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Al riguardo è stato anche detto: «Il 30 maggio<br />
del 2000 la CEDU con le sentenze Belvedere ha affermato<br />
che la figura dell’occupazione appropriativa<br />
violerebbe l’art. 1 del protocollo 1 della Convenzione<br />
Europea dei diritti dell’uomo giacché prevede la<br />
perdita della proprietà in assenza di norme che la<br />
legittimano» (9). Ad ogni modo, ciò che rileva ai<br />
fini del discorso che andiamo svolgendo, fu proprio<br />
a seguito dell’intervento della Corte europea che il<br />
legislatore italiano provvide, in sede di redazione<br />
del T.U. sull’espropriazione (D.Lgs. n. 327/2001)<br />
ad inserirvi l’istituto poi denominato ‘‘acquisizione<br />
sanante’’ con l’articolo 43. Successivamente, la<br />
Corte ha riaffermato a più riprese il suo orientamento<br />
(divenuto, così, principio consolidato nella<br />
sua giurisprudenza) con altre pronunce (10). (Ma,<br />
si veda, al riguardo, cosa ne pensa il g.a. nell’unica<br />
sentenza pronunciata sull’art. 42-bis: cfr. infra).<br />
Cosa disponeva la norma appena richiamata?<br />
Certo, non è il caso di riportarne, qui, il testo; basti<br />
richiamarne gli snodi principali (così come interpretati<br />
dalla giurisprudenza), al fine, da un lato, di<br />
comprendere le ragioni in base alle quali Corte<br />
cost. n. 293/2010 ne ha dichiarato l’illegittimità costituzionale,<br />
dall’altro, di operare un raffronto con<br />
l’art 42-bis, introdotto (in suo luogo), onde affacciare<br />
una valutazione prognostica circa la capacità di<br />
tenuta della nuova norma, nell’eventualità di ulteriori<br />
richieste di intervento delle due Corti su nominate.<br />
L’istituto introdotto da detto art. 43 è stato<br />
poi denominato ‘‘acquisizione sanante’’ (11).<br />
Nel comma 1 si sanciva che la p.a. che utilizzi<br />
«un bene immobile per scopi di interesse pubblico<br />
modificato in assenza del valido ed efficace provvedimento<br />
di esproprio o dichiarativo della pubblica<br />
utilità può disporre che esso vada acquisito al suo<br />
patrimonio indisponibile e che al proprietario vadano<br />
risarciti i danni». Ovviamente, occorrevano<br />
chiarimenti e dati sulle circostanze dell’indebita utilizzazione<br />
dell’area. Nel comma secondo si chiariva<br />
(elencando contenuto, effetti del provvedimento di<br />
detta acquisizione sanante, e adempimenti connessi),<br />
oltre all’obbligo della p.a. di dare atto delle circostanze<br />
che avevano condotto all’indebita utilizzazione<br />
dell’area e della decorrenza di questa, del che<br />
si è appena detto, che ciò poteva avvenire anche in<br />
caso di avvenuto annullamento degli atti fondamentali<br />
del procedimento espropriativo (apposizione<br />
del vincolo preordinato all’esproprio; dichiarazione<br />
di p.u. dell’opera; decreto di esproprio).<br />
Per l’ipotesi che pendesse giudizio avverso uno<br />
di tali atti o provvedimenti, ovvero in ordine alla<br />
domanda di restituzione del bene (restitutio in inte-<br />
Civile<br />
Giurisprudenza<br />
grum), il comma 3 stabiliva che «l’amministrazione<br />
che ne ha interesse o chi utilizza il bene può chiedere<br />
che il giudice amministrativo, nel caso di fondatezza<br />
del ricorso o della domanda, disponga la<br />
condanna al risarcimento del danno, con esclusione<br />
della restituzione del bene senza limiti di tempo».<br />
Si trattava, come si vede, di una soluzione tranchant<br />
che sottintendeva la decisa prevalenza dell’interesse<br />
pubblico - evidenziato, più che dalla realizzazione<br />
illegittima di un’opera pubblica, dalla sua<br />
utilizzazione per scopi di interesse pubblico - su<br />
quello del privato titolare del diritto di proprietà<br />
(con il quale sempre, secondo i principi, va contemperato<br />
il primo, allorquando essi vengono in<br />
conflitto), in sostanza frustrando in ogni caso la<br />
possibilità per il proprietario del suolo di ottenerne<br />
la restituzione (ciò che poteva apparire eccessivo<br />
specialmente nelle ipotesi di trasformazione non<br />
veramente irreversibile del bene) in conseguenza di<br />
quello che viene dalla giurisprudenza considerato<br />
un illecito permanente (risarcimento in forma specifica,<br />
o restituito in integrum).<br />
Se era, tuttavia, efficace una scelta normativa<br />
siffatta, essa si poneva certamente in contrasto, più<br />
che con i principi del nostro ordinamento (caratterizzato<br />
pur sempre dalla prevalenza dell’interesse<br />
pubblico e, di conseguenza, dal fatto che è ammesso<br />
il sacrificio dell’interesse privato allorquando esso si<br />
ponga in contrasto con l’interesse pubblico specifico,<br />
a condizione che il sacrificio avvenga mediante<br />
un legittimo provvedimento e previo apposito procedimento<br />
aperto alla partecipazione dell’interessato),<br />
con il diritto internazionale sancito dalla convenzione<br />
europea per i diritti dell’uomo. È per questo<br />
che la Corte costituzionale, investita nuovamente<br />
della questione (avuto riguardo al fatto che,<br />
da qualche anno, i principi del diritto comunitario<br />
e internazionale sono, ormai, costituzionalizzati)<br />
(12), non ha potuto che giudicare in contrasto<br />
con la Costituzione la disciplina dettata dall’art. 43<br />
citato.<br />
Vero è che la Corte non ha fulminato la norma<br />
Note:<br />
(9) Così si esprime E. Napolitano, op. cit., 3.<br />
(10) Cfr., ad es., CEDU, sez. V, 22 giugno 2006, n. 213.<br />
(11) Come è stato osservato (D. Tomassetti, op. cit., 78), si tratta<br />
di istituto non coincidente con la cd. accessione invertita, il<br />
che sarebbe dimostrato, tra l’altro, dalla sua dichiarata applicabilità<br />
anche alle servitù (in virtù del comma 6-bis, introdotto con<br />
l’art. 1, comma 1, lett. ll) D.Lgs. 27 dicembre 2002, n. 302), cosa<br />
in precedenza esclusa dalla giurisprudenza quanto ai diritti<br />
parziari.<br />
(12) Cfr. art. 117.1 Cost.<br />
Urbanistica e appalti 3/2013 321