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merita ampia e convinta condivisione, soprattutto tenuto<br />

conto del fatto che la stessa si inserisce in un filone giurisprudenziale<br />

di legittimità collaudato (e consolidato), secondo<br />

cui in materia edilizia, affinché un manufatto presenti il<br />

carattere della pertinenza si richiede che abbia una propria<br />

individualità, che sia oggettivamente preordinato a soddisfare<br />

le esigenze di un edificio principale legittimamente edificato,<br />

che sia sfornito di autonomo valore di mercato, che abbia<br />

ridotte dimensioni, che sia insuscettibile di destinazione<br />

autonoma e che non si ponga in contrasto con gli strumenti<br />

urbanistici vigenti (v., da ultimo, in senso conforme: Cass.<br />

pen., sez. III, 3 luglio 2012, n. 25669, in Ced Cass., n.<br />

253064).<br />

LE DIFFERENZE ‘‘ONTOLOGICHE’’ TRA IL CONDONO<br />

E LA SANATORIA<br />

Cassazione penale, sez. III, 8 gennaio 2013, n. 506<br />

Gli istituti della sanatoria e del condono edilizio sono<br />

tra loro differenti, in quanto la fattispecie penale estintiva,<br />

oggi contemplata dall’art. 36 del D.P.R. n. 380/2001,<br />

presuppone l’accertamento dell’inesistenza del danno<br />

urbanistico a mezzo della verifica della doppia conformità<br />

agli strumenti urbanistici vigenti, sia al momento del<br />

rilascio della concessione in sanatoria sia al momento<br />

della realizzazione dell’opera; diversamente, l’istituto<br />

del condono prescinde dal rilascio del provvedimento<br />

concessorio essendo autonomo e di natura transitoria, e<br />

fondandosi sul limite temporale da un lato e, sull’oblazione,<br />

dall’altro.<br />

La Corte Suprema coglie l’occasione, nell’esaminare la questione<br />

sottoposta alla sua attenzione, per delimitare il campo<br />

di applicazione dell’istituto del condono edilizio e di quello<br />

della sanatoria edilizia, troppo spesso confusi nella pratica<br />

applicazione. La vicenda processuale trae origine da una<br />

sentenza di condanna per violazioni edilizie e antisismiche,<br />

in particolare consistenti nell’aver realizzato una costruzione<br />

edilizia abusiva, costituita da una ristrutturazione in totale difformità<br />

di due manufatti a tre elevazioni fuori terra con la<br />

struttura in cemento armato, trasformati in un’unica struttura<br />

abitativa estesa circa 75 mq. e alta m. 9, senza il prescritto<br />

permesso di costruire e, appunto in violazione delle norme<br />

antisismiche, senza l’autorizzazione dell’Ufficio del Genio Civile,<br />

con mancato rispetto delle prescrizioni tecniche per le<br />

zone sismiche e con omessa denuncia dell’inizio dei lavori.<br />

Contro la sentenza di condanna proponeva ricorso per Cassazione<br />

la difesa del condannato, sostenendo che, avendo<br />

egli presentato già prima della sentenza un’istanza di sanatoria,<br />

i reati si sarebbero estinti e si sarebbe dovuto pronunciare<br />

sentenza di non doversi procedere.<br />

La tesi è stata respinta dai giudici di legittimità che, sul punto,<br />

nel dichiarare inammissibile il ricorso per genericità, hanno<br />

correttamente osservato come il ricorrente invoca in una<br />

confusa commistione sia la sanatoria edilizia L. n. 47 del<br />

1985, ex art. 13 - oggi D.P.R. n. 380 del 2001, art. 36 - sia il<br />

condono di cui al D.L. n. 269 del 2003 convertito con modifiche<br />

in L. n. 326 del 2003. Questi, infatti, sosteneva che «in<br />

base al disposto della L. n. 326 del 2003, artt. 36 e ss., e L.<br />

n. 47 del 1985, art. 38 il rilascio della concessione edilizia ai<br />

sensi dell’art. 13 da parte della p.a. ... comporta l’estinzione<br />

dei reati». In realtà, precisano condivisibilmente gli Ermellini,<br />

trattasi di istituti differenti, in quanto la fattispecie penale<br />

estintiva di cui al capo primo della L. 28 febbraio 1985, n.<br />

Osservatorio in sintesi<br />

Giurisprudenza<br />

47, e in particolare di cui all’art. 13, come è noto ora riversato<br />

nell’art. 36 del Testo Unico delle disposizioni legislative e<br />

regolamentari in materia edilizia, presuppone l’accertamento<br />

dell’inesistenza del danno urbanistico a mezzo della verifica<br />

della doppia conformità agli strumenti urbanistici vigenti sia<br />

al momento del rilascio della concessione in sanatoria sia al<br />

momento della realizzazione dell’opera (v., sul punto: Cass.<br />

pen., sez. III, 18 dicembre 2003, n. 48499; Cass. pen., sez.<br />

III, 18 marzo 2002, n. 11149) laddove l’istituto del condono<br />

(previsto dal capo quarto della L. n. 47 del 1985, artt. 31 ss.,<br />

e successivamente riproposto dalla L. n. 724 del 1994 e seguenti<br />

modifiche nonché infine dalla già richiamata normativa<br />

del 2003, a sua volta soggetta successive modifiche di<br />

proroga del termine) prescinde dal rilascio del provvedimento<br />

concessorio essendo autonomo e di natura transitoria, e<br />

fondandosi sul limite temporale da un lato e sull’oblazione<br />

dall’altro (cfr. Cass. pen., sez. III, 28 settembre 1988, n.<br />

10307). Sanzione processuale conseguente all’ambiguità<br />

evidente connotante tutto il motivo, privandolo di specificità<br />

e chiarezza, è quella dell’inammissibilità per genericità.<br />

PERTINENZE ED AGEVOLE AMOVIBILITÀ: NO AL CRITERIO<br />

STRUTTURALE<br />

Cassazione penale, sez. III, 7 gennaio 2013, n. 180<br />

Ai fini del riscontro del connotato della precarietà e della<br />

relativa esclusione della modifica dell’assetto del territorio,<br />

non sono rilevanti le caratteristiche costruttive, i<br />

materiali impiegati e l’agevole rimovibilità, ma le esigenze<br />

temporanee alle quali l’opera eventualmente assolva.<br />

Altra decisione della Corte sul tema della natura pertinenziale<br />

dell’intervento edilizio, stavolta, però, applicata con riferimento<br />

al regime di favore previsto dalla disciplina edilizia fissata<br />

dalla regione Sicilia. La vicenda processuale vedeva imputati<br />

del reato edilizio e antisismico due soggetti ai quali<br />

era stato addebitato di avere realizzato, in qualità di committenti,<br />

una trasformazione edilizia ed urbanistica in assenza di<br />

concessione edilizia, con una sopraelevazione di un manufatto,<br />

mediante innalzamento dell’esistente parapetto in muratura<br />

di un lastrico solare con blocchi di pomicemento e<br />

realizzazione di muri perimetrali e copertura in lamierino coibentato,<br />

oltre a dodici pilastri, con violazione della disciplina<br />

sulle opere in cemento armato. Contro la sentenza di condanna<br />

proponeva ricorso per cassazione la difesa degli imputati,<br />

sostenendo che i giudici di merito non avrebbero tenuto<br />

conto del fatto che le opere realizzate rientravano in quelle<br />

soggette ad autorizzazione ai sensi della L.R. siciliana n. 37<br />

del 1985, art. 5 e della L.R. n. 4 del 2003, art. 20, ottenuta,<br />

nel caso di specie, per il mantenimento della copertura del<br />

lastrico solare con struttura precaria, oltre a lavori interni: l’opera<br />

andava quindi considerata precaria attesa l’agevole<br />

amovibilità, indipendentemente dall’uso della stessa.<br />

La tesi difensiva, pur suggestiva, non ha però superato il rigoroso<br />

vaglio dei giudici della Suprema Corte. Muovendo<br />

dalla norma regionale invocata dai ricorrenti (L.R. Sicilia 16<br />

aprile 2003, n. 4, art. 20), i giudici hanno osservato come<br />

detta disposizione disciplina: a) la chiusura di terrazze di collegamento<br />

e/o copertura di spazi interni con strutture precarie;<br />

b) la realizzazione di verande, definite come «chiusure o<br />

strutture precarie relative a qualunque superficie esistente<br />

su balconi, terrazze e anche tra fabbricati»; c) la realizzazione<br />

di altre strutture, comunque denominate (a titolo esemplifi-<br />

Urbanistica e appalti 3/2013 365

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