le frontiere dell'identità I rom rumeni in Italia - Sergio Bontempelli
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I. Possenti (a cura di), Intercultura, nuovi razzismi e migrazioni<br />
Quanto ai “campi nomadi”, si tratta di una vera e propria specificità italiana,<br />
radicata nel<strong>le</strong> politiche sociali degli ultimi tre-quattro decenni. I primi<br />
“campi sosta” vengono costruiti <strong>in</strong>fatti negli anni Sessanta <strong>in</strong> alcune città del<br />
Nord, su impulso dell’associazione “Opera nomadi”.<br />
Gli “z<strong>in</strong>gari” presenti all’epoca nel nostro paese sono <strong>in</strong> parte <strong>rom</strong> e<br />
s<strong>in</strong>ti che si spostano per lavori it<strong>in</strong>eranti (come alcuni mestieri artigianali)<br />
o stagionali (al sud, <strong>in</strong> particolare, anche nell’agricoltura), <strong>in</strong> parte gruppi<br />
che si dedicano a tali attività <strong>in</strong> modo stanzia<strong>le</strong>. Tuttavia, essi vengono tutti<br />
<strong>in</strong>dist<strong>in</strong>tamente etichettati come “nomadi”, considerando implicito <strong>in</strong> questo<br />
term<strong>in</strong>e il significato di “marg<strong>in</strong>ali”, ovvero di persone prive tanto di una<br />
stabilità abitativa, quanto di un’identità socia<strong>le</strong> e lavorativa.<br />
La loro cultura, nell’immag<strong>in</strong>e proposta dai volontari e dagli studiosi che<br />
per primi lavorano alla costruzione dei “campi”, è caratterizzata dall’arretratezza,<br />
dal sottosviluppo, dall’<strong>in</strong>capacità ad adattarsi alla moderna società<br />
urbana e <strong>in</strong>dustria<strong>le</strong>: erede di una cultura “arcaica” e sconfitta dalla storia,<br />
lo “z<strong>in</strong>garo/nomade” viene rappresentato come qualcuno che deve essere<br />
aiutato a “modernizzarsi”, ad “<strong>in</strong>serirsi”, e dunque, per quanto gradualmente,<br />
a stabilizzarsi.<br />
In questo quadro, senza tenere conto della varietà del<strong>le</strong> effettive condizioni<br />
abitative degli “z<strong>in</strong>gari”, la creazione dei campi si configura e viene giustificata<br />
come un tentativo di rispettare la specificità cultura<strong>le</strong> degli “z<strong>in</strong>gar<strong>in</strong>omadi”<br />
e, al contempo, di educare <strong>le</strong> famiglie alla vita civi<strong>le</strong>, favorendo la<br />
scolarizzazione dei bamb<strong>in</strong>i e l’avviamento a nuove attività lavorative per gli<br />
adulti.<br />
Il campo sosta – scrive Nando Sigona – è già <strong>in</strong> questa fase il luogo strategico <strong>in</strong><br />
cui sono concentrate <strong>le</strong> azioni rivolte all’<strong>in</strong>tegrazione effettiva dei <strong>rom</strong>. Per v<strong>in</strong>cere<br />
<strong>le</strong> resistenze dei nomadi è necessario ricorrere ad un <strong>in</strong>tervento su più fronti, «da<br />
parte degli <strong>in</strong>segnanti nei corsi, da parte degli assistenti sociali negli <strong>in</strong>contri con<br />
i capifamiglia», e da parte di coloro che seguono il lavoro nei cantieri dove vengono<br />
addestrati i <strong>rom</strong> e viene verificata la loro “resistenza alla fatica”. Un <strong>in</strong>tervento<br />
capillare che, sebbene non tenga conto di desideri, bisogni, conoscenze dei<br />
garo nell’immag<strong>in</strong>ario italiano, Firenze, cesvot, 2008 (opuscolo di presentazione della mostra<br />
«L’Estraneo tra noi»).<br />
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