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I nuovi assetti della narrativa italiana (1996-2006) - Allegoria

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Gianluigi<br />

Simonetti<br />

Il presente<br />

stante la violenza insistita, perché povere di simmetrie e di stratificazioni.<br />

I personaggi risultano spesso scolpiti (negli esordi di Ammaniti), o al<br />

contrario indifferenziati (nel primo Nove); comunque monodimensionali,<br />

fin troppo coerenti; più che raccontarsi si auto-enunciano, in genere<br />

in modo insincero: slogan e parole d’ordine generazionali al posto<br />

dell’autoanalisi – un metodo sbrigativo di creare identificazione, che presenta<br />

però il vantaggio di aumentare l’enfasi e ridurre le contraddizioni.<br />

Scavare in profondità farebbe perdere tempo; più importante è tenere<br />

in ansia il lettore, mettergli fretta a colpi di montaggio. In Cronica de’ culti<br />

di Priapo renovati in Bologna di Silvia Ballestra (1990), momento embrionale<br />

<strong>della</strong> <strong>narrativa</strong> di area cannibale, il flusso del racconto è esplicitamente<br />

scandito dall’indicazione progressiva dell’ora; nella seconda parte<br />

di Amore mio infinito di Nove, dieci anni dopo, il tempo è battuto, con<br />

significativa intensificazione, al minuto (e nella terza parte il flusso temporale<br />

viene invertito, nel modulo del conto alla rovescia); stessa tecnica,<br />

in grande stile, nell’Ultimo capodanno di Ammaniti, dove tra l’altro la<br />

presenza di una struttura corale, incentrata sulla caratterizzazione di vicende<br />

legate a personaggi autonomi che però si intersecano (secondo<br />

un gusto postmoderno per la somma di segmenti narrativi, e più precisamente<br />

sul modello di Reservoir dogs di Tarantino) 14 rende il montaggio<br />

ancora più ansiogeno, con un’accelerazione ulteriore nella parte finale,<br />

in prossimità <strong>della</strong> mezzanotte. Nell’Ultimo capodanno (ma anche in Branchie,<br />

anche in Seratina, per restare ad Ammaniti) all’incremento del ritmo<br />

corrisponde quello <strong>della</strong> violenza, ingrediente ovviamente molto diffuso<br />

in questa letteratura alla continua ricerca di traumi. La si ritrova in<br />

tutti i racconti di Gioventù cannibale («La prima antologia <strong>italiana</strong> dell’orrore<br />

estremo»), in Dei bambini non si sa niente <strong>della</strong> Vinci, in Una forma di<br />

anestesia chiamata morte di Galiazzo, in Mal d’autobus di Covacich, in Bastogne<br />

di Brizzi. Ma l’altro romanzo di Brizzi, Jack Frusciante è uscito dal<br />

gruppo (1995), che ne è totalmente privo, dimostra che la vera costante<br />

di questa stagione <strong>narrativa</strong>, nonostante tutta la sua eterogeneità, non è<br />

lo splatter, ma appunto la velocità – nel libro di Brizzi, le folli corse in bici<br />

che punteggiano la storia: «Mangiava in fretta spaghetti cotoletta mela,<br />

migliorava il record di tetris e via giù a precipizio per la Saragozza avenue»<br />

(p. 18); 15 «Schizzava via come una revolverata dai viali, svoltava a<br />

destra per via San Mamolo, quindi, se non c’era traffico, all’altezza del<br />

baracchino dei gelati infilava, saettando come nessuno, la via Codivilla»<br />

(p. 98). Velocità come urgenza esistenziale, modo d’essere, fuga dalla re-<br />

14 Nell’Ultimo Capodanno del resto il rapporto col cinema americano contemporaneo di genere è<br />

esplicitato, e anche ironizzato, in diverse circostanze: esemplare al riguardo lo scontro di Osso di<br />

pesce con l’autobus proveniente da Nola. Cfr. N. Ammaniti, L’ultimo capodanno dell’umanità, in<br />

Fango [<strong>1996</strong>], Mondadori, Milano 1999.<br />

15 I numeri di pagina delle citazioni si riferiscono alle edizioni citate nella Bibliografia.<br />

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