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I nuovi assetti della narrativa italiana (1996-2006) - Allegoria

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Gianluigi<br />

Simonetti<br />

Il presente<br />

tenitori che ospitano elementi testuali eterogenei, spesso incaricati di indebolire<br />

e mettere in crisi lo statuto di autenticità del testo. Succede in<br />

molti dei racconti di Fiction di Mozzi, meccanismi che impongono al lettore<br />

una sconcertante sospensione del giudizio; succede anche, ma con<br />

più marcato istinto trompe-l’œil, con le tre appendici (un decalogo, una<br />

lettera, alcuni versi) alla fine del primo racconto <strong>della</strong> Magnifica merce di<br />

Siti – racconto già di per sé inframmezzato al suo interno da note, relazioni,<br />

rapporti e molto vicino, per la sua configurazione formale, al colloquio<br />

trascritto, o sbobinato, dal vero. Inserti di questo genere, che potremmo<br />

definire ad “orientamento cognitivo” – nel racconto di Siti, oltre<br />

ai promemoria di valutazione, Il decalogo del perfetto escort – si ritrovano<br />

anche in Cronache <strong>della</strong> fine di Antonio Franchini: Il tao <strong>della</strong> decisione,<br />

prodotto d’invenzione, trascritto accanto a numerose (e autentiche) schede<br />

di lettura. Della confusione tra reale e fittizio si avvantaggia innanzitutto<br />

quest’ultimo, che grazie al contatto col ready-made riveste di credibilità<br />

l’identificazione romanzesca; risultato più complessivo è l’ingresso<br />

nel testo letterario di una quantità rilevante di dati e spunti che fittizi non<br />

sono, e che per questo aiutano il romanzo a uscire dalla riserva protetta,<br />

e inoffensiva, <strong>della</strong> letteratura.<br />

8. Se il ricorso sistematico all’inserto presuppone un testo disponibile<br />

alla disarticolazione, e dunque magmatico, scomponibile, in movimento,<br />

possiamo forse concludere che nel giro di dieci o quindici anni la <strong>narrativa</strong><br />

<strong>italiana</strong> sembra essere passata da un uso prevalentemente antirealistico<br />

ed evasivo ad uno prevalentemente realistico, e mimetico, <strong>della</strong> velocità.<br />

Il romanzo di oggi stenta a contenere dentro forme canoniche le<br />

spinte centrifughe <strong>della</strong> materia <strong>narrativa</strong> offerta da un mondo sempre<br />

più veloce e complicato; molti testi di impianto realistico rispondono assumendo<br />

in proprio il ritmo compresso e sincopato del racconto, e il rapido,<br />

caotico trascorrere da un livello di realtà all’altro. La velocità, simmetricamente,<br />

si mette al servizio del realismo, diventando componente<br />

essenziale di una resa fedele <strong>della</strong> febbrile esperienza contemporanea.<br />

Accanto all’ideale <strong>della</strong> rapidità troviamo, sempre più spesso, la riproduzione<br />

esatta di frammenti di realtà grossolana, da collocare all’interno di<br />

strutture ibride, solo in parte finzionali. Significativo in proposito il confronto<br />

tra due progetti editoriali collettivi separati da quasi dieci anni:<br />

Gioventù cannibale (<strong>1996</strong>), antisentimentale ed enfatica, esteticamente vicina<br />

al cinema splatter, fatta di segmenti che sembrano videoclip; e La<br />

qualità dell’aria (2004), responsabile e antispettacolare, vicina nello spirito<br />

al cinema-verità, piena di racconti che sembrano reportages. E infatti<br />

è spesso nelle nuove scritture di frontiera che si fondono le due grandi<br />

tensioni estetiche di questi anni: la passione per ciò che va veloce e quella<br />

per ciò che sembra vero.<br />

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