diARCh - UniCA Eprints
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d i ARCh<br />
dipartimento di architettura - università di cagliari<br />
dottorato di ricerca in architettura - xxiv ciclo<br />
metro quadro, oggi, a distanza di circa un secolo, la stessa<br />
identica struttura è chiamata a rispondere delle medesime<br />
sollecitazioni; nel mentre il muro ha lavorato sotto le sollecitazioni<br />
interne ed esterne che ne hanno mutato, sempre<br />
in negativo, la risposta prestazionale. Si potrebbe quindi<br />
ipotizzare un intervento volto al ripristino funzionale della<br />
struttura o, quantomeno, individuare i processi di deterioramento<br />
e opporvi una strategia di conservazione dello stato<br />
di fatto.<br />
Comunque l’ipotetico intervento deve muovere dalla soluzione<br />
data al riconoscimento del valore della diga come<br />
bene, inteso nella sua accezione di valore acquisito, dalla<br />
diga in quanto oggetto o in quanto infrastruttura. La diga in<br />
sé, è bene ricordarlo, non è il fine ma il mezzo attraverso cui<br />
si struttura il sistema complesso di un invaso artificiale. In<br />
questo caso il bene è la massa di acqua invasata nel bacino<br />
(bene materiale) e, ad essa strettamente correlato, il tempo<br />
necessario per il suo deflusso ed il successivo rinvaso (bene<br />
temporale). Inoltre occorre restituire un equo fattore quantitativo<br />
e qualitativo a tutti quei servizi inattuabili in assenza<br />
del volume di acqua: mancata produzione di energia elettrica<br />
che dovrà essere prodotta in altre sedi e con altri costi<br />
(bene monetario); l’inattuabilità di strategie per l’uso irriguo<br />
del bacino in periodi di stagionale aridità (bene strategico),<br />
la mancanza di un bene primario per l’uso potabile (bene<br />
comune). A questi va aggiunto una serie di problematiche<br />
tecniche correlate allo svuotamento e rinvaso del bacino sia<br />
a monte che a valle e che trovano ulteriori spazi di approfondimento<br />
nelle pubblicazioni scientifiche di settore.<br />
Il processo di Decommissioning (dis-missione, ovvero cambio<br />
di missione) o demolizione totale o parziale interviene<br />
dunque sull’oggetto in sé e, di riflesso, sul sistema generale.<br />
Si intuisce così facilmente come le variabili dell’organismo<br />
dinamico descritto siano posti sui due piatti della bilancia:<br />
da una parte i costi diretti e indiretti di un intervento di ri-<br />
funzionalizzazione, dall’altra i vantaggi economici derivanti<br />
da una più semplice rimodulazione del sistema che, pur con<br />
margini di operatività ridotti, consenta un opportuno ritorno<br />
di utili.<br />
1.5 utilità e conservazione. Si pone dunque l’urgenza di<br />
una riflessione sull’oggetto: In quanto manufatto dell’uomo,<br />
per quanto funzionale e puramente meccanicista, è ascrivibile<br />
alla lista dei beni culturali di cui preservare la memoria<br />
e, eventualmente, la matericità? La diga è architettura?<br />
Un esempio emblematico sul come sviluppare questa riflessione<br />
è l’acquedotto romano. La parola deriva dai due termini<br />
aqua ("acqua") e ducere ("condurre") e indica un’opera<br />
più o meno complessa avente la funzione di trasportare<br />
l’acqua, anche per lunghe distanze, per diversi usi legati<br />
alla antropizzazione del territorio e l’approvvigionamento<br />
dei centri urbani. La sua più evidente manifestazione è il<br />
ponte: elemento indispensabile per superare dislivelli e avvallamenti<br />
consentendo al flusso dell’acqua una pendenza<br />
sempre costante (non più di qualche decina di centimetri al<br />
chilometro). Esempi di queste strutture, a distanza di più di<br />
due millenni, sono tuttora esistenti, preservati, restaurati e<br />
pienamente inseriti nel paesaggio circostante come dimostrano<br />
gli esempi di Terragona e Segovia in Spagna o Ponte<br />
du Gard in Francia. Sono opere certamente imponenti,<br />
se rapportate al sistema costruttivo relativamente semplice,<br />
e raggiungono altezze fino a cinquanta metri. Gli acquedotti<br />
romani nascono come infrastruttura: l’uso dell’arco a<br />
tutto sesto e la snellezza generale del disegno è frutto di<br />
un sapiente controllo della tecnica costruttiva volta a massimizzare<br />
il risultato minimizzando al contempo l’impiego<br />
di risorse umane, tecniche e materiali; uno schema identico<br />
che si ripete pressoché all’infinito in cui a dominare è la<br />
necessità di mantenere una pendenza costante. L’assonanza<br />
con la diga di sbarramento è forte: entrambi nascono come