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diARCh - UniCA Eprints

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196<br />

d i ARCh<br />

dipartimento di architettura - università di cagliari<br />

dottorato di ricerca in architettura - xxiv ciclo<br />

9. conclusioni<br />

Il presente lavoro si propone come apertura di una finestra<br />

sul complesso sistema che ruota attorno alla fenomenologia<br />

più materica ed espressiva della disciplina del governo delle<br />

acque attraverso un filone inedito, sia che lo si guardi sotto<br />

gli aspetti tecnici della disciplina dell’ingegneria idraulica,<br />

sia che lo si osservi sotto le lenti della disciplina architettonica.<br />

Come si è potuto leggere e prima ancora intuire, la<br />

diga e l’architettura sono due entità che finora hanno avuto<br />

un dialogo rarefatto, fatto di distanze incolmabili e di vicinanze<br />

rapidamente accorciate se non intersecate in alcuni<br />

casi notevoli documentati in queste pagine. Se la diga nasce<br />

come il perfezionamento tecnico di un problema fisico<br />

già in partenza raffinato ed elegante, il risultato, spesso, è<br />

anch’esso armonico. L’architettura d’altro canto disciplina<br />

l’armonia delle forme colmando il vuoto con oggetti pensati<br />

per il benessere fisico e psichico dell’uomo. L’intersezione<br />

tra le due discipline nasce da questo; occorre quantificarne e<br />

qualificarne la misura.<br />

Le presenti pagine si accostano al tema esplicitandolo secondo<br />

i rapporti duali di criticità e forza, decadimento e utilità,<br />

fisica ed estetica, perdita e conservazione.<br />

Un primo dato che emerge con forza è l’insospettabile fragilità<br />

di oggetti apparentemente duraturi se parametrizzati<br />

alla massa del materiale resistente (spesso oltre il milione di<br />

mc di calcestruzzo); una fragilità intrinseca ed ineliminabile,<br />

perché deriva dalle condizioni a contorno: l’acqua a monte<br />

e la roccia su cui la diga è vincolata. Elementi dinamici e<br />

quindi non regimentabili del tutto. Successivamente entrano<br />

in gioco i parametri temporali che legano l’usura all’insorgere<br />

di degradi che renderanno presto la struttura non più<br />

sicura, e quindi inutile.<br />

Il secondo dato che emerge è la carenza di procedure condi-<br />

vise nella dismissione del patrimonio di dighe ormai usurate<br />

dall’età. Negli esempi proposti e dalla lettura della legislazione<br />

attuale emerge la limitatezza disciplinare che si manifesta<br />

in procedure differenti secondo un approccio caso per<br />

caso; su sistemi peraltro dimensionalmente molto ridotti se<br />

confrontati con la media delle grandi dighe italiane ed europee<br />

realizzate a cavallo tra l’ultima guerra e gli anni ’60. L’aspetto<br />

metodologico, così come le manifestazioni di usura<br />

sul sistema invaso-diga viene in questo caso esplicitato quale<br />

contributo alla costruzione di un quadro sufficientemente<br />

esplicativo circa la comprensione del sistema dinamico e inquieto<br />

più volte citato.<br />

Il terzo dato è la mancanza di una narrazione storica che<br />

abbia come filo unico la costruzione delle dighe in Italia.<br />

Si è visto, nel capitolo dedicato al collegamento tra eventi,<br />

opere e progettisti, come una storia dell’ingegneria legata<br />

agli sbarramenti sia possibile e con rimandi molteplici e<br />

qualificati, pur essendo ogni singolo caso un evento quasi<br />

unico per la complessità e la varietà dei parametri fisici e<br />

ambientali in gioco. Anelli di giunzione sono le prove sperimentali<br />

dell’istituto ISMES dove, nella medesima struttura,<br />

si testavano tutte le grandi dighe italiane e molte straniere,<br />

accanto ai modelli degli edifici più innovativi della crescita<br />

industriale italiana del dopoguerra (grattacielo Pirelli,<br />

Torre Velasca, i Wessel delle costruende centrali atomiche,<br />

i viadotti della nascente rete autostradale nazionale e altri<br />

ancora); frammenti di queste storie sono conservati negli<br />

archivi ministeriali, negli uffici periferici del Genio Civile,<br />

negli archivi degli Enti di Bonifica o nelle aziende produttrici<br />

di energia elettrica poi confluite nell’Enel nel 1963; e<br />

ancora nei dati grafici e fotografici delle prove idrauliche<br />

effettuate nei dipartimenti di idraulica delle diverse facoltà<br />

di ingegneria interessate, negli archivi privati dei fotografi<br />

incaricati della documentazione dei lavori e delle opere. La<br />

lista potrebbe proseguire oltre fino ad giungere agli archivi

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