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I nuovi assetti della narrativa italiana (1996-2006) - Allegoria

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Gianluigi<br />

Simonetti<br />

Il presente<br />

si rifà alle poesie di Pietro Tripodo, baricentro emotivo del libro; dall’altro<br />

allude alla propria stessa struttura pluridimensionale, liquida e quasi<br />

priva di sviluppo lineare. Millenovecentonovantadue di Nicola Lagioia,<br />

in La qualità dell’aria, delimita all’interno dell’unità cronologica evocata<br />

dal titolo il proprio terreno d’azione, ma si concede in compenso innumerevoli<br />

divagazioni centrifughe, spaziando dall’aneddoto autobiografico<br />

alla guerra dei Balcani, da un piccolo saggio sul fumo a momenti<br />

visionari. Per il suo Vite di uomini non illustri (1993) Pontiggia si ispira<br />

alle forme canoniche del catalogo antiquario e del dizionario biografico,<br />

oltre che all’esempio dei classici (Plutarco, Svetonio, etc.): ne deriva<br />

un libro fatto di microromanzi, diversi e simili rispetto ai microracconti,<br />

coevi, di Woobinda (e in parte persino ai “brani” di Destroy). Naturalmente<br />

il controllo tonale, lessicale, psicologico di Pontiggia va in direzione<br />

contraria alla piattezza esibita di Nove e al lirismo sopra le righe<br />

<strong>della</strong> Santacroce; ma è condiviso l’ideale di una narrazione puntiforme,<br />

modulare, fatta di schede più che di sequenze lineari di senso: rimedi<br />

contro la mancanza di eventi che caratterizza la vita, esorcismi contro la<br />

lentezza che la svuota («Muore il 12 febbraio 1982 in un incidente sull’automobile,<br />

guidando a velocità troppo bassa, sulla terza corsia, la Porsche<br />

di suo padre e traendo in inganno la Lamborghini sopraggiunta alle<br />

sue spalle», pp. 1181-82). Interessante notare come il ritmo sistematicamente<br />

sbrigativo delle schede di Pontiggia abbia anche conseguenze<br />

stilistiche, ad esempio attraverso l’accelerazione impressa alla sintassi,<br />

nelle Vite volentieri nominale: «Il 30 marzo 1953 muore suo padre di<br />

cirrosi epatica. Senso di liberazione e di felicità quale non proverà più<br />

nella vita. Orgoglio finalmente meritato di essere un orfano. Scende per<br />

le strade di Viterbo nella mattina di sole, il selciato luccicante, il Palazzo<br />

dei Papi in alto» (p. 1199). Va detto che la sintassi nominale (come<br />

il dialogato essenziale, ridotto all’osso) era anche una caratteristica del<br />

primo Ammaniti: «Sul piccolo schermo apparve il faccione butterato di<br />

Aldo Trebbiani. || Sorriso gioioso. Quattro capelli immersi nel gel. Occhi<br />

piccoli e rapidi. Nasone». 29 La differenza è che a Pontiggia la velocità<br />

non basta, vuole anche l’ampiezza, e la profondità: un’acrobazia difficile,<br />

che riesce tanto nelle Vite quanto, diversamente, in Nati due volte,<br />

dove lo schema biografico del libro precedente fa i conti con un personaggio<br />

e un’esperienza personali, scottanti. Viene meno la strutturazione<br />

a schede, e la coralità di soggetti che essa presupponeva – ma rimane<br />

la ricchezza tonale e la pluralità dei punti di vista. Soprattutto resta<br />

attivo un forte principio di selezione, che dell’unica “vita” che resta conserva<br />

soltanto i momenti dotati di senso, le scoperte conoscitive: «la narrazione<br />

in prima persona procede più per episodi salienti di un’auto-<br />

29 N. Ammaniti, L. Brancaccio, Seratina, in Aa.Vv., Gioventù cannibale, cit., p. 7.<br />

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