta Fagnani Arese, di cui rimane a<br />
testimonianza All'amica risanata e un fremente epistolario. <br />
<br />
Altri lavori lo impegnarono, l'abbozzo di un romanzo autobiografico,<br />
l'orazione per il congresso di Lione, gli otto Sonetti<br />
(pubblicati nel 1802), la traduzione ed il commento alla Chioma<br />
di Berenice di Catullo, testimonianza della ricca cultura<br />
del poeta. <br />
<br />
Tra il 1804 ed il 1806, Foscolo visse in Francia, come capitano<br />
del corpo di spedizione che avrebbe dovuto sbarcare in Inghilterra,<br />
nel frattempo studiò l'inglese ed ebbe una relazione<br />
con Fanny Emeritt, una signora inglese dalla quale ebbe una<br />
figlia, Mary (Floriana). Durante il soggiorno in Francia, Foscolo<br />
scrisse l'epistola in versi al Monti e tradusse il Viaggio<br />
sentimentale di Yorik di Sterne. <br />
<br />
Nel 1806, con lo scioglimento del corpo di spedizione, poté<br />
ritornare a Milano, dove, un intento di critica al governo, gli<br />
ispirò Dei sepolcri. Nello stesso anno pubblicò l'"esperimento<br />
di traduzione dell'Iliade", in cui sono raffrontate le traduzioni<br />
del primo canto realizzate da Foscolo, Cesarotti e Monti. La<br />
6<br />
rievocazione dell'antica armonia della poesia, che perpetua<br />
nei secoli figure, passioni e miti, fu il sogno che Foscolo perseguì<br />
fino alla morte. Si insediò alla cattedra di eloquenza italiana<br />
all'Università di Pavia, con l'orazione inaugurale Dell'origine<br />
e dell'ufficio della letteratura nella quale ribadiva il valore<br />
civile delle lettere come banditrici della verità. <br />
<br />
Il suo non allineamento con i potenti, gli fece perdere l'insegnamento,<br />
a questo si unirono altri problemi, il mancato matrimonio<br />
con Franceschina Giovio, lo scontro con il Monti (si<br />
trattò di un malinteso, essendo stata erroneamente attribuita<br />
la Foscolo la stroncatura di un poemetto didascalico di un<br />
poeta amico del Monti), il fiasco dell'"Aiace", inducendolo a<br />
ritirarsi a Firenze (1812). Nel 1813 pubblico la traduzione<br />
Viaggio sentimentale di Yorick e la Notizia intorno a Didimo<br />
Chierico oltre ad una terza tragedia, la Ricciarda, e il carme<br />
Le Grazie. <br />
<br />
Nel 1813, dopo la sconfitta napoleonica a Lipsia, Foscolo tornò<br />
a Milano ed indossò nuovamente la divisa, agli ordini di<br />
Eugenio Beauharnais. Il 6 aprile 1814, Napoleone abdicò ed<br />
il giorno seguente il Beauharnais concluse l'armistizio ed il<br />
Regno Italico cadde. Il maresciallo austriaco Bellgarde assicurò<br />
Foscolo della propria amicizia e lo inviò a fondare un giornale<br />
letterario. Nel 1815, Foscolo, che nel frattempo aveva<br />
preparato il programma del giornale, avrebbe dovuto, come<br />
ex ufficiale, indossare la divisa austriaca; per evitare di servire<br />
il governo austriaco il poeta partì in volontario esilio. Non<br />
avrebbe mai più rivisto l'Italia.
<br />
Si recò quindi in Svizzera, fermandosi a Zurigo, dove ristampò<br />
l'Ortis, pubblicò i Vestigi della storia del sonetto italiano e<br />
condusse a termine l'Ipercalisse contro i propri nemici (Didymi<br />
Clerici prophetae minimi hypercalipses liber singularis,<br />
pubblicato in 104 copie di cui dodici con le chiavi delle allusioni)<br />
ed i Discorsi delle servitù d'Italia (incompiuti). <br />
<br />
Nel 1816, essendo ricercato come disertore, lasciò la Svizzera<br />
e raggiunse Londra, dove sperò di aver trovato fama e riposo.<br />
Presto sopravvennero difficoltà economiche, ed egli, per superarle,<br />
cominciò a collaborare ad alcune riviste letterarie inglesi.<br />
L'opera maggiore del periodo inglese è Lettere scritte dall'Inghilterra,<br />
scritto noto anche come Gazzettino del bel mondo.<br />
Notevole fu l'attività critica, di cui sono testimonianze i<br />
quattro Saggi sopra il Petrarca (1821) ed il Discorso sul testo<br />
della commedia di Dante (1825). A Londra il poeta ritrovò la<br />
figlia naturale Floriana (Mary) che lo assistette fino alla morte,<br />
avvenuta nel 1827 a Turnham Green presso Londra. <br />
7<br />
Verifica 1.1 la vita<br />
Domanda 1 di 3<br />
Foscolo pubblica i suoi sonetti nel<br />
A. 1801<br />
B. 1798<br />
C. 1802-3<br />
D. 1806<br />
Verifica risposta
La personalità<br />
Riassunto<br />
1- Foscolo è il nuovo modello di letterato: non è un cortigiano,<br />
è libero, patriota combattente, lavora per vivere.<br />
2- la letteratura e i letterati hanno una funzione civile, come aveva<br />
insegnato Parini.<br />
3- eroe romantico: esilio (viaggia continuamente), tanti amori,<br />
costruzione del personaggio (bello di fama e di sventura).<br />
4- inquietudine: Foscolo convive con due caratteri: Ortis (romanticismo,<br />
infelicità) Didimo (distacco e ironia).<br />
ORTIS 1802<br />
1- le ultime lettere di Jacopo Ortis sono, appunto, lettere scritte<br />
da Foscolo che si basa su modelli precedenti di romanzi epistolari,<br />
ma prendono anche spunto da un fatto di cronaca, il suicidio<br />
dello studente Jacopo Ortis, nel quale Foscolo si identifica.<br />
8<br />
SEZIONE 2<br />
Opere
Il romanzo è costituito da 67 lettere che il giovane Ortis manda<br />
a un amico, Lorenzo Alderani, il quale alla morte del giovane<br />
decide di pubblicarle. La particolarità è che mancano le<br />
risposte di Lorenzo, che però si intuiscono dalle parole di Ortis.<br />
All'interno delle ultime lettere di Jacopo Ortis c'è un motivo<br />
fondamentale dato dalla delusione storica, Jacopo si sente<br />
"tradito" dal suo tempo sia dal punto di vista politico che<br />
amoroso: politico, per via di Napoleone che cede il nord Italia<br />
agli austriaci; amoroso, a causa del suo amore ricambiato<br />
ma impossibile per una donna già promessa ad altro uomo.<br />
Questo romanzo ha un grande successo all'epoca per via della<br />
sua attualità e modernità.<br />
2- le lettere ci presentano la figura tipica dell'eroe romantico:<br />
- sconfitta, vede nella storia solo una decadenza, la politica si<br />
basa su odio e tradimento, la società è denaro ed egoismo, la<br />
natura che è governata da leggi meccaniche e che quindi non<br />
ha un senso logico per l'uomo. Nonostante questo l'eroe romantico<br />
ha un cuore che lo spinge a sognare, mentre la ragione<br />
lo costringe alla distruzione delle illusioni del cuore.<br />
3- all'interno del romanzo sono presenti 2 temi paralleli,<br />
l'amore (innamoramento e delusione conseguente) e la politica<br />
(logica e annientamento dei sogni del giovane) con la delusone<br />
amorosa.<br />
I Sepolcri<br />
9<br />
nel 1804 Napoleone emana l'editto di Saint-Cloud, che stabilisce<br />
che le tombe e i cimiteri siano spostati fuori dalle città e<br />
le lapidi siano tutte uguali e senza nome. All'inizio Foscolo è<br />
d'accordo, ma poi dopo aver discusso con l'amico Ippolito<br />
Pindemonte, cambia idea e per convincere l'amico e i lettori<br />
delle sue idee, scrive questa lettera in versi, di 295 endecasillabi<br />
sciolti (senza uno schema di rime preciso)<br />
Si può dividere in 4 parti: 1-90, 91-150,151-217, 218-295.<br />
In sostanza, Foscolo ritiene che i sepolcri non siano utili ai<br />
morti, perché la loro vita cessa con la morte e non esiste un<br />
aldilà. Per i vivi invece le tombe sono importanti perché permettono<br />
di mantenere vivo l'amore che provavano per il morto.<br />
Inoltre le tombe dei grandi sono fondamentali per educare<br />
i popoli.<br />
LE ULTIME LETTERE DI JACOPO ORTIS<br />
La prima edizione completa è del 1802 (la prima stesura è<br />
del ‘96) e ad essa seguiranno altre due edizione, una zurighese<br />
del ‘16 e una londinese del ’17. E’ un’opera che accompagnerà<br />
il Foscolo per tutta la vita e in cui egli mise molto di se<br />
stesso; dunque, per quanto sia eccentrica ed estranea al resto<br />
della sua produzione, non è affatto un’opera marginale.<br />
Singolarità: il romanzo non si conforma affatto alla formula<br />
winkelmanniana, anzi è prodotto di un sentire preromantico;<br />
ricalca, infatti, il Werther di Goethe, capolavoro dello Sturm<br />
und Drang (“assalto e tempesta”). Il distacco dal neoclassicismo<br />
è pertanto una scelta e non un limite.
La critica parla di pensieri<br />
ingorgati riferendosi allo stile<br />
drammatico e teso che ricalca<br />
lo slancio passionale e<br />
tragico della narrazione.<br />
Tipologia: si tratta di un romanzo<br />
epistolare, un genere<br />
inventato nel ‘700 in relazione<br />
alla messa in valore del<br />
sentimento. Tra le strutture<br />
possibili, corrispondenza di<br />
un solo personaggio o di<br />
molti, il Foscolo sceglie la<br />
prima su imitazione del<br />
Goethe. È anche un romanzo<br />
di formazione, un genere<br />
di successo sia durante il Romanticismo<br />
sia prima, nella letteratura borghese settecentesca.<br />
Personaggi: nel Werther i personaggi erano, oltre al protagonista,<br />
Carlotta, la donna amata, e Alberto, il promesso sposo<br />
che rappresenta il perfetto borghese, composto ma arido. Nell’Ortis,<br />
oltre al destinatario Lorenzo Alderani, Teresa e<br />
Odoardo sono il calco dei suddetti, ma compare un quarto<br />
personaggio, quello di Isabellina.<br />
Una testimonianza della traccia autobiografica dell’opera sono<br />
proprio i nomi femminili: il nome di Teresa è preso da<br />
quella Teresa Pickler per Foscolo aveva litigato con Monti;<br />
10<br />
Isabellina, da Isabella Roncioni amata da Foscolo successivamente.<br />
Inoltre, nel primo Ortis, Teresa aveva le fattezze della<br />
Pikler, ma nell’edizione successiva, pur mantenendo il nome,<br />
somiglierà alla Roncioni.<br />
Modelli e influenze: nell’opera predomina l’influenza<br />
Goethiana, ma lo stesso Foscolo mette in evidenza l’originalità<br />
del proprio romanzo in una lettera di accompagnamento a<br />
una copia dell’Ortis inviata al Goethe: la componente politica<br />
ha per il Foscolo la priorità su tutti gli altri temi; anche il<br />
Werther in realtà aveva un fondamento politico, per quanto<br />
implicito: infatti contestava i modelli e la morale della società<br />
borghese (Fontini).<br />
E’ molto presente anche la voce dell’Alfieri (tanto che il Fubini<br />
ha definito il romanzo come una tragedia alfieriana in prosa),<br />
l’autore che aveva perseguito eccentricamente un culto<br />
anarchico della libertà e di cui il Foscolo amava il “forte sentire”.<br />
Anche l’Ortis lotta contro ogni forma di tirannide, quella<br />
politica, quella costituita dalla grettezza del costume e della<br />
morale borghese, e soprattutto quella del vivere: il suicidio<br />
del protagonista è un atto di protesta contro l’ineluttabile destino<br />
di dolore e morte della vita dell’uomo. Tuttavia l’eroe<br />
solitario dell’Alfieri è superato dal personaggio foscoliano che<br />
cerca di attuare i suoi ideali nell’incontro con gli uomini e<br />
con la storia.<br />
Si sentono anche gli echi di Rousseau (in particolare de “La<br />
nuova Eloisa”), il più singolare tra i filosofi illuministi, che<br />
aveva posto l’accento sui sentimenti e aveva individuato la<br />
sua utopia nello stato di natura: secondo lui, per primo il sen-
timento si ribella alle ingiustizie della società presente, in seguito<br />
subentra l’impegno razionale.<br />
Altri autori di cui si sente l’influenza sono Macchiavelli e<br />
Hobbes per quanto riguarda la politica, l’illuminista Holbac,<br />
a cui il Foscolo deve la sua concezione materialistico-sensistica<br />
del mondo, visto come movimento di materia senza fine e<br />
senza scopo.<br />
Autobiografia ideale: per quanto l’opera sia in gran parte costruita<br />
con materiale autobiografico, bisogna precisare che il<br />
Foscolo non è completamente identificato col protagonista;<br />
sempre esiste uno iato tra la personalità dell’autore e il personaggio<br />
creato (o anche il narratore). La divergenza più significativa<br />
comunque si ritrova nel rapporto con la politica; l’Ortis<br />
è un politicamente puro, che di fronte al tradimento di napoleone<br />
recide ogni rapporto col tiranno e preferisce il suicidio<br />
al disimpegno; al contrario Foscolo continuò a militare<br />
nell’esercito napoleonico per quanto profondamente deluso.<br />
All’Ortis suicida si contrappone il Foscolo collaborazionista.<br />
OPERE DI POETICA<br />
I due scritti di poetica del Foscolo (“Dell’Origine e dell’Uffizio<br />
della letteratura”, orazione di apertura per l’inaugurazione<br />
dell’anno accademico a Milano; “I Principi di Critica poetica”<br />
del periodo londinese), benché collocati in diversi periodi<br />
della sua vita individuano le stesse caratteristiche fondamentali.<br />
11<br />
Elementi fondamentali: nella poesia devono essere necessariamente<br />
presenti due componenti : 1) il passionato, ovvero il<br />
contenuto sentimentale; 2) il mirabile, cioè l’armamentario<br />
formale di artifici retorici di cui il poeta deve servirsi per<br />
esprimere in una forma letterariamente decorosa il proprio<br />
passionato. In esso rientra, secondo il Foscolo neoclassico, anche<br />
tutto il repertorio di immagini classiche e mitologiche.<br />
Una poesia raggiunge nobile semplicità e calma grandezza<br />
quando il passionato è filtrato dal mirabile in modo che anche<br />
la passione più forte sia presentata in modo dignitoso.<br />
Funzioni: Foscolo indica le principale funzioni della poesia in<br />
quella 1) consolatoria (l’uomo, incapace di dare un senso alla<br />
sua esistenza e travolto dalle passioni, trova consolazione nella<br />
poesia che descrive la bellezza e l’armonia dell’universo) e<br />
in quella 2) oratoria (la poesia deve celebrare e persuadere gli<br />
uomini ai più alti valori). La funzione forse più importante,<br />
implicita nelle precedenti, è comunque<br />
quella 3) civilizzatrice: la poesia<br />
eterna i valori umani e celebra la<br />
bellezza e l’armonia e con ciò spinge<br />
gli uomini futuri ad imitare e sentir<br />
propri questi valori.<br />
ODI E SONETTI<br />
Si conforma ai canoni neoclassici l’opera poetica del Foscolo,<br />
che si lascia alle spalle la suggestione Sturmundranghiana dell’Ortis.<br />
Nonostante ciò la conquista della nobile semplicità e<br />
della calma grandezza non è immediata: i Sonetti pisani, con-
temporanei dell’Ortis, tendono a dare un’espressione violenta<br />
e poco filtrata dal punto di vista formale dei propri sentimenti;<br />
la disperazione “urlata” dell’Ortis è voluta e conforme al<br />
genere, ma i componimenti poetici in questo periodo avrebbero<br />
dovuto assecondare maggiormente i canoni del neoclassicismo,<br />
per cui il prevalere del passionato sul mirabile appare<br />
come una stonatura.<br />
I Sonetti Milanesi e le Odi invece sono prove poeticamente<br />
più riuscite, se si tiene conto della formula del Winkelmann.<br />
Il mezzo attraverso il quale il Foscolo riesce a conciliare profondità<br />
di sentimenti e nobile semplicità è il sistematico ricorso<br />
all’immaginario mitico e il calco di versi classici.<br />
La critica parla di riassorbimento del passionato nel mirabile<br />
e di processo di liberazione attraverso l’immagine.<br />
Nel sonetto “In Morte del fratello Giovanni”, Foscolo calca i<br />
versi di Catullo (come il Monti nell’ode “A Teresa Pikler”) per<br />
parlare di se stesso; nell’ode “All’Amica Risanata” e nell sonetto<br />
“A Zacinto” parla di temi autobiografici e di valori che gli<br />
stanno molto a cuore (bellezza e patria) attraverso il sistematico<br />
ricorso al mito.<br />
CARME DEI SEPOLCRI<br />
Tipologia: i “Sepolcri” sono un carme, ovvero un componimento<br />
di poesia lirica, di circa 300 versi; poichè hanno un destinatario,<br />
inoltre, rientrano nel genere dell’epistola metrica.<br />
Pretesto: il suo scopo è quello di contrastare il provvedimento<br />
illuminista già in vigore in Austria e in Francia, che avrebbe<br />
12<br />
vietato le sepolture in chiesa, i monumenti funebri e le iscrizione<br />
su ciascuna tomba (editto di Saint Cloud). Foscolo, a<br />
causa del suo materialismo, all’inizio era favorevole al provvedimento<br />
e in proposito aveva avuto un dibattito con Ippolito<br />
Pindemonte, un letterato cattolico; dopo essersi ravveduto<br />
scrive questo carme dedicandolo proprio a Pindemonte.<br />
La critica ha definito i sepolcri come una oratio grandis a causa<br />
dei suoi toni solenni e del contenuto politico.<br />
Sistema delle Illusioni: le illusioni sono per il Foscolo dei valori<br />
a cui manca un fondamento di tipo razionale e che però sono<br />
necessarie per dare un senso alla vita dell’uomo; riprende<br />
in ciò la filosofia di Vico che scrisse soprattutto per opporsi al<br />
massimo razionalista, Cartesio, e che stabilisce il sistema delle<br />
certezze, che poi sono le illusioni foscoliane (la conoscenza<br />
del Vico nell’Italia del Nord proviene dagli esuli napoletani<br />
sfuggiti alle persecuzioni borboniche del 1799 per la caduta<br />
della repubblica partenopea).
Funzione politica: nei “Sepolcri” si parla di una di questa illusioni,<br />
quella del culto dei morti. Esso diviene importante non<br />
perché serva in qualche modo ai morti, ma perché è utile a<br />
chi rimane in vita: se il vivo è convinto che l’unico modo per<br />
sopravvivere alla morte sia il ricordo, sarà spinto a comportarsi<br />
bene per ottenere meriti presso familiari, amici e società e<br />
pertanto essere ricordato.<br />
In questo senso il culto dei morti ha un’importanza civile e<br />
politica, in quanto motore della civilizzazione: per soddisfare<br />
un desiderio irrazionale l’uomo compie azioni meritorie che<br />
innalzano praticamente il livello di civiltà.<br />
Il Foscolo insiste nel dire che l’ispirazione del suo carme non<br />
è religiosa (come quella de “I Cimiteri” del Pindemonte e della<br />
poesia sepolcrale inglese) ma politica.<br />
Stile desultorio: il Guillon accusa il carme Dei Sepolcri di desultorietà,<br />
ovvero di essere poco lineare e di omettere passaggi<br />
logici fondamentali. Foscolo risponde dicendo che il procedere<br />
di tipo analogico (per richiami di somiglianza) è uno dei<br />
capi saldi del genere lirico cui il carme appartiene; il poeta<br />
lirico non è obbligato a spiegare con chiari snodi logici il suo<br />
ragionamento. Si parla in proposito di salti pindarici. Per garantire<br />
la sua tesi Foscolo fa riferimento ad un’opera in cui<br />
Orazio afferma che la poesia lirica “transvolat in medio posita”.<br />
LE GRAZIE<br />
13<br />
L’opera fu cominciata tra il ’12 e il ’13, in un periodo molto<br />
sereno trascorso nella villa di Bellosguardo (Firenze) ospite di<br />
alcune amicae del Foscolo (Eleonora Nencini, Cornelia Martinetti,.<br />
L’occasione gli fu fornita dalla notizia che il Canova stava<br />
sbalzando il gruppo marmoreo delle tre grazie.<br />
Lavorò moltissimo su quest’opera anche quando tornò a Milano<br />
(ora sotto gli Austriaci), poi a Zurigo nel ’16, e a Londra<br />
nel ’17. Nonostante ciò rimase incompleta e priva di una<br />
struttura definitiva (questo costituisce una crux per i filologi).<br />
Argomento: Benché non manchino alcuni brevi ma incisivi<br />
riferimenti all’attualità, l’opera è tutta incentrata sul mito: tre<br />
Grazie vengono mandate sulla terra per civilizzare attraverso<br />
le arti belle (scultura, pittura, architettura, musica, letteratura)<br />
gli uomini, che sono ai primordi dei bruti (influsso filosofico<br />
di Vico e Lucrezio).<br />
Contenuto politico: La dimensione mitica che avvolge tutto il<br />
poemetto ha tratto in<br />
inganno la critica per<br />
molti anni: si era interpretata<br />
come<br />
un’opera disimpegnata<br />
poiché non c’era<br />
nessuna battaglia evidente<br />
contro qualche<br />
problema di attualità;<br />
è stato anche detto<br />
che per un’opera del
genere fosse facile e quindi meno meritorio rispettare la formula<br />
winkelmanniana. Oggi la critica la pensa diversamente:<br />
le Grazie celebrano valori universali che rendono un popolo<br />
civile e non può pertanto essere considerata un’opera di evasione,<br />
benché slegata dall’attualità politica.<br />
Si parla di opera “politica” in senso etimologico, in quanto<br />
celebra i valori che stanno alla base della polis; in questo senso<br />
le grazie sono portatrici di una politica trascendentale, che<br />
trascende perciò quella della contingenza.<br />
NOTIZIA INTORNO A DIDIMO CHIERICO<br />
L’Influenza dello Stern: l’opera deve molto alla traduzione<br />
del “Viaggio Sentimentale” dello Stern: in questa opera lo<br />
scrittore inglese fa un resoconto brillante ed ironico del suo<br />
viaggio in Italia. Come diario di viaggio è estremamente anomalo,<br />
in quanto mai si fa riferimento a un qualche luogo o<br />
monumento visto, ma si riferisce con dovizia di particolari degli<br />
incontri umani.<br />
Il Foscolo apprende pertanto l’ironia e l’autoironia, un atteggiamento<br />
indispensabile per attuare quel distacco dalle proprie<br />
passioni che garantisce un esito winkelmanniano della<br />
poesia.<br />
Nell’introduzione alla traduzione il Foscolo inserisce un breve<br />
autoritratto celandosi nella figura di Didimo Chierico, il nuovo<br />
alterego foscoliano; confrontandolo con l’Ortis i due personaggi<br />
sembrano l’uno il contrario dell’altro.<br />
14<br />
Didimo ideale del Foscolo maturo, e descritto come colui che<br />
sente si le passioni ma “come calore di fiamma lontana”.
Alla sera<br />
Autoritratto<br />
A Zacinto<br />
In morte al fratello Giovanni<br />
Alcune lettere dall’Ortis<br />
I sepolcri<br />
Capitolo 2<br />
SELEZIONE<br />
TESTI
Dalle ultime lettere<br />
26 Ottobre <br />
La ho veduta, o Lorenzo, la divina fanciulla; e te ne ringrazio.<br />
La trovai seduta miniando il proprio ritratto. Si rizzò salutandomi<br />
come s’ella mi conoscesse, e ordinò a un servitore<br />
che andasse a cercar di suo padre. Egli non si sperava, mi diss’ella,<br />
che voi sareste venuto; sarà per la campagna; né starà<br />
molto a tornare. Una ragazzina le corse fra le ginocchia dicendole<br />
non so che all’orecchio. È un amico di Lorenzo, le rispose<br />
Teresa, è quello che il babbo andò a trovare l’altr’jeri.<br />
Tornò frattanto il signor T***: m’accoglieva famigliarmente,<br />
ringraziandomi che io mi fossi sovvenuto di lui. Teresa intanto,<br />
prendendo per mano la sua sorellina, partiva. Vedete, mi<br />
diss’egli, additandomi le sue figliuole che uscivano dalla stanza;<br />
eccoci tutti. Proferì, parmi, queste parole come se volesse<br />
farmi sentire che gli mancava sua moglie. Non la nominò. Si<br />
ciarlò lunga pezza. Mentr’io stava per congedarmi, tornò Teresa:<br />
Non siamo tanto lontani, mi disse; venite qualche sera a<br />
veglia con noi. Io tornava a casa col cuore in festa. - Che? lo<br />
spettacolo della bellezza basta forse ad addormentare in noi<br />
tristi mortali tutti i dolori? vedi per me una sorgente di vita:<br />
unica certo, e chi sa! fatale. Ma se io sono predestinato ad avere<br />
l’anima perpetuamente in tempesta, non è tutt’uno?<br />
13 maggio <br />
Jer sera appunto dopo più di due ore d’estatica contemplazione<br />
d’una bella sera di Maggio, io scendeva a passo a passo<br />
dal monte. Il mondo era in cura alla Notte, ed io non sentiva<br />
che il canto della villanella, e non vedeva che i fuochi de’ pa-<br />
16<br />
stori. Scintillavano tutte le stelle, e mentr’io salutava ad una<br />
ad una le costellazioni, la mia mente contraeva un non so che<br />
di celeste, ed il mio cuore s’innalzava come se aspirasse ad<br />
una regione più sublime assai della terra. Mi sono trovato su<br />
la montagnuola presso la chiesa: suonava la campana de’<br />
morti, e il presentimento della mia fine trasse i miei sguardi<br />
sul cimiterio dove ne’ loro cumuli coperti di erba dormono<br />
gli antichi padri della villa: - Abbiate pace, o nude reliquie: la<br />
materia è tornata alla materia; nulla scema, nulla cresce, nulla<br />
si perde quaggiù; tutto si trasforma e si riproduce - umana<br />
sorte! men felice degli altri chi men la teme. - Spossato mi<br />
sdrajai boccone sotto il boschetto de’ pini, e in quella muta<br />
oscurità, mi sfilavano dinanzi alla mente tutte le mie sventure<br />
e tutte le mie speranze. Da qualunque parte io corressi anelando<br />
alla felicità, dopo un aspro viaggio pieno di errori e di<br />
tormenti, mi vedeva spalancata la sepoltura dove io m’andava<br />
a perdere con tutti i mali e tutti i beni di questa inutile vita.<br />
E mi sentiva avvilito e piangeva perché avea bisogno di<br />
consolazione - e ne’ miei singhiozzi io invocava Teresa<br />
14 Maggio, a sera <br />
O quante volte ho ripigliato la penna, e non ho potuto continuare:<br />
mi sento un po’ calmato e torno a scriverti. - Teresa<br />
giacea sotto il gelso - ma e che posso dirti che non sia tutto<br />
racchiuso in queste parole? Vi amo. A queste parole tutto ciò<br />
ch’io vedeva mi sembrava un riso dell’universo: io mirava<br />
con occhi di riconoscenza il cielo, e mi parea ch’egli si spalancasse<br />
per accoglierci! deh! a che non venne la morte? e l’ho<br />
invocata. Sì; ho baciato Teresa; i fiori e le piante esalavano in<br />
quel momento un odore soave; le aure erano tutte armonia; i
ivi risuonavano da lontano; e tutte le cose s’abbellivano allo<br />
splendore della Luna che era tutta piena della luce infinita<br />
della Divinità. Gli elementi e gli esseri esultavano nella gioja<br />
di due cuori ebbri di amore - ho baciata e ribaciata quella mano<br />
- e Teresa mi abbracciava tutta tremante, e trasfondea i<br />
suoi sospiri nella mia bocca, e il suo cuore palpitava su questo<br />
petto: mirandomi co’ suoi grandi occhi languenti, mi baciava,<br />
e le sue labbra umide, socchiuse mormoravano su le mie -<br />
ahi! che ad un tratto mi si è staccata dal seno quasi atterrita:<br />
chiamò sua sorella e s’alzò correndole incontro. Io me le sono<br />
prostrato, e tendeva le braccia come per afferrar le sue vesti -<br />
ma non ho ardito di rattenerla, né richiamarla. La sua virtù -<br />
e non tanto la sua virtù, quanto la sua passione, mi sgomentava:<br />
sentiva e sento rimorso di averla io primo eccitata nel suo<br />
cuore innocente. Ed è rimorso - rimorso di tradimento! Ahi<br />
mio cuore codardo! - Me le sono accostato tremando. - Non<br />
posso essere vostra mai! - e pronunciò queste parole dal cuore<br />
profondo e con una occhiata con cui parea rimproverarsi e<br />
compiangermi. Accompagnandola lungo la via, non mi guardò<br />
più; né io avea più cuore di dirle parola. Giunta alla ferriata<br />
del giardino mi prese di mano la Isabellina e lasciandomi:<br />
Addio, diss’ella; e rivolgendosi dopo pochi passi, - addio. Io<br />
rimasi estatico: avrei baciate l’orme de’ suoi piedi: pendeva<br />
un suo braccio, e i suoi capelli rilucenti al raggio della Luna<br />
svolazzavano mollemente: ma poi, appena appena il lungo<br />
viale e la fosca ombra degli alberi mi concedevano di travedere<br />
le ondeggianti sue vesti che da lontano ancor biancheggiavano;<br />
e poiché l’ebbi perduta, tendeva l’orecchio sperando di<br />
udir la sua voce. - E partendo, mi volsi con le braccia aperte,<br />
17<br />
quasi per consolarmi, all’astro di Venere: era anch’esso sparito.<br />
Dopo quel bacio io son fatto divino. Le mie idee sono più alte<br />
e ridenti, il mio aspetto più gajo, il mio cuore più compassionevole.<br />
Mi pare che tutto s’abbellisca a’ miei sguardi; il lamentar<br />
degli augelli, e il bisbiglio de’ zefiri fra le frondi son<br />
oggi più soavi che mai; le piante si fecondano, e i fiori si colorano<br />
sotto a’ miei piedi; non fuggo più gli uomini, e tutta la<br />
Natura mi sembra mia. Il mio ingegno è tutto bellezza e armonia.<br />
Se dovessi scolpire o dipingere la Beltà, io sdegnando<br />
ogni modello terreno la troverei nella mia immaginazione. O<br />
Amore! le arti belle sono tue figlie; tu primo hai guidato su la<br />
terra la sacra poesia, solo alimento degli animali generosi che<br />
tramandano dalla solitudine i loro canti sovrumani sino alle<br />
più tarde generazioni, spronandole con le voci e co’ pensieri<br />
spirati dal cielo ad altissime imprese: tu raccendi ne’ nostri<br />
petti la sola virtù utile a’ mortali, la Pietà, per cui sorride talvolta<br />
il labbro dell’infelice condannato ai sospiri: e per te rivive<br />
sempre il piacere fecondatore degli esseri, senza del quale<br />
tutto sarebbe caos e morte. Se tu fuggissi, la Terra diverrebbe<br />
ingrata; gli animali, nemici fra loro; il Sole, foco malefico; e il<br />
Mondo, pianto, terrore e distruzione universale. Adesso che<br />
l’anima mia risplende di un tuo raggio, io dimentico le mie<br />
sventure; io rido delle minacce della fortuna, e rinunzio alle<br />
lusinghe dell’avvenire<br />
4 d i c 9 8 <br />
Jer sera dunque io passeggiava con quel vecchio venerando<br />
nel sobborgo orientale della città sotto un boschetto di tigli.
Egli si sosteneva da una parte sul mio braccio, dall’altra sul<br />
suo bastone: e talora guardava gli storpj suoi piedi, e poi senza<br />
dire parola volgevasi a me, quasi si dolesse di quella sua infermità,<br />
e mi ringraziasse della pazienza con la quale io lo accompagnava.<br />
S’assise sopra uno di que’ sedili ed io con lui: il<br />
suo servo ci stava poco discosto. Il Parini è il personaggio più<br />
dignitoso e più eloquente ch’io m’abbia mai conosciuto; e<br />
d’altronde un profondo, generoso, meditato dolore a chi non<br />
dà somma eloquenza? Mi parlò a lungo della sua patria, e fremeva<br />
e per le antiche tirannidi e per la nuova licenza. Le lettere<br />
prostituite; tutte le passioni languenti e degenerate in<br />
una indolente vilissima corruzione: non più la sacra ospitalità,<br />
non la benevolenza, non più l’amore figliale - e poi mi tesseva<br />
gli annali recenti, e i delitti di tanti uomiciattoli ch’io degnerei<br />
di nominare, se le loro scelleraggini mostrassero il vigore<br />
d’animo, non dirò di Silla e di Catilina, ma di quegli animosi<br />
masnadieri che affrontano il misfatto quantunque e’ si<br />
vedano presso il patibolo - ma ladroncelli, tremanti, saccenti<br />
- più onesto insomma è tacerne. - A quelle parole io m’infiammava<br />
di un sovrumano furore, e sorgeva gridando: Ché non<br />
si tenta? morremo? ma frutterà dal nostro sangue il vendicatore.<br />
- Egli mi guardò attonito: gli occhi miei in quel dubbio<br />
chiarore scintillavano spaventosi, e il mio dimesso e pallido<br />
aspetto si rialzò con aria minaccevole - io taceva, ma si sentiva<br />
ancora un fremito rumoreggiare cupamente dentro il mio<br />
petto. E ripresi: Non avremo salute mai? ah se gli uomini si<br />
conducessero sempre al fianco la morte, non servirebbero sì<br />
vilmente. - Il Parini non apria bocca; ma stringendomi il braccio,<br />
mi guardava ogni ora più fisso. Poi mi trasse, come accen-<br />
18<br />
nandomi perch’io tornassi a sedermi: E pensi, tu, proruppe,<br />
che s’io discernessi un barlume di libertà, mi perderei ad onta<br />
della mia inferma vecchiaja in questi vani lamenti? o giovine<br />
degno di patria più grata! se non puoi spegnere quel tuo<br />
ardore fatale, ché non lo volgi ad altre passioni? Allora io<br />
guardai nel passato - allora io mi voltava avidamente al futuro,<br />
ma io errava sempre nel vano e le mie braccia tornavano<br />
deluse senza pur mai stringere nulla; e conobbi tutta tutta la<br />
disperazione del mio stato. Narrai a quel generoso Italiano la<br />
storia delle mie passioni, e gli dipinsi Teresa come uno di<br />
que’ genj celesti i quali par che discendano a illuminare la<br />
stanza tenebrosa di questa vita. E alle mie parole e al mio<br />
pianto, il vecchio pietoso più volte sospirò dal cuore profondo.<br />
- No, io gli dissi, non veggo più che il sepolcro: sono figlio<br />
di madre affettuosa e benefica; spesse volte mi sembrò di vederla<br />
calcare tremando le mie pedate e seguirmi fino a sommo<br />
il monte, donde io stava per diruparmi, e mentre era quasi<br />
con tutto il corpo abbandonato nell’aria - essa afferravami<br />
per la falda delle vesti, e mi ritraeva, ed io volgendomi non<br />
udiva più che il suo pianto. Pure s’ella - spiasse tutti gli occulti<br />
miei guai, implorerebbe ella stessa dal Cielo il termine degli<br />
ansiosi miei giorni. Ma l’unica fiamma vitale che anima<br />
ancora questo travagliato mio corpo, è la speranza di tentare<br />
la libertà della patria. - Egli sorrise mestamente; e poiché s’accorse<br />
che la mia voce infiochiva, e i miei sguardi si abbassavano<br />
immoti sul suolo, ricominciò: - Forse questo tuo furore di<br />
gloria potrebbe trarti a difficili imprese; ma - credimi; la fama<br />
degli eroi spetta un quarto alla loro audacia; due quarti<br />
alla sorte; e l’altro quarto a’ loro delitti. Pur se ti reputi baste-
volmente fortunato e crudele per aspirare a questa gloria,<br />
pensi tu che i tempi te ne porgano i mezzi? I gemiti di tutte le<br />
età, e questo giogo della nostra patria non ti hanno per anco<br />
insegnato che non si dee aspettare libertà dallo straniero?<br />
Chiunque s’intrica nelle faccende di un paese conquistato<br />
non ritrae che il pubblico danno, e la propria infamia. Quando<br />
e doveri e diritti stanno su la punta della spada, il forte<br />
scrive le leggi col sangue e pretende il sacrificio della virtù. E<br />
allora? avrai tu la fama e il valore di Annibale che profugo<br />
cercava per l’universo un nemico al popolo Romano? - Né ti<br />
sarà dato di essere giusto impunemente. Un giovine dritto e<br />
bollente di cuore, ma povero di ricchezze, ed incauto d’ingegno<br />
quale sei tu, sarà sempre o l’ordigno del fazioso, o la vittima<br />
del potente. E dove tu nelle pubbliche cose possa preservarti<br />
incontaminato dalla comune bruttura, oh! tu sarai altamente<br />
laudato; ma spento poscia dal pugnale notturno della<br />
calunnia; la tua prigione sarà abbandonata da’ tuoi amici, e il<br />
tuo sepolcro degnato appena di un secreto sospiro. - Ma poniamo<br />
che tu superando e la prepotenza degli stranieri e la<br />
malignità de’ tuoi concittadini e la corruzione de’ tempi, potessi<br />
aspirare al tuo intento; di’? spargerai tutto il sangue col<br />
quale conviene nutrire una nascente repubblica? arderai le<br />
tue case con le faci della guerra civile? unirai col terrore i partiti?<br />
spegnerai con la morte le opinioni? adeguerai con le stragi<br />
le fortune? ma se tu cadi tra via, vediti esecrato dagli uni<br />
come demagogo, dagli altri come tiranno. Gli amori della<br />
moltitudine sono brevi ed infausti; giudica, più che dall’intento,<br />
dalla fortuna; chiama virtù il delitto utile, e scelleraggine<br />
l’onestà che le pare dannosa; e per avere i suoi plausi, convie-<br />
19<br />
ne o atterrirla, o ingrassarla, e ingannarla sempre. E ciò sia.<br />
Potrai tu allora inorgoglito dalla sterminata fortuna reprimere<br />
in te la libidine del supremo potere che ti sarà fomentata e<br />
dal sentimento della tua superiorità, e della conoscenza del<br />
comune avvilimento? I mortali sono naturalmente schiavi, naturalmente<br />
tiranni, naturalmente ciechi. Intento tu allora a<br />
puntellare il tuo trono, di filosofo saresti fatto tiranno; e per<br />
pochi anni di possanza e di tremore, avresti perduta la tua pace,<br />
e confuso il tuo nome fra la immensa turba dei despoti. -<br />
Ti avanza ancora un seggio fra’ capitani; il quale si afferra<br />
per mezzo di un ardire feroce, di una avidità che rapisce per<br />
profondere, e spesso di una viltà per cui si lambe la mano che<br />
t’aita a salire. Ma - o figliuolo! l’umanità geme al nascere di<br />
un conquistatore; e non ha per conforto se non la speranza di<br />
sorridere su la sua bara. - Tacque - ed io dopo lunghissimo<br />
silenzio esclamai: O Cocceo Nerva! tu almeno sapevi morire<br />
incontaminato.[4] - Il vecchio mi guardò - Se tu né speri, né<br />
temi fuori di questo mondo - e mi stringeva la mano - ma io!<br />
- Alzò gli occhi al Cielo, e quella severa sua fisionomia si raddolciva<br />
di soave conforto, come s’ei lassù contemplasse tutte<br />
le tue speranze. - Intesi un calpestio che s’avanzava verso di<br />
noi; e poi travidi gente fra’ tiglj; ci rizzammo; e l’accompagnai<br />
sino alle sue stanze.<br />
Dei Sepolcri<br />
All'ombra de' cipressi e dentro l'urne <br />
confortate di pianto è forse il sonno <br />
della morte men duro? Ove piú il Sole
per me alla terra non fecondi questa <br />
bella d'erbe famiglia e d'animali, <br />
e quando vaghe di lusinghe innanzi <br />
a me non danzeran l'ore future, <br />
né da te, dolce amico, udrò piú il verso <br />
e la mesta armonia che lo governa, <br />
né piú nel cor mi parlerà lo spirto <br />
delle vergini Muse e dell'amore, <br />
unico spirto a mia vita raminga, <br />
qual fia ristoro a' dí perduti un sasso <br />
che distingua le mie dalle infinite <br />
ossa che in terra e in mar semina morte? <br />
Vero è ben, Pindemonte! Anche la Speme, <br />
ultima Dea, fugge i sepolcri: e involve <br />
tutte cose l'obblío nella sua notte; <br />
e una forza operosa le affatica <br />
di moto in moto; e l'uomo e le sue tombe <br />
e l'estreme sembianze e le reliquie <br />
della terra e del ciel traveste il tempo. <br />
Ma perché pria del tempo a sé il mortale <br />
invidierà l'illusïon che spento <br />
pur lo sofferma al limitar di Dite? <br />
Non vive ei forse anche sotterra, quando <br />
gli sarà muta l'armonia del giorno, <br />
se può destarla con soavi cure <br />
nella mente de' suoi? Celeste è questa <br />
corrispondenza d'amorosi sensi, <br />
20<br />
celeste dote è negli umani; e spesso <br />
per lei si vive con l'amico estinto <br />
e l'estinto con noi, se pia la terra <br />
che lo raccolse infante e lo nutriva, <br />
nel suo grembo materno ultimo asilo <br />
porgendo, sacre le reliquie renda <br />
dall'insultar de' nembi e dal profano <br />
piede del vulgo, e serbi un sasso il nome, <br />
e di fiori odorata arbore amica <br />
le ceneri di molli ombre consoli. <br />
Sol chi non lascia eredità d'affetti <br />
poca gioia ha dell'urna; e se pur mira <br />
dopo l'esequie, errar vede il suo spirto <br />
fra 'l compianto de' templi acherontei, <br />
o ricovrarsi sotto le grandi ale <br />
del perdono d'lddio: ma la sua polve <br />
lascia alle ortiche di deserta gleba <br />
ove né donna innamorata preghi, <br />
né passeggier solingo oda il sospiro <br />
che dal tumulo a noi manda Natura. <br />
Pur nuova legge impone oggi i sepolcri <br />
fuor de' guardi pietosi, e il nome a' morti <br />
contende. E senza tomba giace il tuo <br />
sacerdote, o Talia, che a te cantando <br />
nel suo povero tetto educò un lauro <br />
con lungo amore, e t'appendea corone; <br />
e tu gli ornavi del tuo riso i canti
che il lombardo pungean Sardanapalo, <br />
cui solo è dolce il muggito de' buoi <br />
che dagli antri abdüani e dal Ticino <br />
lo fan d'ozi beato e di vivande. <br />
O bella Musa, ove sei tu? Non sento <br />
spirar l'ambrosia, indizio del tuo nume, <br />
fra queste piante ov'io siedo e sospiro <br />
il mio tetto materno. E tu venivi <br />
e sorridevi a lui sotto quel tiglio <br />
ch'or con dimesse frondi va fremendo <br />
perché non copre, o Dea, l'urna del vecchio <br />
cui già di calma era cortese e d'ombre. <br />
Forse tu fra plebei tumuli guardi <br />
vagolando, ove dorma il sacro capo <br />
del tuo Parini? A lui non ombre pose <br />
tra le sue mura la città, lasciva <br />
d'evirati cantori allettatrice, <br />
non pietra, non parola; e forse l'ossa <br />
col mozzo capo gl'insanguina il ladro <br />
che lasciò sul patibolo i delitti. <br />
Senti raspar fra le macerie e i bronchi <br />
la derelitta cagna ramingando <br />
su le fosse e famelica ululando; <br />
e uscir del teschio, ove fuggia la luna, <br />
l'úpupa, e svolazzar su per le croci <br />
sparse per la funerëa campagna <br />
e l'immonda accusar col luttüoso <br />
21<br />
singulto i rai di che son pie le stelle <br />
alle obblïate sepolture. Indarno <br />
sul tuo poeta, o Dea, preghi rugiade <br />
dalla squallida notte. Ahi! su gli estinti <br />
non sorge fiore, ove non sia d'umane <br />
lodi onorato e d'amoroso pianto.<br />
Dal dí che nozze e tribunali ed are <br />
diero alle umane belve esser pietose <br />
di se stesse e d'altrui, toglieano i vivi <br />
all'etere maligno ed alle fere <br />
i miserandi avanzi che Natura <br />
con veci eterne a sensi altri destina. <br />
Testimonianza a' fasti eran le tombe, <br />
ed are a' figli; e uscían quindi i responsi <br />
de' domestici Lari, e fu temuto <br />
su la polve degli avi il giuramento: <br />
religïon che con diversi riti <br />
le virtú patrie e la pietà congiunta <br />
tradussero per lungo ordine d'anni. <br />
Non sempre i sassi sepolcrali a' templi <br />
fean pavimento; né agl'incensi avvolto <br />
de' cadaveri il lezzo i supplicanti <br />
contaminò; né le città fur meste <br />
d'effigïati scheletri: le madri <br />
balzan ne' sonni esterrefatte, e tendono <br />
nude le braccia su l'amato capo <br />
del lor caro lattante onde nol desti
il gemer lungo di persona morta <br />
chiedente la venal prece agli eredi <br />
dal santuario. Ma cipressi e cedri <br />
di puri effluvi i zefiri impregnando <br />
perenne verde protendean su l'urne <br />
per memoria perenne, e prezïosi <br />
vasi accogliean le lagrime votive. <br />
Rapían gli amici una favilla al Sole <br />
a illuminar la sotterranea notte, <br />
perché gli occhi dell'uom cercan morendo <br />
il Sole; e tutti l'ultimo sospiro <br />
mandano i petti alla fuggente luce. <br />
Le fontane versando acque lustrali <br />
amaranti educavano e vïole <br />
su la funebre zolla; e chi sedea <br />
a libar latte o a raccontar sue pene <br />
ai cari estinti, una fragranza intorno <br />
sentía qual d'aura de' beati Elisi. <br />
Pietosa insania che fa cari gli orti <br />
de' suburbani avelli alle britanne <br />
vergini, dove le conduce amore <br />
della perduta madre, ove clementi <br />
pregaro i Geni del ritorno al prode <br />
cne tronca fe' la trïonfata nave <br />
del maggior pino, e si scavò la bara. <br />
Ma ove dorme il furor d'inclite gesta <br />
e sien ministri al vivere civile <br />
22<br />
l'opulenza e il tremore, inutil pompa <br />
e inaugurate immagini dell'Orco <br />
sorgon cippi e marmorei monumenti. <br />
Già il dotto e il ricco ed il patrizio vulgo, <br />
decoro e mente al bello italo regno, <br />
nelle adulate reggie ha sepoltura <br />
già vivo, e i stemmi unica laude. A noi <br />
morte apparecchi riposato albergo, <br />
ove una volta la fortuna cessi <br />
dalle vendette, e l'amistà raccolga <br />
non di tesori eredità, ma caldi <br />
sensi e di liberal carme l'esempio. <br />
A egregie cose il forte animo accendono <br />
l'urne de' forti, o Pindemonte; e bella <br />
e santa fanno al peregrin la terra <br />
che le ricetta. Io quando il monumento <br />
vidi ove posa il corpo di quel grande <br />
che temprando lo scettro a' regnatori <br />
gli allòr ne sfronda, ed alle genti svela <br />
di che lagrime grondi e di che sangue; <br />
e l'arca di colui che nuovo Olimpo <br />
alzò in Roma a' Celesti; e di chi vide <br />
sotto l'etereo padiglion rotarsi <br />
piú mondi, e il Sole irradïarli immoto, <br />
onde all'Anglo che tanta ala vi stese <br />
sgombrò primo le vie del firmamento: <br />
- Te beata, gridai, per le felici
aure pregne di vita, e pe' lavacri <br />
che da' suoi gioghi a te versa Apennino! <br />
Lieta dell'aer tuo veste la Luna <br />
di luce limpidissima i tuoi colli <br />
per vendemmia festanti, e le convalli <br />
popolate di case e d'oliveti <br />
mille di fiori al ciel mandano incensi: <br />
e tu prima, Firenze, udivi il carme <br />
che allegrò l'ira al Ghibellin fuggiasco, <br />
e tu i cari parenti e l'idïoma <br />
désti a quel dolce di Calliope labbro <br />
che Amore in Grecia nudo e nudo in Roma <br />
d'un velo candidissimo adornando, <br />
rendea nel grembo a Venere Celeste; <br />
ma piú beata che in un tempio accolte <br />
serbi l'itale glorie, uniche forse <br />
da che le mal vietate Alpi e l'alterna <br />
onnipotenza delle umane sorti <br />
armi e sostanze t' invadeano ed are <br />
e patria e, tranne la memoria, tutto. <br />
Che ove speme di gloria agli animosi <br />
intelletti rifulga ed all'Italia, <br />
quindi trarrem gli auspici. E a questi marmi <br />
venne spesso Vittorio ad ispirarsi. <br />
Irato a' patrii Numi, errava muto <br />
ove Arno è piú deserto, i campi e il cielo <br />
desïoso mirando; e poi che nullo <br />
23<br />
vivente aspetto gli molcea la cura, <br />
qui posava l'austero; e avea sul volto <br />
il pallor della morte e la speranza. <br />
Con questi grandi abita eterno: e l'ossa <br />
fremono amor di patria. Ah sí! da quella <br />
religïosa pace un Nume parla: <br />
e nutria contro a' Persi in Maratona <br />
ove Atene sacrò tombe a' suoi prodi, <br />
la virtú greca e l'ira. Il navigante <br />
che veleggiò quel mar sotto l'Eubea, <br />
vedea per l'ampia oscurità scintille <br />
balenar d'elmi e di cozzanti brandi, <br />
fumar le pire igneo vapor, corrusche <br />
d'armi ferree vedea larve guerriere <br />
cercar la pugna; e all'orror de' notturni <br />
silenzi si spandea lungo ne' campi <br />
di falangi un tumulto e un suon di tube <br />
e un incalzar di cavalli accorrenti <br />
scalpitanti su gli elmi a' moribondi, <br />
e pianto, ed inni, e delle Parche il canto. <br />
Felice te che il regno ampio de' venti, <br />
Ippolito, a' tuoi verdi anni correvi! <br />
E se il piloto ti drizzò l'antenna <br />
oltre l'isole egèe, d'antichi fatti <br />
certo udisti suonar dell'Ellesponto <br />
i liti, e la marea mugghiar portando <br />
alle prode retèe l'armi d'Achille <br />
sovra l'ossa d'Ajace: a' generosi
giusta di glorie dispensiera è morte; <br />
né senno astuto né favor di regi <br />
all'Itaco le spoglie ardue serbava, <br />
ché alla poppa raminga le ritolse <br />
l'onda incitata dagl'inferni Dei. <br />
E me che i tempi ed il desio d'onore <br />
fan per diversa gente ir fuggitivo, <br />
me ad evocar gli eroi chiamin le Muse <br />
del mortale pensiero animatrici. <br />
Siedon custodi de' sepolcri, e quando <br />
il tempo con sue fredde ale vi spazza <br />
fin le rovine, le Pimplèe fan lieti <br />
di lor canto i deserti, e l'armonia <br />
vince di mille secoli il silenzio. <br />
Ed oggi nella Troade inseminata <br />
eterno splende a' peregrini un loco, <br />
eterno per la Ninfa a cui fu sposo <br />
Giove, ed a Giove diè Dàrdano figlio, <br />
onde fur Troia e Assàraco e i cinquanta <br />
talami e il regno della giulia gente. <br />
Però che quando Elettra udí la Parca <br />
che lei dalle vitali aure del giorno <br />
chiamava a' cori dell'Eliso, a Giove <br />
mandò il voto supremo: - E se, diceva, <br />
a te fur care le mie chiome e il viso <br />
e le dolci vigilie, e non mi assente <br />
premio miglior la volontà de' fati, <br />
24<br />
la morta amica almen guarda dal cielo <br />
onde d'Elettra tua resti la fama. - <br />
Cosí orando moriva. E ne gemea <br />
l'Olimpio: e l'immortal capo accennando <br />
piovea dai crini ambrosia su la Ninfa, <br />
e fe' sacro quel corpo e la sua tomba. <br />
Ivi posò Erittonio, e dorme il giusto <br />
cenere d'Ilo; ivi l'iliache donne <br />
sciogliean le chiome, indarno ahi! deprecando <br />
da' lor mariti l'imminente fato; <br />
ivi Cassandra, allor che il Nume in petto <br />
le fea parlar di Troia il dí mortale, <br />
venne; e all'ombre cantò carme amoroso, <br />
e guidava i nepoti, e l'amoroso <br />
apprendeva lamento a' giovinetti. <br />
E dicea sospirando: - Oh se mai d'Argo, <br />
ove al Tidíde e di Läerte al figlio <br />
pascerete i cavalli, a voi permetta <br />
ritorno il cielo, invan la patria vostra <br />
cercherete! Le mura, opra di Febo, <br />
sotto le lor reliquie fumeranno. <br />
Ma i Penati di Troia avranno stanza <br />
in queste tombe; ché de' Numi è dono <br />
servar nelle miserie altero nome. <br />
E voi, palme e cipressi che le nuore <br />
piantan di Priamo, e crescerete ahi presto <br />
di vedovili lagrime innaffiati,
proteggete i miei padri: e chi la scure <br />
asterrà pio dalle devote frondi <br />
men si dorrà di consanguinei lutti, <br />
e santamente toccherà l'altare. <br />
Proteggete i miei padri. Un dí vedrete <br />
mendico un cieco errar sotto le vostre <br />
antichissime ombre, e brancolando <br />
penetrar negli avelli, e abbracciar l'urne, <br />
e interrogarle. Gemeranno gli antri <br />
secreti, e tutta narrerà la tomba <br />
Ilio raso due volte e due risorto <br />
splendidamente su le mute vie <br />
per far piú bello l'ultimo trofeo <br />
ai fatati Pelídi. Il sacro vate, <br />
placando quelle afflitte alme col canto, <br />
i prenci argivi eternerà per quante <br />
abbraccia terre il gran padre Oceàno. <br />
E tu onore di pianti, Ettore, avrai, <br />
ove fia santo e lagrimato il sangue <br />
per la patria versato, e finché il Sole <br />
risplenderà su le sciagure umane.<br />
Sonetti<br />
25<br />
Alla sera<br />
Forse perché della fatal quïete <br />
Tu sei l'imago a me sì cara vieni <br />
O sera! E quando ti corteggian liete <br />
Le nubi estive e i zeffiri sereni, <br />
E quando dal nevoso aere inquïete <br />
Tenebre e lunghe all'universo meni <br />
Sempre scendi invocata, e le secrete <br />
Vie del mio cor soavemente tieni. <br />
Vagar mi fai co' miei pensier su l'orme <br />
che vanno al nulla eterno; e intanto fugge <br />
questo reo tempo, e van con lui le torme <br />
Delle cure onde meco egli si strugge; <br />
e mentre io guardo la tua pace, dorme <br />
Quello spirto guerrier ch'entro mi rugge.
A Zacinto<br />
Né più mai toccherò le sacre sponde <br />
ove il mio corpo fanciulletto giacque, <br />
Zacinto mia, che te specchi nell'onde <br />
del greco mar da cui vergine nacque <br />
Venere, e fea quelle isole feconde <br />
col suo primo sorriso, onde non tacque <br />
le tue limpide nubi e le tue fronde <br />
l'inclito verso di colui che l'acque <br />
cantò fatali, ed il diverso esiglio <br />
per cui bello di fama e di sventura <br />
baciò la sua petrosa Itaca Ulisse. <br />
Tu non altro che il canto avrai del figlio, <br />
o materna mia terra; a noi prescrisse <br />
il fato illacrimata sepoltura.<br />
26<br />
In morte al fratello Giovanni<br />
Un dì, s'io non andrò sempre fuggendo <br />
di gente in gente, me vedrai seduto <br />
su la tua pietra, o fratel mio, gemendo <br />
il fior de' tuoi gentil anni caduto. <br />
La Madre or sol suo dì tardo traendo <br />
parla di me col tuo cenere muto, <br />
ma io deluse a voi le palme tendo <br />
e sol da lunge i miei tetti saluto. <br />
Sento gli avversi numi, e le secrete <br />
cure che al viver tuo furon tempesta, <br />
e prego anch'io nel tuo porto quiete. <br />
Questo di tanta speme oggi mi resta! <br />
Straniere genti, almen le ossa rendete <br />
allora al petto della madre mesta.<br />
❖ Parafrasi sepolcri<br />
Il sonno della morte è forse meno doloroso all’ombra dei<br />
cipressi e nei sepolcri su cui i parenti possono piangere i loro<br />
morti?
Quando il Sole per me non feconderà più la terra con le belle<br />
specie di piante e di animali, e quando il futuro davanti a me<br />
non ci sarà più, ricco di lusinghe, né potrò più udire, dolce<br />
amico, la tua poesia malinconica, né più sentirò nel cuore<br />
l’ispirazione poetica e il sentimento d’amore, unico alimento<br />
per la mia vita di esule, quale risarcimento per i giorni perduti<br />
potrà mai costruire una pietra tombale che distingua le mie<br />
ossa da tutte le altre che la morte dissemina in terra e in mare?<br />
E’ proprio vero, Pindemonte! Anche la Speranza, ultima Dea,<br />
abbandona i sepolcri; e la dimenticanza avvolge ogni cosa<br />
nelle tenebre della notte; il tempo muta l’uomo, i sepolcri, le<br />
spoglie e ciò che resta della terra e del cielo.<br />
Ma perché l’uomo dovrà privarsi prima del tempo<br />
dell’illusione che seppur morto possa tuttavia soffermarsi sulla<br />
soglia del regno dei morti?<br />
Non vive anche egli sotto terra, quando la bellezza del mondo<br />
sarà per lui cessata, se può destare l’illusione di sopravvivenza<br />
con il ricordo dei teneri affetti nella mente dei suoi cari?<br />
Questa corrispondenza di affetti tra i defunti e i vivi è un dono<br />
celeste; e spesso attraverso di essa si continua a vivere con<br />
l’amico morto, e il morto continua a vivere con noi, a<br />
condizione che la terra pietosa che lo accolse e lo nutrì da<br />
bambino, offrendogli nel suo grembo materno l’ultimo rifugio,<br />
renda inviolabili i suoi resti dagli oltraggi degli agenti<br />
atmosferici e dal sacrilegio piede del volgo, e una lapide<br />
conservi il nome, e un albero amico, profumato di fiori consòli<br />
le ceneri con la dolce ombra. Solo chi non lascia affetti tra i<br />
vivi ha poco conforto nella tomba; e se pure immagina ciò che<br />
accadrà dopo i funerali, vede il suo spirito vagare nel pianto<br />
27<br />
nelle regioni d’Acheronte, o rifugiarsi sotto le grandi ali del<br />
perdono di Dio; ma le sue ceneri lasciano alle ortiche in una<br />
deserta terra dove né una donna innamorata verrà a pregare,<br />
né un passante solitario potrà udire il sospiro che la natura<br />
manda dalla tomba.<br />
Tuttavia una nuova legge oggi impone che i sepolcri siano<br />
posti fuori dagli sguardi pietosi, e toglie la possibilità di nomi<br />
sulle tombe. E senza tomba giace il tuo sacerdote, o Talia<br />
(poesia), il quale cantando per te nella sua povera casa fece<br />
crescere una pianta d’alloro con amore costante, e ti offriva<br />
serti di fiori; e tu rendevi bella con la tua ispirazione la poesia<br />
che criticava il nobile lombardo (Sardanapalo) per il quale è<br />
gradito solo il muggito dei buoi che, provenendo dalle rive<br />
dell’Adda e del Ticino, lo rendono beato di ozi e di cibi. Oh<br />
bella Musa, dove sei? Non sento il profumo dell’ambrosia, che<br />
indica la presenza della musa, fra questi tigli dove io sto seduto<br />
sospirando per la mia patria lontana. E tu venivi e gli sorridevi<br />
sotto quel tiglio che ora con le fronde intristite sembra fremere<br />
perché non ricopre, o Dea, la tomba del vecchio a cui già<br />
aveva profuso calma e ombra. Forse tu fra le tombe comuni<br />
stai vagando ansiosamente per cercare dove sia sepolto il capo<br />
sacro del tuo Parini? A lui la città corrotta compensatrice di<br />
cantanti evirati, non ha dedicato una tomba ombrosa, non una<br />
lapide, non un’epigrafe; e forse insanguina le ossa di Parini il<br />
capo mozzato di un ladro che è stato giustiziato sul patibolo<br />
per i suoi delitti. Senti raspare tra le tombe ridotte a macerie e<br />
gli sterpi la cagna randagia che vaga tra le fosse, latrando per<br />
la fame; e uscire dal teschio, dove si era rintanata per sfuggire<br />
la luna, l’upupa e svolazzare tra le croci sparse nel cimitero di
campagna, e senti l’immondo uccello rimproverare con il suo<br />
verso lugubre i raggi che pietosamente le stelle inviano alle<br />
sepolture dimenticate. Invano sulla tomba del tuo poeta, o<br />
Dea, invochi gocce di rugiada dalla squallida notte. Ahi! Sui<br />
morti non sorgono fiori, se il morto non viene onorato dalle<br />
lodi umane e dal<br />
Filmato 2.1 Lettura dei Sepolcri<br />
Youtube<br />
pianto amoroso.<br />
Dal giorno in cui<br />
l’istituzione del<br />
matrimonio, delle leggi<br />
e della religione<br />
concessero agli uomini<br />
primitivi di essere<br />
pietosi verso sé stessi e<br />
verso altri, i vivi<br />
toglievano all’aria<br />
maligna e alle bestie<br />
feroci i resti corruttibili<br />
dei defunti che la<br />
Natura con vicende eterne destina ad altre forme di vita. Le<br />
tombe erano testimonianza dei fatti gloriosi ed erano altari per<br />
i figli; e uscivano quindi le risposte dei Lari domestici, e fu<br />
osservato con timore il giuramento fatto sulla tomba degli<br />
antenati: culto che in diverse forme rituali le virtù patriottiche<br />
e l’affetto per i parenti tramandarono per una lunga serie di<br />
anni.<br />
Non sempre le pietre tombali facevano da pavimento alle<br />
chiese; non da sempre il puzzo dei cadaveri mescolato al<br />
profumo dell’incenso i fedeli che pregavano contaminò; non<br />
28<br />
da sempre le città furono rattristate dalla vista di immagini di<br />
scheletri: le madri balzano nel sonno atterrite, e tendono le<br />
braccia nude sul capo amato del loro piccino, affinché non lo<br />
svegli il lungo gemito di un defunto che chiede agli eredi<br />
preghiere di suffragio dalla chiesa in cui è seppellito. Ma i<br />
cipressi e cedri impregnando l’aria di puri profumi<br />
protendevano i loro rami sempreverdi sulle tombe segno della<br />
memoria perenne, e preziosi vasi raccoglievano le lacrime<br />
offerte in voto. Gli amici del morto strappavano una favilla al<br />
Sole per rischiarare il buio del sepolcro perché gli occhi di un<br />
uomo che muore cercano la luce del sole: e tutti l’ultimo<br />
sospiro mandano alla luce che sfugge. Le fontane versando<br />
acque purificatrici facevano crescere amaranti e viole sul<br />
terreno della tomba; e chi sedeva a versare latte e a raccontare<br />
le proprie pene ai cari defunti, un profumo intorno sentiva<br />
simile all’aria dei campi Elisi. Pietosa pazzia che rende cari i<br />
giardini dei cimiteri alle inglesi giovani donne dove le conduce<br />
l’amore della madre perduta, dove, clementi, pregano i Geni<br />
affinché concedessero il ritorno dell’eroe che troncò l’albero<br />
maestro della nave nemica da lui sconfitta, e si scavò la bara.<br />
Ma il paese in cui dorme l’ardente desiderio di compiere gesta<br />
gloriose e dove a governare la vita sociale sono la ricchezza<br />
improduttiva e sfarzosa e la viltà, segni di lusso esteriore e<br />
funesti simboli del regno dei morti sorgono lapidi e<br />
monumenti di marmo.<br />
Già i letterati, i mercanti, e i proprietari di terre ornamento e<br />
classe dirigente del bel Regno d’Italia, hanno sepoltura nelle<br />
regge e nei palazzi da vivi e gli stemmi come unico titolo di<br />
gloria. A me la morte prepari un quieto rifugio quando
finalmente la sorte cesserà di perseguitarmi e gli amici<br />
raccoglieranno un’eredità non di tesori, ma di affetti vivi e<br />
sinceri e l’esempio di una poesia degna d’uomo libero e che<br />
incita a libertà.<br />
Le tombe dei grandi uomini accendono gli animi nobili ad<br />
imprese memorabili, o Pindemonte; e rendono bella e sacra<br />
allo straniero la terra che le accoglie. Io quando vidi la tomba<br />
dove riposa il corpo di quel grande uomo (MACHIAVELLI),<br />
che insegnando ai regnanti come governare, ne toglie gli allori,<br />
e rivela ai popoli come il potere grondi di lacrime e di sangue;<br />
e quando vidi la tomba di colui che un nuovo Olimpo innalzò<br />
agli dei a Roma (MICHELANGELO); e quando vidi la tomba<br />
di chi vide più pianeti ruotare nella volta celeste, e il sole<br />
immobile illuminarli (GALILEI), per cui per primo aprì le<br />
strade del cielo all’inglese (NEWTON) che vi fece straordinari<br />
progressi; gridai, beata te (Firenze), per la tua aria salubre e<br />
ricca di vita, e per i fiumi che l’Appennino versa a te dai suoi<br />
gioghi! La luna lieta per la tua aria pura riveste di luce<br />
limpidissima i tuoi colli in festa per la vendemmia, e le valli<br />
popolate di case e di uliveti mandano al cielo mille profumi di<br />
fiori: e tu per prima, Firenze, udivi il poema che confortò la<br />
rabbia all’esule Ghibellino (DANTE), e tu desti i genitori<br />
(fiorentini) e la lingua a quel dolce labbro di Calliope<br />
(PETRARCA) che adornando Amore cantato in modo pagano<br />
in Grecia e a Roma di un leggero velo, lo restituì a Venere<br />
Celeste. Ma ancora più beata sei perché conservi in un tempio<br />
le glorie italiane, forse le uniche rimaste da quando le Alpi mal<br />
difese e l’alternarsi della potenza tra le diverse nazioni ti hanno<br />
privato delle armi, della ricchezza, della religione e della<br />
29<br />
nazione e, tranne che del ricordo del passato, di tutto.<br />
Nel giorno in cui la speranza di gloria risplenderà agli animi<br />
generosi e all’Italia, trarremo gli auspici per le azioni future. E<br />
a queste tombe venne spesso ad ispirarsi Vittorio (Alfieri).<br />
Adirato contro gli dei della patria, errava in silenzio nei luoghi<br />
più deserti introno all’Arno, desideroso guardando i campi e il<br />
cielo; e poiché nessun essere vivente gli addolciva l’affanno, si<br />
sedeva qui il severo; e aveva sul viso il pallore della morte e la<br />
speranza. Abita con questi eternamente: le sue ossa fremono<br />
per l’amor di patria. Ah sì! Da quella pace sacra una voce<br />
divina parla: quello stesso che alimentò il valore e l’impeto<br />
guerriero di Greci che batterono i Persiani a Maratona dove<br />
Atene consacrò tombe ai suoi guerrieri. Il navigante che<br />
solcava in quel mare sotto l’isola di Eubea, vedeva nella grande<br />
oscurità apparire scintille di elmi e spade che si urtavano,<br />
vedeva fumare i roghi di cadaveri, vedeva fantasmi di guerrieri<br />
luccicanti di armi di ferro cercare la battaglia; e nell’orrore dei<br />
notturni silenzi si diffondeva lungo nelle schiere di soldati un<br />
rumore e un suono di trombe, e un incalzare di cavalli che<br />
correvano scalpitando sugli elmi dei moribondi, e il pianto, gli<br />
inni e il canto delle Parche.<br />
Fortunato te, Ippolito, che hai percorso il mare durante i tuoi<br />
anni giovanili! E se il timoniere indirizzò la nave oltre le isole<br />
dell’Egeo, certamente hai udito le rive dell’Ellesponto<br />
risuonare di antiche gesta, e la marea muggire portando nel<br />
promontorio Reteo le armi di Achille sopra le ossa di Aiace:<br />
per gli animi generosi la morte è giusta dispensatrice di gloria;<br />
né l’astuzia, né il favore dei re consentirono ad Ulisse di<br />
conservare le armi contese, poiché il mare agitato dagli dei
degli inferni le tolse alla nave errante.<br />
Quanto a me che i tempi presenti e il desiderio di gloria mi<br />
costringono ad andare fuggitivo tra diverse genti, possano le<br />
Muse animatrici del pensiero umano chiamarmi a evocare gli<br />
eroi. Le Muse siedono sui Sepolcri per custodirli, e quando gli<br />
agenti atmosferici distruggono fino alle rovine, esse allietano i<br />
luoghi deserti con il loro canto, e l’armonia vince il silenzio di<br />
mille secoli. E oggi nella Triade disabitata risplende<br />
eternamente ai visitatori stranieri un luogo reso eterno dalla<br />
Ninfa a cui fu sposo Giove, e a Giove diede il figlio Dardano<br />
da cui ebbero origini Troia e Assaraco e i cinquanta figli di<br />
Priamo e l’Impero Romano. E ciò avvenne perché Elettra sentì<br />
la Parca che la chiamava dalla vita terrena alle danze festose<br />
dei Campi Elisi, mandò a Giove un ultimo desiderio: e se,<br />
diceva, ti furono cari i miei capelli e il mio viso e le dolci notti<br />
d’amore, e se la volontà del fato non mi concede sorte<br />
migliore, almeno dal cielo guarda la morte amica, affinché<br />
della tua Elettra resti immortale. Pregando con queste parole<br />
moriva. E se ne addolorava Giove, re dell’Olimpo: e scotendo<br />
il capo immortale faceva piovere dai capelli ambrosia sulla<br />
Ninfa e fece sacro il suo corpo e la sua tomba. Lì fu sepolto<br />
Erittonio e riposa il corpo del giusto avo; lì le donne troiane<br />
scioglievano i capelli, invano ahi! Supplicando di tener lontano<br />
la morte incombente sui loro mariti; lì venne Cassandra,<br />
quando il Nume le fece predire la caduta di Troia; e cantò alle<br />
anime un inno affettuoso, e guidava i nipoti insegnando a loro<br />
il pietoso inno. E diceva sospirando: oh se mai ad Argo,<br />
pascolerete i cavalli per Diomede e per Ulisse, a voi il cielo<br />
permetta il ritorno, invano cercherete la vostra patria! Le mura<br />
30<br />
di Troia, opera di Apollo fumeranno sotto le loro macerie. Ma<br />
gli dei della patria avranno dimora in queste tombe; perché è<br />
proprio degli dei conservare anche nella rovina la loro fama<br />
gloriosa. E voi palme e cipressi che le nuore di Priamo<br />
piantano e crescerete ahi presto innaffiati dalle lacrime delle<br />
vedove degli eroi caduti, proteggete i miei padri: echi non<br />
abbatterà pietosamente la scure sugli alberi sacri meno soffrirà<br />
di lutti consanguinei e toccherà con mani pure gli altari.<br />
Proteggete i miei padri. Un giorno vedrete un cieco<br />
mendicante vagare tra le vostre antichissime ombre, e<br />
brancolando penetrare nei sepolcri, e abbracciare e<br />
interrogare le urne. Faranno risuonare il lamento le parti più<br />
interne dei sepolcri, e tutta la tomba racconterà la storia di<br />
Troia due volte distrutta e due volte ricostruita più splendida<br />
sulle deserte rovine per rendere più bella l’ultima vittoria dei<br />
greci. Il sacro poeta, placando le anime sofferenti con il<br />
poema, renderà eterna fama ai principi greci per tutte le terre<br />
che circondano Oceano. E tu, Ettore, avrai l’onore di essere<br />
pianto ovunque sarà considerato santo e degno di lacrime il<br />
sangue versato per la patria, finché il sole continuerà ad<br />
illuminare sulle sofferenze degli uomini.