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Osservatorio<br />
civile<br />
a cura di ANTONELLA FERRERO<br />
APPALTI E LAVORI PUBBLICI<br />
ASSOCIAZIONE TEMPORANEA DI IMPRESE E LEGITTIMAZIONE<br />
AD AGIRE<br />
Cassazione civile, sez. I, 9 gennaio 2013, n. 342 - Pres. Vitrone<br />
- Est. Di Amato<br />
Il solo soggetto legittimato a stare in giudizio dal lato<br />
attivo, per i giudizi aventi ad oggetto crediti derivanti<br />
dagli appalti conclusi dalle associazioni temporanee di<br />
imprese, è la società capogruppo, in qualità anche di<br />
rappresentante delle imprese associate, che non sono,<br />
quindi, terze nel rapporto processuale, nel quale le loro<br />
posizioni sostanziali devono essere gestite, per legge,<br />
dalla loro capogruppo mandataria.<br />
In presenza di un’associazione temporanea di imprese,<br />
l’impresa capogruppo può agire soltanto congiuntamente<br />
in proprio e in rappresentanza delle altre imprese e<br />
non dispone della legittimazione ad agire per far valere,<br />
soltanto in proprio e non anche quale impresa mandataria<br />
capogruppo, un proprio diritto riferibile al contratto<br />
di appalto concluso dal Comune con la medesima associazione<br />
temporanea di imprese.<br />
La Corte di Cassazione affronta, nella vicenda in esame, la<br />
questione della legittimazione ad agire in presenza di un’associazione<br />
temporanea di imprese.<br />
Il caso ha origine dalla pretesa avanzata dal titolare di una<br />
impresa edile volta ad ottenere il pagamento delle somme,<br />
da accertarsi in corso di causa, dovute a saldo del corrispettivo<br />
dei lavori appaltati all’associazione temporanea di imprese<br />
della quale la ditta in questione era capogruppo.<br />
In primo grado veniva dichiarato il difetto di legittimazione<br />
dell’attore ad agire.<br />
Successivamente, rigettando l’appello proposto dall’imprenditore<br />
in questione, la Corte di Appello osservava, per quanto<br />
di interesse in questa sede, che, in ossequio a quanto<br />
previsto dall’art. 23 del D.Lgs. 19 dicembre 1991, n. 406, il<br />
credito di appalto poteva essere fatto valere soltanto dall’associazione<br />
temporanea e per essa dall’impresa capogruppo,<br />
non anche ‘‘iure proprio’’ da quest’ultima.<br />
Avverso tale pronuncia il titolare dell’impresa capogruppo ha<br />
proposto ricorso per cassazione deducendo la violazione dell’art.<br />
24 Cost. e lamentando che la Corte di Appello ha escluso<br />
erroneamente la sua legittimazione, dato che egli intendeva<br />
far valere un proprio diritto e non un diritto facente capo<br />
all’associazione temporanea di imprese, la cui figura, peraltro,<br />
rileverebbe soltanto in sede di partecipazione alle gare<br />
e non anche in fase di pagamento.<br />
Tale tesi non convince la Suprema Corte, la quale rigetta il ricorso,<br />
osservando che, ai sensi dell’art. 23, comma 9,<br />
D.Lgs. 19 dicembre 1991, n. 406, il solo soggetto legittimato<br />
a stare in giudizio dal lato attivo, per i giudizi aventi ad ogget-<br />
to crediti derivanti dagli appalti conclusi dalle associazioni<br />
temporanee di imprese, è la società capogruppo, in qualità<br />
anche di rappresentante delle imprese associate, le cui posizioni<br />
sostanziali devono essere gestite, per legge, dalla loro<br />
capogruppo mandataria (sul punto, cfr. Cass. civ., sez. III, 9<br />
agosto 1997, n. 7413; sez. I, 30 agosto 2004, n. 17411; sez.<br />
I, 17 ottobre 2008, n. 25368).<br />
Da ciò consegue, secondo la Corte, non solo che le imprese<br />
mandanti non possono agire direttamente a tutela di un loro<br />
diritto, ma che ciò non è consentito neppure alla mandataria<br />
impresa capogruppo, che può agire soltanto congiuntamente<br />
in proprio e in rappresentanza delle altre imprese.<br />
Giova ricordare che secondo la giurisprudenza, il potere di<br />
rappresentanza spetta all’impresa capogruppo esclusivamente<br />
nei confronti della stazione appaltante, per le operazioni<br />
e gli atti dipendenti dall’appalto, e non si estende anche<br />
nei confronti dei terzi estranei a quel rapporto (cfr. ad esempio<br />
Cass. civ., sez. II, 20 maggio 2010, n. 12422).<br />
ACCESSIONE DI IMMOBILE ABUSIVO<br />
Osservatorio in sintesi<br />
Giurisprudenza<br />
Cassazione civile, sez. II, 14 dicembre 2012, n. 23019 -<br />
Pres. Rovelli - Est. Piccialli<br />
In tema di appalto di terzo su suolo altrui, e quindi di accessione,<br />
l’illecito edilizio rende nullo il rapporto e, quindi,<br />
illecita l’opera eseguita, impedendo, agli eredi dell’appaltatore,<br />
il riconoscimento economico dell’eventuale<br />
obbligazione assunta e, comunque, posta in essere<br />
dal dante causa. È pertanto legittima la sentenza con<br />
cui, accertata la natura abusiva dell’immobile realizzato<br />
su terreno altrui oggetto di contratto preliminare di<br />
compravendita, vengano respinte le azioni di indennizzo<br />
ex artt. 936 e 2041 c.c.<br />
La Cassazione si pronuncia, con la sentenza in commento,<br />
in merito alla configurabilità di un diritto all’indennità ex art.<br />
936 c.c., o, in subordine, a quella per indebito arricchimento<br />
ex art. 2041 c.c., a favore degli eredi di un appaltatore, in<br />
presenza della realizzazione, da parte di questi, di un immobile<br />
su terreno altrui, immobile successivamente qualificato<br />
come abusivo.<br />
Il caso ha origine negli anni ’60, epoca in cui un soggetto<br />
prometteva, mediante contratto preliminare (poi giudizialmente<br />
risoluto con sentenza passata in giudicato), di acquistare<br />
il fondo di un altro individuo; veniva in seguito realizzato,<br />
sulla base di un contratto di appalto, sul terreno oggetto<br />
del contratto preliminare, un fabbricato, successivamente<br />
colpito da un’ordinanza comunale di demolizione, in quanto<br />
abusivo. Gli eredi dell’appaltatore agivano in giudizio proponendo,<br />
per quanto ci interessa, l’azione di cui all’art. 936 c.c.<br />
a carico degli eredi della proprietaria del fondo, e, in subordine,<br />
l’azione per ingiustificato arricchimento ex art. 2041 c.c.<br />
Avverso la sentenza della Corte d’Appello, che rigettava sia<br />
la domanda di pagamento dell’indennità di cui all’art. 936<br />
Urbanistica e appalti 3/2013 327