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Osservatorio in sintesi<br />

Giurisprudenza<br />

cativo si fa riferimento a tettoie, pensiline e gazebo), che<br />

vengono assimilate alle verande, a condizione che ricadano<br />

su aree private, siano realizzate con strutture precarie e siano<br />

aperte da almeno un lato. Secondo la predetta norma gli<br />

interventi descritti non sono considerati aumento di superficie<br />

utile o di volume né modifica della sagoma della costruzione<br />

e sono da considerare strutture precarie tutte quelle<br />

realizzate in modo tale da essere suscettibili di facile rimozione.<br />

Pertanto, nell’individuare alcune opere precarie non<br />

soggette, in via di eccezione, a permesso di costruire la legge<br />

regionale fa riferimento ad un ‘‘criterio strutturale’’ (la facile<br />

rimovibilità) piuttosto che al ‘‘criterio funzionale’’ (l’uso<br />

temporaneo e provvisorio). Orbene, osservano gli Ermellini<br />

come tali disposizioni non possono essere applicate al di<br />

fuori dei casi espressamente previsti e vanno interpretate in<br />

modo restrittivo in ordine alla suscettibilità di facile rimozione<br />

(v., ad es.: Cass. pen., sez. III, 27 maggio 2009, n.<br />

22054, in Ced Cass., n. 243710). Nel caso di specie, dunque,<br />

gli imputati avevano realizzato non già un’opera precaria,<br />

ma un vero e proprio ampliamento di un manufatto preesistente<br />

mediante innalzamento, sicché, tenuto conto della<br />

tipologia dell’intervento e dei materiali utilizzati, non poteva<br />

avere alcuna applicazione la richiamata disciplina regionale<br />

relativa alla sufficienza dell’autorizzazione L.R. n. 4 del 2003,<br />

ex art. 20.<br />

REATI EDILIZI<br />

INAPPLICABILITÀ DEL SEQUESTRO PREVENTIVO<br />

PER L’ATTUAZIONE DI (FUTURE) MISURE RIPRISTINATORIE<br />

Cassazione penale, sez. III, 10 gennaio 2013, n. 1262<br />

In relazione a reati edilizi o paesaggistici, non è possibile<br />

disporre un sequestro preventivo finalizzato solo alla futura<br />

demolizione o rimessione in pristino dello stato dei<br />

luoghi che potranno eventualmente essere disposte con<br />

la sentenza di condanna.<br />

La Corte Suprema si occupa, con la sentenza qui esaminata,<br />

di una questione processuale di particolare rilievo, inerente<br />

il possibile, lecito, utilizzo del provvedimento cautelare<br />

rappresentato dal sequestro preventivo per finalità diverse<br />

da quelle cautelari sue proprie. La vicenda processuale<br />

trae origine dal sequestro preventivo di due edifici già ultimati<br />

ed abitati, disposto in relazione al reato di lottizzazione<br />

abusiva ed al delitto paesaggistico di cui all’art. 181, comma<br />

1-bis, D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 ed ai sensi sia dell’art.<br />

321 c.p.p., comma 2, in funzione della futura confisca<br />

obbligatoria per il reato di lottizzazione abusiva, sia ai sensi<br />

dell’art. 321, comma 1, stante l’esigenza cautelare di impedire<br />

le conseguenze dannose del reato. Circa il fumus dei<br />

reati, il GIP lo aveva ritenuto esistente perché gli immobili<br />

erano stati realizzati con regolare permesso di costruire e<br />

relativa variante, ma senza autorizzazione paesaggistica (la<br />

quale era necessaria per essere la zona sottoposta a vincolo<br />

perché situata entro 150 m. da un fiume) e senza un piano<br />

di lottizzazione o un piano attuativo (che erano invece<br />

necessari ai sensi della L. n. 1150 del 1942, art. 41-quinquies,<br />

comma 6, perché la densità fondiaria della zona era<br />

di 4,09 mc/mq, ossia superiore a tre metri cubi per metro<br />

quadrato). Gli attuali proprietari degli appartamenti non erano<br />

indagati e vennero nominati custodi dei beni sequestrati.<br />

Contro il provvedimento di rigetto dell’istanza di riesa-<br />

me, proponevano ricorso per cassazione i proprietari, terzi<br />

di buona fede, censurando il provvedimento di rigetto, per<br />

quanto qui di interesse, sotto il profilo della violazione dell’art.<br />

321 c.p.p., in quanto il sequestro preventivo risultava<br />

essere stato disposto, nella sostanza, per assicurare la futura<br />

esecuzione dell’ordine di rimessione in pristino dello<br />

stato dei luoghi, scopo estraneo alle finalità del provvedimento<br />

cautelare.<br />

La tesi è stata accolta dai giudici della Suprema Corte che,<br />

sul punto, hanno annullato l’ordinanza impugnata. In particolare,<br />

correttamente la Corte ha ritenuto illegittimo il sequestro<br />

disposto in quanto finalizzato alla futura eventuale<br />

demolizione o rimessione in pristino dei manufatti abusivi.<br />

Sul punto, infatti, bene osservano i giudici di Piazza Cavour<br />

che, in relazione a reati edilizi o paesaggistici, il sequestro<br />

preventivo è funzionale al processo di merito e non può essere<br />

utilizzato per anticipare le sanzioni amministrative accessorie<br />

della demolizione o dell’acquisizione alla pubblica<br />

amministrazione della porzione di manufatto (Cass. pen.,<br />

sez. III, 6 luglio 2004, n. 29203, in Ced Cass., n. 229489;<br />

contra, però, con riferimento ad un sequestro preventivo<br />

disposto per impedire la perpetrazione dell’illecito amministrativo<br />

sanzionato dall’art. 221 del T.U. delle leggi sanitarie:<br />

Cass. pen., sez. III, 3 febbraio 2011, n. 3885, in Ced<br />

Cass., n. 249166).<br />

NECESSARIA L’AUTORIZZAZIONE UNICA REGIONALE<br />

PER REALIZZARE ED ESERCIRE UN IMPIANTO ALIMENTATO<br />

DA FONTI RINNOVABILI<br />

Cassazione penale, sez. III, 10 gennaio 2013, n. 1260<br />

L’autorizzazione unica regionale, prevista dall’art. 12,<br />

comma 3, della L. 29 dicembre 2003, n. 387, è richiesta<br />

non solo per la costruzione, ma anche per l’esercizio degli<br />

impianti di produzione di energia elettrica da fonti<br />

rinnovabili; ne consegue che la mancanza del titolo abilitativo<br />

impedisce anche l’esercizio dell’impianto ed è<br />

soggetta alla sanzione penale prevista dall’art. 44,<br />

D.P.R. n. 380 del 2001 (Fattispecie relativa al sequestro<br />

preventivo di impianto fotovoltaico).<br />

Senza alcun dubbio di particolare interesse la questione affrontata<br />

dalla Corte di Cassazione con la sentenza in esame,<br />

relativa alla necessità o meno del titolo abilitativo per la realizzazione<br />

e l’esercizio di un impianto di produzione di energia<br />

elettrica alimentato da fonti rinnovabili. La vicenda processuale<br />

trae origine dal sequestro preventivo di alcuni impianti<br />

di produzione di energia elettrica tramite conversione<br />

fotovoltaica, in relazione al reato di cui al D.P.R. n. 380 del<br />

2001, art. 44, lett. c), in quanto i due impianti erano da considerarsi<br />

in realtà un unico impianto di potenza nominale complessiva<br />

di 2 MWe, realizzati in assenza della prescritta autorizzazione<br />

unica regionale e del permesso di costruire, eludendo<br />

il regime abilitativo richiesto dalla vigente normativa<br />

mediante l’avvio di due distinte procedure semplificate e<br />

due distinte denunzie di inizio attività. Gli interessati formularono<br />

richiesta di riesame. Con una successiva ordinanza il tribunale<br />

del riesame di Brindisi aveva però annullato il provvedimento,<br />

disponendo la restituzione dei beni, per mancanza<br />

del periculum in mora. Contro l’ordinanza proponeva ricorso<br />

per Cassazione il Procuratore della Repubblica deducendo,<br />

per quanto qui di interesse, la violazione della L. 29 dicembre<br />

2003, n. 387 (art. 12, comma 3), sostenendo che l’autorizzazione<br />

unica regionale è prevista non solo per la costru-<br />

366 Urbanistica e appalti 3/2013

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