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Osservatorio in sintesi<br />

Giurisprudenza<br />

c.c., sia quella per indebito arricchimento, gli eredi dell’appaltatore<br />

proponevano ricorso per cassazione, rilevando, in particolare,<br />

che il comportamento del materiale costruttore fosse<br />

ingiustamente sanzionato, anche a fronte della facoltà del<br />

proprietario di provvedere alla sanatoria dell’intera opera.<br />

La Suprema Corte ha tuttavia rigettato il ricorso; nell’osservare<br />

che il fabbricato realizzato dall’appaltatore costituiva un<br />

organismo edilizio del tutto diverso da quello previsto nel<br />

progetto approvato, e dunque totalmente abusivo, sia per<br />

strutturale diversità della destinazione d’uso, sia per consistenza<br />

volumetrica, la Cassazione richiama la costante giurisprudenza<br />

penale di legittimità secondo cui l’accertamento<br />

di tali difformità ed eccedenze comporta la configurabilità<br />

dell’ipotesi di reato di costruzione in difformità ‘‘essenziale’’<br />

o totale rispetto al titolo edificatorio, dando luogo, conseguentemente,<br />

in sede civile, al rigetto sia della domanda di<br />

indennizzo ex art. 936 c.c., sia, di riflesso, a quella ex art.<br />

2041 c.c.<br />

La Cassazione non si discosta pertanto dalla giurisprudenza<br />

ormai consolidata, secondo cui non solo in considerazione<br />

della giuridica incommerciabilità di siffatti beni, ma anche e<br />

soprattutto per la contrarietà all’ordine pubblico delle attività<br />

di realizzazione degli stessi, concretanti illeciti a carattere penale,<br />

oltre che amministrativo, qualsiasi pretesa economica<br />

derivante dalle stesse non può ricevere tutela dall’ordinamento<br />

(cfr. Cass. civ., sez. II, 29 gennaio 1997, n. 888; 26<br />

gennaio 1998, n. 713; 17 maggio 2001, n. 6777; 22 agosto<br />

2003, n. 12347; 16 maggio 2007, n. 11300; 15 dicembre<br />

2008, n. 29340; 25 febbraio 2011, n.4731).<br />

Per quanto riguarda in particolare la domanda di ingiustificato<br />

arricchimento, la Corte ha considerato che la pretesa economica,<br />

anche sotto tale qualificazione, risulta immeritevole<br />

di tutela, in quanto derivante da attività illecite e, comunque,<br />

tenuto conto della natura residuale dell’azione prevista dall’art.<br />

2041 c.c. nei casi di arricchimento di un soggetto in<br />

pregiudizio dell’altro, la cui esperibilità è data soltanto nei casi<br />

in cui l’ordinamento non preveda un’azione tipica, ma non<br />

anche in quelli in cui la stessa, sia pur astrattamente prevista,<br />

non sia stata esercitata o, se esercitata, come nel caso<br />

di specie ex art. 936 c.c., sia risultata infondata.<br />

ESPROPRIAZIONE PER P.I.<br />

REALIZZAZIONE DI OPERA PUBBLICA E RIMOZIONE<br />

DI MATERIALI DELL’ESPROPRIANDO DAL FONDO OCCUPATO<br />

Cassazione civile, sez. III, 8 gennaio 2013, n. 193 - Pres.<br />

Amatucci - Est. Travaglino<br />

A seguito del decreto di occupazione, al proprietario dell’immobile<br />

è attribuita la sola scelta se abbandonare<br />

ogni suo bene sul fondo, senza poter pretendere alcuna<br />

indennità aggiuntiva, ovvero asportare a sue spese materiali<br />

e tutto ciò che può essere tolto senza pregiudizio<br />

dell’opera di pubblica utilità da eseguirsi; ne consegue<br />

che laddove il proprietario lasci materiali giacenti sul<br />

fondo, la rimozione da parte della pubblica Amministrazione<br />

non costituisce un’ingiustizia risarcibile.<br />

La decisione trae spunto da una controversia che contrapponeva<br />

il proprietario di un terreno, adibito ad attività di frantumazione<br />

della ghiaia, alla Provincia di Trento e alla società incaricata<br />

dei lavori. Il terreno dell’attore era stato oggetto di<br />

un provvedimento di occupazione temporanea da parte del-<br />

l’ente territoriale per lo svolgimento di alcuni lavori ferroviari.<br />

L’attore lamentava che nel corso dei lavori la società avesse<br />

illegittimamente prelevato materiale giacente sul fondo e<br />

quindi chiedeva il risarcimento del danno subito.<br />

L’azione era respinta sia in primo che in secondo grado.<br />

L’attore ha proposto ricorso per cassazione, sostenendo che<br />

la collocazione di un bene dell’espropriando su un fondo oggetto<br />

di procedura di espropriazione e il successivo invito<br />

della pubblica Amministrazione a rimuovere il bene medesimo<br />

non possano giustificare, nemmeno ai sensi dell’art.<br />

1227 c.c., l’appropriazione del bene da parte dell’amministrazione<br />

o dell’impresa appaltatrice.<br />

La Suprema Corte respinge il ricorso, affermando che in seguito<br />

al provvedimento ablatorio al proprietario dell’immobile<br />

è attribuita la sola scelta se abbandonare ogni suo bene sul<br />

fondo senza poter pretendere alcuna indennità aggiuntiva<br />

oppure asportare a sue spese i materiali e tutto ciò che può<br />

essere tolto senza pregiudizio dell’opera di pubblica utilità da<br />

eseguirsi. La sentenza fa riferimento ad un precedente della<br />

Corte di Cassazione, in cui, sulla base dello stesso presupposto,<br />

si escludeva la sussistenza di un obbligo della pubblica<br />

Amministrazione di consegnare i beni mobili abbandonati<br />

sul fondo, riconducendo il protrarsi della eventuale permanenza<br />

sul fondo di detti mobili a mera tolleranza dell’amministrazione<br />

(Cass. civ., sez. I, 8 giugno 2005, n. 12007).<br />

IRREVERSIBILE TRASFORMAZIONE DEL FONDO<br />

PER REALIZZAZIONE DI OPERA PUBBLICA E TERMINE<br />

DI PRESCRIZIONE DELL’AZIONE DA PARTE DEL PRIVATO<br />

Cassazione civile, sez. I, 3 gennaio 2013, n. 27 - Pres. Vitrone<br />

- Est. Mercolino<br />

La irreversibile trasformazione di un fondo di proprietà<br />

privata per effetto della realizzazione di un’opera pubblica<br />

comporta l’acquisizione del relativo diritto a titolo<br />

originario da parte dell’ente costruttore, secondo le<br />

schema della cd. accessione invertita.<br />

Tale vicenda si configura al tempo stesso come un fatto<br />

illecito e abilita il privato a chiedere il risarcimento del<br />

danno subito per la perdita del proprio diritto, nel termine<br />

quinquennale di prescrizione previsto dall’art. 2947<br />

c.c., il quale decorre dalla scadenza dell’occupazione legittima<br />

o, se successiva, dalla data in cui ha avuto luogo<br />

la predetta trasformazione, che segnano il momento<br />

della consumazione dell’illecito.<br />

Nel caso deciso dalla Suprema Corte, i proprietari di un fondo<br />

agivano nei confronti dell’Enel s.p.a., autorizzata, con decreto<br />

del Presidente della Giunta regionale, all’occupazione<br />

d’urgenza per la realizzazione di un elettrodotto, al fine di ottenere<br />

la condanna al ripristino dello stato dei luoghi, il pagamento<br />

dell’indennità dovuta per il periodo di occupazione legittima<br />

ed il risarcimento dei danni derivanti dall’occupazione<br />

illegittima in quanto successiva alla scadenza del termine di<br />

efficacia del decreto.<br />

La domanda veniva respinta sia in primo che in secondo grado.<br />

La fattispecie era ritenuta qualificabile come occupazione<br />

appropriativa, in quanto l’opera realizzata era stata dichiarata<br />

di pubblica utilità da parte della Giunta Regionale. La domanda<br />

di risarcimento dei danni è stata considerata tardiva,<br />

in quanto l’atto di citazione era stato notificato oltre la scadenza<br />

del quinquennio successivo alla cessazione dell’occupazione<br />

legittima.<br />

328 Urbanistica e appalti 3/2013

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