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La soluzione normativa ex art. 42-bis<br />

da ultimo individuata dal legislatore<br />

Il legislatore, a distanza di non troppo tempo<br />

dalla pronuncia della Corte costituzionale n. 293/<br />

2010, dichiarativa dell’incostituzionalità dell’art.<br />

43, ha inteso porre rimedio al menzionato ‘‘vuoto’’,<br />

introducendo, nel T.U. approvato con D.P.R. n.<br />

327/2001, l’art. 42-bis (con l’art. 34, comma 1 del<br />

D.L. 6 luglio 2011 n. 98 convertito in L. n. 111/<br />

2011).<br />

La rubrica della nuova disposizione legislativa<br />

(‘‘Utilizzazione senza titolo di un bene per scopi di<br />

interesse pubblico’’), se pure meno ridondante, corrisponde<br />

in toto a quella preposta all’ormai incostituzionale<br />

art. 43. Ed infatti, la ratio legis si può dire<br />

la stessa. Peraltro, non solo la rubrica, ma anche la<br />

sostanza della ‘‘nuova’’ disciplina parrebbe ictu oculi<br />

non discostarsi molto dalla vecchia norma, inserendo<br />

in punti strategici differenti previsioni onde evitare<br />

il rischio di future declaratorie di incostituzionalità<br />

(o, ancora prima, di trovarsi in contrasto con<br />

la CEDU), e questo getta un’ombra (ci pare), sulla<br />

conformità della nuova norma alla CEDU e alla<br />

Costituzione.<br />

Vediamo, brevemente, di seguito, di confrontare<br />

la nuova (art. 42-bis) con la vecchia disposizione<br />

(art. 43).<br />

Ferma restando la sostanziale identità della più<br />

secca rubrica dell’art. 42-bis con la rubrica - nonché<br />

con il nucleo essenziale del vecchio disposto normativo<br />

- dell’art. 43, osserviamo in primis che il disposto<br />

di cui all’art. 1, nella parte iniziale, pare<br />

pressoché coincidere con l’analoga disposizione dell’ex<br />

art. 43 («1. Valutati gli interessi in conflitto,<br />

l’autorità che utilizza un bene immobile per scopi<br />

di interesse pubblico, modificato in assenza di un<br />

valido ed efficace provvedimento di esproprio o dichiarativo<br />

della pubblica utilità, può disporre che<br />

esso sia acquisito, non retroattivamente, al suo patrimonio<br />

indisponibile e che al proprietario sia corrisposto<br />

un indennizzo per il pregiudizio patrimoniale<br />

e non patrimoniale, quest’ultimo forfetariamente<br />

liquidato nella misura del dieci per cento del<br />

valore venale del bene)». Notiamo, en passant, che,<br />

ancora oggi, l’istituto de quo può denominarsi ‘‘acquisizione<br />

sanante’’.<br />

A parte l’introduzione della (singolare?) (17) risarcibilità<br />

anche del danno non patrimoniale,<br />

quantificato nel dieci per cento del valore venale<br />

del bene, si osserva che un elemento di novità è costituito<br />

dal fattore temporale, cioè dalla previsione<br />

di non retroattività dell’acquisizione, che, infatti,<br />

Civile<br />

Giurisprudenza<br />

ha efficacia ex nunc. Detta novella sembra rispondere<br />

al rilievo, evidenziato dalla giurisprudenza, che<br />

l’acquisizione sanante non può, in ogni caso, coincidere<br />

con il trasferimento automatico della proprietà<br />

in capo alla p.a. (cui si è accennato più addietro)<br />

(18). Quanto al risarcimento del danno subito<br />

nel periodo intertemporale (fino a che, cioè, il<br />

bene è stato detenuto sine titulo dalla p.a.), stabilisce<br />

il comma 3 che, salvo dimostrazione di un danno<br />

di maggiore entità, lo stesso è calcolato sul valore<br />

venale del bene (cui va ragguagliato l’indennizzo<br />

per il pregiudizio subito per lo spoglio della proprietà)<br />

e va commisurato al tasso di interesse del cinque<br />

per cento annuo. Comunque sia, ad una valutazione<br />

complessiva del primo comma, a parte il<br />

più pingue compenso economico (e la dicitura ‘‘indennizzo’’<br />

in luogo di risarcimento del danno: infra),<br />

non vi si ravvisano significativi contenuti atti<br />

a superare i contrasti già evidenziati dalla CEDU e<br />

dalla Corte costituzionale.<br />

Più problematico si presenta, peraltro, il comma<br />

2, che testualmente recita: «2. Il provvedimento di<br />

acquisizione può essere adottato anche quando sia<br />

stato annullato l’atto da cui sia sorto il vincolo<br />

preordinato all’esproprio, l’atto che abbia dichiarato<br />

la pubblica utilità di un’opera o il decreto di esproprio.<br />

Il provvedimento di acquisizione può essere<br />

adottato anche durante la pendenza di un giudizio<br />

per l’annullamento degli atti di cui al primo periodo<br />

del presente comma, se l’amministrazione che<br />

ha adottato l’atto impugnato lo ritira. In tali casi, le<br />

somme eventualmente già erogate al proprietario a<br />

titolo di indennizzo, maggiorate dell’interesse legale,<br />

sono detratte da quelle dovute ai sensi del presente<br />

articolo».<br />

Qui il contrasto con l’orientamento della CEDU<br />

e con la Corte cost. 293/2010 (nella lettura ‘‘sostanzialistica’’,<br />

sopra richiamata) non potrebbe essere<br />

più netto, ed anzi clamoroso. Infatti, si riafferma<br />

apertis verbis che il provvedimento di acquisizione<br />

sanante può essere assunto anche in presenza di avvenuto<br />

annullamento giudiziale dei provvedimenti<br />

significativi sui quali si innerva il procedimento di<br />

espropriazione (atto di imposizione del vincolo<br />

Note:<br />

(17) In questa come in altre materie, per così dire, ‘‘amministrative’’<br />

ci sembra una novità la previsione di un danno non patrimoniale<br />

e, a maggior ragione, della sua risarcibilità. Qualcosa di<br />

simile è ravvisabile, forse, nella configurazione del danno all’immagine<br />

della p.a. (dunque, sul versante opposto, essendo qui<br />

l’amministrazione pubblica la parte lesa), elaborato dalla giurisprudenza<br />

della Corte dei conti.<br />

(18) Retro, par. 3, in fine.<br />

Urbanistica e appalti 3/2013 323

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