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raccolta rassegna storica dei comuni vol. 4 - anno 1972

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Con la restaurazione borbonica i porti meridionali furono declassati in base alla<br />

funzione che essi avevano e vennero affidati al Ministero dell'Interno; successivamente<br />

poi, dal 1856, passarono al Ministero <strong>dei</strong> Lavori Pubblici, quando questo fu costituito<br />

come organo a sé stante e non più come «direzione» dipendente degli Interni 16 .<br />

Le conseguenze della declassificazione furono evidenti e gravi, soprattutto per i porti<br />

più piccoli. La «libertà» di cui eufemisticamente godevano i <strong>comuni</strong> sul piano<br />

amministrativo imponeva loro l'assunzione delle spese per la costruzione, il dragaggio e<br />

la manutenzione <strong>dei</strong> porti; cose che comportavano esborsi assolutamente insostenibili<br />

per i bilanci <strong>dei</strong> paesi e delle città più piccole del litorale meridionale. Perfino i consorzi<br />

tra i vari <strong>comuni</strong> dell'hinterland risultarono inefficaci, perché spesso erano chiamati a<br />

farne parte <strong>comuni</strong> dell'entroterra che non traevano alcun beneficio dai porti, siti tal<strong>vol</strong>ta<br />

a parecchie decine di miglia di distanza.<br />

Con il 1860 erano state eliminate molte sovrastrutture politico-amministrative del<br />

vecchio regime; le cose tuttavia non cambiarono di punto in bianco, né mutarono così<br />

come si sperava. I problemi, che alla periferia proponevano soluzioni squisitamente<br />

economiche e sociali, al centro assumevano inevitabilmente dimensioni politiche. Si<br />

sfociò in tal modo nel conflitto di competenze ed in quello ancora più grave degli<br />

interessi di parte; la qual cosa non poco nocque alla causa meridionale. L'autonomia<br />

comunale, che il nuovo regime politico-amministrativo del Regno d'Italia si ostinava a<br />

mantenere, rischiava di diventare una beffa, e spesso lo era, ancora maggiore di quanto<br />

non fosse stata sotto i Borboni. Sì che sovente si procrastinavano, per mancanza di<br />

determinazione e difetto di chiarezza, problemi che, invece, localmente apparivano<br />

chiarissimi, anche in proiezione futura. L'apertura del Canale di Suez, ad esempio, fu<br />

vista già diversi anni prima che avvenisse come una realizzazione che interessasse<br />

soprattutto lo sviluppo economico e sociale del Mezzogiorno. Di esso si occupò sin dal<br />

1862 il Consiglio Provinciale di Salerno a proposito <strong>dei</strong> vantaggi che una strada ferrata<br />

tirrenica Napoli-Reggio avrebbe arrecato all'economia non solo italiana, ma europea 17 .<br />

Di esso si occupa la classe dirigente meridionale e gli operatori economici salernitani;<br />

ed è significativo a tal fine l'invio di rappresentanti da parte della Camera di Commercio<br />

di Salerno all'inaugurazione del Canale nel 1869 18 . Né sembra privo di rilievo, a<br />

proposito dell'importanza che si annetteva all'apertura di tale canale, il voto fatto dal<br />

Consiglio Provinciale di Salerno il 2 ottobre 1869, affinché fosse dichiarata di l a<br />

categoria la carrozzabile Sapri-Vallo della Lucania, finalmente aperta al traffico dopo la<br />

costruzione <strong>dei</strong> porti sul Sele e sul Basento; sarebbe stata, quella, un'arteria<br />

importantissima per collegare le province di Avellino, Benevento, Terra di Lavoro e<br />

Napoli stessa con il litorale tirrenico, «dove, da Sapri a Punta Licosa, tre porti (Sapri,<br />

Scario e Velino, invero ancora interrato) sono i punti unici di approdo da Napoli a<br />

Scilla, essendo il porto di Salerno in costruzione e non un punto di rifugio» 19 .<br />

16 Il provvedimento fu preso con Rescritto di Ferdinando II del 15 maggio 1856.<br />

17 Cfr. Atti ecc., 1862, seduta del 16 settembre.<br />

18 Cfr. G. SANTORO, L'Economia della provincia di Salerno, Salerno, 1966, pag. 90.<br />

19 Cfr. Atti ecc., 1869.<br />

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