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I nuovi assetti della narrativa italiana (1996-2006) - Allegoria

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Gianluigi<br />

Simonetti<br />

Il presente<br />

cellizzazione del testo in momenti discreti e reversibili non contrasta, di<br />

per sé, con una ricerca di realismo, lontana da ipotesi ludiche e metanarrative.<br />

Appunto su scansioni modulari risulta costruito Il piccolo isolazionista<br />

(<strong>2006</strong>) di Tommaso Labranca, patentemente autobiografico come<br />

Nati due volte, centrifugo come Senza verso, strutturalmente attratto dalla<br />

forma-canzone come Destroy – ma basato su frammenti saggistici più che<br />

lirico-narrativi: centoquarantasei tessere che formano un mosaico coerente<br />

anche se non figurativo («Non ho una idea precisa del mondo, ma<br />

una confusa visione cubista di elementi e persone che non si ricompone<br />

nemmeno se mi allontano di chilometri dal quadro», p. 119). Nel caso<br />

del Piccolo isolazionista il modello formale di riferimento potrebbe essere<br />

l’iPod (evocato in copertina e più volte citato all’interno del testo): 32 per<br />

la sua struttura accumulativa e asintotica, ma anche per l’estetica “fredda”,<br />

invernale, del suo involucro metallico bianco e acciaio, piccolo, leggero.<br />

L’iPod sottrae la riproduzione musicale a un supporto fisico – nastro<br />

magnetico, disco di vinile o di silicio – per consegnarla a una dimensione<br />

digitale, impalpabile, immateriale, che si esalta soprattutto nella<br />

funzione dell’ascolto casuale dei brani; casuale, in effetti, appare anche<br />

la disposizione dei segmenti narrativi di cui Il piccolo isolazionista si compone,<br />

e prima ancora la percezione del mondo di un io ridotto a riproduttore<br />

caotico di ricordi personali, riflessioni filosofiche, giudizi estetici,<br />

dati statistici. Nonostante il sostegno fornito da alcune giunture analogiche,<br />

discorsi ripresi e coblas capfinidas, il significato del Piccolo isolazionista<br />

tende a dissolversi nella sua forma; un libro che non vuole andare<br />

da nessuna parte, come il suo protagonista: «Preferisco le tangenziali alle<br />

autostrade perché prediligo il movimento al viaggio. Perché non vado<br />

mai verso alcun luogo» (p. 145). Così, ciò che il libro racconta non è tanto<br />

un personaggio o un ambiente – sebbene la memoria personale del<br />

passato e la sensibilità verso il paesaggio urbano siano tenute costantemente<br />

accese – quanto un processo di isolamento, una abolizione dei<br />

rapporti umani paradossalmente conseguita nel pieno del flusso <strong>della</strong><br />

comunicazione – la musica, i messaggi, le trasmissioni televisive che riempiono<br />

la vita del protagonista, e che ne costituiscono l’esperienza (la vigilia<br />

dell’invasione dell’Iraq nel 2003 vissuta guardando col satellite la televisione<br />

irachena: «hanno dato un momento di inizio al conflitto, come<br />

se fosse un show di prima serata», p. 139). Libro potentemente autoreferenziale,<br />

che ci spiega come l’interesse per gli altri non sia che una<br />

menzogna che ci raccontiamo stancamente, il Piccolo isolazionista trascrive<br />

in una forma accidentale, e dunque organica, una metafisica <strong>della</strong> solitudine,<br />

e del vuoto nevrotico, intese come condizioni storiche più che<br />

32 «Si sta ricaricando l’iPod da 30 gigabyte (quasi 1 giga e mezzo riservati alle sole composizioni di<br />

Moby)» (p. 18).<br />

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